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alice wu foto di kc bailey

“Credo mi piaccia pensare che, come esseri umani, siamo più simili di quanto siamo differenti. Metto alla prova questa teoria creando storie che abbiano potenziale commerciale e poi le popolo di personaggi che di solito non si vedono sullo schermo. E, finora, la teoria ha tenuto. Ho visto questo in effetti con entrambi i miei film. Li ho fatti con un mucchio di specificità culturali… eppure sono sempre meravigliata da quanta gente, proveniente dai più disparati retroscena socio-economici, si sente di dire che è “la sua storia”. E credo che, almeno per me, ciò dia speranza. Se posso indurre un cinquantenne bianco e conservatore a identificarsi con un’immigrata cinese diciassettenne, lesbica non dichiarata – o con il suo depresso padre migrante vedovo – ho fatto il mio lavoro. Ogni volta in cui aumenti la capacità umana di provare empatia, hai vinto.”

Alice Wu, regista, intervistata da “Angry Asian Man”, 1° maggio 2020 (trad. Maria G. Di Rienzo).

https://lunanuvola.wordpress.com/2020/04/16/i-mille-volti-dellamore/

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Questo è promettente: Alice Wu la regista-sceneggiatrice di “Saving Face” (“Salvare la faccia”, 2005) ha prodotto un nuovo film che sarà in onda su Netflix il 1° maggio prossimo.

Alice Wu è nata il 21 aprile 1970 negli Stati Uniti, figlia di migranti provenienti da Taiwan, e la sua prima opera autobiografica trattava del fare coming out come lesbica nella comunità cinese-americana. All’epoca, disse: “Mi auguro che il pubblico abbia la sensazione che, al di là di chi ciascuno è, che sia gay o etero, o qualsiasi sia il suo retroscena culturale, se c’è qualcosa che desidera in segreto, si tratti dell’avere il grande amore o altro, non è mai troppo tardi per averlo. Voglio che il pubblico esca dal cinema provando un senso di speranza e di possibilità.” E in effetti sono le caratteristiche che fanno di “Saving Face” un gran bel film e che gli hanno guadagnato una serie di premi.

Il prossimo si chiama “The Half of It”, che probabilmente – data la difficoltà di tradurre l’espressione in modo letterale – in italiano finirà per essere “L’altra metà”. E’ in pratica Cyrano de Bergerac ai nostri giorni la qual cosa, visto quanto amo la commedia di Rostand, già mi delizia di suo.

the half of it

Ellie Chu (l’attrice cinese-americana Leah Lewis, in immagine) è una liceale timida, solitaria e occasionalmente oggetto di stupidi sfottò razzisti. Ellie è eccellente negli studi e arrotonda le entrate familiari scrivendo per i compagni di scuola i saggi assegnati ad essi dagli insegnanti. La sua arcinota bravura nello scrivere fa sì che un altro studente, disperatamente innamorato e senza quasi speranza di riuscire a impressionare la ragazza dei suoi sogni, le chieda di creare lettere d’amore per costei. Purtroppo, o per fortuna, si tratta della ragazza di cui è innamorata anche Ellie…

Il tratto autobiografico, qui, riguarda il miglior amico della regista, un coetaneo eterosessuale che, grazie alla profondità emotiva del loro rapporto, la aiutò a venire a patti con la propria identità. “Così eccomi qua, – ha scritto Alice Wu presentando il suo lavoro – che procedo verso la mezza età e ho appena fatto un film sugli adolescenti. Ora che è finito, vedo alcune cose più chiaramente. La principale: ero solita pensare che ci fosse un solo modo di amare. Che A + B – C equivalessero all’Amore. Ora che sono più vecchia, so che ci sono più modi di amare. Così tanti, più di quanti avessi mai immaginato.”

Date un’occhiata al trailer, è fantastico:

https://www.youtube.com/watch?v=B-yhF7IScUE

Maria G. Di Rienzo

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Beijing Poster

(“As Cities Around the World Go on Lockdown, Victims of Domestic Violence Look for a Way Out”, di Melissa Godin per Time, 18 marzo 2020, trad. Maria G. Di Rienzo.)

Dall’Europa all’Asia, milioni di persone sono state messe in isolamento, mentre il coronavirus ha infettato più di 183.000 persone. Anita Bhatia, la vice direttrice dell’Agenzia Donne delle Nazioni Unite, dice a Time che “la stessa tecnica che stiamo usando per proteggere la gente dal virus può avere un perverso effetto sulle vittime di violenza domestica”. Ha aggiunto che “nel mentre sosteniamo assolutamente la necessità di seguire queste misure di distanziamento sociale e quarantena, riconosciamo anche che ciò fornisce un’opportunità per chi abusa di scatenare maggior violenza”.

Una donna su tre al mondo fa esperienza di violenza fisica o sessuale, secondo l’Organizzazione Mondiale per la Sanità, rendendo ciò “la violazione dei diritti umani più diffusa ma meno denunciata”. Sebbene anche gli uomini facciano esperienza di violenza domestica, le donne sono la maggioranza delle vittime, con gli individui LGBTQ che affrontano tassi elevati della stessa violenza. Ma durante i periodi di crisi – come disastri naturali, guerre e epidemie – il rischio di violenza di genere cresce.

In Cina, il numero dei casi di violenza domestica denunciati alla polizia locale è triplicato in febbraio in confronto all’anno precedente, secondo Axios. Le attiviste dicono che questo è un risultato della chiusura forzata. “Noi sappiamo che la violenza domestica ha le sue radici nel potere e nel controllo. – dice Katie Ray-Jones, presidente della National Domestic Violence Hotline – In questo momento, abbiamo tutti la sensazione di una mancanza di controllo sulle nostre vite e un individuo che non riesce a maneggiare ciò lo scaricherà sulla sua vittima.” Ray-Jones dice che mentre il numero dei casi di abuso potrebbe non salire durante la crisi coronavirus, le persone che già si trovano in una situazione di abuso potrebbero doversi trovare a fronteggiare violenza più estrema, senza più poter sfuggire andando al lavoro o da amici.

La crisi attuale rende anche più difficile per le vittime cercare aiuto. Le strutture mediche in tutto il mondo si stanno sforzando per rispondere al coronavirus, i sistemi sanitari stanno diventano sovraccarichi e ciò rende più arduo per le vittime aver accesso a cure mediche o terapeuti. “Nella migliore delle circostanze, le donne hanno già difficoltà a essere ascoltate.”, dice Bhatia.

(Il numero (gratuito) antiviolenza da chiamare in Italia è 1522.)

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the wishing well di kathy kehoe bambeck

E’ passato un quarto di secolo dalla “Quarta conferenza mondiale sulle Donne: azione per l’eguaglianza, lo sviluppo e la pace” delle Nazioni Unite, da cui uscì la nota Piattaforma di Pechino firmata da 189 Paesi. All’epoca mi era stato commissionato un articolo al proposito, per cui il mio primo ricordo di quel settembre 1995 è uno scassato telefono viola in cui riverso domande in inglese, fra mille disturbi sulla linea, a una gentile delegata che si trova in Cina. Il risultato finale della Conferenza consentì un minimo di entusiasmo, potendo essere riassunto così: “L’avanzamento delle donne e il raggiungimento dell’eguaglianza fra donne e uomini sono materia di diritti umani e condizione per la giustizia sociale e non dovrebbero essere visti come un’istanza isolata delle donne. L’empowerment delle donne e l’eguaglianza fra donne e uomini sono prerequisiti per raggiungere sicurezza politica, sociale, economica, culturale e ambientale fra tutti i popoli.”

Gli impegni presi e sottoscritti nella dichiarazione di chiusura includevano l’eliminare la violenza contro le donne, l’assicurare a tutte le donne l’accesso alla pianificazione familiare e alla cura della salute riproduttiva, il rimuovere le barriere alla partecipazione delle donne ai processi decisionali, il fornire alle donne impieghi decenti e salario uguale per uguale lavoro. Il documento chiedeva anche ai governi di affrontate l’impatto della degradazione ambientale sulle donne e di ascoltare le donne indigene in ogni materia relativa allo sviluppo sostenibile, di riconoscere lo sproporzionato fardello posto sulle donne dal lavoro non pagato di cura e di impegnarsi per una migliore rappresentazione delle donne nei media.

Venticinque anni dopo, nessuna nazione ha tenuto completamente fede alle promesse. Ci sono stati miglioramenti e progressi, ma viviamo ancora in un mondo in cui una donna su tre subisce violenza fisica e/o sessuale durante la sua vita, in cui le donne sono pagate meno degli uomini pur svolgendo le stesse mansioni lavorative e centinaia di migliaia di donne muoiono ancora ogni anno per complicazioni relative alla gravidanza e al parto collegate allo scarso o inesistente accesso a risorse e strutture, eccetera, eccetera. Inoltre, in molte zone del pianeta i diritti umani delle donne hanno fatto o stanno facendo passi indietro: l’avanzamento di destre, partiti religiosi fondamentalisti, movimenti sovranisti / populisti coincide ovunque con un peggioramento dello status femminile.

L’inerzia o la vera e propria misoginia della politica si intrecciano al vissuto sociale e il 2019, in Italia, va al suo termine con notizie di questo tipo:

30 dicembre 2019: “Feriva la compagna con i coltelli come il suo idolo Joker: arrestato 38enne romano – L’uomo, benestante residente nella Capitale, da alcune settimane soggiornava in strutture ricettive dei Castelli. Una sera di 20 giorni fa, i militari sono dovuti intervenire in un locale di Nemi dove il 38enne era andato in escandescenza e aveva iniziato a picchiare la compagna, la 40enne con cui aveva una relazione da qualche mese. (…) Appassionato di coltellini da caccia che usava con la stessa disinvoltura del suo idolo, spesso la minacciava di colpirla e le procurava tagli sulle gambe.”

Sorelle (e fratelli alleati), non aspettate il cambiamento e continuate a crearlo, perché il cambiamento siete voi. Siamo noi. Affido questo al pozzo dei desideri. Vi voglio bene e ogni bene vi auguro per il prossimo anno.

Maria G. Di Rienzo

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abominable

Le immagini che vedete appartengono a un cartone animato, “Abominable” (“Abominevole”) – in italiano sarà “Il piccolo Yeti” – che uscirà nei cinema americani a fine settembre e da noi in ottobre.

La protagonista principale è Yi, una ragazzina indipendente, coraggiosa e determinata che quando trova un piccolo Yeti sul tetto del suo condominio a Shangai decide di intraprendere un epico viaggio per fare in modo che il cucciolo si riunisca alla sua famiglia.

abominable-3

Yi e i suoi amici Jin e Peng, che gli hanno dato il nome di “Everest”, devono condurlo al punto più alto della Terra mentre tentano di sfuggire alla caccia di Burnish, un ricco uomo assolutamente intenzionato ad avere uno Yeti come trastullo, e della zoologa Zara – da cui, come appare nei trailer, “Everest” era stato in precedenza catturato riuscendo poi a scappare. Yi, il cui motto inciso nel ricordo del padre scomparso è più o meno “non mollare mai”, suona il violino con passione persino durante il viaggio e almeno in una sequenza riprende il motivo principale della colonna sonora: “Go Your Own Way” – “Va’ per la tua strada” dei Fleetwood Mac (ovvero il pezzo n. 120 nella lista delle Più Grandi Canzoni di tutti i Tempi della rivista Rolling Stone. Potete ascoltarlo qui:

https://www.youtube.com/watch?v=qxa851vAJtI )

abominable-2

E’ la sua musica a far sbocciare i bianchi fiori luminosi dell’immagine, anche se la violinista non ne è ancora consapevole. Va bene, mi direte, la pellicola è diretta da una donna – Jill Culton – e la giovane Yi non è la solita principessina ossessionata da sono bella o no – chi mi amerà – come mi sta il vestito, ma perché stai scrivendo in pratica di un filmetto per famiglie? Per chi ci sta dietro e lo ha effettivamente costruito, mie care creature. E chi ci sta dietro sono queste due:

judy e suzanne

Sono Suzanne Buirgy e Judy Wieder, da oltre trent’anni coppia lesbica ma coppia anche nelle imprese artistiche, in cui si sono sostenute l’una con l’altra e passo dopo passo lungo l’intera via.

Judy è stata la prima caporedattrice del famoso giornale lgbt “The Advocate”, ma ha fatto anche la cantante folk, la compositrice e la giornalista musicale. In più, ha descritto tutto questo in una recente biografia. Suzanne Buirgy ha vent’anni di esperienza nella creazione e produzione di film d’animazione ed effetti speciali (per “Dragon Trainer” e “Kung Fu Panda 2” ha anche ricevuto premi). L’atmosfera magica de “Il piccolo Yeti” l’hanno evocata queste due straordinarie artiste, che hanno un particolare talento nel trasmettere al pubblico storie avvincenti e ispiratrici.

Quando Suzanne ha incontrato Judy, quest’ultima suonava in una band femminile: “Cominciammo a scrivere canzoni insieme. Siamo insieme da 31 anni e non passi così tanto tempo con qualcuna, amando qualcuna che è come te una persona creativa senza ricevere i suoi “colori”. Judy è una parte integrale della mia vita creativa proprio perché a questo punto lei fa parte del mio DNA. Penso che questa sia la cosa più straordinaria.” (da un’intervista condotta da Desirée Guerrero il 15 agosto u.s.)

Maria G. Di Rienzo

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baopu soft heart

In piedi all’inizio di un anno straordinario

oso essere tenera di nuovo.

Per tutta la mia vita, ho tentato di restare protetta. Di essere impermeabile.

Ma sono tenera. E sarò libera.

Io sono ciò che sono.

Nulla di più, nulla di meno.

Cuore tenero

Yao Xiao, l’Autrice della tavola riprodotta sopra, è un’illustratrice nata in Cina che vive a New York.

“Baopu” è un fumetto che appare mensilmente su Autostraddle. Il significato della parola, che indica un ideale taoista, è “abbracciare la semplicità / attenersi alla semplicità”. Maria G. Di Rienzo

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Il travestimento perfetto

(“Acupunture”, di Luljeta Lleshanaku – in immagine – poeta contemporanea albanese, trad. Maria G. Di Rienzo. Il lavoro dell’Autrice, una dozzina di raccolte di poesie, è stato sino ad ora tradotto in inglese, francese, tedesco e slovacco.)

luljeta

AGOPUNTURA

Fra gli oggetti personali all’interno di una tomba cinese vecchia 2.100 anni,

gli archeologi trovarono nove aghi per agopuntura,

quattro d’oro e cinque d’argento.

Molto prima di sapere perché,

gli antichi medici sapevano che il dolore

dev’essere combattuto con il dolore.

E’ molto semplice: una serie di aghi che ti pungono il braccio

per un giusto funzionamento di cuore e polmoni.

Aghi nei piedi per dar sollievo a insonnia e stress.

Aghi in mezzo agli occhi per contrastare l’infertilità.

Un piccolo dolore qui,

e l’effetto si sente da qualche altra parte.

Una volta, un gruppo di esploratori piantò una bandiera al Polo Sud,

un ago nel calcagno del globo, nel mezzo del nulla.

Ma prima che la missione fosse compiuta

una nuova guerra mondiale era iniziata.

L’impatto dell’ago fu sentito nel cervello del mondo,

nel lobo responsabile per la memoria a breve termine.

Quando la Russia usò l’ideologia come agopuntura – un ago sopra gli Urali –

ciò ebbe impatto sul pancreas e sul controllo dello zucchero nel sangue:

l’America pagò dieci volte tanto il whiskey durante il Proibizionismo,

e negli uffici postali, copie dell’Ulisse

“immorale” di Joyce erano immagazzinate per il rogo.

L’universo funziona come un unico corpo. Stelle formano linee di aghi

attentamente appuntati su un’ampia schiena pelosa.

Il loro impatto si sente nel tratto digestivo, ogni giorno

un nuovo inizio. Come puoi iniziare un nuovo giorno

senza aver assorbito completamente le proteine di ieri?

Ero una bambina quando il mio primo insegnante

sbagliò a pronunciare il mio cognome due volte. Ciò mi punse

come un ago.

Un piccolo ago nel lobo dell’orecchio. E all’improvviso

la mia vista si schiarì –

vidi la poesia,

il travestimento perfetto.

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rice bunny

Come probabilmente già sapete, il governo cinese sta tentando di esercitare un ferreo controllo sui social media, timoroso dei contenuti “dissidenti” o semplicemente critici. Le femministe non sono escluse, anzi. Poco dopo l’8 marzo, Sina Weibo – una piattaforma simile a Twitter – ha chiuso “Voci Femministe” in faccia alle/ai sue/suoi 180.000 seguaci. Nel giro di un paio d’ore anche il relativo account su un servizio di messaggistica privata è stato cancellato. Le motivazioni fornite sono vaghe (“violazione delle regole”) e a tutt’oggi gli spazi virtuali non sono stati restaurati.

Per quel che riguarda #MeToo, il movimento è esploso in Cina dopo che una giovane donna, Luo Xixi, ha condiviso su Weibo le vicende relative all’assalto sessuale da lei subito da parte di un suo ex insegnante universitario: gli “anch’io” sono rapidamente diventati talmente tanti che, per tutta risposta, Weibo ha cancellato l’hashtag. Ma le femministe cinesi stanno aggirando il bando. L’immagine sopra mostra come: l’hashtag è diventato “Riso/Coniglio” (“coniglio del riso”) e viene espresso con gli emoji. Pronunciate ad alta voce, le parole diventano “mi tu” e non lasciano dubbi.

Maria G. Di Rienzo

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L’ultimo libretto pubblicitario dell’Ikea (valido fino al luglio 2018) che mi è arrivato nella cassetta della posta è decorato da slogan accattivanti quali “Facciamo spazio alla tua voglia di cambiare”, “Facciamo spazio al modo di vivere di ciascuno”, “Crea lo spazio dove esprimere chi sei” e così via.

Ma questa attitudine che suggerisce armonia e accettazione delle differenze è così superficiale e leggera che la sua flessibilità si spinge a tollerare discriminazioni umilianti: purché siano le donne a doverle subire.

In questi giorni, sommersi dalle proteste sui social media, i responsabili di Ikea-Cina hanno dovuto ritirare uno spot televisivo di 30 secondi (una sua immagine è qui sotto).

Ikea china

La storia andava così: una madre arrabbiata dice severamente alla figlia “Se non sei in grado di portare qui un fidanzato, non chiamarmi più mamma.” Nella cultura cinese ciò si traduce “Ti disconosco come figlia, ti rinnego, ti ripudio, non fai più parte della famiglia”. La figlia esibisce all’annuncio una faccia funerea e disperata, ma per fortuna (???) un giovane uomo con un mazzo di fiori appare sulla porta e i genitori deliziati di lei cominciano ad apparecchiare la tavola con stoviglie e decorazioni dell’Ikea. Lo slogan finale suggerisce di “celebrare la vita quotidiana”.

Tutta la menata si basa sulla stigmatizzazione, in atto in Cina, delle giovani donne non sposate prima dei trent’anni. In genere sono donne che hanno una professione stabile e/o un alto livello di istruzione, ma le chiamano “donne scartate” (con il significato di residui, rimanenze, avanzi)… perché vivono benissimo senza marito e – com’è probabile – vivono benissimo anche senza gli accessori Ikea: tant’è che hanno immediatamente chiamato al boicottaggio dei suoi prodotti. Come detto, lo spot è stato rimosso da tutti e quattro i canali televisivi su cui andava in onda e l’Ikea si è scusata pubblicamente.

C’è da aggiungere che nel luglio scorso i produttori delle automobili Audi, sempre in Cina, erano riusciti a fare di peggio: la loro pubblicità paragonava l’acquistare una macchina di seconda mano al controllare minuziosamente difetti e pregi di una ragazza in abito da sposa. Anche in questo caso, la rivolta da parte delle potenziali consumatrici e dei potenziali consumatori è stata immediata.

Forse la divisione marketing dell’Ikea dovrebbe capire che il multiculturalismo non significa avallo di qualsiasi violazione dei diritti umani, purché sia praticata in modo vasto nella società. Altrimenti, sarebbe lecito dirigere la prossima campagna all’Isis mostrando che i coltelli Ikea sono perfetti per sgozzare qualcuno…

Gli standard etici valgono ovunque. Le donne sono esseri umani a pieno titolo ovunque e ovunque hanno diritto al rispetto e a rappresentazioni che rivestano un minimo di dignità. Non sono, parafrasando Douglas Adams e la sua divisione marketing della Società Cibernetica Sirio, “Le amichette di carne con cui è bello stare” e i pubblicitari possono – e sicuramente dovrebbero – fare di meglio: “La Guida galattica per gli autostoppisti definisce la divisione marketing della Società Cibernetica Sirio un branco di idioti rompiballe che saranno i primi a essere messi al muro quando verrà la rivoluzione (…) Curiosamente, un’edizione dell’Enciclopedia Galattica che per un caso fortunato è stata portata da una dimensione temporale di mille anni avanti nel futuro, definisce la divisione marketing della Società Cibernetica Sirio un branco di idioti rompiballe che sono stati i primi a essere messi al muro quando c’è stata la rivoluzione.” (aut. cit., “Guida galattica per gli autostoppisti”)

Maria G. Di Rienzo

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jenny

Jenny Lu, taiwanese (in immagine qui sopra) all’epoca studente d’arte a Londra, incontrò una giovane donna chiamata Anna durante un pranzo comunitario a Chinatown. “Veniva da un piccolo villaggio cinese e sembrava del tutto normale. – ricorda Jenny – Mi disse di essersi trasferita a Londra perché voleva una vita migliore.”

Poco dopo, nel 2009, Anna si suicidò nei pressi dell’aeroporto di Heathrow. Nessuno dei suoi amici e conoscenti, compresa Jenny, sapeva che Anna in Gran Bretagna c’era arrivata con un finto matrimonio – per cui la sua famiglia aveva pagato un prezzo salato – e che il suo lavoro consisteva nel prostituirsi in un salone per massaggi. E’ stata proprio Jenny a scoprirlo: devastata dal dolore per la morte di Anna ha intrapreso un difficile viaggio per tracciarne la storia e quel viaggio è divenuto il film “The Receptionist” (premiere a Taiwan venerdì prossimo e al Festival del Cinema di Edimburgo la settimana successiva).

Fra le donne che si prostituiscono nei saloni per massaggi, Jenny Lu ha trovato immigrate da tutta l’Asia; alcune sono arrivate a Londra tramite matrimoni pro-forma come quello di Anna, altre hanno falsi passaporti, altre ancora devono crescere figli da sole o erano arrivate per studiare e non hanno trovato il modo di mantenersi. Quelle che conoscevano Anna hanno raccontato a Jenny di come lavorasse duramente per ripagare il debito del finto matrimonio e sostenere la propria famiglia in Cina, compresi gli studi del fratello.

Nel film, la giovane regista ha messo tutto quel che ha visto e udito: donne che vivono come prigioniere, con le tende sempre tirate per paura di essere scoperte; donne che conoscono poco la lingua del paese in cui vivono e di Londra hanno visto a stento le strade più vicine al bordello; donne che sono sfruttate da ogni tipo di criminali e soggette a pestaggi, rapine e stupri se non pagano i soldi per la “protezione”: tanto i magnaccia sanno bene che non chiameranno mai la polizia a causa dei loro retroscena; donne soggette alle più incredibili brutalità da parte dei “clienti”… Questi ultimi pagano di media per una sessione di violenze (Nda: tale io considero il “sesso a pagamento”), sessuali e non, 120 euro: i proprietari del salone per massaggi trattengono dalla cifra – sempre di media – il 50/60%.

“Le attrici e gli attori non riuscivano a credere reale la sceneggiatura. – dice al proposito Jenny Lu – Così li ho portati a conoscere personalmente le donne di cui parlo.”

receptionist

Anna aveva 35 anni quando si è tolta la vita. Era in Gran Bretagna da due e veniva sfruttata dall’industria del sesso da uno. La sua famiglia continuava a chiedere danaro, il suo lavoro le risultava pesantissimo e inaccettabile, e quando tentò di farsi restituire i soldi che aveva prestato a una sedicente amica quest’ultima minacciò di far sapere ai familiari di Anna cosa lei faceva per vivere. Ogni sogno che Anna poteva aver nutrito lasciando il suo villaggio era finito in una discarica.

“Il messaggio che voglio mandare è questo. – attesta la regista – Anche quando ti allontani di molto dal sogno che hai nutrito per lungo tempo, voltati e guarda indietro da dove vieni, cos’era il tuo sogno iniziale. Molta gente dimentica. Molte delle donne di cui racconto le storie nel film non credono più di poter fare una vita diversa. Cercano persino di pensare il meno possibile.” Maria G. Di Rienzo

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