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Posts Tagged ‘lgbt’

(lettera e testamento: devo essere a breve operata agli occhi e sto scrivendo con gran fatica – mi scuso per gli eventuali errori dovuti a ciò.)

Capisco. La comunicazione “social media style” in voga è così veloce-effimera che ascoltare, riflettere, acquisire informazioni ed elaborarle è difficile. Di più: lo si stima noioso e sorpassato.

Quindi, per incapacità o per volontà, un numero enorme di persone battibecca e non discute, fa battute e passa oltre (l’argomento del giorno scade talmente in fretta da suscitare il legittimo sospetto che sia adulterato a priori), riduce a tifoseria da stadio ogni platea e taglia con l’accetta del noi/loro qualsivoglia argomento.

Ripeto, questo lo capisco: ma oltre a non aver intenzione di adeguarmi ciò che davvero non comprendo è perché agiscano in tal modo quelli e quelle che da tale modalità non guadagnano niente. La notizia stupirà qualcuno, tuttavia fatevi forza e accettate il fatto che la maggioranza degli esseri umani non lavora nell’ambito marketing yourself / shaming others – definibile con il neologismo “itagliese” payed rincoglioned autoincensing.

Meno comprensibili ancora sono coloro che apparentemente riconoscono la situazione (Bufale.net) e però si rivolgono agli altri così:

“Analizza la situazione, anziché fare l’ultras: Fedez c’ha il cu*o al caldo ed è vero: influencer, marito della Ferragni, imprenditore, rapper. Non vive come me e te in un bilocale (anzi, nemmeno quello), non conta i centesimi a fine mese e non posta da uno smartphone riadattato, è verissimo. Però tutto questo se lo è costruito, non è che lo ha ottenuto ieri e ha lottato per ottenerlo, fra lavoro e amore. E ora può far sentire la sua voce gestendo le conseguenze di esse.” (era “essa”, presumo).”

Vedi, miserabile stronzo, tu non sei riuscito a costruire niente, lavoro e amore ti sono andati a rotoli perché non hai lottato abbastanza o non hai lottato “bene” – e nemmeno ti sei procurato gli amici “giusti” che ha lui: finanziatori, banchieri, azionisti e cialtroncelli disposti a dar spettacolo per costoro a mo’ di giullari di corte. Come se si potesse arrivare ad essere ricchi sfondati con la lotta, il lavoro e l’amore, che al massimo costituiscono il cv e il saldo del conto corrente di innumerevoli attivisti / attiviste per il cambiamento sociale su tutto il pianeta. E come se arrivare ad essere ricchi sfondati giustificasse la piramide sociale dell’esclusione.

Ora, lo so che la prossima citazione è stata strombazzata dalla destra per screditare quanto il rapper ha detto sul palco del Concertone, su cui non ho nulla da eccepire, ma non resta per questo meno problematica:

“Mi interessa che Tiziano Ferro abbia fatto outing / Ora so che ha mangiato più würstel che crauti / Si era presentato in modo strano con Cristicchi / Ciao sono Tiziano, non è che me lo ficchi?”. Le spiegazioni dell’autore sono ugualmente motivo di perplessità: 1) il pezzo si chiama “Tutto il contrario” ed esprime quindi il contrario di quel che lui pensa; 2) ha cambiato idea, proprio come Salvini (che le cambia velocissimamente); 3) era giovane.

Converrete che convivono male: rivendico, abiuro, non mi assumo responsabilità perché ho scritto ‘sta roba quando ero innocente e ignorante. Trovo inadeguato conferire a costui la palma di paladino dei diritti umani: domani potrebbe cambiare di nuovo idea. Io scrivevo anche da adolescente proprio come lui, ma non ho mai partorito stronzate del genere. L’idea per cui non esistono inferiori da sbertucciare non l’ho cambiata mai e me vanto.

Inoltre, per la milionesima volta: l’outing te lo fanno gli altri (Tizio è una checca, gne gne gne!) – quando esci tu (Sono Tizio e sono gay, e allora?) si chiama coming out. E questa è la spia del perché trovo inadeguato anche porgli in capo la corona d’alloro di difensore della comunità lgbt: conoscerà individui che ne fanno parte, ma sembra ignorare storia e istanze relative ad essa. Preferisco, gusti personali, che il pavimento me lo aggiusti un piastrellista piuttosto di uno che dice: “Sì dai, lo faccio io, ho visto online un video sul reparto piastrelle di Leroy Merlin! Poi te lo racconto su Instagram! Solidarietà al gres porcellanato! Click, like, money money money!!!”

Poi, mi ripeto ancora a beneficio degli estrapolatori di parole che faticano troppo a seguire un discorso intero, tutto quel che ha detto il 1° maggio era vero – non concordo sulle modalità espressive, ma questa è di nuovo questione di gusti – ed era stato detto da parecchie persone prima di lui e persino meglio di lui: sono quelle di cui sopra, con lotta – lavoro – amore in attivo, prive però dell’amplificatore mediatico a disposizione del rapper influencer imprenditore e quant’altro.

Una seconda vicenda che ha (per certi versi incredibilmente) sofferto della mancanza di ascolto e della comunicazione frammentata – vacua – fulminea da web è stata quella relativa a Rula Jebreal e al suo annuncio via social che avrebbe annullato la partecipazione già concordata a “Propaganda Live”, per correttezza e fedeltà ai suoi principi che non prevedono l’essere l’unica donna in un parterre di ospiti composto da uomini (sebbene le fosse già capitato, come hanno notato in molti/e). Diego Bianchi e compagnia sono cascati dalle nuvole, si sono arrampicati sugli specchi (ci sono due giornaliste fisse in studio, cerchiamo le persone per le loro competenze al di là del loro sesso, abbiamo preso il Diversity Media Award ecc.) e io credo che tutti i protagonisti di questa vicenda fossero in buona fede, una buona fede che ha però come fondamenta una notevole superficialità.

E’ possibile che Jebreal durante la conversazione telefonica di ingaggio, per così dire, non abbia chiesto chi altri era presente quella sera? Io sono la Signora Nessuno, di solito chiamata a tener conferenze e incontri a titolo gratuito, però lo faccio – e se la compagnia non mi piace spiego direttamente agli organizzatori perché non potranno contare su di me. Sono femminista da oltre 45 anni. Cerco di comportarmi come un civile essere umano da quando ne ho memoria e con chiunque: peccato che tale attitudine mi torni sempre meno indietro… anche e soprattutto da molte persone che considero “alleate” o “vicine”. Con costoro mi sembra di essere passata da The times, they are a’changin a The times have changed for the worst.

Comunque, come probabilmente saprete io non ho la tv: spesso però vedo “Propaganda Live” online la mattina successiva alla sua messa in onda. Venerdì prossimo questa sua stagione si chiude, perciò mi permetto di chiedere a chi crea e gestisce il programma se nella prossima qualcosa può davvero cambiare nell’attitudine diretta alle donne. Numeri a parte, che come vi hanno ribadito sono pure importanti (chi non c’è non si vede e non si sente), vi illustro dei piccoli esempi. Mi piacerebbe:

1. che Marco Damilano – dopo aver puntualmente ricordato come qua e là ci fossero donne, quando ha incontrato Tizia, cosa ricorda di Caia – non scendesse dal palco dopo un’ultima frase a effetto del tipo “Il mondo degli uomini”. Sono una outsider, lo so, ma questo mondo è anche mio e non sono un uomo. Ogni tanto mi piacerebbe fare brevemente esperienza dell’inclusione;

2. che Marco D’Ambrosio Makkox facesse una ricerca su quante bambine / ragazze / donne si tolgono la vita dopo aver sperimentato innumerevoli aggressioni dirette ai loro corpi non conformi; dopo, decida lui se per prendere in giro Meloni una frase del genere è accettabile: “Ricordo che da bambina a scuola tutti mi bullavano perché ero cicciona… compresi quindi la sofferenza dei discriminati perché diversi… e fu allora che decisi di diventare fascista!”.

Gli altri paragoni usati nel fumetto (pubblicato da L’Espresso) mettono a confronto situazioni che oggettivamente non sono paragonabili per magnitudo – per dirne una, dar fuoco per sbaglio alla casa e capire “chi fugge dopo aver perso tutto”: l’effetto comico sta proprio in questo. Però le “ciccione bullate” come Beatrice Inguì

https://lunanuvola.wordpress.com/2018/04/06/senza-tregua/ – si buttano sotto il treno a 15 anni e a me non fa ridere;

3. che l’ospite fisso Memo Remigi riflettesse sul rispondere con icone di applausi e pollici alzati al genio che gli scrive su Twitter: “Per incrementare le vaccinazioni suggerirei, per il periodo estivo, alle infermiere che se lo possono permettere, di indossare mascherina e grembiule trasparenti sopra un bikini”. Perché chi decide cosa io mi posso o non posso permettere, in base a quali parametri e in forza di quale investitura da mio giudice?

Il corpo di una donna NON è un luogo pubblico, non è arena di dibattito per gli uomini quali esseri superiori – consumatori – acquirenti e le donne costituiscono comunque la metà della gente che deve vaccinarsi: e guardate che suggerire un trattamento simile (con l’infermiere “figo” a torso nudo e slippini ripieni) non solo non guarisce alcuna ferita ma è impossibile. Le posizioni di potere e di legittimazione da cui donne e uomini partono sono troppo diseguali. Persino Benni rinunciò, a suo tempo, dopo aver ipotizzato di sbottonare gli abiti delle infermiere per far entrare i pazienti in sala operatoria in ottime condizioni di spirito (“Elianto”): “Era allo studio un analogo trattamento per le degenti donne”. E allo studio è rimasto e rimarrà ancora a lungo, giacché la portata dell’oggettivazione dei corpi delle donne è così enorme e pervasiva, così intessuta di discriminazione e violenza, da non permettere paragoni.

Come ho detto all’inizio l’ascolto prende tempo, può essere faticoso e persino doloroso, ma se vogliamo capirci, vivere insieme e fare di questo mondo il “mondo degli uomini e delle donne”, qualcosa che valga la pena lasciare alle future generazioni, credetemi: non abbiamo altra scelta.

Maria G. Di Rienzo

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Il nuovo romanzo di Maria G. Di Rienzo è ora disponibile online.

MERGELLINA E LE MADRI

(di Maria G. Di Rienzo)

Mergellina,

Mergellina…

Dentro questa barca fammi sognare

Rema per me

Non mi svegliare

(Serenata a Mergellina – Mario Abbate)

Letto, riletto e poi riletto ancora con piacere e coinvolgimento. I romanzi di Maria G. Di Rienzo sono sempre preziosi per la sua capacità di creare mondi possibili in cui le conseguenze dell’oggi sono la premessa per altre storie, altri timori, altre possibilità.

Il romanzo è ambientato in un tempo futuro dopo il disastro, quando oramai l’acqua la fa da padrona tra paludi e atolli dove la gente si organizza e sopravvive, con strutture simili o grandemente diverse.

Ma qualunque organizzazione, qualunque stuttura sociale riesce sempre ad avere i suoi emarginati i suoi disadattati, quelli che emigrano sperando di trovare altrove un senso diverso alla propria vita, quelli che non accettano, che subiscono, e che nonostante tutto cercano in qualche modo di restare fedeli a se stessi.

La scrittura piana e scorrevole ci accompagna dentro le emozioni e la vita di Lin, la “ragazza che non c’è” che ha ereditato un nome assegnato dagli spiriti, che rifiuta ferocemente identificandosi come Lin. Ma ciò che rifiuti ti segna e rimane una parte di te, magari tatuata sul polso come il suo nome. Altri personaggi fondamentali emergono subito accanto a lei, la figlia Ninni, “formata a modo suo”, e Jade, Geid, il compagno non compagno artista, e via via alcuni di primaria importanza ed altri minori emergono dal proseguire del racconto, e ci aiutano a comprendere l’andamento delle vite sugli atolli e fra i palificati. Nessuna vita viene trascurata o accennata solo di striscio, ognuno ha la sua storia e la sua dignità, e un ruolo magari inatteso da giocare.

Centrale e sconvolgente il ruolo della grande Madre Zulma, di Romita Sacra, la madre di Lin e di altri nove figli, che entra nel racconto con la sua morte fuori contesto che mette le basi per lo sconvolgimento che si sta preparando.

L’autrice riesce a creare un mondo diverso, in cui la memoria distorta del passato diviene la fonte di nuove speranze e nuovi miti, dalla religione dell’ Armonium, alla stessa organizzazione dei palificati, che hanno trovato nella presenza degli spiriti e la loro cura per la gravidanza l’occasione di creare una struttura sociale imperniata sulle madri. Le donne che hanno fatto il pellegrinaggio a Tirta, la casa degli spiriti, per dieci volte, partorendo altrettanti figli, divengono le Grandi madri ed entrano a far parte del circolo che governa la vita dei palificati. Sugli Atolli invece l’organizzazione civile e quella religiosa convivono senza sovrapporsi, ed in ogni caso la scelta di credere o non credere ad una delle religioni o dei miti correnti è un fatto personale, che non sempre incide sul comportamento. In questi contesti può succedere di tutto, anche che un pezzo di latta emerso dal mare venga interpretato come un messaggio degli spiriti, e divenga il nome di una bambina: Pizzeria Mergellina, che da subito si sentirà fuori posto, incompresa ed incapace di accettare il mondo in cui vive, le relazioni che sua madre intrattiene nei giorni fertili per arrivare alle dieci gravidanze ed essere una Grande Madre, tutta l’organizzazione dei palificati, ed il suo nome così caricato di aspettative, che lei cambierà in Lin.

Mi capita spesso in questi giorni, mentre sto pensando a scrivere questa recensione, di trovare post tipo questo: ERES LA VERSIÓN MEJORADA DE TUS ANCESTROS

Los miembros “ raros” que no se adaptan al sistema familiar, a sus ideologías y desde pequeños comienzan a revolucionar sus creencias, aquellos criticados, juzgados y rechazados por no adaptarse a seguir el castrador y tóxico control familiar, son los llamados a liberar historias repetitivas que frustran y estancan las generaciones futuras. Estos seres son la versión mejorada de sus ancestros y tienen el don de reparar la historia, desintoxicar y crear una nueva raíz familiar, desvelando y liberando miles de secretos, acosos, violaciones, tabúes, miedos reprimidos, sueños no realizados, talentos frustrados y apegos enfermizos.

Muestra tu rareza al mundo, eres enviado a sanar, evolucionar y trascender la historia familiar.” (Sei la versione migliorata dei tuoi antenati: i membri strani che non si adattano al sistema familiare, alle sue ideologie e fin da piccoli cominciano a rivoluzionare le loro credenze, quelli che sono criticati giudicati e respinti perché non si adattano a seguire il controllo familiare castrante e tossico, sono quelli chiamati a liberare storie ripetitive, frustranti e stancanti per le generazioni future. Essi sono la versione migliorata dei loro antenati ed hanno il dono di riparare la storia, disintossicare e creare nuove radici familiari, svelando e liberandoi mille segreti familiari, gli abusi, le violenze, i tabù, le paure represse i sogni non realizzati, talenti frustrati e attaccamenti malati.

Mostra il tuo essere speciale al mondo, sei inviato a risanare, far progredire e trascendere la storia familiare”)

L’ho trascritto perché mi sembra che descriva bene la situazione che Maria G di Rienzo ci racconta sia nella sua protagonista, che nel suo compagno e nella sorella più piccola. A modo suo riesce ad essere sovvertitore anche Aronne, il fratellino affidato agli spiriti perché malato in modo inguaribile, che dirige la sua attitudine violenta contro la struttura che lo contiene.

Mi sembra che sia una descrizione adeguata a quel che emerge leggendo la storia di Lin, le sue rabbie per contenere la paura, il suo dibattersi per proteggere chi ama e sopravvivere, il suo fuggire dai legami, dalla famiglia, e il mantenere saldo e indiscutibile il suo legame con la figlia diversa, e poi dibattersi, non fidarsi, non affidarsi, che ne fanno la ribelle fuori le righe sempre pronta a battersi, a combattere per sopravvivere, e sarà lei, forte di qualità e profondità che nemmeno si riconosce, a smuovere dei territori divisi ed a farne un tutto unico di speranza e aperture. “Perché diamine cose del genere continuavano a capitare a lei, comunque?” Si chiede alla fine, e dopo aver incontrato “l’allargamento della umanità” torna a sistemare la barca per ritornare alla sua vita ed ai suoi affetti.

La nota finale dell’auitrice :”Questo romanzo è dedicato alle origini: “Studiate il passato, se volete dar forma al futuro”. Se non vi piace sentirlo dire da una femminista, pensate che lo sosteneva persino Confucio.

Il romanzo è dedicato anche al mio lettore-cavia, che ho l’immensa fortuna di avere al mio fianco da oltre quarant’anni. Grazie, Stefano.

Agosto 2020, Maria G. Di Rienzo”

Questo ci dice molto di come scorre il romanzo e della pacata competenza e l’attenzione che c’è dietro ad ogni storia, ad ogni sfumatura. Più volte si avvertono echi di fatti che ci attraversano, e si incontrano citazioni e rimandi ad altri tempi e luoghi, ma tutto questo avviene nel corso della narrazione, necessario antefatto o rimando ad un passato più o meno lontano, senza ostentazione, come strumento per motivare una reazione, una storia, un momento.

Nel romanzo c’è molto di più, una trama serrata, un intreccio di storie e di eventi si collegano, si sovrappongono, sembrano staccarsi per poi tornare ad intrecciarsi. C’è il tema dell’amore, incompreso, frustrato, inatteso, sorprendete, e quello della fiducia , del rispetto verso se stessi, i propri sogni e la necessità di realizzarli, mai come si era progettato, mai in modo lineare, ma guardandosi dentro, e anche un po’ indiero, si riesce a comprendere che questo è quello che volevamo, che alla fine questa à la vita, ed anche noi alla fine troveremo la nostra collocazione, e magari anche l’ultima sorpresa.

Un altro filone che scorre tra le righe del romanzo è quello della fede, della religione e della trascendenza, le credenze come si agitano si intrecciano, si rivelano deformazioni di conoscenze e tecniche precedenti, ma c’è sempre un qualcosa in più latente, che si può chiamare intuizione, percezione di legami universali, emozione, contagio, e il tutto spiegato diviene ancora emotivo e magico.

Nicoletta Crocella

Il collegamento all’articolo originale:
https://ragionandoci.wordpress.com/2020/10/24/mergellina-e-le-madri-il-nuovo-romanzo-di-maria-g-di-rienzo/

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sandi

Sandi Toksvig – in immagine – 62enne, è di origini danesi e lavora da quarant’anni come presentatrice televisiva, scrittrice e attrice comica in Gran Bretagna, dove si è trasferita da adolescente. E’ anche un’attivista per i diritti delle persone lgbt e una femminista da quando ha memoria: “A scuola ho organizzato uno sciopero quando avevo sei anni, perché ai maschi era stato permesso uscire a giocare sotto la pioggia e alle femmine no.”

Nel 2015 è stata fra le fondatrici del partito “Women’s Equality”. In occasione della stampa in formato tascabile del suo memoriale “Between the Stops” (“Tra le fermate”: il libro ha come filo conduttore un viaggio in autobus attraverso Londra), ha rilasciato qualche intervista. Le è stato chiesto, fra l’altro, della scarsa rappresentazione delle donne nei luoghi pubblici, giacché nel memoriale Sandi fa menzione dei monumenti e dei nomi delle vie che vede passando:

“Le donne sono state terribilmente ignorate e sottovalutate. E’ deprimente, perché c’è una considerevole sinfonia di donne fantastiche nella Storia. Eppure, le strade prendono per la maggior parte i nomi di uomini famosi. Le statue sono per lo più di uomini che hanno fatto cose meravigliose a cavallo. Metà dell’umanità è trascurata perciò, nel mio piccolo, suggerisco di guardare alle cose in modo diverso e di raccontare altre storie.”

Una domanda ricorrente riguarda le difficoltà che Sandi ha incontrato per il suo coming out:

“E’ stato duro riviverle ma era importante condividerle, perché le cose non vanno ancora bene per molte persone. Mia moglie (Debbie, psicoterapeuta) lavora per un’organizzazione di beneficenza che dà sostegno alle persone lgbt e ci sono tuttora storie dell’orrore, persone cacciate dalle loro famiglie o escluse nei luoghi di lavoro. Il fatto che abbiamo i matrimoni per persone dello stesso sesso non significa che là fuori non ci sia una tremenda omofobia. Ho sentito come dovere il dire alla gente che sebbene io sia in televisione a ridere, scherzare e passare piacevolmente il tempo, non è sempre stato così. E’ stato terribile e mi ha lasciato cicatrici, ma sono ancora qua. Puoi attraversarlo e farcela. Sperimento anche oggi l’omofobia, è una cosa continua. Vorrei solo che la gente si calmasse un po’: sono felicemente sposata e non intenzionata a causare pubblica indignazione – sicuramente dovrebbe bastare, no?”

Maria G. Di Rienzo

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Il 14 agosto scorso è stato pubblicato sul New York Times un pezzo dal titolo “‘We’ve Already Survived an Apocalypse’: Indigenous Writers Are Changing Sci-Fi”, a firma di Alexandra Alter.

L’articolo parla del modo in cui scrittori nativi americani stanno danno dando nuove forme alla fantascienza e alla fantasy, usando questi generi per parlare (anche) di degrado ambientale, discriminazioni, minaccia di cancellazione culturale – cioè di quel che vivono sulla loro pelle qui ed ora. Alcuni hanno detto che il fantastico permette loro di re-immaginare l’esperienza delle comunità indigene in modi che non sarebbero possibili tramite la fiction “realistica”: le narrazioni sul futuro e i mondi di fantasia forniscono alla scrittura libertà di sperimentare e innovare.

La maggioranza degli autori impegnati in questa avventura sono autrici. Eccone tre:

Cherie Dimaline

Cherie Dimaline (Métis, nata nel 1975, Canada):

“C’è un grande bisogno ora di raccontare storie indigene. L’unico modo per sapere chi sono, cos’è la mia comunità e i modi in cui sopravviviamo e ci adattiamo, è tramite le storie.”

Alcuni lavori di Cherie: Seven Gifts for Cedar (2010), Red Rooms (2011), The Girl Who Grew a Galaxy (2013), A Gentle Habit (2015), The Marrow Thieves (2017), Empire of Wild (2019).

Rebecca Roanhorse

Rebecca Roanhorse (Ohkay Owingeh Pueblo, nata nel 1971, USA, vincitrice dei Premi Hugo e Nebula per la fantascienza):

“Ho messo di proposito cultura, lingua e popoli indigeni nel futuro, nonostante gli sforzi di secoli per cancellarli, di modo che si possa dire “Ehi, i nativi americani esistono” – ed esisteremo in futuro. Siamo già sopravvissuti a un’apocalisse.”

Alcuni lavori di Rebecca: Star Wars: Resistance Reborn (2019), Race to the Sun (2020), Trail of Lightning (2018), Storm of Locusts (2019).

Darcie Little Badger

Darcie Little Badger (Apache Lipan, geoscienziata, nata nel 1987, USA):

“La maggior parte delle volte, quando nei libri il personaggio principale è Apache la storia si svolge nel 1800. E sembra una finzione, la gente pensa che non siamo sopravvissuti, ma lo siamo e stiamo ancora fiorendo.”

Il suo romanzo “Elatsoe” è uscito questo mese: ha per protagonista una ragazza Apache che può destare i fantasmi degli animali morti.

La lista degli altri lavori di Darcie, che scrive anche saggistica e fumetti e ha una particolare attenzione per le tematiche lgbt… è davvero troppo lunga!

Maria G. Di Rienzo

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maria laterza

“Il corpo grasso impenitente è pericoloso perché, come molte altre cose pericolose, suggerisce vi sia un altro modo – e c’è sempre stato un altro modo. Io so cosa sta succedendo, dice il corpo grasso impenitente prendendoti per mano e trascinandoti via dalla folla. Vieni con me e te lo mostrerò.

Le donne grasse che non si scusano abbracciano la filosofia dello spiazzamento. Manifestano l’audacia del prendere spazio. Fendono l’aria stessa. Questa non è solo la grossezza del corpo, è la grossezza della mente. Se hai un corpo grande, occupi la stanza come condizione predefinita. Se hai una mente grande, scegli di occupare la stanza.”

carmen

Carmen Maria Machado (in immagine qui sopra), scrittrice, donna lesbica, 2020. Di suo, in italiano potete leggere “Il suo corpo e altre feste”, Ed. Codice.

(Trad. Maria G. Di Rienzo.)

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(tratto da: “Women stage ‘mass scream’ in Switzerland over domestic violence and gender pay gap”, Reuters, 15 giugno 2020, trad. Maria G. Di Rienzo.)

mass scream

Donne in tutta la Svizzera hanno scatenato le loro grida durante una protesta nazionale che chiede eguale trattamento e la fine della violenza per mano degli uomini.

L’anno scorso, mezzo milione di persone marciò per evidenziare lo scarso risultato della nazione rispetto ai diritti delle donne. La versione di quest’anno di quello che le organizzatrici chiamano lo Sciopero delle Donne è stata più contenuta, domenica scorsa, a causa delle restrizioni relative al coronavirus.

“Per me è emozione. Perché io grido per me, ma grido anche per le mie sorelle e i miei fratelli, grido per tutti gli altri bambini che hanno perso una madre o un padre, e grido anche per mia madre che avrebbe gridato lei pure, se fosse ancora qui.”, ha detto Roxanne Errico, una studente 19enne che racconta come sua madre fu uccisa dal partner violento.

Un’altra residente di Ginevra, Rose-Angela Gramoni, dice di aver partecipato a tutti gli scioperi delle donne sin dal 1991. “Ora posso morire in pace, la prossima generazione è qui per subentrare. Ma per un po’ sono stata molto triste. Pensavo che avevamo lottato per molte cose ma non avevamo finito il lavoro e non c’era nessuna che l’avrebbe fatto.”, dice Gramoni, che è sulla settantina.

La Svizzera ha un’alta qualità della vita ma resta indietro rispetto ad altre economie sviluppate nei salari delle donne e nell’eguaglianza sul posto di lavoro. Le donne guadagnano circa un quinto in meno degli uomini, meglio di trent’anni quando guadagnavano un terzo ma in peggioramento dal 2000, secondo i dati forniti dal governo.

Migliaia di marciatrici a Ginevra e in altre città svizzere hanno gridato per un minuto a partire dalle 15.24 – l’ora del giorno in cui le donne, tecnicamente, cominciano a lavorare gratis a causa del divario nelle paghe. Hanno anche inscenato un flash mob e tenuto un minuto di silenzio per le donne uccise da mariti e compagni. Le dimostranti hanno condannato la violenza contro le donne e contro la comunità Lgbt, e chiesto riconoscimento per il lavoro di cura non pagato in famiglia e a favore di parenti.

swiss women - mass scream

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Premessa n. 1: chi ammette di non capire molto di un argomento o di aver bisogno di ulteriori informazioni ha tutta la mia comprensione, ma quando è così credo sarebbe meglio per lui/lei astenersi dal piazzare comunque pubblicamente commenti a casaccio, tanto per stare in ballo. Se non sai le mosse e non senti bene la musica aspetta qualche momento a bordo pista, osserva, ascolta, apprendi – e poi decidi se ballare o no.

Premessa n. 2: sono stata paziente e ho tradotto a beneficio dei confusi, ma non chiedetemi altri interventi in merito, di commentare questo o quello, che ne penso del tal fatto eccetera. La questione non rientra nelle mie priorità e la chiudo qui. Sbattendo la porta, se volete.

Maria G. Di Rienzo

Kathleen Lowrey è una docente associata di antropologia all’Università di Alberta, in Canada. Il 12 giugno scorso ha scritto un lungo e dettagliato articolo per “Quillette” di cui, di seguito, traduco alcuni brani.

“Io sono una delle molte accademiche che è stata “cancellata” perché ha un tipo sbagliato d’opinione – o quasi cancellata, perlomeno. Mentre scrivo, resto una professoressa di antropologia all’Università di Alberta e dal luglio 2019 sono stata presidente per i programmi del dipartimento relativi agli studenti. Era una nomina che doveva durare tre anni. Ma nello scorso marzo sono stata rimossa da quella posizione a causa delle lamentele di uno studente ufficioso, il quale ha dichiarato che lo facevo sentire “non al sicuro” quando argomentavo le critiche femministe alle attuali teorie sul genere. (Ndt.: Lowrey usa “they, them” per indicare lo studente senza specificarne il sesso, cosa che io non posso imitare nella traduzione, giacché volgerebbe al plurale un discorso riferito a una terza persona singolare.)

All’inizio di questo mese, la mia collega Carolyn Sale ha scritto un resoconto sul mio caso per il blog del “Centro per la Libera Espressione” all’Università di Ryerson. Come tende a succedere con queste controversie, ciò ha fatto sì che studenti e colleghi passassero al setaccio i miei social media in cerca di altro materiale “critico sul genere”. Quando l’hanno trovato, hanno chiesto che io sia licenziata dalla mia posizione di ruolo e accusata formalmente di “discorso d’odio”. (…)

Ricordo di essermi imbattuta (Ndt: attorno al 2010) in un sito web chiamato “Gender Trender”, gestito da una femminista radicale lesbica con lo pseudonimo Gallus Mag. Dapprima, lo scorrevo come un’anacronistica curiosità – uno strambo avamposto di un’era femminista del passato. Ma lo stile della prosa di Gallus era divertente e diretto, al contrario della maggioranza degli studi accademici sul genere e io mi sono trovata a tornare sul sito più volte per vedere che cosa quel vecchio dinosauro (così la immaginavo) aveva scritto di nuovo.

Ma al di là della maniera sardonica con cui presentava le informazioni, finii per capire quanto serio fosse ciò che Gallus documentava. Fra le altre cose, trattò nel 2016 l’omicidio di due lesbiche e del loro figlio a East Oakland, crimine di cui il pubblico ministero accusò un uomo che si identificava come trans, Dana Rivers (che era anche stato uno degli organizzatori di “Camp Trans”, una campagna contro il festival musicale per sole donne, chiamato Michfest, durante gli anni ’90).

Gallus non era paranoica quando descriveva la “cancellazione del femminile” e la “cancellazione delle lesbiche”, ne’ nella sua insistenza sul fatto che l’ideologia di genere – la quale include il convincimento che un uomo possa diventare donna, e viceversa, semplicemente dichiarando di essere tale – serviva gli interessi degli uomini.

Cominciai anche ad apprezzare la sua affermazione che i media del mainstream erano spesso riluttanti nel riportare fatti che gettavano dubbi sull’ideologia di genere ortodossa. Per quel che riguarda il blog di Gallus, soggetto a continui attacchi da parte di attivisti trans, fu prima censurato e poi rimosso da WordPress nel 2018, quando lei raccontò la storia di Jonathan Yaniv – un eccentrico misogino canadese che è riuscito a cancellare dalle piattaforme dozzine di donne che esprimono disgusto per la sua volgarità sessuale aggressiva (o che rifiutano di chiamarlo “Jessica”). (…)

L’ideologia di genere contemporanea richiede reverenza acritica per costrutti di genere retrogradi, come l’idea che un bambino a cui piaccia giocare a servire il tè o piacciano i bei vestiti possa essere giudicato “nato nel corpo sbagliato” e perciò sia davvero, a tutti gli effetti, una bambina.

Qualsiasi fossero gli scopi iniziali dei sostenitori dell’ideologia di genere, questo sistema di convincimenti sta conducendo a orrori reali inflitti a donne e minori. L’attivista Heather Mason, per esempio, ha documentato le molestie e gli abusi che sono prevedibilmente risultati dall’aver trasferito uomini che si identificano come donne nelle prigioni femminili. Nel 2005, l’anno in cui mi sono trasferita a Edmonton dagli Stati Uniti, la tredicenne Nina Courtepatte fu stuprata, uccisa a martellate e al suo cadavere fu dato fuoco su un campo di golf di Edmonton. Il suo assassino ora dice di identificarsi come donna e si trova in un carcere con prigioniere di sesso femminile:

https://torontosun.com/news/world/hunter-psychopathic-child-sex-killer-uses-trans-card

Qualcuno è preoccupato del diritto di queste carcerate a “spazi sicuri”?

Oppure leggete questo resoconto di un’operazione chirurgica raffazzonata per la “riassegnazione di genere” compiuta su una donna:

https://glinner.co.uk/interview-with-scott-newgent/

o il resoconto di quest’altra su un minore:

https://www.womenshealthmag.com/health/a30631270/jazz-jennings-surgery-complications/

Avete letto nulla sui rischi mortali associati alle medicine che bloccano la pubertà?

https://thefederalist.com/2018/12/14/puberty-blockers-clear-danger-childrens-health/

Sapete cos’è una “trans-vedova”?

https://www.transwidowsvoices.org/

O un “detransitioner” (Ndt. Persona che si è sottoposta a pratiche per il cambio di sesso e che vuole tornare al sesso originario.) ?

https://www.feministcurrent.com/2020/01/09/detransitioners-are-living-proof-the-practices-surrounding-trans-kids-need-be-questioned/

Io sì. E non posso disimparare nulla di tutto questo.

Se non volete esaminare nessuno dei link, guardatevi in video la femminista cilena Ariel Pereira che parla in modo assai efficace delle sue esperienze di transizione e de-transizione:

https://www.youtube.com/watch?v=kFyQ5EStiRs

(…)

Chiuderò su un punto derivato dalla mia ricerca nei bassopiani dell’America del Sud. Ho lavorato per oltre vent’anni con persone indigene che parlano Guaraní, in special modo in Bolivia.

Una delle caratteristiche che segnarono l’incontro fra le popolazioni che parlano Guaraní e i colonizzatori europei fu il modo in cui i missionari – i più famosi per questo sono i gesuiti – interpretarono la cosmologia Guaraní come perfettamente compatibile con la teologia cristiana.

Trovarono che particolarità dei miti e delle pratiche religiose Guaraní fossero “prefigurative” dell’avvento di Cristo, o segnate da un effettivo incontro precedente con la cristianità: per esempio, le storie dell’eroe culturale Pai Sume furono interpretate come se includessero la visita del discepolo Tommaso.

Il modo in cui l’ideologia trans contemporanea assimila qualsiasi tipo di pratiche culturali al mondo a prove dell’esistenza di una universalità trans – hijras nell’Asia del Sud, persone con “due spiriti” nel Nord America, bancis in Indonesia, bacha bazi e bacha posh in Afghanistan, “vergini giurate” nei Balcani e così via è molto simile.

Come per le proiezioni europee e cristiane sulla cultura Guaraní, ciò accade quando aderenti a una visione del mondo totalizzante sottomettono la verità sul mondo esterno ai loro ristretti preconcetti.

L’antropologia mi ha insegnato come individuare questo istinto. Le femministe critiche sul genere mi hanno insegnato come ci si confronta con esso.”

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sarah

(“The Rainbow Flag” di Sherry Argonne, giovane cantautrice e poeta – dall’età di 8 anni – contemporanea. Trad. Maria G. Di Rienzo.

In immagine c’è Sarah Hegazi (1990 – 14 giugno 2020), attivista lesbica egiziana, morta suicida. Fu arrestata, imprigionata e torturata per tre mesi nel 2017 per aver sventolato la bandiera arcobaleno a un concerto.

Questa traduzione è per lei.)

LA BANDIERA ARCOBALENO

Non andartene senza me nella tua borsa

in un luogo dove la gente rispetta la Bandiera Arcobaleno

Io sono nata per essere chi voglio essere

aspettandomi che le persone mi avrebbero accettata

ma ho capito che devo lottare per quello che voglio

lottare per me stessa e stare in prima linea

Sto dicendo qualcosa di sbagliato?

Voglio solo un po’ di luci colorate

Sto solo descrivendo la mia vita in una canzone

Sto chiedendo i miei ben noti diritti

Non sono una hooligan, non sono malvagia

Sto liberando la Bandiera Arcobaleno

Ero solita tenere un occhio chiuso

Ora sono pronta a volare

via verso un luogo dove il sole sorge

dove puoi cadere ma poi sopravvivi

Chiedo l’impossibile?

Voglio la pace nel mondo

Niente razzismo, niente politicanti

Voglio solo sentire inneggiare alla libertà

Tu sei liberata, che tu sia bianca o nera

sei nata per lottare per la libertà della Bandiera Arcobaleno

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unfinished puzzle

1. DI COSA SI DISCUTE (tratto da: “What Is Autogynephilia? An Interview with Dr Ray Blanchard”, di Louise Perry, novembre 2019, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo):

Ray Blanchard è professore aggiunto di psichiatria all’Università di Toronto, specializzato nello studio della sessualità umana con particolare focus sull’orientamento sessuale, le parafilie e i disturbi relativi all’identità di genere. Fra gli anni ’80 e ’90 ha elaborato una teoria sulle cause della disforia di genere che classifica le donne transessuali (nati maschi che si identificano come donne) in due gruppi separati.

Il primo gruppo è composto da donne transessuali “androfiliache”, che sono attratte esclusivamente da uomini e hanno comportamento e apparenza marcatamente femminili sin da giovane età. Tipicamente, costoro iniziano il processo di transizione medico da maschi a femmine prima dei trent’anni.

Il secondo gruppo è motivato alla transizione come risultato di ciò che Blanchard chiama “autoginefilia”: un orientamento sessuale definito dall’eccitazione sessuale al pensiero di essere donna. Gli autoginefili sono tipicamente attratti da donne, anche se possono identificarsi come bisessuali o asessuali. E’ più probabile che attuino la transizione più tardi e che sino a quel punto siano stati convenzionalmente mascolini nella presentazione di se stessi.

Sebbene la tipologia di Blanchard sia sostenuta da un vasto numero di sessuologi e altri ricercatori, è rigettata in modo veemente da attivisti trans che negano l’esistenza dell’autoginefilia. La storica della medicina Alice Dreger, il cui libro del 2015 “Galileo’s Middle Finger” includeva il dar conto della controversia sull’autoginefilia, riassumeva il conflitto così:

“C’è una differenza cruciale fra l’autoginefilia e la maggior parte degli altri orientamenti sessuali: questi ultimi non sono eroticamente bloccati dal semplice avere un’etichetta. Quando dici al comune uomo gay che è omosessuale, non stai disturbando le sue speranze e i suoi desideri sessuali. Per contro l’autoginefilia si comprende forse meglio come “un amore che vorrebbe davvero tu non dicessi il suo nome”. Il massimo erotismo dell’autoginefilia sta nell’idea di diventare realmente una donna o di essere realmente una donna, non nell’essere un nato maschio che desidera essere una donna.”

Ray Blanchard (dall’intervista che segue la presentazione tradotta sopra):

“Paradossalmente, gli sforzi degli attivisti transessuali per sopprimere completamente ogni menzione dell’autoginefilia nel dibattito pubblico hanno avuto come risultato un’aumentata consapevolezza al riguardo. Penso che questo comportamento controproducente sia persistito perché l’idea dell’autoginefilia è troppo vicina alla verità. Se non avesse nessuna risonanza con loro l’avrebbero semplicemente ignorata e l’autoginefilia sarebbe diventata una delle ipotesi dimenticate, fra le tante, sui disturbi relativi all’identità di genere.

Attualmente, molte persone eterosessuali M-F (nella loro descrizione, donne transessuali lesbiche) presidiano militarmente e incessantemente i forum in cerca di ogni menzione dell’autoginefilia. Se un nuovo arrivato pensa che essa descriva la sua esperienza, gli viene immediatamente detto che il suo pensiero è sbagliato e che l’autoginefilia non esiste. (…)

So che è possibile discutere dell’autoginefilia in modi onesti e spassionati – o persino compassionevoli – perché l’ho visto accadere sul mio account Twitter. In alcune occasioni alcuni autoginefili (anonimi) hanno pubblicato serie organizzate e ben articolate di spiegazioni su come ci si sente ad essere eccitati sessualmente al pensiero o all’immagine di se stessi come donne, su come queste emozioni sessuali si colleghino all’emergere dell’avversione per i loro corpi maschili e al loro desiderio di avere un corpo femminile, sugli effetti deleteri dell’autoginefilia e della disforia di genere sulle loro relazioni personali e il loro umore e stato in generale. Questi spunti di discussione hanno sempre stimolato alcuni altri a scrivere messaggi in cui apprezzavano l’onestà e il coraggio, assieme a dichiarazioni di simpatia. Nessuno ha mai detto: “Adesso che conosco meglio la tua tipologia mi disgusti ancora di più”, sebbene gli utenti di Twitter non siano noti per autocontrollo o generosità. Non so se sia possibile discorrere della questione in arene più pubbliche, probabilmente non al momento a causa dell’attuale politicizzazione del termine autoginefilia.

Anne A. Lawrence, medico, che ha scritto la più esauriente monografia accademica sull’autoginefilia, “Men Trapped in Men’s Bodies”, transessuale M-F che si è sottoposta a transizione medico-chirurgica, era un autoginefilo lei stessa.”

2. CHI DISCUTE (tratto da: “Forced Teaming, Feminism, LGB and ‘Trans Rights’, di Dr. Em, 25 maggio 2020, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo):

Le femministe sostengono che il genere è un meccanismo di un sistema di oppressione, costituito da stereotipi sessisti costruiti ad arte e poi usati per sfruttare le donne: per esempio la nozione che poiché sei femmina vuoi naturalmente aver cura e pulire o quella per cui per natura il sesso femminile è sottomesso e gentile.

I diritti delle persone LGB si basano sull’idea che l’attrazione fra membri dello stesso sesso è reale e normale e ad essa dovrebbero essere garantiti gli stessi diritti e lo stesso rispetto di cui gode l’eterosessualità. Il transgenderismo / transessualismo, per contro, afferma che il genere – l’oppressione delle donne e gli stereotipi sessisti – sia innato, o qualcosa a cui conformarsi alterando il corpo a causa dell’opprimente sconforto dovuto a questo disturbo. La disforia di genere dichiara che è la persona a essere sbagliata, non il sessismo culturale, lo sfruttamento o l’oppressione. Il motto è: “Cambia la persona, non il sistema!”

Il transgenderismo / transessualismo ha cominciato a negare l’esistenza e l’importanza del sesso binario, il che nega a ruota la realtà dell’attrazione fra persone dello stesso sesso, manipolata come “attrazione per lo stesso genere”. Se le lesbiche possono avere peni, la sessualità diventa l’attrazione per gli stereotipi sessisti, per i manierismi e per le scelte di moda. (…)

L’oppressa non può costruire critiche e sfide quando l’oppressore siede alla stessa scrivania e guarda quel che fa da dietro la sua spalla. La presenza dell’oppressore, inoltre, eviscera gli argomenti rendendoli situazionali (basati su circostanze) anziché concreti: “Ma questo è carino”, “A volte le persone nascono sbagliate”, “Lui dice di essere una lesbica ma in realtà sa che non è così, tu sii gentile”. Ciò apre la porta alla trattativa sui diritti e sulle linee di confine delle donne e alla negoziazione sulla realtà stessa dell’attrazione fra persone dello sesso sesso.

La violazione del limite è la chiave. Essendo il primo limite la definizione della donna, poi della femmina, il successivo è la percezione di sé, poi sono violati spazi fisici e risorse.

De Becker (Gavin De Becker, autore di “The Gift of Fear”) dice che se qualcuno ignora la parola “no”, ciò è il segnale più significativo a livello universale del fatto che non ci si dovrebbe fidare di quella persona. I maschi hanno chiesto di continuo di essere inclusi nella definizione di “femmina” e di continuo non hanno ascoltato il “no” delle donne, hanno continuato a usare spazi per sole donne dopo i ripetuti “no” di diverse di noi. I maschi stanno dicendo alla comunità LGB che l’attrazione per lo stesso sesso è bigotta e stanno rifiutando di ascoltare il “no” che ricevono in risposta.

Ignorare un singolo “no” è un segnale d’allarme, ma ignorarne un mucchio è una sirena e l’idea che ci voglia di più di questi no per capire è manipolazione.

3. COME SI DISCUTE (tratto da: “Facebook Community Standards Allow The Promotion Of Violence Against Women”, di Roger Dubar, 28 maggio 2020, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo):

“Va perfettamente bene, secondo i Facebook Community Standards, pubblicare articoli sul prendere a pugni le donne. Prenderle a pugni sulla gola sembra essere particolarmente popolare.

Questa è una battuta, ovvio. Non puoi pubblicare sul prendere a pugni una donna qualsiasi o tutte le donne: devi assicurarti che il tuo post tratti dell’incoraggiare violenza verso donne che hanno opinioni sbagliate sull’ideologia di genere.

Molti anni fa, lavoravo nell’ambito del diritto di famiglia. C’era uno scherzo famoso fra gli avvocati che si occupavano di violenza domestica e faceva più o meno così:

“Cos’hanno in comune un migliaio di mogli pestate? Semplicemente non ascoltano.” Se lo scherzo vi sconvolge, sappiate che non dovrebbe. E’ la precisa giustificazione usata dagli uomini che picchiano le loro mogli e le loro compagne.

Su Facebook, tu puoi pubblicare sul prendere a pugni (o a pugni sulla gola) le donne finché ti pare. Devi solo chiamare prima queste donne “TERF”. Quest’ultimo era l’acronimo per “femminista radicale trans-escludente”, ma non si deve “escludere le persone transessuali” o essere una “femminista radicale” per diventare “TERF”. Tutto quello di cui si ha bisogno è avere un’opinione leggermente differente dalla persona che ti chiama “TERF”.

Pensi che dovrebbe esserci una discussione sull’accesso di maschi biologici che si identificano come donne agli sport femminili e alle prigioni femminili? Sei una TERF.

Pensi che le donne transessuali meritino amore e rispetto, ma che non in tutti i casi siano effettivamente di sesso femminile? Sei una TERF.

Pensi che chiunque dovrebbe poter indossare quel che vuole ed esprimersi come vuole, ma che nessuno dovrebbe essere forzato a pensare o a fingere di aver davvero cambiato sesso? Sei una TERF.

E sei una persona transessuale come Debbie Hayton, frustrata dall’attivismo trans intollerante e iperbolico? Non sei meglio di una collaborazionista nazista.

E promuovere odio e violenza contro le TERF è ok. Dicono così i Facebook Community Standards.

Ma un momento, direte voi: Facebook non permette la promozione della violenza contro le donne in sé – è solo per le donne che hanno opinioni sbagliate.

Queste donne se la sono voluta. Come sempre, semplicemente non ascoltano.

Io venivo regolarmente bullizzato perché giudicato “non conforme” in materia di genere mentre crescevo. Ora, tuttavia, gli stessi bulli che mi dicevano che non ero abbastanza maschio, o che sembravo una femmina, stanno dicendo alle donne che meritano violenza se dicono che il sesso biologico è reale o che gli uomini non dovrebbero identificarsi come donne negli spazi delle donne.

Non penso che Facebook, la corporazione multimiliardaria fondata da Mark Zuckerberg, creda vada bene promuovere violenza contro le donne che non si adeguano: penso che i diritti delle donne non significhino molto per la maggioranza delle persone. Penso che, proprio come diceva sempre mia madre, le donne siano invisibili.

Ad ogni modo, i Facebook Community Standards permettono comunque la promozione della violenza contro le donne non accondiscendenti.”

4. DI COSA NON SI DISCUTE:

18 maggio 2020 – Londra, Regno Unito:

Il Ministero della Giustizia britannico ha rivelato che prigionieri maschi che si identificano come donne sono responsabili di una quota di aggressioni sessuali esponenzialmente più alta della loro proporzione nella popolazione delle carceri femminili. Il Ministero ha riconosciuto che, nel mentre la percentuale dei detenuti maschi che si identificano come transgender ammonta all’1% delle 3.600 persone detenute nelle carceri femminili, essi hanno commesso il 5,6% degli assalti sessuali denunciati. Le donne stuprate da questi individui sono a rischio di gravidanza, di malattie sessualmente trasmissibili e lesioni ai genitali e possono essere di nuovo traumatizzate se erano state vittime di precedenti abusi.

19 maggio 2020 – Bridgend, Galles, Regno Unito:

Un venticinquenne condannato per violenze sessuali, che si identifica come donna, è stato di recente di nuovo incarcerato per aver infranto due volte l’ordine di restrizione relativo agli assalti sessuali, cosa che ha ammesso.

Leah Harvey, in precedenza noto come Joshua, era finito in galera nel 2018 per aver incitato una bambina a compiere atti sessuali dopo averle inviato foto e video pornografici di se stesso. (Uso il maschile perché il corpo con cui ha fatto questo lo è) Dopo due sole settimane dal rilascio, nell’ottobre dello scorso anno, ha molestato due ragazzini di fronte ad agenti di polizia, vantandosi con loro di essere pedofilo. Successivamente, in novembre, è andato a molestare due ragazze adolescenti che lavorano alla cassa di un negozio di cibo da asporto. Quando la prima ragazzina lo ha ignorato, il sedicente pedofilo le ha gettato addosso del cibo; quando sempre costei gli ha detto di non toccarla, ha tentato di infilarsi dietro al bancone dicendo di avere “una sorpresa per lei”. Mandato via, è tornato tre giorni dopo, ha trovato un’altra adolescente alla cassa, le ha chiesto il nome e poi l’ha chiamata a voce alta 15 volte, le ha domandato se era abbastanza grande per avere una relazione sessuale e si è offerto di portarla fuori.

2 giugno 2020 – Manukau City, Auckland, Nuova Zelanda:

Il 47enne Kylie So, che si identifica come donna, è stato posto in carcere con l’accusa di aver ucciso un 71enne, Robert Dickie, in casa del quale si era trasferito. Dopo quattro giorni di coabitazione l’anziano è scomparso e sebbene il corpo non sia ancora stato ritrovato, le analisi della polizia scientifica nella sua casa hanno rilevato “un’ingente quantità di sangue versato”.

Inizialmente, l’accusato era stato incarcerato in una prigione maschile e non aveva eccepito al proposito (come la legge neozelandese gli permette di fare), ma convinto da zelanti attivisti transgender ha poi cambiato idea ed è stato trasferito nella prigione femminile a Wiri.

Attualmente ci sono 33 persone che come lui si identificano donne nelle carceri neozelandesi, 18 delle quali sono dentro per crimini violenti, inclusa l’aggressione sessuale. Dal gennaio 2017, sei assalti sessuali sono stati perpetrati da individui che dicono di essere donne transessuali contro donne prigioniere.

5 giugno 2020 – Melbourne, Victoria, Australia:

Al momento dell’arresto per stalking a danno di una donna, l’ex giocatore di football australiano Dean Laidley, 53enne, indossava un abito e biancheria femminili, trucco, una parrucca bionda e 0,43 grammi di metamfetamina nel reggiseno. L’arresto è avvenuto in flagrante: Laidley si trovava fuori dalla porta di casa della sua vittima. A costei ha mandato oltre 100 messaggi di minacce usando telefono e e-mail, l’ha fotografata per ogni dove, ha richiesto i video delle telecamere di sorveglianza che la riguardano al complesso residenziale, perché la ritiene una troia e una puttana.

Secondo il suo avvocato bisogna compatirlo, perché soffre di disforia di genere. Tra l’altro, quando ha cominciato a perseguitare la donna era fuori dal carcere su cauzione – e al carcere era stato condannato per violenza domestica.

7 giugno – Khon Kaen, Thailandia:

La polizia sta chiedendo aiuto all’opinione pubblica per rintracciare il 28enne Thanphicha Rodnongkheng, che si identifica come donna e che è sospettato dell’omicidio del suo compagno convivente. La vittima è il 27enne Manop Amthao, il cui cadavere è stato ritrovato – con due ferite mortali da coltello al petto – nella casa in affitto in cui i due vivevano. L’arma del delitto è stata abbandonata nel lavandino della cucina. Una videocamera ha registrato Rodnongkheng il giorno precedente il ritrovamento, mentre si allontana dall’area con una borsa a tracolla e due borse di plastica a mano.

7 giugno 2020 – Brisbane, Queensland, Australia:

Uno stupratore recidivo di bambini, 34enne, è stato rilasciato dalla prigione il 4 giugno scorso, dopo aver dichiarato che gli ormoni che ha cominciato ad assumere in carcere, per la transizione sessuale, hanno diminuito la sua possibilità di violare bambini in futuro.

Jeffrey Terrence Anderson è stato condannato nel 2008 per lo stupro di un dodicenne e di due bambini di sei anni a cui faceva da babysitter. In prigione il sig. Anderson ha cominciato a identificarsi come donna e ha mutato il suo nome in Rose. Tuttavia, le guardie carcerarie hanno continuato a trovare immagini di bambini e persino una storia da lui scritta in cui dettaglia la fantasia di stuprare un bambino di tre anni almeno sino al 2017. Adesso è libera, sottoposta a supervisione per dieci anni e ha la proibizione di incontrare minorenni. L’attrezzatura con cui stuprava, comunque, è ancora al suo posto.

PRECISAZIONI:

a) J.K. Rowlings non mi piace, ne’ come persona ne’ come scrittrice. Che siano le donne ad avere le mestruazioni, però, resta vero anche se lo dice lei.

b) Sono qui che aspetto la ripetizione ad libitum del mantra “Gli uomini transessuali sono uomini” e che qualcuno cominci a pretendere la dicitura “persone che donano sperma” al posto di “donatori”, anche se possono farlo solo gli uomini, esattamente come mestruare possono farlo solo le donne.

Ma non succede, perché?

c) Aspetto anche le “vagine-vulve da uomo”, equivalenti dei “peni da donna” e l’accusa di bigottismo e fobia e discriminazione al maschio gay che non voglia andare a letto con il “maschio che ha la vagina” perché semplicemente preferisce altro.

d) Con questo pezzo – davvero troppo lungo – mi prendo un intervallo. Au revoir.

Maria G. Di Rienzo

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rainbow cake

Come dice la torta (sì, questo posto è talmente magico che le torte parlano) siamo entrate/i nel mese del Pride. Poiché a causa della pandemia sarà impossibile organizzare le consuete manifestazioni, numerose organizzazioni stanno proponendo ovunque iniziative online di vario tipo. La chiave del Pride, comunque, è sempre la testimonianza. Vi offro perciò quella della britannica Beatrix Campbell – in immagine in calce – tratta da un suo più lungo articolo scritto per Woman’s Place UK il 22 aprile 2020, in occasione della “Settimana della visibilità lesbica”. Beatrix è giornalista, scrittrice, conduttrice radiofonica, commediografa e femminista. Di lei potete leggere anche:

https://lunanuvola.wordpress.com/2014/05/10/oggi-lo-sappiamo/

Ma tu non sembri una lesbica! Questo mi è stato spesso detto come gentilezza. Non sembro neppure una giornalista, o una giardiniera, o una ciclista, o una ricamatrice o una prozia… in effetti reputo di non somigliare a nulla – eccetto che a una donna.

Quando sono venuta allo scoperto come gay (un termine che prediligo), lesbica e donna potevano essere termini disagevoli ma difficilmente erano controversi. Non più. Perciò, voglio affermare il mio coming out per entrambi.

Venire allo scoperto come gay richiede sempre coraggio, e lo richiede di continuo, ma ci sono solo tre scuse per non farlo che hanno senso: vivi in luogo in cui potresti essere uccisa, o potresti essere licenziata o non sopporti l’idea di dirlo a tua madre.

Dirlo ai miei genitori fu peggio del dovergli dire che mi avevano beccata per taccheggio, peggio del dire loro che i miei voti a scuola non erano più i migliori (a me importava) e peggio dell’informarli che mi sarei sposata (con un uomo – nessun uomo andava abbastanza bene per loro).

E’ peggio perché le persone gay devono fare qualcosa a cui nessuna persona eterosessuale è costretta: attirare l’attenzione su qualcosa che tu non vuoi altri abbiano in mente, cioè la tua sessualità e la tua vita sessuale.

Nei primi anni ’70 dissi a mia madre che mi ero innamorata di una donna. Ero 23enne, sposata e inebriata dal Movimento di Liberazione delle Donne. Lei fu in gamba, come sapevo sarebbe stata. Ogni qualvolta qualcosa di omofobico era pronunciato in casa nostra – solo da mio padre – lei lo rimproverava: era un’infermiera, lavorava con persone gay ed esse erano parte del suo universo. Ciò con cui lottava era l’esistenza di un’altra persona amata nella mia vita che non era lei. (…)

La reazione a cui non ero preparata fu quella dei parenti comprensivi che si congratulavano con me perché non sembravo una lesbica e perché non ero zelante al proposito. Oh, ma io lo sono, pensavo – a rovinarmi era il fatto di essere beneducata. (…)

Alcune delle mie amiche lesbiche sono venute allo scoperto con chiunque – persino con i capi al lavoro – eccetto che con le loro madri. Una di loro è sopravvissuta a una crudele battaglia per la custodia dei figli nei giorni in cui le lesbiche perdevano sempre i loro bambini. E’ sopravvissuta a umiliazioni grottesche, è stata coraggiosa, perché amava e desiderava una donna. Ma non usò mai la parola “elle” con sua madre. Perché? Non poteva sopportare l’idea di perderla.

Adesso quella donna deve confrontarsi con un altro incubo: perdere il proprio linguaggio, la propria lingua madre, lesbica e donna. Ogni uomo o donna gay che conosco ha una storia di terrore e di coraggio che deriva non dall’essere figlio o figlia, ma dal desiderio – o meglio, dai corpi di chi desideriamo. (…) Gay è una relazione: non esiste senza il soggetto del tuo desiderio.

Perciò, sentiamo come questo si definisce per la visibilità lesbica: donne che amano donne.”

beatrix

Maria G. Di Rienzo

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