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Posts Tagged ‘figlie’

(“unhaunted” – minuscolo nell’originale, come per i versi che seguiranno – di Jody Chan, poeta, scrittrice, attivista e organizzatrice contemporanea che vive a Toronto in Canada. E’ anche membro delle Raging Asian Womxn Taiko Drummers (RAW): “taiko” è una forma di percussione giapponese, tradizionalmente maschile, che usa grandi tamburi; il gruppo di Jody è un collettivo di donne che “esiste come responso critico e sfida all’oppressione sia sistemica sia interiorizzata”. Nel febbraio di quest’anno, “unhaunted” ha vinto il primo premio per la poesia al concorso “Writing in the Margins – Scrivere nei margini”. Trad. Maria G. Di Rienzo.)

RAW in action

NON TORMENTATA

dillo alla neve.

dillo alla pallottola ancora calda. dillo

al tunnel della metropolitana quando pensi

di saltare verso la luce in avvicinamento.

il futuro puzza di ripetizione e tu hai paura

di impegnarti. prima di dormire, dillo al ventre vuoto della tua stanza da letto.

quando non riesci a leggere il linguaggio sulla tomba di tua madre

dillo. nei flashback lui picchietta in te, una baionetta attraverso la pietra

ma ti ha lasciato le tue ossa, un amo a cui appendere ogni

frastagliata memoria. il tuo trono calloso. la tua prima

e ultima casa. per anni ti sei cancellata

dalle fotografie, quanto ti ricordano

di lui e di ciò che lui voleva e di ciò che lui ha rubato

e del corpo di lei e il corpo di lei e il corpo di lei

che lascia sul pavimento del corridoio venature di capelli e sangue.

dì che il tuo lignaggio è una lunga treccia di donne, che si scioglie

dalla sua mano, dalla mano di suo padre, di suo nonno.

sradicare un alberello. lucidare il fucile.

strappare la pelle di cotone di un vestito.

tu porti i loro nomi come pesanti vesti cerimoniali. dillo.

legati attorno alla vita un nastro bianco. i rammendi

e gli squarci della storia. hai appreso la violenza come il più dolce degli amori

ma hai appreso dalle persone sbagliate.

lasci cadere la tua voce nell’oceano e lei continua

a precipitare. un ruggito rosso, un rumore di battaglia, la processione di volti

che memorizzi di notte come se la perdita fosse sufficiente a farteli amare

e lo è. una volta, tu e tua madre avete giaciuto da sole, a due piani d’ospedale

di distanza mentre lei smetteva di respirare. una volta, hai cucito il silenzio

nella tua pelle, ma ora la stoffa si sta disfacendo all’indietro.

ti stai piegando lungo il lento arco del battito di un tamburo

largo generazioni. un giorno alla volta. una singola stella, che ruota.

le tue dita, le dita di tua madre, di tua nonna.

sigillare l’impasto. togliere a colpetti il dentifricio dallo specchio.

strattonare una canzone fuori dal polso di un amante.

dì il secreto. dillo al cielo che non ti tormenta.

dì il tuo desiderio più affamato dì oggi

mi arrendo al vivere. dì grazia.

dì rabbia. dì acqua ed elegia.

Io ricordo. Io ricordo. Io ricordo te.

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Toni Truesdale

“Storia e Mitologia hanno bisogno di includere senza restrizioni le storie di tutte le donne.

La prospettiva femminile dovrebbe riflettersi nell’estetica, nei valori, nella spiritualità e nella moralità.

Io sviluppo arte figurativa che mostra la naturale bellezza e intelligenza negli aspetti della vita multiculturale di sorelle, madri, figli, zie e nonne tutte: e celebro la nostra comunanza attraverso il tempo, la cultura comune delle donne che io chiamo il nocciolo invisibile.

Toni Truesdale (in immagine sopra), insegnante d’arte, disegnatrice e pittrice di murales, illustratrice contemporanea statunitense (trad. Maria G. Di Rienzo).

Tutto quel che vedete qui è opera sua.

eve out of africa

(Eva)

Harvest

(Il Raccolto)

toni murales

(Murale)

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rainbow cake

Come dice la torta (sì, questo posto è talmente magico che le torte parlano) siamo entrate/i nel mese del Pride. Poiché a causa della pandemia sarà impossibile organizzare le consuete manifestazioni, numerose organizzazioni stanno proponendo ovunque iniziative online di vario tipo. La chiave del Pride, comunque, è sempre la testimonianza. Vi offro perciò quella della britannica Beatrix Campbell – in immagine in calce – tratta da un suo più lungo articolo scritto per Woman’s Place UK il 22 aprile 2020, in occasione della “Settimana della visibilità lesbica”. Beatrix è giornalista, scrittrice, conduttrice radiofonica, commediografa e femminista. Di lei potete leggere anche:

https://lunanuvola.wordpress.com/2014/05/10/oggi-lo-sappiamo/

Ma tu non sembri una lesbica! Questo mi è stato spesso detto come gentilezza. Non sembro neppure una giornalista, o una giardiniera, o una ciclista, o una ricamatrice o una prozia… in effetti reputo di non somigliare a nulla – eccetto che a una donna.

Quando sono venuta allo scoperto come gay (un termine che prediligo), lesbica e donna potevano essere termini disagevoli ma difficilmente erano controversi. Non più. Perciò, voglio affermare il mio coming out per entrambi.

Venire allo scoperto come gay richiede sempre coraggio, e lo richiede di continuo, ma ci sono solo tre scuse per non farlo che hanno senso: vivi in luogo in cui potresti essere uccisa, o potresti essere licenziata o non sopporti l’idea di dirlo a tua madre.

Dirlo ai miei genitori fu peggio del dovergli dire che mi avevano beccata per taccheggio, peggio del dire loro che i miei voti a scuola non erano più i migliori (a me importava) e peggio dell’informarli che mi sarei sposata (con un uomo – nessun uomo andava abbastanza bene per loro).

E’ peggio perché le persone gay devono fare qualcosa a cui nessuna persona eterosessuale è costretta: attirare l’attenzione su qualcosa che tu non vuoi altri abbiano in mente, cioè la tua sessualità e la tua vita sessuale.

Nei primi anni ’70 dissi a mia madre che mi ero innamorata di una donna. Ero 23enne, sposata e inebriata dal Movimento di Liberazione delle Donne. Lei fu in gamba, come sapevo sarebbe stata. Ogni qualvolta qualcosa di omofobico era pronunciato in casa nostra – solo da mio padre – lei lo rimproverava: era un’infermiera, lavorava con persone gay ed esse erano parte del suo universo. Ciò con cui lottava era l’esistenza di un’altra persona amata nella mia vita che non era lei. (…)

La reazione a cui non ero preparata fu quella dei parenti comprensivi che si congratulavano con me perché non sembravo una lesbica e perché non ero zelante al proposito. Oh, ma io lo sono, pensavo – a rovinarmi era il fatto di essere beneducata. (…)

Alcune delle mie amiche lesbiche sono venute allo scoperto con chiunque – persino con i capi al lavoro – eccetto che con le loro madri. Una di loro è sopravvissuta a una crudele battaglia per la custodia dei figli nei giorni in cui le lesbiche perdevano sempre i loro bambini. E’ sopravvissuta a umiliazioni grottesche, è stata coraggiosa, perché amava e desiderava una donna. Ma non usò mai la parola “elle” con sua madre. Perché? Non poteva sopportare l’idea di perderla.

Adesso quella donna deve confrontarsi con un altro incubo: perdere il proprio linguaggio, la propria lingua madre, lesbica e donna. Ogni uomo o donna gay che conosco ha una storia di terrore e di coraggio che deriva non dall’essere figlio o figlia, ma dal desiderio – o meglio, dai corpi di chi desideriamo. (…) Gay è una relazione: non esiste senza il soggetto del tuo desiderio.

Perciò, sentiamo come questo si definisce per la visibilità lesbica: donne che amano donne.”

beatrix

Maria G. Di Rienzo

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child eyes

Vedere il mondo attraverso gli occhi di un bambino è la gioia più pura di cui chiunque può fare esperienza. – Constance Zimmer (nata nel 1970), attrice.

(tratto da “India rape: Six-year-old victim’s eyes damaged in attack”, BBC News, 23 aprile 2020):

“La polizia in India ha lanciato una caccia all’uomo dopo che una bimba di sei anni è stata rapita fuori dalla propria casa nello stato di Madhya Pradesh e stuprata. E’ in condizioni critiche all’ospedale di Jabalpur, ha detto la polizia alla BBC.

L’assalitore ha inflitto gravi ferite agli occhi della bambina, in un probabile tentativo di impedirle di identificarlo. La polizia riporta che la bambina stava giocando con gli amici accanto alla propria casa la sera di mercoledì quando è stata rapita. E’ stata ritrovata giovedì mattina, priva di sensi e con le mani legate, in un edificio abbandonato del villaggio.”

(tratto da: “Man released from Turkish prison on coronavirus amnesty beats daughter to death”, 7NEWS, 23 aprile 2020):

“Muslum Aslan, 33enne turco che era stato condannato alla prigione nel 2019 per aver accoltellato la moglie, ma che è stato rilasciato a causa della crisi coronavirus, è stato di nuovo arrestato per aver assassinato la propria figlia di 9 anni.

I media locali riportano che dopo il rilascio è andato alla casa della moglie a Gaziantep, dove durante un litigio con la stessa ha picchiato la figlia Ceylan. La moglie ha chiamato la polizia e l’uomo è fuggito prima di essere arrestato in un parco.

Ceylan è stata portata all’ospedale, ma è morta poco più tardi nonostante gli sforzi dei medici. Sua madre Rukiye, che aveva già chiesto il divorzio, ha dichiarato: “Lui usava la violenza contro i miei figli continuamente. Appendeva la mia figlia maggiore al muro, legata per le braccia, e la picchiava con una canna di gomma. Ha lasciato Ceylan in una pozza di sangue sul pavimento ed è scappato. Mia figlia è morta. Voglio che questo assassino paghi duramente per ciò che ha fatto.”

Non è chiaro se il sospettato sia stato ufficialmente indiziato.

Se una persona continua a vedere solo giganti, significa che sta ancora guardando il mondo con gli occhi di un bambino. Ho la sensazione che la paura dell’uomo verso la donna venga dall’averla vista in primo luogo come la madre, la creatrice degli uomini. – Anaïs Nin (1903-1977), scrittrice.

Maria G. Di Rienzo

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Scadenze

(tratto da: “Coronavirus: The woman behind India’s first testing kit”, di Geeta Pandey per BBC News, 28 marzo 2020. Trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)

minal

Giovedì scorso, i primi test per coronavirus prodotti in India hanno raggiunto il mercato, ravvivando le speranze di un aumento nello screening dei pazienti con sintomi influenzali, per confermare o smentire l’infezione da Covid-19.

Mylab Discovery, nella città occidentale di Pune, è diventata la prima azienda indiana ad ottenere piena approvazione per la produzione e la vendita dei test. (…)

“Il nostro kit fornisce la diagnosi in due ore e mezza, mentre quelli importati ci mettono sei-sette ore.”, dice la virologa Minal Dakhave Bhosale (in immagine sopra), direttrice per la ricerca e lo sviluppo a Mylab.

Bhosale, che ha guidato la squadra creatrice del kit per l’esame del coronavirus, chiamato “Patho Detect”, specifica che è il lavoro stato fatto “in tempo record”- sei settimane invece di tre o quattro mesi. E la scienziata stava lottando anche con le proprie scadenze. La scorsa settimana ha dato alla luce una bambina e ha cominciato a lavorare al programma in febbraio, pochi giorni dopo aver lasciato l’ospedale in cui era ricoverata per complicazioni relative alla gravidanza.

“Era un’emergenza, per cui l’ho presa di petto come una sfida. Devo servire la mia nazione.”, ha detto, aggiungendo che la sua squadra di 10 persone si è impegnata duramente per fare del progetto un successo.

Alla fine, ha sottoposto il kit all’Istituto nazionale di virologia, per la valutazione, il 18 marzo e cioè giusto un giorno prima di partorire sua figlia. Quella stessa sera, un’ora prima di essere trasportata in ospedale per il cesareo, ha inviato la proposta all’Autorità indiana per il controllo alimentare e medicinale e a quella per l’approvazione commerciale.

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(“Mother says there are locked rooms inside all women”, poesia e prosa di Nebila Abdulmelik – in immagine – trad. Maria G. Di Rienzo. Nebila, etiope, si definisce una “cantastorie femminista che usa creatività e arte per parlare di pace, affrontare diseguaglianza e oppressione, archiviare le storie del vivere quotidiano a beneficio delle generazioni a venire”. Oltre a essere scrittrice, poeta, editrice e fotografa, Nebila è assai nota ed efficace come attivista: solo per fare un esempio, la sua campagna #JusticeForLiz, relativa all’ottenere giustizia per una donna vittima di stupro, raggiunse quasi 2 milioni di firme.)

nebila

Ero solita pensare fosse l’oscurità

a darti gli incubi

Solo ora arrivo a capire

come le luci che inondano la tua esistenza

sembrino perseguitarti

Non appena arrivano

tu cerchi i punti che la luce non raggiunge

per poterci strisciare dentro, coperta dal calore e dal rifugio del buio

Nel mentre quasi tutti bramano movimento e suono,

tu sei saziata dal vuoto e dalla pienezza dei silenzi

Da sola, negozi fra le differenti donne che ti compongono

Indisturbata,

filtri l’orchestra di pensieri

in mutevoli ottave

permettendo a ciascuna di esse di cantare la propria canzone

*****

Mia madre dice che ci sono stanze chiuse all’interno di tutte le donne. Che le donne diverse che le abitano sono le sole a poter schiudere quelle porte. Tu devi essere paziente. Devi sederti con ognuna di esse, una alla volta. Parlare le loro lingue. Ascoltare le loro storie. Intrecciare i loro capelli. Percepire il loro tipo di pelle – ruvida, liscia, grezza. Fasciare le loro ferite. Ridere con loro. Capire le loro lacrime. Massaggiare i loro piedi. Conversare con loro. Dar loro riconoscimento. Essere presente per le loro paure. Essere presente per loro. Stare con loro.

Mia madre dice che alcune le evochi tu e altre evocano te. Che una porta con sé la propria rabbia, un’altra il delirio. Che non devi mai ignorare la più silenziosa, quella che non bussa mai. Lei è la più potente. Devi cercarla, persuaderla a uscire dalla stanza con gentilezza.

Mia madre dice che non devi pensare a come soddisfare quella che bussa sino a che le sanguinano le nocche e le mani le dolgono. Lei non è una di cui dovresti preoccuparti perché indossa tutte le proprie emozioni e tu saprai subito se ci sono guai in arrivo.

Una ha buttato giù la porta l’altro giorno – mamma dice che è perché era soffocata dalla propria angoscia – e si è succhiata via tutta l’aria nella stanza, lasciandola annaspare in cerca d’aria che non poteva fabbricare. Lei è quella a cui non sottoponi problemi. Lei li nutrirà sino a farli crescere come erbacce, senza lasciare spazio alcuno alla bellezza. O al respiro.

Ognuna ha il suo posto e il suo scopo. Tutte creano te. Senza di esse, saresti vuota. Un guscio. Loro ti danno colore, carattere, stile. Persino quella furibonda ti dà acume. Lascia che siano.

Mia madre dice che è solo quando ti danno le chiavi, solo allora sarai in grado di aprire tutte le porte e fare pace, di riunirle insieme così che possano cantare i loro sogni e narrare i loro ricordi l’una all’altra. E a te.

Solo allora, quando le loro sofferenze saranno intessute nelle storie che raccontano, i sogni che osano e i segreti che sussurrano saranno liberati e libereranno il tuo respiro.

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(tratto da: “Translation and the Family of Things”, di Crystal Hana Kim, giovane scrittrice contemporanea, per Guernica, 2019, trad. Maria G. Di Rienzo.)

earth and sky di kathleen marver

Alle letture del mio primo romanzo, “If You Leave Me”, la gente mi ha spesso chiesto se i miei genitori erano orgogliosi di avere una scrittrice in famiglia. Ma io non ero l’unica scrittrice. Il mio posto è stato creato dalle donne che sono venute prima di me. Mia madre cominciò a scrivere poesie in coreano quando io mi stavo diplomando. Sono stata connessa al linguaggio da lei – e anche da sua madre.

Mia nonna è sempre stata una narratrice, ma era anche una donna che aveva vissuto la colonizzazione giapponese e la guerra di Corea e che non aveva mai ricevuto un’istruzione superiore. Pensava che nessuno a parte i suoi figli e i figli di costoro avrebbe desiderato ascoltare le sue storie.

Quando aveva 17 anni fu costretta ad accettare un matrimonio da una suocera che le aveva promesso un’istruzione, solo per rimangiarsi tutto al termine della cerimonia. Alla morte del primo marito rimase con un bimbo e senza un soldo. Quando implorò la sua stessa madre di tenerle il bambino così che potesse frequentare un corso per parrucchiere, fu respinta.

Questi aneddoti hanno riempito la mia infanzia. Non mi sono mai scocciata con lei nel modo in cui mi scocciavo con i miei genitori. Forse era perché siamo separate da una generazione o forse, dato che lei parla solo coreano, ho accettato il fardello della traduzione. E poi, nel maggio del 2019, la mia nonna 84enne ha pubblicato le sue prime poesie in Corea.

Due anni prima, la mia nonna si era iscritta a corsi per cittadini anziani a Hoengseong, dove vive. Si è unita a un coro, a un gruppo di suonatori d’armonica e a una classe in cui si insegna poesia. Ha cominciato a scrivere i suoi versi nel centro comunitario locale. L’insegnante, impressionata dalla qualità del suo lavoro, ha inviato le poesie a un giornale letterario. Tre sono state scelte per la pubblicazione, sorprendendo noi tutti. “Nel crepuscolo della mia vita, ho ricevuto un regalo meraviglioso.”, mi disse mia nonna.

Mia zia mi spedì la rivista letteraria non appena uscì. Ho accarezzato la copertina color verde sbiadito e poi ho trovato le poesie di mia nonna all’interno. Le ho lette una volta, due, tre. Non capivo. Quando mia nonna ed io parlavamo, stavamo sullo stesso terreno: salute, cibo, il nostro affetto reciproco, i suoi malanni. Mi ha raccontato ripetutamente le stesse storie piene di pathos. Ma le poesie erano imagiste (1), liriche e piene di metafore. Rivelavano un intelletto e un’immaginazione che non avevo mai considerato. Mi sentivo imbarazzata dalla mia stessa miopia.

Copiai le poesie della nonna in un documento Word e restai a fissare le parole. Avrei tradotto quei versi, sino a che avessi capito. Volevo che il linguaggio mi collegasse alla mia famiglia, anziché agire come una barriera. Volevo comprendere pienamente quanto poco sapevo, con che superficialità avevo immaginato le menti di mia madre e di mia nonna.

Più tentavo di tradurre le poesie, più diventavo intimidita. Volevo essere precisa e rigorosa, ma inerente alla traduzione è l’interpretazione, l’agire proprio del traduttore. Mi preoccupavo. Dovevo aderire alle parole o ai ritmi, ai suoni o ai significati? La poesia doveva risultare facile nella lingua della traduzione, o doveva conservare alcune delle indicazioni sintattiche dell’originale? (…)

Sorprendentemente, mentre lavoravo da sola alle strofe nei giorni seguenti, scoprii che mi piacevano di più quando le parole non si concatenavano chiaramente l’una con l’altra. Lo spazio sfocato tra le lingue dava la sensazione di un’apertura. Alla fine, tradussi i versi di mia nonna come:

Porta un passo al successivo, dalla Terra al Cielo,

intreccia la scala vermiglia di luce dell’autunno,

così che noi si possa testimoniare per sempre.

Vermiglia. Testimoniare. Ho fatto queste scelte basandomi sul suono, il ritmo e il tono. Ma ho anche considerato quel che sapevo di mia nonna. Lei parlava della morte ossessivamente. Ma cos’altro potrebbe riempire i tuoi pensieri se tu avessi attraversato la fame, la colonizzazione, la guerra, la povertà? Questo è il suo modo di esercitare controllo su ciò che è incontrollabile. Ma quando parla a me del morire lo fa in termini semplici: che tipo di ritratto funebre vuole, come dev’essere vestita nella bara, io che dovrei avere figli perché lei morirà presto. Pratica, utilitarista. Ma nella poesia la sua ossessione si trasforma. C’è un certo splendore nel considerare il passaggio della morte come una scala di luce vermiglia.

(1) da Imagismo, corrente letteraria dell’inizio del Novecento con centro a Londra e diffusione in Irlanda e Usa, dichiarava la necessità di immediatezza e concisione nel linguaggio poetico. Inusuale per l’epoca, le maggiori figure imagiste erano donne.

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(tratto da: “Heartbroken Spanish woman knits butterflies as call to stop domestic violence”, di Sophie Davies per Thomson Reuters Foundation, 23 dicembre 2019, trad. Maria G. Di Rienzo.)

mariposas

Una donna spagnola, le cui bambine sono state assassinate dal suo abusante ex marito, ha cominciato a lavorare a maglia farfalle viola per raccogliere sostegno all’azione contro la violenza domestica, con politici dal Primo Ministro in giù che indossano i suoi manufatti.

Le due figlie di Itziar Prats, Nerea e Martina di 6 e 2 anni, sono state uccise l’anno scorso dal loro padre, Ricardo Carrascosa, nella loro casa nei pressi di Valencia nella Spagna orientale. L’uomo si è poi gettato da una finestra ed è morto.

Prats, 43enne, racconta di aver presentato numerose volte denunce alla polizia e in tribunale sulle minacce di morte che l’ex marito rivolgeva alle bambine e sulla sua violenza, ma il suo caso fu classificato come “a basso rischio” e le sue proteste non sono state prese sul serio.

Esponendosi al pubblico con la sua storia e la campagna delle farfalle, Prats si è aggiunta a un crescente dibattito sui modi in cui la violenza di genere è trattata da polizia e magistratura in Spagna, ove già 55 donne sono state uccise quest’anno da partner o ex partner.

“Per me, la condivisione delle farfalle significa che (le mie figlie) sono ancora con me e che io posso aiutare altre persone che fronteggiano la violenza nelle loro vite quotidiane.”, ha detto Prats a Thomson Reuters Foundation.

Prats ha aggiunto che è decisa a dare maggior visibilità alla violenza di genere in Spagna, dove dal 2003 un totale di 1.033 donne sono state assassinate da compagni o ex compagni secondo gli ultimi dati forniti dal governo. Normalmente, Prats fa dalle 10 alle 15 farfalle al giorno e ne ha già regalate più di 3.000, anche ad alunni/e delle scuole durante visite formative.

Ha detto che vuole radunare consenso per l’azione, incluso il togliere ai partner violenti il diritto di far visita ai loro bambini sino a che non siano riabilitati e l’ottenere miglior aiuto per i minori che si trovano in situazioni di violenza domestica. Sta pure chiedendo un’indagine ufficiale su come le sue stesse figlie sono state trattate dal sistema giudiziario.

“Vorrei che i bambini fossero ascoltati e presi in considerazione e, soprattutto, protetti.”, ha detto.

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Jasmine Cristallo

“Salvini, le scrivo queste righe perché agli slogan violenti bisogna necessariamente contrapporre parole e concetti.

Alla macchina infernale che mi ha aizzato contro, ho risposto cantando una canzone ed inviando i miei amici a non rispondere alle offese o a farlo con parole positive e versi di poesie.

Io e lei siamo genitori e credo che il nostro compito principale sia RENDERE PARTECIPI DELLE PROPRIE AZIONI I FIGLI, che si educano attraverso l’ESEMPIO, PERCHÉ QUESTO È FONDAMENTALE in ogni loro fase di sviluppo.

Abbiamo entrambi figlie femmine ed è per questa ragione che le chiedo se ha intenzione di raccontare a sua figlia, quando non sarà più piccina, che oggi sulla sua pagina Facebook permette a legioni di frustrati di sfogare pulsioni sessuali represse.

Lo saprà sua figlia che consente ai suoi sostenitori di inneggiare allo stupro di gruppo per “punire” una donna che semplicemente non la pensa come lei?

Racconterà a sua figlia che espone foto di donne solo per farle dileggiare e violentemente aggredire con frasi e aggettivi raccapriccianti?

Racconterà che ha postato su Facebook la foto di una ragazzina che ha fatto scioccamente un gesto con il dito medio (lo stesso che lei utilizza spessissimo per rispondere a giornalisti e contestatori, come testimoniano molteplici scatti) e che per quel gesto, quella ragazzina è stata costretta a chiudere le sue pagine social per proteggersi dalla valanga di violenza verbale (speriamo solo quella) che le ha volutamente scatenato contro?

Quando teneramente le mette lo smalto o assiste alle recite natalizie, ci pensa a come si sentirebbe se fosse sua figlia LA vittima di quella stessa violenza che infligge ad altre donne?

Posso per ora raccontarle come ha reagito la mia di figlia, che ha 19 anni ed ha commesso la sciocchezza di leggere i commenti a me destinati dai suoi campioni di civiltà: tremava.

Dopo lo smarrimento iniziale è passata ad un istintivo desiderio di protezione nei riguardi di sua madre.

Una missione evidentemente impossibile per una giovane donna di fronte a quella mole di brutalità e aggressioni gratuite mosse dalla “Bestia”.

L’ho rassicurata così come una madre può e sa fare e le ho spiegato che certe battaglie passano anche attraverso queste prove certamente non gratificanti, ma che meritano, comunque, di essere condotte con tenacia e convinzione.

Ha compreso come solo attraverso il sentire femminile si può comprendere…

Quanto a lei, Salvini, non mi aspetto delle risposte ma sappia che da oggi ho una ragione in più per non arretrare di un passo e difendere il mio diritto al dissenso, a battermi per un mondo civile, in cui le donne non vengano brutalizzate.

Lo devo a noi donne, a mia figlia ed anche alla sua.”

Jasmine Cristallo, coordinatrice di “6000 Sardine” in Calabria, 22 dicembre 2019

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brunna mancuso 2

Sapete già che non ho la televisione (decisione assai annosa grazie alla quale il mio fegato funziona bene e la mia pressione sanguigna è perfetta) per cui, per capire meglio cosa fosse “Il Collegio” ho dovuto leggere qualche recensione: ne escono frasi chiave quali “lezioni di breakdance e di aerobica” e “docente di innegabile bellezza cosa che non lascia indifferenti i maschi della classe” (così, senza virgola, tanto siamo a scuola). Lo scenario d’insieme mi è quindi chiaro.

Il motivo per cui mi sono informata vi è probabilmente già noto: si tratta della situazione in cui si trova una delle giovanissime attrici, la sedicenne Mariana Aresta, alla quale il padre ha detto di andarsene dall’abitazione familiare dopo che lei aveva messo online una fotografia che la ritrae assieme alla sua ragazza Erica.

“Ci tengo a precisare che mi è venuta contro tutta la famiglia – ha scritto il giorno dopo aver reso pubblico il fatto – eccetto mia madre che riteneva che avrei potuto evitare tutto questo non postando quella foto, ma che è comunque rimasta dalla mia parte, pertanto anche lei è stata “cacciata” di casa.” Il motivo per cui non la vogliono più accanto le è stato spiegato così: “Mi hanno detto che non sono normale”. La ragazza scrive anche che se ne andrà ma che non intende cancellare l’immagine in questione dalla sua pagina Instagram.

Il punto in effetti, come per infinite altre storie simili, non è che Mariana sia lesbica ma che lo abbia tranquillamente reso pubblico. Essere omosessuali, maschi e femmine, è del tutto normale e lo sa persino chi strepita su inesistenti malattie e cure e preghiere e conversioni coatte e complotti “giender”, ma dirlo produce un’incrinatura nella narrazione patriarcale che vuole donne e uomini inscatolati in comportamenti prefissati e prescrittivi: è questo che non va bene, giacché mette in discussione assetti di potere.

Quando una ragazza o una donna affermano apertamente “Sono lesbica” stanno implicitamente dicendo che non hanno bisogno di un uomo nella loro vita, che non è un uomo a definire quel che sono e quel che fanno – e questo per i parecchi maschi che si percepiscono come ombelico dell’universo è davvero incomprensibile e inaccettabile. L’unico spazio che la misoginia del patriarcato riserva alle donne omosessuali è quello della pornografia a uso e consumo maschile: se non ti piace, allora devi tenere la cosa nascosta e privata, non “vantartene”, non “urlarlo dalla finestra” eccetera, perché non desiderare uomini a livello affettivo e sessuale è in tale quadro vergognoso e anormale.

“Possono dei genitori abbandonare un figlio?”, si è chiesta anche la ragazza. No, Mariana, legalmente non è così semplice come la mette tuo padre – non mi piaci, perciò te ne vai da casa mia, perché sei minorenne e secondo il Codice Civile ambo i tuoi genitori hanno responsabilità nei tuoi confronti, da esercitare “di comune accordo tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio”. Ma al di là delle opzioni legali (come l’emancipazione) che puoi discutere con un avvocato o meglio ancora con ArciLesbica (dove troverai giovani e non che hanno percorso la tua stessa strada), pur con la massima comprensione per la sofferenza che patisci di fronte al rigetto dei tuoi familiari e con tutto il rispetto per le tue scelte, vorrei chiederti di riflettere sulle modalità che hai usato per dire al mondo “Non so più cosa fare, aiuto”.

Lo scatto perfetto del tuo volto con gli occhi pieni di lacrime e le ciglia arrotolate dal rimmel che stava sopra questa frase è congruente con la “dittatura dell’immagine” che funge, assieme ad altre cose ma con peso notevole, da palla al piede per la libertà delle donne e che si manifesta anche nello show a cui partecipi. Quando starai un po’ meglio e avrai ritrovato una dimensione più serena e stabile in cui vivere, pensaci su. La cosa più inutile che puoi fare è stringere le catene in cui vogliono metterti con le tue stesse mani.

Maria G. Di Rienzo

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