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Posts Tagged ‘omofobia’

sandi

Sandi Toksvig – in immagine – 62enne, è di origini danesi e lavora da quarant’anni come presentatrice televisiva, scrittrice e attrice comica in Gran Bretagna, dove si è trasferita da adolescente. E’ anche un’attivista per i diritti delle persone lgbt e una femminista da quando ha memoria: “A scuola ho organizzato uno sciopero quando avevo sei anni, perché ai maschi era stato permesso uscire a giocare sotto la pioggia e alle femmine no.”

Nel 2015 è stata fra le fondatrici del partito “Women’s Equality”. In occasione della stampa in formato tascabile del suo memoriale “Between the Stops” (“Tra le fermate”: il libro ha come filo conduttore un viaggio in autobus attraverso Londra), ha rilasciato qualche intervista. Le è stato chiesto, fra l’altro, della scarsa rappresentazione delle donne nei luoghi pubblici, giacché nel memoriale Sandi fa menzione dei monumenti e dei nomi delle vie che vede passando:

“Le donne sono state terribilmente ignorate e sottovalutate. E’ deprimente, perché c’è una considerevole sinfonia di donne fantastiche nella Storia. Eppure, le strade prendono per la maggior parte i nomi di uomini famosi. Le statue sono per lo più di uomini che hanno fatto cose meravigliose a cavallo. Metà dell’umanità è trascurata perciò, nel mio piccolo, suggerisco di guardare alle cose in modo diverso e di raccontare altre storie.”

Una domanda ricorrente riguarda le difficoltà che Sandi ha incontrato per il suo coming out:

“E’ stato duro riviverle ma era importante condividerle, perché le cose non vanno ancora bene per molte persone. Mia moglie (Debbie, psicoterapeuta) lavora per un’organizzazione di beneficenza che dà sostegno alle persone lgbt e ci sono tuttora storie dell’orrore, persone cacciate dalle loro famiglie o escluse nei luoghi di lavoro. Il fatto che abbiamo i matrimoni per persone dello stesso sesso non significa che là fuori non ci sia una tremenda omofobia. Ho sentito come dovere il dire alla gente che sebbene io sia in televisione a ridere, scherzare e passare piacevolmente il tempo, non è sempre stato così. E’ stato terribile e mi ha lasciato cicatrici, ma sono ancora qua. Puoi attraversarlo e farcela. Sperimento anche oggi l’omofobia, è una cosa continua. Vorrei solo che la gente si calmasse un po’: sono felicemente sposata e non intenzionata a causare pubblica indignazione – sicuramente dovrebbe bastare, no?”

Maria G. Di Rienzo

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rainbow cake

Come dice la torta (sì, questo posto è talmente magico che le torte parlano) siamo entrate/i nel mese del Pride. Poiché a causa della pandemia sarà impossibile organizzare le consuete manifestazioni, numerose organizzazioni stanno proponendo ovunque iniziative online di vario tipo. La chiave del Pride, comunque, è sempre la testimonianza. Vi offro perciò quella della britannica Beatrix Campbell – in immagine in calce – tratta da un suo più lungo articolo scritto per Woman’s Place UK il 22 aprile 2020, in occasione della “Settimana della visibilità lesbica”. Beatrix è giornalista, scrittrice, conduttrice radiofonica, commediografa e femminista. Di lei potete leggere anche:

https://lunanuvola.wordpress.com/2014/05/10/oggi-lo-sappiamo/

Ma tu non sembri una lesbica! Questo mi è stato spesso detto come gentilezza. Non sembro neppure una giornalista, o una giardiniera, o una ciclista, o una ricamatrice o una prozia… in effetti reputo di non somigliare a nulla – eccetto che a una donna.

Quando sono venuta allo scoperto come gay (un termine che prediligo), lesbica e donna potevano essere termini disagevoli ma difficilmente erano controversi. Non più. Perciò, voglio affermare il mio coming out per entrambi.

Venire allo scoperto come gay richiede sempre coraggio, e lo richiede di continuo, ma ci sono solo tre scuse per non farlo che hanno senso: vivi in luogo in cui potresti essere uccisa, o potresti essere licenziata o non sopporti l’idea di dirlo a tua madre.

Dirlo ai miei genitori fu peggio del dovergli dire che mi avevano beccata per taccheggio, peggio del dire loro che i miei voti a scuola non erano più i migliori (a me importava) e peggio dell’informarli che mi sarei sposata (con un uomo – nessun uomo andava abbastanza bene per loro).

E’ peggio perché le persone gay devono fare qualcosa a cui nessuna persona eterosessuale è costretta: attirare l’attenzione su qualcosa che tu non vuoi altri abbiano in mente, cioè la tua sessualità e la tua vita sessuale.

Nei primi anni ’70 dissi a mia madre che mi ero innamorata di una donna. Ero 23enne, sposata e inebriata dal Movimento di Liberazione delle Donne. Lei fu in gamba, come sapevo sarebbe stata. Ogni qualvolta qualcosa di omofobico era pronunciato in casa nostra – solo da mio padre – lei lo rimproverava: era un’infermiera, lavorava con persone gay ed esse erano parte del suo universo. Ciò con cui lottava era l’esistenza di un’altra persona amata nella mia vita che non era lei. (…)

La reazione a cui non ero preparata fu quella dei parenti comprensivi che si congratulavano con me perché non sembravo una lesbica e perché non ero zelante al proposito. Oh, ma io lo sono, pensavo – a rovinarmi era il fatto di essere beneducata. (…)

Alcune delle mie amiche lesbiche sono venute allo scoperto con chiunque – persino con i capi al lavoro – eccetto che con le loro madri. Una di loro è sopravvissuta a una crudele battaglia per la custodia dei figli nei giorni in cui le lesbiche perdevano sempre i loro bambini. E’ sopravvissuta a umiliazioni grottesche, è stata coraggiosa, perché amava e desiderava una donna. Ma non usò mai la parola “elle” con sua madre. Perché? Non poteva sopportare l’idea di perderla.

Adesso quella donna deve confrontarsi con un altro incubo: perdere il proprio linguaggio, la propria lingua madre, lesbica e donna. Ogni uomo o donna gay che conosco ha una storia di terrore e di coraggio che deriva non dall’essere figlio o figlia, ma dal desiderio – o meglio, dai corpi di chi desideriamo. (…) Gay è una relazione: non esiste senza il soggetto del tuo desiderio.

Perciò, sentiamo come questo si definisce per la visibilità lesbica: donne che amano donne.”

beatrix

Maria G. Di Rienzo

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(“In Fiji, lesbian feminist activist Noelene Nabulivou strives for world ‘liberated and free’”, di Hugo Greenhalgh per Thomson Reuters Foundation, 13 maggio 2020. Trad. Maria G. Di Rienzo.)

Noelene

Crescere essendo lesbica nelle Fiji, stato insulare dell’Oceania, durante gli anni ’70 sembrava abbastanza impossibile, dice la femminista e attivista “climatica” Noelene Nabulivou.

Una cultura machista, basata sulla chiesa, ha significato per Nabulivou – lei stessa figlia di un pastore metodista – non dichiararsi sino al compimento dei 35 anni, non molto dopo l’inizio del nuovo millennio.

“L’ho chiamato il mio obiettivo di sviluppo del millennio.”, dice ridendo su Skype, riferendosi alla lista di ambiziosi obiettivi delle Nazioni Unite, che includevano il dimezzare la povertà estrema e il mettere fine alla diffusione dell’Hiv/Aids entro il 2015.

Ora 52enne, Nabulivou ha una moglie e una figlia di due anni ed è conosciuta in tutto il mondo come attivista contro il cambiamento climatico e come attivista per l’eguaglianza di genere e i diritti delle persone LGBT+ nel suo Paese.

Tuttavia, fa ancora esperienza di discriminazione e abusi, e ha ricordi dolorosi di come è cresciuta in una piccola città vicina a Suva, la capitale dell’arcipelago che conta circa 900.000 abitanti.

“Semplicemente sentivi che (essere apertamente gay) non era una possibilità alla tua portata. Non c’erano modelli di riferimento, in particolare per la mia generazione.”, ha detto a Thomson Reuters Foundation dalla sua casa di Suva.

Le Fiji sono una delle sole otto nazioni che menzionano esplicitamente l’orientamento sessuale e l’identità di genere nelle loro Costituzione, ma in pratica i diritti degli individui LGBT+ sono limitati. I matrimoni fra persone dello stesso sesso e l’adozione da parte di coppie gay restano illegali – Nabulivou e sua moglie si sono sposate a New York – e l’attitudine omofoba persiste.

“Mi hanno sputato addosso; mia moglie ed io siamo state molestate in pubblico; ci hanno tirato pietre sul tetto di notte. Ci sono stati molti episodi durante gli anni. Un quotidiano mi ha fatto l’outing. Ho dovuto lottare contro la chiesa metodista alla radio e in televisione, il che è stato davvero duro per me, che sono una persona molto riservata.”, racconta Nabulivou.

Le Fiji sono state colpite il mese scorso dal forte ciclone tropicale Harold, che ha ucciso due persone e ha distrutto più di 3.000 abitazioni. Il ciclone ha esacerbato l’impatto economico dell’epidemia di coronavirus e le due crisi hanno ulteriormente aggravato la difficile situazione che le persone LGBT+ vivono, dice l’attivista.

Nel mentre il tasso di disoccupazione nelle Fiji, relativo al 2019, si attestava più o meno al 4,5%, secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, Nabulivou dice che circa il 62% di lesbiche, bisessuali e transgender o non hanno un lavoro o ce l’hanno precario.

E’ questo tipo di diseguaglianza che Nabulivou combatte nel suo ruolo di consigliera politica e addetta a progetti speciali dell’organizzazione figiana per i diritti umani “Diverse Voices and Action (DIVA) for Equality”, che lei stessa ha contribuito a fondare nel 2011: “E’ cominciato con un gruppo di giovani che sono venuti da me e dalla mia partner e hanno detto: Okay, ci discriminano. Cosa possiamo fare insieme?

Un decennio più tardi, il gruppo sostiene il lavoro di nove sezioni in tutto il Paese, affrontando questioni come visibilità e povertà nonché omofobia e transfobia, ha detto Nabulivou. La parte chiave del suo lavoro, ha aggiunto, è tentare di contrastare le “proporzioni epidemiche” della violenza contro le donne – siano esse lesbiche, bisessuali, transessuali o eterosessuali – nelle Fiji e in altre nazioni del Pacifico: “L’84% delle donne LBT e delle persone “non conformi” al genere (che non assumono i ruoli tradizionali ascritti a maschi o femmine) hanno denunciato violenze da parte dei propri partner, contro i due terzi delle donne eterosessuali.”

Oltre che sui diritti delle persone omosessuali e sulla violenza domestica, Nabulivou organizza campagne su istanze climatiche ed ecologiche, dicendo che molte di queste sfide sono collegate.

“Noi siamo donne che devono lottare contro la povertà, ma vogliamo anche parlare del bullismo nelle scuole o delle esperienze di sviluppo ecologico nel Pacifico. Come esseri umani abbiamo tante cose diverse a cui teniamo. – spiega Nabulivou, che si definisce maniaca del lavoro e dice di aver ottenuto nuova ispirazione dalla sua bambina – Voglio per lei un mondo meraviglioso, in cui possa essere emancipata e libera.”

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17 maggio 2020, Fabio Tuiach – consigliere comunale di Trieste, ex Lega e Forza Nuova – esterna:

Oggi è la giornata mondiale contro l’omofobia ma io non sono omofobo, mi fa solo schifo vedere i froci che fanno sesso con il culo (…)”

Quest’autorevole “opinione” scatena purtroppo la nostra curiosità: dove li vede il consigliere? Pornografia online, saune, bagni pubblici?

Sig. Tuiach, innanzitutto basta evitare di cercare e molto difficilmente si trova; in secondo luogo scovi piuttosto un corso decente sulla sessualità umana e lo frequenti: anche se non dovesse imparare nulla, il che è abbastanza probabile, almeno si stupirà delle centinaia di cose differenti che le persone (gay, lesbiche, bisessuali, etero ecc.) apprezzano a letto e scoprirà che la penetrazione, per fare del buon sesso, non è obbligatoria.

C’è un’altra faccenda che mi incuriosisce: che fine ha fatto il suo arruolamento nella Legione Straniera?

legione

https://lunanuvola.wordpress.com/2019/12/05/il-legionario/

E’ stato così scarso da aver fallito la selezione?

L’ha passata ma i legionari erano troppo carini e gentili rispetto a lei, sembravano quasi “froci”?

Il feroce sergente Duchamp l’ha presa di mira? (“Tu, stronzo italiano, cento flessioni e cinquanta giri di campo e vediamo se ti ricordi cos’è l’educazione!”)

O avere vicino ogni giorno il commilitone di colore, come nell’immagine sopra, era insopportabile?

Chissà. Potrebbero persino averle detto: lei è troppo gonfio di odio per far parte di una comunità umana, persino quando lo scopo della stessa è addestrare persone a combattere, ferire e uccidere.

Maria G. Di Rienzo

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fabbri editore

(immagine da Rising Feminism)

Dunque, questo è un testo per le scuole elementari, ed. Fabbri, anno corrente.

Lucia è troppo grassa per indossare una minigonna”.

Rossella è così bella da sembrare un angelo, mentre sua sorella è talmente brutta che nessun ragazzo la degna di uno sguardo”.

L’upgrade per le medie potrebbe essere così:

“Alle donne piace:

– fare i lavori di casa;

– ricevere fischi e palpate per strada;

– depilarsi, truccarsi e stare a dieta;

– essere stuprate.

(Esercizio trabocchetto, perché tutte le risposte sono giuste!)”

Alle superiori potremmo magari entrare più nei dettagli:

Presente:

“Nadia non riesce ad avere un ragazzo perché non è abbastanza coraggiosa e liberata e ironica per mandargli le foto di nudo che lui richiede;

Irene non ha amici perché non si veste bene e non va in discoteca;

Marta ha 14 anni ed è ancora vergine!”

Presente e futuro:

“Elena va male a scuola: ma tanto la scuola a cosa le serve, è una femmina e per quanto studi non capirà mai nulla!

Marta ha 15 anni, è ancora vergine e se continua a non lavorare sulla propria bellezza lo sarà per sempre.”

Passato:

“Marta aveva 16 anni ed era una schifosa lesbica, ma dopo uno stupro di gruppo correttivo imparò ad apprezzare gli uomini e qual era il suo posto nel mondo.”

Ehi, Ministra Azzolina, se il trend è questo le dobbiamo proprio riaprire le scuole? Chiedo per circa trenta milioni di amiche, la metà della popolazione italiana, fra cui Marta e la sua ragazza che mi incaricano di mandarla a quel paese (ambasciator non porta pena).

Maria G. Di Rienzo

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Marylize

(“How can LGBTIQ people find solace in family or religion when these are the sources of our pain?”, di Marylize Biubwa per OpenDemocracy, testo raccolto da Arya Karijo, aprile 2020, trad. Maria G. Di Rienzo.)

Sono una difensora dei diritti umani. Sono un’attivista e sono una femminista nera, queer, radicale e intersezionale. Non ho un lavoro. Porto avanti un’iniziativa che non è un’organizzazione giacché non è finanziata. In effetti, la porto avanti con il crowdfunding e coinvolgendo le mie reti di relazioni. Mi appoggio grandemente a lezioni di facilitazione, all’attivazione di social media o al mettere insieme contenuti digitali per qualcuno.

La storia di molte persone queer è quella di chi non è riuscito neppure ad andare a scuola, perciò non hanno diplomi. Non li ho neppure io, ma mi sto arrangiando. Qualche volta la vita la devi arrangiare. Molte persone non hanno reddito. Molte persone si appoggiando ad altre persone. Molte persone hanno dovuto uscire allo scoperto. Stanno da soli. Hanno difficoltà. La gente sta usando metodi folli che nemmeno immaginereste, per sopravvivere qui fuori.

Perciò, quando il coronavirus colpisce, sei completamente destabilizzato. Non vuoi restare a casa tua, perché ciò rende la tua situazione di persona che non guadagna persino peggiore. Ma non puoi uscire in cerca di lavoro durante questo periodo in cui la gente pratica il distanziamento sociale ed è sotto quarantena. Molte persone LGBTIQ sono in difficoltà perché il coronavirus è arrivato con questo senso della famiglia e di gente che si sposta per essere accanto agli individui di cui si curano di più: familiari eccetera. Se il peggio si avvera, vuoi morire avendo almeno la tua famiglia vicina.

Ma per quel che riguarda la mia esperienza, e l’esperienza di molte persone LGBTIQ, la famiglia non è qualcosa che noi si abbia attualmente e ciò ha impatto sulla nostra salute mentale e in genere su come funzioniamo e operiamo in questo periodo.

Ci sono quelli che trovano sollievo nella religione. Ci sono quelli che trovano sollievo nella famiglia. Le persone LGBTIQ raramente trovano sollievo in questi modi, perché tanto per cominciare religione e famiglia sono le fonti della nostra sofferenza. La cosa triste dell’essere una persona queer in questo periodo è che hai la sensazione di non avere la meglio in qualsiasi cosa, sia la famiglia, sia il coronavirus, sia il governo, sia i sistemi. Puoi dover andare all’ospedale e l’omofobia strisciare all’interno della situazione. Era già abbastanza brutto prima del coronavirus e in un momento come questo non fa che amplificarsi.

La gente sta associando parecchio la morte al coronavirus. Io non sono spaventata dalla morte. Non perché la morte non sia spaventosa in sé. Se guardo indietro, so che c’è stato un periodo della mia vita che ho giudicato davvero spaventoso. Sono le esperienze che ho attraversato. E’ maneggiare il trauma. E’ sentirsi incline al suicidio. E’ tentare il suicidio. E’ l’arrivare in pratica a un punto in cui sei viva ma sai per certo che se non volessi essere viva ci sarebbe un’opzione, una via d’uscita da tutto questo.

Penso di continuo: qual è la cosa peggiore che può capitare se sei infettato dal coronavirus? Morire, giusto? Ma questo non è così terribile, alla fine. Voglio dire, tutti moriamo a un certo punto, no? Le nostre esperienze di vita, in special modo le esperienze traumatiche, ci uccidono da vivi comunque. In un dato momento avremmo dovuto vivere come esseri umani, ma siamo morti dentro.

(L’omosessualità è illegale in Kenya secondo il Codice Penale di era coloniale, il quale descrive le relazioni fra persone dello stesso sesso come “conoscenza carnale contraria all’ordine naturale” e prescrive sentenze che arrivano ai 14 anni di prigione. Nel 2019, la Corte Suprema del Kenya rifiutò di dichiarare incostituzionali queste clausole del Codice Penale.)

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“Io sono un’artista che si sta specializzando in primitivismo perciò per me la storia, in un dipinto, è assai più importante dei dettagli. Molti pensano che i primitivisti non sappiamo disegnare, ma in effetti si tratta di un’area artistica complessa e interessante: rappresentare qualcosa con il minimo numero possibile di linee è assai più difficile di quel che sembra.

La mia arte mancava di significato all’inizio. Quando sono diventata una femminista, ho cominciato a guardare le opere di varie donne artiste e anche i fumetti – storie in figure – e ho capito per la prima volta che l’arte poteva parlare di cose importanti. Ho capito che le artiste incorporavano un’agenda sociale e politica tramite il loro lavoro.”, Yulia Tsvetkova (in immagine).

tsvetkova

Lo scorso marzo sono stati revocati gli arresti domiciliari a Yulia, l’artista femminista e lesbica di cui avevo parlato qui:

https://lunanuvola.wordpress.com/2020/01/23/la-censura-e-questa/

Il 7 aprile Open Democracy, chiedendosi come mai un progetto educativo composto da illustrazioni sia diventato “pornografia”, ha pubblicato una lunga intervista a Yulia curata da Anna Kim. Di seguito, la traduzione di alcuni brani.

Perché pensi di essere stata liberata dagli arresti domiciliari? Perché è accaduto ora ed è stata una novità per te?

E’ stata una novità per me: ne’ io ne’ il mio avvocato ce lo aspettavano. Penso abbia in parte a che fare con le procedure burocratiche. Ci hanno messo tre mesi e mezzo per fare un’inchiesta e letteralmente dieci giorni fa hanno cambiato i dettagli dell’articolo in virtù del quale ero accusata e hanno fatto invece un’indagine. Si supponeva che dovessero arrestarmi di nuovo, ma non è accaduto. Il giudice voleva andare avanti ma il procuratore, con mia totale sorpresa, ha sostenuto la nostra parte.

I detective avevano chiesto inizialmente che i miei arresti domiciliari fossero inaspriti con il bando ad ogni comunicazione e all’accesso a internet, perciò le cose avrebbero potuto andare in modo molto diverso. Non posso chiamarlo un disgelo o una dinamica positiva, può essere stata solo una coincidenza, il che è molto comune.

Ma il tuo caso non è ancora chiuso?

No, adesso sono ufficialmente una sospettata, ho la notifica in cui mi si sospetta di aver commesso il crimine relativo alla diffusione di pornografia. Alcuni media hanno detto, sbagliando, che non sono stata accusata di nulla, ma l’annuncio dell’incriminazione avviene alla fine del procedimento, davanti a una giuria, quando l’indagine è finita e c’è il rinvio a giudizio, perciò è ancora troppo presto per incriminarmi.

Nel tuo post su Facebook, in cui dici di essere stata rilasciata dagli arresti domiciliari, hai scritto che la pubblica accusa aveva “grandi piani” per te. Cosa significava?

Durante le sedute in tribunale la pubblica accusa, chiedendo l’estensione del mio stato di arresto, ha elencato tutto ciò che avrebbe fatto durante le udienze: interrogare mia madre e ogni membro del mio gruppo sui Monologhi della Vagina; controllare i miei account e chiamare a testimoniare un bel po’ di esperti: in campo artistico, psichiatrico, informatico. Potrei dover affrontare un secondo arresto: ancora non è chiaro, ma il caso non è chiuso.

Da quando ricevi minacce dal gruppo omofobico “Pila protiv LGBT (Saw contro LGBT: il gruppo si ispira al film horror omonimo, chiama alla violenza contro le persone omosessuali e mette online i loro dati privati, come indirizzo e numero di telefono, organizza aggressioni durante le manifestazioni del Pride, eccetera)? Che sta facendo la polizia al proposito?

Il movimento “Saw” è in giro da un paio d’anni, dal 2017-2018. Io non ero un’attivista all’epoca e non una singola istituzione, inclusi l’FSB (Servizi federali per la sicurezza della Federazione russa) e il Centro per il contrasto all’estremismo, è stata in grado di scoprire gli autori della lettera di minacce (ricevuta da Yulia e da altre/i). Li abbiamo cercati da noi e abbiamo fatto denunce.

La prima volta in cui mi hanno minacciata direttamente è stata nell’estate del 2019 quando io, assieme ad attiviste/i di ogni parte della Russia, sono finita nella cosiddetta “Lista Pila” e ho fatto denuncia. E’ stato solo di recente che l’FBS ha risposto dichiarando che si trattava di non luogo a procedere.

Quel che è stato buffo è che io dovevo fornire prove delle minacce al poliziotto che aveva in carico i miei casi penali e civili. In altre parole, questo tizio stava raccogliendo prove incriminatorie contro di me, mentre allo stesso tempo io dovevo fornirgli prove in mia difesa.

Il 18 marzo scorso nuove minacce, con il mio indirizzo e numero di appartamento, sono arrivate per posta. Questa volta chiedevano 250 bitcoins prima del 31 marzo, altrimenti mi avrebbero uccisa. Dopo le prime minacce la polizia ci ha messo sei settimane per dirmi che non poteva fare niente e consigliarmi di non uscire di casa e di prendermi un cane. Le uniche domande che mi hanno fatto durante la nostra conversazione miravano a sapere se disegno pornografia e se vado a letto con le donne, perciò sarebbe stato futile chiedere aiuto da quella parte.

Allo stesso tempo, quando ricevo mail di odio dagli omofobi, la cosa si risolve in un paio di giorni. Se qualcuno pensa si tratti di un bello scherzo va bene, ma troviamo l’umorista e diciamogli che non è divertente.

[Nota dell’editore: Yulia Tsvetkova ha riportato su FB il 2 aprile di aver ricevuto nuove minacce da “Saw”.]

Cosa hai mente di fare in futuro? Tornerai all’attivismo, al teatro, all’attività su internet e al lavoro educativo?

Non ho idea di cosa farò, c’è ancora la possibilità che io vada in prigione per un periodo compreso fra i due e i sei anni. La mia attività qui è stata tagliata alla radice. Tutto quel che ho fatto negli scorsi due anni è svanito e non ho nulla di pronto per il futuro. Ci sono alcuni appunti e progetti che amerei sviluppare, ma non è realistico pensarlo, al presente. Ma certamente voglio essere coinvolta nel teatro e nell’attivismo pro diritti umani in Russia o da qualche altra parte.

Yulia Tsvetkova illustration

(un dipinto di Yulia)

Maria G. Di Rienzo

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E’ la versione americana, gonfiata e amplificata e molto più abbiente, di Feltri o di Sgarbi.

Le frasi seguenti vengono da un libro degli anni ’90 composto di sue citazioni:

“Se le donne volessero essere apprezzate per i loro cervelli, andrebbero in biblioteca invece che da Bloomingdale’s.”

“Voglio sesso orale da Jane Fonda. Avete dato un’occhiata a Jane Fonda? Non è male per essere una cinquantenne.”

“So per certo (è fattuale!) che ogni donna che ha del rispetto per se stessa, quando cammina accanto a un cantiere e non riceve un fischio si gira e continua a camminare avanti e indietro fino a che non ne ottiene uno.”

“La famiglia reale (britannica) – che mucchio di disadattati: un gay, un architetto, quella lesbica con la faccia da cavallo e un ragazzo che ha rinunciato a Koo Stark per una manza grassa.”

“Uno sport che non usa palle? Il sesso lesbico.”

“(i computer delle mie aziende) fanno qualsiasi cosa, incluso fornirvi sesso orale. Immagino che questo metta fuori gioco un bel po’ di voi ragazze.”

Il resto qui di seguito è invece cosa assai più recente rilasciata in pubblico:

“Mi piace il teatro, andare a cena e dar la caccia alle donne. Lasciate che vi spieghi: sono un miliardario single ed eterosessuale a Manhattan. Che ne pensate? E’ un sogno bagnato.”

Ne ha anche per “l’enorme massa di maschi neri e latini dell’età, diciamo, fra i 16 e i 25 anni” senza impiego e senza prospettive semplicemente perché non sa “come comportarsi nel posto di lavoro”, pensa che avere una sanità pubblica (“Obamacare”) sia “una disgrazia” e soffre di una sorta di disagio psicologico per cui pensa di essere vittima di razzismo (i tipi come lui dicono cose del genere dopo aver preso una multa per velocità eccessiva): “La polizia ferma sproporzionatamente e troppo i bianchi – e troppo poco le minoranze.”

Il libro è “The Portable Bloomberg: The Wit and Wisdom of Michael Bloomberg” (wit and wisdom, capito, arguzia e saggezza): i curatori hanno assicurato che tutte le citazioni sono proprio del sig. Bloomberg e che nulla è stato abbellito o esagerato e inoltre che alcune frasi sono state lasciate fuori dal testo perché “troppo oltraggiose” (cioè, c’era davvero di peggio?). Bloomberg, da par suo, non ne ha mai smentita nessuna. Ha solo ammesso che sì, forse ha detto delle cose “inappropriate” che potrebbero aver offeso qualcuno e in tal caso, ovviamente, si scusa.

“Le sue parole – hanno aggiunto i suoi sostenitori – non sempre hanno concordato con i valori su cui fonda la sua vita.” Ah be’, questo aggiusta tutto. Sono sicura che se questo pagliaccio ricco sostituisce il pagliaccio ricco attuale (Trump) possiamo aspettarci massimo rispetto e altissima considerazione per le donne – in particolare per le donne lesbiche e per le minoranze di qualsiasi tipo nonché una affettuosa attenzione per chi non può permettersi i costi della sanità privata:

A chi sta morendo perché non può pagare le proprie cure mediche invio un saluto e una preghiera. Mi scuserà se non gli faccio visita, ma dopo il teatro devo andare a cena e a caccia di manze, sa quelle robe senza cervello che passano il tempo nei grandi magazzini e attorno ai cantieri. Pensi che in biblioteca non ne ho mai vista una, anche perché non ci vado mai.”

Repubblicano o democratico – Bloomberg è passato per ambo i partiti – il “sogno americano” sembra essere ridotto a un anziano cafone sessista, razzista, classista e omofobo… va da sé, strafogato di soldi.

Maria G. Di Rienzo

(Le citazioni vengono da: The Week in Patriarchy, “Who said it – Trump or Bloomberg? Take our revealing quiz”, di Arwa Mahdawi per The Guardian, 22 febbraio 2020.)

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27 gennaio 2020, Giacomo Moscarola, Lega:

“Vincere in Emilia è un po’ come quando vuoi trombarti 20 ragazze nuove e visto che non te la dà nessuna, ti accontenti dell’unica che ormai te la dà da anni.”

28 gennaio 2020, Attilio Fontana, Lega:

La sinistra è responsabile di “una mobilitazione degna dei tempi andati, si è vista in tv gente di più di cento anni portata ai seggi, disabili accompagnati con i pulmini…”

29 gennaio 2020, Matteo Salvini, Lega (lo stesso della bambola gonfiabile – Boldrini, della campagna diffamatoria contro Carola Rackete, del processo via citofono agli “spacciatori tunisini”… che non ha mai cancellato uno solo dei commenti violentissimi e minacciosi dei suoi seguaci) chiede a proposito dell’ovviamente inaccettabile scritta – “Soprattutto spara a Salvini” – su un muro di Bologna:

“Però saremmo noi a seminare odio… Mi aspetto la reazione indignata di tantissimi intellettuali di sinistra. Secondo voi quanti di loro diranno qualcosa a riguardo?” (Il primo a rispondergli di essere indignato è stato Bonaccini.)

Io, però, sto aspettando le veementi reazioni degli “intellettuali di destra” – lo metto tra parentesi perché lo considero un ossimoro – e di Salvini stesso ai due esempi precedenti (sarebbe peraltro facilissimo compilare lunghissimi elenchi di dichiarazioni simili), interventi pubblici in cui si chieda scusa alle donne, agli anziani e alle persone con disabilità e in cui si prenda l’impegno di smettere di insultare tutte e tre le categorie, subito, senza condizioni. Il branco dei seminatori d’odio potrebbe anche impegnarsi a smettere di fomentare razzismo e omofobia. Frau hier.

Maria G. Di Rienzo

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La prossima volta in cui alla denuncia di farneticazioni discriminatorie e ignoranti, di insulti gratuiti, di allusioni pecorecce, qualcuno squittirà “e fatevela una risata ogni tanto”, “basta con il politically correct”, eccetera, rispondete GIULIA. Perché quel che è accaduto a lei e che accade sempre di più alle persone come lei – i crimini dell’odio in Italia sono raddoppiati dal 2014 al 2018, dati OSCE – è frutto dell’atmosfera sociale in cui si percepisce il completo sdoganamento e persino l’esaltazione di odio e violenza. E le parole, dette o scritte, sussurrate viscidamente o urlate in modo sguaiato, sono ciò che crea tale atmosfera.

Giulia

“17 gennaio 2020 – Potenza, presa a calci e pugni perché lesbica. Giulia Ventura, trentenne, su FB: (…) vedo due ragazzini che attraversano la strada e si mettono di fronte a me, intralciandomi il passaggio. Chiedo loro che problemi avessero e dopo due spintoni che mi hanno atterrata, ancora cosciente, sento una frase: “Le persone come te devono morire, vuoi fare il maschio? E mo ti faccio vede come abbuscano i maschi”. Non ho il tempo di rispondere che il primo pugno mi rompe il labbro, il secondo il naso, il terzo l’occhio.”

Ogni strombazzata e stupida falsità sull’ideologia gender, ogni ululato idiota sulla difesa della famiglia tradizionale, ogni stereotipo e pregiudizio infamante sulle donne in generale e sulle donne lesbiche in particolare hanno costruito l’aggressione a Giulia. I due ragazzini sono stati il logico risultato e il “braccio armato” del clima che la propaganda dell’odio ha creato.

“In tutto il mondo, stiamo osservando una disturbante ondata di xenofobia, razzismo e intolleranza. I social media e altre forme di comunicazione sono sfruttate come piattaforme per il bigottismo.

Il discorso pubblico è usato come arma per profitto politico, tramite retorica incendiaria che stigmatizza e disumanizza minoranze, migranti, rifugiati, donne e qualsiasi cosiddetto “altro”.

Questo non è un fenomeno isolato ne’ si tratta di voci chiassose di pochi individui ai margini della società. L’odio sta diventando l’opinione corrente – nelle democrazie liberali così come nei sistemi autoritari.

Il discorso d’odio è una minaccia ai valori democratici, alla stabilità sociale e alla pace. In linea di principio, le Nazioni Unite devono combattere il discorso d’odio a ogni piè sospinto. Il silenzio segnalerebbe indifferenza al bigottismo e all’intolleranza, persino quando la situazione si inasprisce e i vulnerabili diventano vittime.

Contrastare il discorso d’odio non significa limitare o proibire la libertà di parola. Significa impedire l’escalation delle parole d’odio in maggior pericolo, in particolare nell’incitamento alla discriminazione, all’ostilità e alla violenza, che sono proibite dal diritto internazionale.”, dal discorso con cui António Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, ha presentato nel maggio 2019 il “Piano d’azione” contro l’hate speech.

Da anni, molto tempo della politica italiana è speso nel farneticare attorno al concetto di “sicurezza”: ma si tratta appunto di un concetto astratto, la “sicurezza della nazione”, che si basa anche sul trascurare o minare la sicurezza di coloro che sono socialmente – economicamente – politicamente marginalizzati o stigmatizzati, il che spiega perché ne’ Giulia ne’ qualsiasi altra donna, lesbica o no, è al sicuro mentre cammina semplicemente per le strade della sua città. I crimini generati dalla misoginia e dall’omofobia sono continuamente “scusati” sui media con ogni sorta di razionalizzazioni e attestati di simpatia per i perpetratori – e conseguente nuova vittimizzazione delle persone che li hanno subiti, mentre chi dovrebbe proteggerle (forze dell’ordine e tribunali) troppo spesso minimizza l’accaduto, colpevolizza le vittime e emette per gli aggressori sentenze ridicolmente miti o assolutorie. Occuparsi davvero della sicurezza di un Paese significherebbe riorientare impegni e risorse nel dare valore a ogni individuo che in quel Paese vive, cercando di proteggerli tutti da ogni forma di violenza.

Per quel che riguarda nello specifico la comunità lgbt, la propaganda dell’odio ha effetti devastanti. Solo per dirne uno, le probabilità che un adolescente gay maschio o femmina tenti il suicidio sono cinque volte tanto quelle dei suoi pari eterosessuali. “Le persone come te devono morire”, no? NO.

Perciò, al prossimo “ma sulle lesbiche scherzavo, voi femministe non avete il senso dell’umorismo”, la mia risposta sarà GIULIA. Io non posso ridere delle vostre stronzate infami, perché il loro esito è quel che è stato fatto a lei.

Maria G. Di Rienzo

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