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(“In Fiji, lesbian feminist activist Noelene Nabulivou strives for world ‘liberated and free’”, di Hugo Greenhalgh per Thomson Reuters Foundation, 13 maggio 2020. Trad. Maria G. Di Rienzo.)

Noelene

Crescere essendo lesbica nelle Fiji, stato insulare dell’Oceania, durante gli anni ’70 sembrava abbastanza impossibile, dice la femminista e attivista “climatica” Noelene Nabulivou.

Una cultura machista, basata sulla chiesa, ha significato per Nabulivou – lei stessa figlia di un pastore metodista – non dichiararsi sino al compimento dei 35 anni, non molto dopo l’inizio del nuovo millennio.

“L’ho chiamato il mio obiettivo di sviluppo del millennio.”, dice ridendo su Skype, riferendosi alla lista di ambiziosi obiettivi delle Nazioni Unite, che includevano il dimezzare la povertà estrema e il mettere fine alla diffusione dell’Hiv/Aids entro il 2015.

Ora 52enne, Nabulivou ha una moglie e una figlia di due anni ed è conosciuta in tutto il mondo come attivista contro il cambiamento climatico e come attivista per l’eguaglianza di genere e i diritti delle persone LGBT+ nel suo Paese.

Tuttavia, fa ancora esperienza di discriminazione e abusi, e ha ricordi dolorosi di come è cresciuta in una piccola città vicina a Suva, la capitale dell’arcipelago che conta circa 900.000 abitanti.

“Semplicemente sentivi che (essere apertamente gay) non era una possibilità alla tua portata. Non c’erano modelli di riferimento, in particolare per la mia generazione.”, ha detto a Thomson Reuters Foundation dalla sua casa di Suva.

Le Fiji sono una delle sole otto nazioni che menzionano esplicitamente l’orientamento sessuale e l’identità di genere nelle loro Costituzione, ma in pratica i diritti degli individui LGBT+ sono limitati. I matrimoni fra persone dello stesso sesso e l’adozione da parte di coppie gay restano illegali – Nabulivou e sua moglie si sono sposate a New York – e l’attitudine omofoba persiste.

“Mi hanno sputato addosso; mia moglie ed io siamo state molestate in pubblico; ci hanno tirato pietre sul tetto di notte. Ci sono stati molti episodi durante gli anni. Un quotidiano mi ha fatto l’outing. Ho dovuto lottare contro la chiesa metodista alla radio e in televisione, il che è stato davvero duro per me, che sono una persona molto riservata.”, racconta Nabulivou.

Le Fiji sono state colpite il mese scorso dal forte ciclone tropicale Harold, che ha ucciso due persone e ha distrutto più di 3.000 abitazioni. Il ciclone ha esacerbato l’impatto economico dell’epidemia di coronavirus e le due crisi hanno ulteriormente aggravato la difficile situazione che le persone LGBT+ vivono, dice l’attivista.

Nel mentre il tasso di disoccupazione nelle Fiji, relativo al 2019, si attestava più o meno al 4,5%, secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, Nabulivou dice che circa il 62% di lesbiche, bisessuali e transgender o non hanno un lavoro o ce l’hanno precario.

E’ questo tipo di diseguaglianza che Nabulivou combatte nel suo ruolo di consigliera politica e addetta a progetti speciali dell’organizzazione figiana per i diritti umani “Diverse Voices and Action (DIVA) for Equality”, che lei stessa ha contribuito a fondare nel 2011: “E’ cominciato con un gruppo di giovani che sono venuti da me e dalla mia partner e hanno detto: Okay, ci discriminano. Cosa possiamo fare insieme?

Un decennio più tardi, il gruppo sostiene il lavoro di nove sezioni in tutto il Paese, affrontando questioni come visibilità e povertà nonché omofobia e transfobia, ha detto Nabulivou. La parte chiave del suo lavoro, ha aggiunto, è tentare di contrastare le “proporzioni epidemiche” della violenza contro le donne – siano esse lesbiche, bisessuali, transessuali o eterosessuali – nelle Fiji e in altre nazioni del Pacifico: “L’84% delle donne LBT e delle persone “non conformi” al genere (che non assumono i ruoli tradizionali ascritti a maschi o femmine) hanno denunciato violenze da parte dei propri partner, contro i due terzi delle donne eterosessuali.”

Oltre che sui diritti delle persone omosessuali e sulla violenza domestica, Nabulivou organizza campagne su istanze climatiche ed ecologiche, dicendo che molte di queste sfide sono collegate.

“Noi siamo donne che devono lottare contro la povertà, ma vogliamo anche parlare del bullismo nelle scuole o delle esperienze di sviluppo ecologico nel Pacifico. Come esseri umani abbiamo tante cose diverse a cui teniamo. – spiega Nabulivou, che si definisce maniaca del lavoro e dice di aver ottenuto nuova ispirazione dalla sua bambina – Voglio per lei un mondo meraviglioso, in cui possa essere emancipata e libera.”

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17 maggio 2020, Fabio Tuiach – consigliere comunale di Trieste, ex Lega e Forza Nuova – esterna:

Oggi è la giornata mondiale contro l’omofobia ma io non sono omofobo, mi fa solo schifo vedere i froci che fanno sesso con il culo (…)”

Quest’autorevole “opinione” scatena purtroppo la nostra curiosità: dove li vede il consigliere? Pornografia online, saune, bagni pubblici?

Sig. Tuiach, innanzitutto basta evitare di cercare e molto difficilmente si trova; in secondo luogo scovi piuttosto un corso decente sulla sessualità umana e lo frequenti: anche se non dovesse imparare nulla, il che è abbastanza probabile, almeno si stupirà delle centinaia di cose differenti che le persone (gay, lesbiche, bisessuali, etero ecc.) apprezzano a letto e scoprirà che la penetrazione, per fare del buon sesso, non è obbligatoria.

C’è un’altra faccenda che mi incuriosisce: che fine ha fatto il suo arruolamento nella Legione Straniera?

legione

https://lunanuvola.wordpress.com/2019/12/05/il-legionario/

E’ stato così scarso da aver fallito la selezione?

L’ha passata ma i legionari erano troppo carini e gentili rispetto a lei, sembravano quasi “froci”?

Il feroce sergente Duchamp l’ha presa di mira? (“Tu, stronzo italiano, cento flessioni e cinquanta giri di campo e vediamo se ti ricordi cos’è l’educazione!”)

O avere vicino ogni giorno il commilitone di colore, come nell’immagine sopra, era insopportabile?

Chissà. Potrebbero persino averle detto: lei è troppo gonfio di odio per far parte di una comunità umana, persino quando lo scopo della stessa è addestrare persone a combattere, ferire e uccidere.

Maria G. Di Rienzo

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fabbri editore

(immagine da Rising Feminism)

Dunque, questo è un testo per le scuole elementari, ed. Fabbri, anno corrente.

Lucia è troppo grassa per indossare una minigonna”.

Rossella è così bella da sembrare un angelo, mentre sua sorella è talmente brutta che nessun ragazzo la degna di uno sguardo”.

L’upgrade per le medie potrebbe essere così:

“Alle donne piace:

– fare i lavori di casa;

– ricevere fischi e palpate per strada;

– depilarsi, truccarsi e stare a dieta;

– essere stuprate.

(Esercizio trabocchetto, perché tutte le risposte sono giuste!)”

Alle superiori potremmo magari entrare più nei dettagli:

Presente:

“Nadia non riesce ad avere un ragazzo perché non è abbastanza coraggiosa e liberata e ironica per mandargli le foto di nudo che lui richiede;

Irene non ha amici perché non si veste bene e non va in discoteca;

Marta ha 14 anni ed è ancora vergine!”

Presente e futuro:

“Elena va male a scuola: ma tanto la scuola a cosa le serve, è una femmina e per quanto studi non capirà mai nulla!

Marta ha 15 anni, è ancora vergine e se continua a non lavorare sulla propria bellezza lo sarà per sempre.”

Passato:

“Marta aveva 16 anni ed era una schifosa lesbica, ma dopo uno stupro di gruppo correttivo imparò ad apprezzare gli uomini e qual era il suo posto nel mondo.”

Ehi, Ministra Azzolina, se il trend è questo le dobbiamo proprio riaprire le scuole? Chiedo per circa trenta milioni di amiche, la metà della popolazione italiana, fra cui Marta e la sua ragazza che mi incaricano di mandarla a quel paese (ambasciator non porta pena).

Maria G. Di Rienzo

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margolyes

L’attrice Miriam Margolyes – in immagine – è nata nel 1941 in una famiglia ebraica. E’ dichiaratamente lesbica e ha una relazione con l’australiana Heather Sutherland dal 1967. E’ una sostenitrice della causa palestinese perché, dice, “Il nostro dovere come esseri umani è testimoniare la verità che vediamo”.

In questo momento Miriam si trova a Londra, nel mezzo della quarantena, ma l’anno scorso ha viaggiato per più di 10.000 chilometri e più di due mesi in Australia allo scopo di realizzare un nuovo documentario della rete televisiva ABC, “Almost Australian”.

I brani che seguono sono tratti da “Miriam Margolyes: ‘The government is utterly deplorable. The world is in chaos’ “, l’intervista che Brigid Delaney le ha fatto per The Guardian il 10 maggio 2020; la traduzione è mia.

“Quello che mi ha sbalordito è che per alcune persone l’economia è più importante della gente e dovremmo uscire dal lockdown e tornare alla normalità. – dice Margolyes – E sembrano perfettamente preparati a sacrificare gli anziani. Questi ultimi sono stati descritti come non importanti per l’economia e come se non dessero alcun contributo.

Una delle cose che devo impedire a me stessa di fare è il leggere i commenti sotto articoli di questo tipo. Quelli del Daily Telegraph sono terrificanti. (…) C’è troppo odio (in Gran Bretagna). Il paese è in uno stato terribile a causa della Brexit e poi del virus. E’ indegno. Non sono contenta dell’Inghilterra. Il governo è totalmente deplorevole.”

Nel documentario citato all’inizio, l’attrice ha parlato con persone affette dalla siccità, persone appartenenti a remote comunità indigene e richiedenti asilo. La giornalista le ha chiesto come ha fatto a entrare in relazione con individui che avevano ogni tipo di retroscena.

“Non mi presento come una celebrità: mi presento come un’amichevole anziana signora. – risponde Margolyes – Sono ancora in contatto con alcune delle persone che ho incontrato per il programma, ci scambiamo e-mail. Tutte le volte in cui faccio cose del genere, non sono oggettiva verso le persone con cui parlo. Devo interagire con loro in modo personale. Non sono una reporter, non ho quel tipo di abilità, ho solo la mia personalità da usare come ponte fra me e le altre persone. E tutto nello show è spontaneo. Non so in anticipo chi incontrerò.”

Prima di accettare l’incarico, Margolyes ha chiesto ai produttori di “Almost Australian” l’assicurazione che le comunità indigene sarebbero state nel programma:

“Ma mi sento ancora turbata dalla relazione fra gli australiani bianchi e le Prime Nazioni. Vorrei che fosse migliore.” Gli australiani possono risentirsi delle critiche, particolarmente di quelle provenienti dagli inglesi, dice l’attrice: “Dicono: Chi diavolo è questa, viene qua, si compra una casa e poi ci getta dentro immondizia? Ma io voglio che l’Australia diventi migliore.”

Maria G. Di Rienzo

Big Fat Adventure

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alice wu foto di kc bailey

“Credo mi piaccia pensare che, come esseri umani, siamo più simili di quanto siamo differenti. Metto alla prova questa teoria creando storie che abbiano potenziale commerciale e poi le popolo di personaggi che di solito non si vedono sullo schermo. E, finora, la teoria ha tenuto. Ho visto questo in effetti con entrambi i miei film. Li ho fatti con un mucchio di specificità culturali… eppure sono sempre meravigliata da quanta gente, proveniente dai più disparati retroscena socio-economici, si sente di dire che è “la sua storia”. E credo che, almeno per me, ciò dia speranza. Se posso indurre un cinquantenne bianco e conservatore a identificarsi con un’immigrata cinese diciassettenne, lesbica non dichiarata – o con il suo depresso padre migrante vedovo – ho fatto il mio lavoro. Ogni volta in cui aumenti la capacità umana di provare empatia, hai vinto.”

Alice Wu, regista, intervistata da “Angry Asian Man”, 1° maggio 2020 (trad. Maria G. Di Rienzo).

https://lunanuvola.wordpress.com/2020/04/16/i-mille-volti-dellamore/

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Marylize

(“How can LGBTIQ people find solace in family or religion when these are the sources of our pain?”, di Marylize Biubwa per OpenDemocracy, testo raccolto da Arya Karijo, aprile 2020, trad. Maria G. Di Rienzo.)

Sono una difensora dei diritti umani. Sono un’attivista e sono una femminista nera, queer, radicale e intersezionale. Non ho un lavoro. Porto avanti un’iniziativa che non è un’organizzazione giacché non è finanziata. In effetti, la porto avanti con il crowdfunding e coinvolgendo le mie reti di relazioni. Mi appoggio grandemente a lezioni di facilitazione, all’attivazione di social media o al mettere insieme contenuti digitali per qualcuno.

La storia di molte persone queer è quella di chi non è riuscito neppure ad andare a scuola, perciò non hanno diplomi. Non li ho neppure io, ma mi sto arrangiando. Qualche volta la vita la devi arrangiare. Molte persone non hanno reddito. Molte persone si appoggiando ad altre persone. Molte persone hanno dovuto uscire allo scoperto. Stanno da soli. Hanno difficoltà. La gente sta usando metodi folli che nemmeno immaginereste, per sopravvivere qui fuori.

Perciò, quando il coronavirus colpisce, sei completamente destabilizzato. Non vuoi restare a casa tua, perché ciò rende la tua situazione di persona che non guadagna persino peggiore. Ma non puoi uscire in cerca di lavoro durante questo periodo in cui la gente pratica il distanziamento sociale ed è sotto quarantena. Molte persone LGBTIQ sono in difficoltà perché il coronavirus è arrivato con questo senso della famiglia e di gente che si sposta per essere accanto agli individui di cui si curano di più: familiari eccetera. Se il peggio si avvera, vuoi morire avendo almeno la tua famiglia vicina.

Ma per quel che riguarda la mia esperienza, e l’esperienza di molte persone LGBTIQ, la famiglia non è qualcosa che noi si abbia attualmente e ciò ha impatto sulla nostra salute mentale e in genere su come funzioniamo e operiamo in questo periodo.

Ci sono quelli che trovano sollievo nella religione. Ci sono quelli che trovano sollievo nella famiglia. Le persone LGBTIQ raramente trovano sollievo in questi modi, perché tanto per cominciare religione e famiglia sono le fonti della nostra sofferenza. La cosa triste dell’essere una persona queer in questo periodo è che hai la sensazione di non avere la meglio in qualsiasi cosa, sia la famiglia, sia il coronavirus, sia il governo, sia i sistemi. Puoi dover andare all’ospedale e l’omofobia strisciare all’interno della situazione. Era già abbastanza brutto prima del coronavirus e in un momento come questo non fa che amplificarsi.

La gente sta associando parecchio la morte al coronavirus. Io non sono spaventata dalla morte. Non perché la morte non sia spaventosa in sé. Se guardo indietro, so che c’è stato un periodo della mia vita che ho giudicato davvero spaventoso. Sono le esperienze che ho attraversato. E’ maneggiare il trauma. E’ sentirsi incline al suicidio. E’ tentare il suicidio. E’ l’arrivare in pratica a un punto in cui sei viva ma sai per certo che se non volessi essere viva ci sarebbe un’opzione, una via d’uscita da tutto questo.

Penso di continuo: qual è la cosa peggiore che può capitare se sei infettato dal coronavirus? Morire, giusto? Ma questo non è così terribile, alla fine. Voglio dire, tutti moriamo a un certo punto, no? Le nostre esperienze di vita, in special modo le esperienze traumatiche, ci uccidono da vivi comunque. In un dato momento avremmo dovuto vivere come esseri umani, ma siamo morti dentro.

(L’omosessualità è illegale in Kenya secondo il Codice Penale di era coloniale, il quale descrive le relazioni fra persone dello stesso sesso come “conoscenza carnale contraria all’ordine naturale” e prescrive sentenze che arrivano ai 14 anni di prigione. Nel 2019, la Corte Suprema del Kenya rifiutò di dichiarare incostituzionali queste clausole del Codice Penale.)

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not amused

(Non siamo divertiti – “I pinguini di Madagascar”)

1. Lapo Elkann

Non so se debba fondare un partito alla fine dell’emergenza e quanto abbia eventualmente investito per avere la copertura di cui gode attualmente, ma i media del gruppo Gedi (Repubblica, Espresso, Huffpost, radio, tv) lo stanno “sparando” da un paio di settimane a tutto volume – e stanno francamente annoiando.

Visto che notizie relative al soggetto non ci sono, a meno che si vogliano considerare tali le dirette sui social in cui si impegnano senza soluzione di continuità centinaia di altre celebrità e politici, la holding di Elkann (Laps to Go o solo Laps – società che possiede azioni/quote di altre società) è presentata come una sorta di opera pia, una ong caritatevole il cui solo scopo è essere di conforto alla popolazione italiana.

Per esempio: “Italia Per Sempre, la diretta con Lapo Elkann e Frankie Hi-Nrg – Continuano le dirette dal profilo Instagram di Italia Indipendent (sic) per il progetto Italia Per Sempre, “l’inno all’Italia” creato da Lapo Elkann e volto a sostenere i cittadini durante l’emergenza coronavirus con un momento di svago.”

Italia Independent è una società che produce accessori di lusso personalizzabili, che è andata in rosso nel 2018 e che è stata salvata da una immissione di capitale esterno (Talent EuVeca) all’inizio del 2019: non è un’informazione irrilevante, ma nei peana alle attività del benefattore Lapo Elkann non c’è.

Sarebbe anche da notare che il patriotico rampollo della famiglia Agnelli strilla gli inni all’Italia dal Portogallo, come ha dichiarato alla radio il 17 aprile scorso: “Sto trascorrendo la mia quarantena a Lisbona. Sto a casa, lavoro tutto il giorno per supportare ed aiutare il mio Paese con la nostra campagna di solidarietà. Poi pulisco e cucino. Il mio cavallo di battaglia culinario è lo spaghetto sciué sciué.” (E chi se ne frega.)

Nessuno degli entusiastici articoli o servizi ricorda neppure i trascorsi dello spaghettaro, uso a festini con droga (nel 2005 un’overdose di oppiacei quasi lo uccide) in compagnia di persone transessuali (2005, 2016 – in quest’ultimo caso avrebbe simulato il proprio sequestro per ottenere soldi dalla famiglia) o di altri uomini (nel 2014 due fratelli lo ricattano con un filmato ad hoc).

Consigli per Lapo? Usi “sostenere” al posto di “supportare”, non definisca “lavoro” l’autocelebrazione, faccia coming out e viva felice senza sfiancarsi per il nostro svago. Consigli per i giornalisti? Fate i giornalisti.

2. Le levate di scudi a difesa della Lombardia.

Sono di un’ipocrisia e di una noia mortali. Ne prendo una per tutte. Ho controllato e sono sicura che Carlo Magno non è tornato a proclamarsi re dei longobardi, ne’ orde di francesi o spagnoli hanno rivendicato il territorio. Dovete sapere però che criticare la gestione della sanità e dell’epidemia da parte della Lega (Attilio Fontana e compagnia) e indagare sulle morti al Trivulzio equivalgono a “assalti polemici”, “demagogie”, “propaganda e partigianeria” e occultano “la voglia di dominio della politica sull’economia invece che la competitività e il mercato ben regolato” (manca un verbo, ma l’autore è coltissimo e ci raccomanda anche un libro di Savinio). Cercate di ficcarvi in testa che “la regione vale un quarto del Pil italiano” e che “giocare contro Milano significa giocare contro il futuro dell’Italia”: “Un punto dev’essere fermo, nella coscienza generale: la ricchezza, il lavoro, il benessere sono frutto dell’attività d’impresa.” Questo è ciò che il neoliberismo crede e divulga, ma non pertanto diventa dogma divino, essendo una mera asserzione smentita più volte da Storia e dati.

Ci sono anche veri e propri voli pindarici sul merito premiato e sulla capacità di stare insieme dei coraggiosi imprenditori: pensate che “Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda, è stato designato con due terzi dei voti del Consiglio generale dell’organizzazione. Per lui hanno votato lombardi e veneti, emiliani e campani, romani, calabresi e siciliani”. Cioè, sarebbe oggetto di reverente meraviglia il fatto che un gruppo settario di ricchi ha scelto il proprio ricco rappresentante senza badare alla sua origine regionale. Fiato alle trombe! Cavalierato per tutti!

Al sig. Antonio Calabrò, vicepresidente di Assolombarda, che ci ha regalato queste profonde riflessioni nel suo pezzo complottista “Le polemiche contro Milano nascondono una cultura anti-impresa”, consiglio un libro anch’io: “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”, di John Maynard Keynes. Parla tra l’altro della necessità dell’intervento statale nell’economia nelle fasi di crisi. Se non ha voglia di leggere, provi ad ascoltare le canzoni di Gualtiero Bertelli sulle metodologie non proprio umane con cui l’impresa ha costruito il suo “virtuoso” primato, oppure presti attenzione a qualche notizia: come quella dell’operaio licenziato da ArcelorMittal Italia, qualche giorno fa, per aver denunciato pubblicamente la mancanza di protezioni dal coronavirus in fabbrica. Sa, l’azienda ha dichiarato di avergli dato il benservito perché “è venuta a mancare la fiducia” nel dipendente. “Insieme”, ancora una volta. – così lei chiude il suo pistolotto soffiandosi il naso dalla commozione – ma solo se tieni la bocca chiusa, operaio di m.!

Maria G. Di Rienzo

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Questo è promettente: Alice Wu la regista-sceneggiatrice di “Saving Face” (“Salvare la faccia”, 2005) ha prodotto un nuovo film che sarà in onda su Netflix il 1° maggio prossimo.

Alice Wu è nata il 21 aprile 1970 negli Stati Uniti, figlia di migranti provenienti da Taiwan, e la sua prima opera autobiografica trattava del fare coming out come lesbica nella comunità cinese-americana. All’epoca, disse: “Mi auguro che il pubblico abbia la sensazione che, al di là di chi ciascuno è, che sia gay o etero, o qualsiasi sia il suo retroscena culturale, se c’è qualcosa che desidera in segreto, si tratti dell’avere il grande amore o altro, non è mai troppo tardi per averlo. Voglio che il pubblico esca dal cinema provando un senso di speranza e di possibilità.” E in effetti sono le caratteristiche che fanno di “Saving Face” un gran bel film e che gli hanno guadagnato una serie di premi.

Il prossimo si chiama “The Half of It”, che probabilmente – data la difficoltà di tradurre l’espressione in modo letterale – in italiano finirà per essere “L’altra metà”. E’ in pratica Cyrano de Bergerac ai nostri giorni la qual cosa, visto quanto amo la commedia di Rostand, già mi delizia di suo.

the half of it

Ellie Chu (l’attrice cinese-americana Leah Lewis, in immagine) è una liceale timida, solitaria e occasionalmente oggetto di stupidi sfottò razzisti. Ellie è eccellente negli studi e arrotonda le entrate familiari scrivendo per i compagni di scuola i saggi assegnati ad essi dagli insegnanti. La sua arcinota bravura nello scrivere fa sì che un altro studente, disperatamente innamorato e senza quasi speranza di riuscire a impressionare la ragazza dei suoi sogni, le chieda di creare lettere d’amore per costei. Purtroppo, o per fortuna, si tratta della ragazza di cui è innamorata anche Ellie…

Il tratto autobiografico, qui, riguarda il miglior amico della regista, un coetaneo eterosessuale che, grazie alla profondità emotiva del loro rapporto, la aiutò a venire a patti con la propria identità. “Così eccomi qua, – ha scritto Alice Wu presentando il suo lavoro – che procedo verso la mezza età e ho appena fatto un film sugli adolescenti. Ora che è finito, vedo alcune cose più chiaramente. La principale: ero solita pensare che ci fosse un solo modo di amare. Che A + B – C equivalessero all’Amore. Ora che sono più vecchia, so che ci sono più modi di amare. Così tanti, più di quanti avessi mai immaginato.”

Date un’occhiata al trailer, è fantastico:

https://www.youtube.com/watch?v=B-yhF7IScUE

Maria G. Di Rienzo

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(“How to make yourself small or how to be black and survive” di Porsha Olayiwola, in immagine, trad. Maria G. Di Rienzo. Olayiwola è scrittrice, poeta, educatrice, futurista, femminista, lesbica, storica della “diaspora nera”, direttrice artistica… La lista sarebbe ancora più lunga, ma c’è una frase che può fungere da riassunto: questa giovane donna è un genio. Vederla su un palcoscenico, che stia recitando le sue poesie o mettendo in scena una performance teatrale, è illuminante e catartico.)

porsha

Come rimpicciolire te stessa o come essere nera e sopravvivere

Accovacciati giù

in basso

non stendere le tue membra per tutta la loro lunghezza

Fletti le ginocchia

lascia che le tue ossa si ripieghino o

si rompano

Avvizzisci

Lascia che la tua pelle ti abbracci

come una bara, tienila vicina

La tua lingua è fragorosa

per diluire il ruggito, dirotta i tuoi occhi

osserva solo il manto stradale

Così un’ombra massiccia spalanca per noi

una tomba

Vedi solo le formiche

minuscoli esseri di melanina

scorrazzarne via

indenni

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“Io sono un’artista che si sta specializzando in primitivismo perciò per me la storia, in un dipinto, è assai più importante dei dettagli. Molti pensano che i primitivisti non sappiamo disegnare, ma in effetti si tratta di un’area artistica complessa e interessante: rappresentare qualcosa con il minimo numero possibile di linee è assai più difficile di quel che sembra.

La mia arte mancava di significato all’inizio. Quando sono diventata una femminista, ho cominciato a guardare le opere di varie donne artiste e anche i fumetti – storie in figure – e ho capito per la prima volta che l’arte poteva parlare di cose importanti. Ho capito che le artiste incorporavano un’agenda sociale e politica tramite il loro lavoro.”, Yulia Tsvetkova (in immagine).

tsvetkova

Lo scorso marzo sono stati revocati gli arresti domiciliari a Yulia, l’artista femminista e lesbica di cui avevo parlato qui:

https://lunanuvola.wordpress.com/2020/01/23/la-censura-e-questa/

Il 7 aprile Open Democracy, chiedendosi come mai un progetto educativo composto da illustrazioni sia diventato “pornografia”, ha pubblicato una lunga intervista a Yulia curata da Anna Kim. Di seguito, la traduzione di alcuni brani.

Perché pensi di essere stata liberata dagli arresti domiciliari? Perché è accaduto ora ed è stata una novità per te?

E’ stata una novità per me: ne’ io ne’ il mio avvocato ce lo aspettavano. Penso abbia in parte a che fare con le procedure burocratiche. Ci hanno messo tre mesi e mezzo per fare un’inchiesta e letteralmente dieci giorni fa hanno cambiato i dettagli dell’articolo in virtù del quale ero accusata e hanno fatto invece un’indagine. Si supponeva che dovessero arrestarmi di nuovo, ma non è accaduto. Il giudice voleva andare avanti ma il procuratore, con mia totale sorpresa, ha sostenuto la nostra parte.

I detective avevano chiesto inizialmente che i miei arresti domiciliari fossero inaspriti con il bando ad ogni comunicazione e all’accesso a internet, perciò le cose avrebbero potuto andare in modo molto diverso. Non posso chiamarlo un disgelo o una dinamica positiva, può essere stata solo una coincidenza, il che è molto comune.

Ma il tuo caso non è ancora chiuso?

No, adesso sono ufficialmente una sospettata, ho la notifica in cui mi si sospetta di aver commesso il crimine relativo alla diffusione di pornografia. Alcuni media hanno detto, sbagliando, che non sono stata accusata di nulla, ma l’annuncio dell’incriminazione avviene alla fine del procedimento, davanti a una giuria, quando l’indagine è finita e c’è il rinvio a giudizio, perciò è ancora troppo presto per incriminarmi.

Nel tuo post su Facebook, in cui dici di essere stata rilasciata dagli arresti domiciliari, hai scritto che la pubblica accusa aveva “grandi piani” per te. Cosa significava?

Durante le sedute in tribunale la pubblica accusa, chiedendo l’estensione del mio stato di arresto, ha elencato tutto ciò che avrebbe fatto durante le udienze: interrogare mia madre e ogni membro del mio gruppo sui Monologhi della Vagina; controllare i miei account e chiamare a testimoniare un bel po’ di esperti: in campo artistico, psichiatrico, informatico. Potrei dover affrontare un secondo arresto: ancora non è chiaro, ma il caso non è chiuso.

Da quando ricevi minacce dal gruppo omofobico “Pila protiv LGBT (Saw contro LGBT: il gruppo si ispira al film horror omonimo, chiama alla violenza contro le persone omosessuali e mette online i loro dati privati, come indirizzo e numero di telefono, organizza aggressioni durante le manifestazioni del Pride, eccetera)? Che sta facendo la polizia al proposito?

Il movimento “Saw” è in giro da un paio d’anni, dal 2017-2018. Io non ero un’attivista all’epoca e non una singola istituzione, inclusi l’FSB (Servizi federali per la sicurezza della Federazione russa) e il Centro per il contrasto all’estremismo, è stata in grado di scoprire gli autori della lettera di minacce (ricevuta da Yulia e da altre/i). Li abbiamo cercati da noi e abbiamo fatto denunce.

La prima volta in cui mi hanno minacciata direttamente è stata nell’estate del 2019 quando io, assieme ad attiviste/i di ogni parte della Russia, sono finita nella cosiddetta “Lista Pila” e ho fatto denuncia. E’ stato solo di recente che l’FBS ha risposto dichiarando che si trattava di non luogo a procedere.

Quel che è stato buffo è che io dovevo fornire prove delle minacce al poliziotto che aveva in carico i miei casi penali e civili. In altre parole, questo tizio stava raccogliendo prove incriminatorie contro di me, mentre allo stesso tempo io dovevo fornirgli prove in mia difesa.

Il 18 marzo scorso nuove minacce, con il mio indirizzo e numero di appartamento, sono arrivate per posta. Questa volta chiedevano 250 bitcoins prima del 31 marzo, altrimenti mi avrebbero uccisa. Dopo le prime minacce la polizia ci ha messo sei settimane per dirmi che non poteva fare niente e consigliarmi di non uscire di casa e di prendermi un cane. Le uniche domande che mi hanno fatto durante la nostra conversazione miravano a sapere se disegno pornografia e se vado a letto con le donne, perciò sarebbe stato futile chiedere aiuto da quella parte.

Allo stesso tempo, quando ricevo mail di odio dagli omofobi, la cosa si risolve in un paio di giorni. Se qualcuno pensa si tratti di un bello scherzo va bene, ma troviamo l’umorista e diciamogli che non è divertente.

[Nota dell’editore: Yulia Tsvetkova ha riportato su FB il 2 aprile di aver ricevuto nuove minacce da “Saw”.]

Cosa hai mente di fare in futuro? Tornerai all’attivismo, al teatro, all’attività su internet e al lavoro educativo?

Non ho idea di cosa farò, c’è ancora la possibilità che io vada in prigione per un periodo compreso fra i due e i sei anni. La mia attività qui è stata tagliata alla radice. Tutto quel che ho fatto negli scorsi due anni è svanito e non ho nulla di pronto per il futuro. Ci sono alcuni appunti e progetti che amerei sviluppare, ma non è realistico pensarlo, al presente. Ma certamente voglio essere coinvolta nel teatro e nell’attivismo pro diritti umani in Russia o da qualche altra parte.

Yulia Tsvetkova illustration

(un dipinto di Yulia)

Maria G. Di Rienzo

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