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Posts Tagged ‘stereotipi’

Gentili Signori e Signore, queste sono parole vostre:

“Farmacia Trevigiana ha come obiettivo prioritario porre al centro di ogni processo il cittadino, migliorando ed adeguando continuamente la qualità del servizio reso al cittadino stesso. (…)”

La sottoscritta, una cittadina forse – per qualche ignoto motivo – non proprio al centro dei processi, è entrata nella vs. sede di Via Rota stamattina alle 8.22 circa. Fra gli altri prodotti di cui volevo fare scorta (grazie alla pandemia esco di casa il meno possibile) ho chiesto al banco un diuretico (Furosemide). All’inizio mi fu prescritto dal mio medico di base come contrasto preventivo all’erisipela ricorrente, favorita dalla ritenzione idrica. Detta dottoressa è andata in pensione alla fine di dicembre 2020 e il mio nuovo medico ha bisogno di 48 ore lavorative per produrre una prescrizione e questo il secondo motivo per cui non ho presentato una ricetta per il diuretico al vs. banco.

Il primo è che in passato qualcuno dei vs. farmacisti di quella stessa sede mi ha detto che non avevo necessità della ricetta e che non avendola avrei pagato meno il prodotto. Mi dispiace, non ricordo “chi”: giacché non uso il diuretico a scopo ricreativo (se pure fosse possibile) e lo raziono a seconda del bisogno, dall’episodio dev’essere passato più di un anno.

Quando stamane ho spiegato ciò alla signora al banco che mi chiedeva la ricetta, tutto quel che sapevo di logica elementare sembra essere andato in pezzi. Il dialogo si è ripetuto un paio di volte più o meno così:

“Mi avete detto qui che la ricetta non è necessaria e che senza lo pago meno.”

“Ci vuole la ricetta ma certo, senza ricetta lo paga meno.”

“Mi scusi: se però la ricetta è obbligatoria, come fate a darmelo senza?”

“Ci vuole la ricetta, poi al computer…”

A questo punto ho rinunciato a tutti gli acquisti e dubito fortemente di voler essere ancora vostra cliente. Solo un’ultima osservazione: io non ho competenze farmaceutiche, ma se fossi stata dall’altra parte del bancone avrei usato in modo diverso i miei neuroni. Per esempio: “Non posso darle questo senza ricetta, ma ci sono diuretici per cui non è necessaria: vuole provarne uno?”

Saluti, Maria G. Di Rienzo *

Treviso, 26 febbraio 2021

* Formatrice alla nonviolenza, giornalista, scrittrice. Lo puntualizzo perché lo scherno per la “vecchia scema” era palpabile. Don’t judge the book by its cover.

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Dall’inizio del 2021, in Italia c’è stato un femminicidio ogni 5 giorni (3 sono stati perpetrati nelle 24 ore tra il 6 e il 7 febbraio). In questi giorni, sulla stampa:

“Il procuratore aggiunto di Palermo Laura Vaccaro (…) torna a lanciare un appello a tutte le donne: “Non abbiate paura di denunciare – dice – C’è sempre qualcuno disposto ad ascoltarvi. C’è soprattutto una rete di accoglienza per tutelare voi e i vostri figli“. “

“Soltanto due settimane fa Repubblica ha aperto l’Osservatorio Femminicidi e ci troviamo già qui a contare altre donne morte. (…) E quante volte dobbiamo registrare il dolore di parenti e amici che raccontano di segnali non colti. Non c’è più tempo però, non c’è per aspettare redenzioni, non c’è per dare seconde possibilità che spesso sono quarte o quinte. Denunciare, rivolgersi ai centri antiviolenza. Dare alle donne la certezza di essere ascoltate, e aiutate.” Oriana Liso

” (…) un mese fa aveva chiamato la polizia, ma poi non aveva voluto presentare denuncia contro il compagno violento.” (riferito a Piera Napoli, 32 anni, assassinata dal partner)

“Ventinovenne uccisa a coltellate nel Salento, fermato per omicidio il suo ex: era in fuga. In passato aveva già minacciato la vittima di femminicidio: “Una tragedia annunciata“. “

Il quadro postula come al solito due assunti falsi: primo, che la responsabilità di fermare la violenza ricada sulle vittime di quest’ultima; secondo, che esista una diffusa solidarietà nei confronti delle vittime stesse.

L’afflato verso le donne investite dalla violenza assume le seguenti forme se muoiono:

– Era una ragazza semplice e solare.

– Era una donna piena di vita.

– Inspiegabile e assurda tragedia.

– Perché nel 2021 ci sono ancora queste persone per cui le donne non sono niente?

– Dobbiamo fermare tutto questo! Basta violenza sulle donne.

(Più i consueti svarioni pseudo-lirici fatti di stelle, angeli, coretti e applausi.)

Per contro, se restano vive dopo l’assalto, lo stupro o anni di pestaggi, il loro comportamento è sottoposto al più severo degli esami non solo dagli stessi che cianciano a vanvera con le frasi di cui sopra, ma da poliziotti, medici, avvocati e giudici… i quali costituiscono la parte istituzionale della succitata “rete di accoglienza” che dovrebbe “tutelarle”: gli opinionisti da strapazzo, i commentatori seriali sui social media, la grande bagarre misogina dei media tutti fanno il resto.

I parametri dello scandaglio sono la fiera patriarcale dello stereotipo di genere: era bella, non era bella (solo le belle sono degne di violenza sessuale); era brava, non era brava (quelle brave sospettano di tutti, non vanno a feste, non escono da sole, denunciano – ma anche NON sospettano, per non offendere l’uomo di turno, vanno alle feste perché il suddetto deve mostrarle agli amici come trofei, escono da sole per andare ad incontrarlo, NON denunciano perché non sono certo schifose femministe…); eccetera eccetera. Non si tratta come vedete di punire l’autore delle violenze, ma di capire grazie a quale provocazione della vittima costui – stressato, abbandonato, colto da raptus, avvilito, depresso, geloso – sia stato costretto ad agirle.

In ambo i casi, non appare mai uno straccio di analisi su cosa effettivamente crei un clima adatto alla sopraffazione e all’omicidio. E quindi, giusto: Perché nel 2021 ci sono ancora queste persone per cui le donne non sono niente?

Mah. Forse perché avete passato l’estate del 2020 a discutere della modella di Gucci e di Santa Chiara Influencer? No, non sto scherzando. E naturalmente non si tratta solo dell’estate scorsa, perché sul culo di questa e le tette di quell’altra e sulle montagne di sterco relative a trucchi – acconciature – abiti – accessori – diete – fitness che dovrebbero dar forma alla “bambola scopabile” si blatera da anni ed anni.

L’oggettivazione ossessiva, coatta, asfissiante che investe le italiane di qualsiasi età 24 ore su 24 e che neppure la morte ferma (Era così bbbeeellla…) è l’ingrediente principale della violenza di genere: a una persona si deve, in linea di principio, rispetto – a del materiale da scopare no.

Questa narrazione a senso unico, vischiosa, mai messa davvero in discussione, si è insediata come una melassa a presa rapida in cervelli di ogni genere, origine e latitudine, vedasi le fotografe che mettono in posa giovani donne nude per i calendari o producono immagini di bambine in atteggiamenti da Lolite per vendere automobili e di fronte a un minimo di reazione civile strillano: “Io sono femminista!”… che è l’equivalente di “Non sono razzista, conosco tanti immigrati”, “Non sono omofobo, ho un sacco di amici gay” e via dicendo. Ma quando io contesto una tua azione, sorella, non ti sto in alcun modo etichettando e definendo: sto dicendo che quel che hai fatto (non quel che sei) porta acqua al mulino avverso alle donne. Tutto qua, non c’è bisogno di utilizzare ad minchiam il termine “femminista”, perché è evidente che se lo usi come scudo per pararti il didietro tu non sai cosa significa.

All’oggetto-femmina, il cui dovere dalla culla alla tomba è essere bbbeeella per soddisfare sguardo e interno mutanda maschili, non è riconosciuto spessore umano, dignità, legittimazione. Perciò i sedicenti giornalisti (e le sedicenti giornaliste, certo) che in Italia scrivono di violenza di genere non solo non hanno alcuna preparazione al proposito ma ritagliano la storia in modo adeguato affinché risponda ai loro pregiudizi e al sessismo che respirano quotidianamente quanto ogni altro/a.

Solo per fare un esempio, questa notizia l’ho letta due giorni fa:

“Getta in mare la ex, poi la risarcisce: condanna lieve, soltanto sei anni”.

Il (dei tenetemi le mani) professionista della carta stampata ci spiega perché:

“(il perpetratore del tentato omicidio) ha chiesto scusa, ha lanciato segnali di pentimento e ha risarcito la sua ex. Ha staccato un assegno, oltre a scrivere lettere nelle quali ha provato a rivisitare il recente vissuto, fino a quell’ultimo – drammatico – momento di coppia: lei che sta sul muretto, lui che la spinge; lei che cade in acque (sic), a mare, lui che scappa. Lei che rischia di morire e che viene salvata (…).

Sono tutti “momenti di coppia”, quindi: il primo bacio, la prima sberla, la richiesta di assomigliare a una diva all’esterno e a una pornostar a letto, il selfie dopo il pestaggio, il lancio in mare… Io credo che l’autore neppure si sia reso conto di quanto questo tipo di narrazione normalizzi e scusi la violenza contro le donne: lui ne scrive MA NON NE SA UNA BEATA MAZZA. I suoi capi non gli hanno offerto formazione, per due semplici motivi: 1) a loro non interessa fare giornalismo, ma click-bait; 2) ne sanno meno di lui.

In compenso, la reiterazione dell’oggettivazione femminile mascherata da reverente ossequio alla “bellezza” e le interminabili manfrine su stereotipi di genere prescrittivi (le donne sono così, gli uomini sono cosà, senza spazio ne’ per le differenze ne’ per l’individualità), i quali hanno l’unica funzione di presentare come naturale, santa e giusta la subordinazione delle donne, hanno formato generazioni di giovani stronzi – oltre a fornire ossigeno agli stronzi più anziani – che si beano della propria ignoranza, della propria crudeltà e del sessismo più becero a disposizione sul mercato.

Tre esempi dalla cronaca di gennaio/febbraio, il primo della lista ha 19 anni.

Gettata a diciassette anni in un burrone. Il fidanzato: “Roberta si è data fuoco da sola”

– “Il giudice per le indagini preliminari: “Quantomeno a livello gravemente indiziario può ritenersi in questa fase cautelare che Morreale Pietro, mosso da una fortissima gelosia e da un sentimento morboso maturato nei confronti di Roberta (Siragusa), la abbia uccisa (…) dopo aver comunque tentato un approccio sessuale e poi le abbia dato fuoco abbandonandola nella scarpata”.”

– “A Caccamo, raccontano che Morreale era sempre parecchio geloso nei confronti della fidanzata: “La scorsa estate era arrivato anche alle mani – sussurra un’amica della vittima – avevo visto Roberta con un occhio nero. I litigi erano proseguiti, poi di recente sembrava essere tornato il sereno”. Fino a sabato sera, quando sarebbe avvenuta un’altra scenata nel corso della festa a casa di amici.”

– “Risultati dell’autopsia: “Roberta stordita e poi bruciata dal suo assassino”. Secondo una ricostruzione emersa dai lavori dei periti la giovane sarebbe stata colpita, stordita e poi data alla fiamme, forse mentre era ancora viva.

Il secondo ne ha 24.

Rapper 1727 wrldstar arrestato, botte alla compagna con un bastone di ferro

– “Ha ferito gravemente la sua compagna con una mazza di ferro, al culmine di una lite. Per questo è stato arrestato con accuse di maltrattamenti, lesioni e droga Algero Corretini, 24 anni, che sul web è conosciuto anche come ‘1727wrldstar’ (…)”

– “(i carabinieri) hanno ricostruito una prolungata storia di maltrattamenti culminata nella mattinata di sabato in una violenta aggressione.”

Il terzo ne ha 17.

Revenge porn tra minori, la vittima ha solo 13 anni.

“Aveva solo 13 anni quando inviò al suo fidanzatino delle foto che la ritraevano senza veli. Lui, un 17enne, prima ha custodito gelosamente quegli scatti sul suo telefono poi, quando lei lo ha lasciato, li ha inoltrati sulle chat di tutti i loro amici svergognando pubblicamente la ragazzina che, presa dal panico, non voleva nemmeno più andare a scuola. Quella vendetta a luci rosse si è protratta per ben tre mesi poiché anche dopo la denuncia sporta dai genitori della 13enne, il ragazzo ha continuato a diffondere quelle immagini.”

Poi abbiamo il maestro (si fa per dire) Alberto Genovese, anni 43, esperto di festini a base di stupefacenti, serie di foto allucinanti in cui mima incontenibili entusiasmi con la bocca spalancata e bottiglie al vento. Due delle giovani donne che lo hanno denunciato per stupro hanno riportato oltre alle sue violenze i convincimenti da cui esse si originano:

“Mi diceva che la donna non deve andare all’università e non deve lavorare.”

“Faceva certi discorsi, che la donna è stupida e anche se è intelligente non si deve applicare e non deve lavorare. Mi diceva: ‘Tu a 24 anni ti trovi uno che ti mantiene, a 27 fai una famiglia, così hai il futuro garantito, perché una donna a 27 anni è da buttare.’ “

Genovese si è avvalso della facoltà di non rispondere alle domande del giudice per le indagini preliminari, ma ha avuto la faccia tosta di chiedergli di andare ai domiciliari a casa della madre e della compagna, aggiungendo che spera in una pena “rieducativa” che gli consenta di “guarire”: “Voglio disintossicarmi, da 4 anni sono tossicodipendente. Quando mi drogo perdo il controllo e non riconosco il confine tra legale e illegale.”

Perché è tutto lì, il problema. Ci sono ancora legislazioni, al mondo, che normano quanto si può picchiare una donna e in che circostanze sia ammesso violentarla, ma da noi comandano le femministe…

E le donne continuano a soffrire e a morire sia che denuncino sia che non denuncino, sia che rifiutino di aderire al modello imposto sia che lo accettino:

“La Procura di Milano ha chiuso le indagini, in vista della richiesta di processo, a carico di Mattia Colli, medico chirurgo del ‘Centro di chirurgia plastica ed estetica MC’ in centro a Milano, accusato di omicidio colposo per la morte di una donna di 36 anni deceduta in un hospice nel Bresciano l’11 aprile 2018 per complicanze seguite ad una grave infezione dopo un intervento di liposuzione a cui si era sottoposta il 5 luglio 2017.”

Se dopo i 27 anni una donna dovrebbe essere conferita in discarica, figuratevi a 36. Per questo gli utilizzatori, i fini conoscitori e gourmet di femmine producono notizie simili:

Bambina di 18 mesi morta nel Comasco, non è stato un incidente: arrestato il compagno della madre.

“Gli esiti della consulenza medico legale, rende noto la Procura di Como, inducono gli inquirenti a ritenere che la piccola sia stata picchiata non solo il giorno del suo decesso, (…) ma pure in altre circostanze, quando – sempre secondo gli accertamenti – la piccola sarebbe stata anche violentata.”

Era bella, suppongo.

Maria G. Di Rienzo

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“Quali sono i vostri sogni per il 2021? Sogni personali, intimi, dedicati agli amici, alla famiglia. Ma anche sogni per il futuro dell’Italia o del mondo.”

Di seguito la mia risposta a “La Repubblica”, che in questi giorni chiede il contributo di cui sopra per la sua iniziativa “L’anno che verrà”:

Terrò per me i sogni personali, ma vi confido volentieri uno degli altri: l’avvento di un giornalismo degno del proprio nome, professionale, intelligente, che smetta di disprezzare, ignorare o odiare le donne.

Il che significherebbe, anche per voi, smettere di produrre articoli che:

– glorificano e scusano la violenza in tutte le sue forme (particolarmente quella contro le donne);

– sono scritti da analfabeti;

– non hanno alcun senso perché la “notizia” non esiste (forse Tizia ha lasciato Caio, sembra che Sempronia si sia rifatta il naso… e chi se ne importa);

– chiunque sia la donna di cui trattano cominciano con una dettagliata disamina (o la incorporano) della sua tipologia fisica, abbigliamento, accessori e trucco: della scollatura di Marie Curie o del taglio di capelli di Samantha Cristoforetti non solo non ce ne importa niente, ci irrita che non sappiate riconoscerle come donne senza farne dei manichini;

– rilanciano senza controllo qualsiasi idiozia relativa al peso corporeo: il giornalismo dovrebbe verificare prima di urlare alle epidemie o proporre diete o elencare cause/rimedi per ciò – il grasso corporeo – che NON è una malattia (sono in grado di produrre vent’anni di letteratura scientifica al proposito, ma avete raccomandato “poche righe”). Inoltre, domanda retorica, perché secondo voi la modella statunitense è curvy e la ragazza che si getta sotto il treno – grazie al bullismo diretto al suo corpo – aveva problemi di obesità?

– sono inseriti in “rubriche donna”, come per esempio i vostri di oggi:

Trucco: dal rosso al blu Kandinsky su occhi e labbra. Come ricostituenti per l’umore

Moda – Gli abiti per le festività che indosserai di nuovo nel 2021

L’incipit dice già in che settore stanno: Trucco, Moda. Non DONNA. Io sono tale e come una miriade di mie simili non mi trucco e la moda non mi interessa. E’ inutile che speriate di essere i paladini del “futuro delle ragazze” (Stem ecc.) quando quel che proponete loro è la visione trucco – moda – attenta alla panza – perché lui ti ha lasciato – come essere più affascinante ecc. ecc.

Se, scusate la volgarità, il loro scopo ultimo in questa esistenza è far avere erezioni all’altra metà del genere umano, studiare servirà a poco. A meno di non andare a scuola da quelle che voi chiamate “influencer digitali” (leggi modelle/pubblicitarie online) e impegnarsi davvero davvero ad avere un trucco perfetto… Il brano che segue è tratto da un articolo che ho scritto io il 19 febbraio dell’anno scorso (non entro nei dettagli dell’antefatto, che comprendono bambine ricoverate per tumori, giacché siamo andati già molto oltre le poche righe prescritte), ma fa riferimento a come voi date le notizie:

“Repubblica specifica che lo stage (sic) grazie a cui si imparerebbe a “bucare il video, la rete e un po’ tutte le situazioni social” è cosa di gran valore: “Giusto per dare un’unità di misura a Milano è stato registrato il sold out, con biglietti da 650 euro a testa e una coda di migliaia di persone per soli 500 posti a sedere.” Capite, per le povere bimbe malate la “influencer” lo avrebbe fatto gratis, è così commovente che sto quasi per piangere, però 650 euro x 500 individui disposti a sborsarli fa 325.000 euro: una cifra spropositata per una sorta di “formazione” agli stereotipi di genere… e il fazzoletto mi torna automaticamente in tasca.”

E la chiudiamo qua. Saluti, Maria G. Di Rienzo

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Se una donna esce di casa e gli uomini non le mettono gli occhi addosso, deve preoccuparsi, perché vuol dire che il suo femminile non è in primo piano. Vedi, tu puoi fare l’avvocato, il magistrato, fare tutti i soldi che vuoi, ma il femminile in una donna è la base su cui si siede il processo. Se gli uomini ti desiderano, sarai un magistrato migliore, una professoressa migliore.”

I giornali mi hanno informato che l’autore di questa opinione è il sig. Raffaele Morelli “psichiatra e psicoterapeuta che ha pubblicato decine di libri, dirige una delle riviste sul “benessere” più note d’Italia e viene invitato regolarmente in tv e radio.” Mi hanno anche mostrato la sua foto in posa, mezzobusto torto con occhiali in mano, che è uno dei format rappresentativi dell’intellettuale di sesso maschile (il più noto è l’uomo con la mano sul mento).

Riporta sempre la stampa che nel successivo confronto con la scrittrice Michela Murgia “ha prima detto di essere stato decontestualizzato, poi, incalzato dalla scrittrice e conduttrice dopo aver pronunciato altre frasi sessiste, ha concluso il suo intervento con Zitta e ascolta!“.

L’ignorante con laurea che rimette le donne al loro posto (nel letto in primis) piace molto ai media italiani: se la stronzata sessista la dice un conduttore qualsiasi possono sorgere dubbi sulla validità della stessa, perciò entra in scena qualcuno con le credenziali giuste a spiegare che una donna può avere qualsiasi tipo di abilità e aspirazione, essere bravissima nel mestiere che si è scelta e persino ricca, ma se le mutande degli uomini non si gonfiano al suo passaggio resta una fallita comunque.

Il “femminile”, com’è noto, si traduce per i misogini con “servizio” – sessuale, emotivo, materiale, di cura, eccetera – all’altro sesso e naturalmente ormai avete letto e forse scritto al proposito di tutto e di più, perciò non intendo annoiarvi con analisi dettagliate ne’, ce ne scampi iddio, suggerire che le autorevoli pensate del sig. Morelli subiscano censura a causa del risentimento delle brutte bieche stronze femministe.

Mi limiterò a consigliare un minimo di fair play: molto è stato detto in passato sul “trigger warning”, nel bene e nel male. Si tratta di un messaggio che precede la fruizione di un qualsiasi prodotto multimediale, avvisando il pubblico che il contenuto potrebbe stimolare negativamente chi ha subito un determinato trauma. Se è vero che evitare tutte le occasioni di stress è impossibile e persino che non affrontare e non contrastare gli stimoli negativi può ritardare la guarigione, è altrettanto vero che come donne non siamo obbligate a mandare giù merda 24 ore su 24.

Dopo che hanno respinto la nostra domanda di assunzione perché le mutande dell’esaminatore non hanno avuto quel che volevano (per nostra scarsa “femminilità” o per nostro rifiuto), dopo aver subito molestie in strada – a scuola – al lavoro – online, dopo essere state assalite, ingiuriate, aggredite, discriminate, umiliate, violate in centinaia di modi diversi ma con incrollabile continuità, potremmo non desiderare intrattenimento che ripete e giustifica tale trattamento.

Perciò egregi presentatori, sceneggiatori, produttori e quant’altro, siate corretti e quando vi proponete di insultarci ulteriormente date l’avviso con qualcosa di questo genere: “Il programma che sta per andare in onda contiene materiale inappropriato per le donne che pensano di essere titolari di diritti umani, cittadine a pieno titolo, degne di rispetto e libere.”

Maria G. Di Rienzo

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unfinished puzzle

1. DI COSA SI DISCUTE (tratto da: “What Is Autogynephilia? An Interview with Dr Ray Blanchard”, di Louise Perry, novembre 2019, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo):

Ray Blanchard è professore aggiunto di psichiatria all’Università di Toronto, specializzato nello studio della sessualità umana con particolare focus sull’orientamento sessuale, le parafilie e i disturbi relativi all’identità di genere. Fra gli anni ’80 e ’90 ha elaborato una teoria sulle cause della disforia di genere che classifica le donne transessuali (nati maschi che si identificano come donne) in due gruppi separati.

Il primo gruppo è composto da donne transessuali “androfiliache”, che sono attratte esclusivamente da uomini e hanno comportamento e apparenza marcatamente femminili sin da giovane età. Tipicamente, costoro iniziano il processo di transizione medico da maschi a femmine prima dei trent’anni.

Il secondo gruppo è motivato alla transizione come risultato di ciò che Blanchard chiama “autoginefilia”: un orientamento sessuale definito dall’eccitazione sessuale al pensiero di essere donna. Gli autoginefili sono tipicamente attratti da donne, anche se possono identificarsi come bisessuali o asessuali. E’ più probabile che attuino la transizione più tardi e che sino a quel punto siano stati convenzionalmente mascolini nella presentazione di se stessi.

Sebbene la tipologia di Blanchard sia sostenuta da un vasto numero di sessuologi e altri ricercatori, è rigettata in modo veemente da attivisti trans che negano l’esistenza dell’autoginefilia. La storica della medicina Alice Dreger, il cui libro del 2015 “Galileo’s Middle Finger” includeva il dar conto della controversia sull’autoginefilia, riassumeva il conflitto così:

“C’è una differenza cruciale fra l’autoginefilia e la maggior parte degli altri orientamenti sessuali: questi ultimi non sono eroticamente bloccati dal semplice avere un’etichetta. Quando dici al comune uomo gay che è omosessuale, non stai disturbando le sue speranze e i suoi desideri sessuali. Per contro l’autoginefilia si comprende forse meglio come “un amore che vorrebbe davvero tu non dicessi il suo nome”. Il massimo erotismo dell’autoginefilia sta nell’idea di diventare realmente una donna o di essere realmente una donna, non nell’essere un nato maschio che desidera essere una donna.”

Ray Blanchard (dall’intervista che segue la presentazione tradotta sopra):

“Paradossalmente, gli sforzi degli attivisti transessuali per sopprimere completamente ogni menzione dell’autoginefilia nel dibattito pubblico hanno avuto come risultato un’aumentata consapevolezza al riguardo. Penso che questo comportamento controproducente sia persistito perché l’idea dell’autoginefilia è troppo vicina alla verità. Se non avesse nessuna risonanza con loro l’avrebbero semplicemente ignorata e l’autoginefilia sarebbe diventata una delle ipotesi dimenticate, fra le tante, sui disturbi relativi all’identità di genere.

Attualmente, molte persone eterosessuali M-F (nella loro descrizione, donne transessuali lesbiche) presidiano militarmente e incessantemente i forum in cerca di ogni menzione dell’autoginefilia. Se un nuovo arrivato pensa che essa descriva la sua esperienza, gli viene immediatamente detto che il suo pensiero è sbagliato e che l’autoginefilia non esiste. (…)

So che è possibile discutere dell’autoginefilia in modi onesti e spassionati – o persino compassionevoli – perché l’ho visto accadere sul mio account Twitter. In alcune occasioni alcuni autoginefili (anonimi) hanno pubblicato serie organizzate e ben articolate di spiegazioni su come ci si sente ad essere eccitati sessualmente al pensiero o all’immagine di se stessi come donne, su come queste emozioni sessuali si colleghino all’emergere dell’avversione per i loro corpi maschili e al loro desiderio di avere un corpo femminile, sugli effetti deleteri dell’autoginefilia e della disforia di genere sulle loro relazioni personali e il loro umore e stato in generale. Questi spunti di discussione hanno sempre stimolato alcuni altri a scrivere messaggi in cui apprezzavano l’onestà e il coraggio, assieme a dichiarazioni di simpatia. Nessuno ha mai detto: “Adesso che conosco meglio la tua tipologia mi disgusti ancora di più”, sebbene gli utenti di Twitter non siano noti per autocontrollo o generosità. Non so se sia possibile discorrere della questione in arene più pubbliche, probabilmente non al momento a causa dell’attuale politicizzazione del termine autoginefilia.

Anne A. Lawrence, medico, che ha scritto la più esauriente monografia accademica sull’autoginefilia, “Men Trapped in Men’s Bodies”, transessuale M-F che si è sottoposta a transizione medico-chirurgica, era un autoginefilo lei stessa.”

2. CHI DISCUTE (tratto da: “Forced Teaming, Feminism, LGB and ‘Trans Rights’, di Dr. Em, 25 maggio 2020, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo):

Le femministe sostengono che il genere è un meccanismo di un sistema di oppressione, costituito da stereotipi sessisti costruiti ad arte e poi usati per sfruttare le donne: per esempio la nozione che poiché sei femmina vuoi naturalmente aver cura e pulire o quella per cui per natura il sesso femminile è sottomesso e gentile.

I diritti delle persone LGB si basano sull’idea che l’attrazione fra membri dello stesso sesso è reale e normale e ad essa dovrebbero essere garantiti gli stessi diritti e lo stesso rispetto di cui gode l’eterosessualità. Il transgenderismo / transessualismo, per contro, afferma che il genere – l’oppressione delle donne e gli stereotipi sessisti – sia innato, o qualcosa a cui conformarsi alterando il corpo a causa dell’opprimente sconforto dovuto a questo disturbo. La disforia di genere dichiara che è la persona a essere sbagliata, non il sessismo culturale, lo sfruttamento o l’oppressione. Il motto è: “Cambia la persona, non il sistema!”

Il transgenderismo / transessualismo ha cominciato a negare l’esistenza e l’importanza del sesso binario, il che nega a ruota la realtà dell’attrazione fra persone dello stesso sesso, manipolata come “attrazione per lo stesso genere”. Se le lesbiche possono avere peni, la sessualità diventa l’attrazione per gli stereotipi sessisti, per i manierismi e per le scelte di moda. (…)

L’oppressa non può costruire critiche e sfide quando l’oppressore siede alla stessa scrivania e guarda quel che fa da dietro la sua spalla. La presenza dell’oppressore, inoltre, eviscera gli argomenti rendendoli situazionali (basati su circostanze) anziché concreti: “Ma questo è carino”, “A volte le persone nascono sbagliate”, “Lui dice di essere una lesbica ma in realtà sa che non è così, tu sii gentile”. Ciò apre la porta alla trattativa sui diritti e sulle linee di confine delle donne e alla negoziazione sulla realtà stessa dell’attrazione fra persone dello sesso sesso.

La violazione del limite è la chiave. Essendo il primo limite la definizione della donna, poi della femmina, il successivo è la percezione di sé, poi sono violati spazi fisici e risorse.

De Becker (Gavin De Becker, autore di “The Gift of Fear”) dice che se qualcuno ignora la parola “no”, ciò è il segnale più significativo a livello universale del fatto che non ci si dovrebbe fidare di quella persona. I maschi hanno chiesto di continuo di essere inclusi nella definizione di “femmina” e di continuo non hanno ascoltato il “no” delle donne, hanno continuato a usare spazi per sole donne dopo i ripetuti “no” di diverse di noi. I maschi stanno dicendo alla comunità LGB che l’attrazione per lo stesso sesso è bigotta e stanno rifiutando di ascoltare il “no” che ricevono in risposta.

Ignorare un singolo “no” è un segnale d’allarme, ma ignorarne un mucchio è una sirena e l’idea che ci voglia di più di questi no per capire è manipolazione.

3. COME SI DISCUTE (tratto da: “Facebook Community Standards Allow The Promotion Of Violence Against Women”, di Roger Dubar, 28 maggio 2020, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo):

“Va perfettamente bene, secondo i Facebook Community Standards, pubblicare articoli sul prendere a pugni le donne. Prenderle a pugni sulla gola sembra essere particolarmente popolare.

Questa è una battuta, ovvio. Non puoi pubblicare sul prendere a pugni una donna qualsiasi o tutte le donne: devi assicurarti che il tuo post tratti dell’incoraggiare violenza verso donne che hanno opinioni sbagliate sull’ideologia di genere.

Molti anni fa, lavoravo nell’ambito del diritto di famiglia. C’era uno scherzo famoso fra gli avvocati che si occupavano di violenza domestica e faceva più o meno così:

“Cos’hanno in comune un migliaio di mogli pestate? Semplicemente non ascoltano.” Se lo scherzo vi sconvolge, sappiate che non dovrebbe. E’ la precisa giustificazione usata dagli uomini che picchiano le loro mogli e le loro compagne.

Su Facebook, tu puoi pubblicare sul prendere a pugni (o a pugni sulla gola) le donne finché ti pare. Devi solo chiamare prima queste donne “TERF”. Quest’ultimo era l’acronimo per “femminista radicale trans-escludente”, ma non si deve “escludere le persone transessuali” o essere una “femminista radicale” per diventare “TERF”. Tutto quello di cui si ha bisogno è avere un’opinione leggermente differente dalla persona che ti chiama “TERF”.

Pensi che dovrebbe esserci una discussione sull’accesso di maschi biologici che si identificano come donne agli sport femminili e alle prigioni femminili? Sei una TERF.

Pensi che le donne transessuali meritino amore e rispetto, ma che non in tutti i casi siano effettivamente di sesso femminile? Sei una TERF.

Pensi che chiunque dovrebbe poter indossare quel che vuole ed esprimersi come vuole, ma che nessuno dovrebbe essere forzato a pensare o a fingere di aver davvero cambiato sesso? Sei una TERF.

E sei una persona transessuale come Debbie Hayton, frustrata dall’attivismo trans intollerante e iperbolico? Non sei meglio di una collaborazionista nazista.

E promuovere odio e violenza contro le TERF è ok. Dicono così i Facebook Community Standards.

Ma un momento, direte voi: Facebook non permette la promozione della violenza contro le donne in sé – è solo per le donne che hanno opinioni sbagliate.

Queste donne se la sono voluta. Come sempre, semplicemente non ascoltano.

Io venivo regolarmente bullizzato perché giudicato “non conforme” in materia di genere mentre crescevo. Ora, tuttavia, gli stessi bulli che mi dicevano che non ero abbastanza maschio, o che sembravo una femmina, stanno dicendo alle donne che meritano violenza se dicono che il sesso biologico è reale o che gli uomini non dovrebbero identificarsi come donne negli spazi delle donne.

Non penso che Facebook, la corporazione multimiliardaria fondata da Mark Zuckerberg, creda vada bene promuovere violenza contro le donne che non si adeguano: penso che i diritti delle donne non significhino molto per la maggioranza delle persone. Penso che, proprio come diceva sempre mia madre, le donne siano invisibili.

Ad ogni modo, i Facebook Community Standards permettono comunque la promozione della violenza contro le donne non accondiscendenti.”

4. DI COSA NON SI DISCUTE:

18 maggio 2020 – Londra, Regno Unito:

Il Ministero della Giustizia britannico ha rivelato che prigionieri maschi che si identificano come donne sono responsabili di una quota di aggressioni sessuali esponenzialmente più alta della loro proporzione nella popolazione delle carceri femminili. Il Ministero ha riconosciuto che, nel mentre la percentuale dei detenuti maschi che si identificano come transgender ammonta all’1% delle 3.600 persone detenute nelle carceri femminili, essi hanno commesso il 5,6% degli assalti sessuali denunciati. Le donne stuprate da questi individui sono a rischio di gravidanza, di malattie sessualmente trasmissibili e lesioni ai genitali e possono essere di nuovo traumatizzate se erano state vittime di precedenti abusi.

19 maggio 2020 – Bridgend, Galles, Regno Unito:

Un venticinquenne condannato per violenze sessuali, che si identifica come donna, è stato di recente di nuovo incarcerato per aver infranto due volte l’ordine di restrizione relativo agli assalti sessuali, cosa che ha ammesso.

Leah Harvey, in precedenza noto come Joshua, era finito in galera nel 2018 per aver incitato una bambina a compiere atti sessuali dopo averle inviato foto e video pornografici di se stesso. (Uso il maschile perché il corpo con cui ha fatto questo lo è) Dopo due sole settimane dal rilascio, nell’ottobre dello scorso anno, ha molestato due ragazzini di fronte ad agenti di polizia, vantandosi con loro di essere pedofilo. Successivamente, in novembre, è andato a molestare due ragazze adolescenti che lavorano alla cassa di un negozio di cibo da asporto. Quando la prima ragazzina lo ha ignorato, il sedicente pedofilo le ha gettato addosso del cibo; quando sempre costei gli ha detto di non toccarla, ha tentato di infilarsi dietro al bancone dicendo di avere “una sorpresa per lei”. Mandato via, è tornato tre giorni dopo, ha trovato un’altra adolescente alla cassa, le ha chiesto il nome e poi l’ha chiamata a voce alta 15 volte, le ha domandato se era abbastanza grande per avere una relazione sessuale e si è offerto di portarla fuori.

2 giugno 2020 – Manukau City, Auckland, Nuova Zelanda:

Il 47enne Kylie So, che si identifica come donna, è stato posto in carcere con l’accusa di aver ucciso un 71enne, Robert Dickie, in casa del quale si era trasferito. Dopo quattro giorni di coabitazione l’anziano è scomparso e sebbene il corpo non sia ancora stato ritrovato, le analisi della polizia scientifica nella sua casa hanno rilevato “un’ingente quantità di sangue versato”.

Inizialmente, l’accusato era stato incarcerato in una prigione maschile e non aveva eccepito al proposito (come la legge neozelandese gli permette di fare), ma convinto da zelanti attivisti transgender ha poi cambiato idea ed è stato trasferito nella prigione femminile a Wiri.

Attualmente ci sono 33 persone che come lui si identificano donne nelle carceri neozelandesi, 18 delle quali sono dentro per crimini violenti, inclusa l’aggressione sessuale. Dal gennaio 2017, sei assalti sessuali sono stati perpetrati da individui che dicono di essere donne transessuali contro donne prigioniere.

5 giugno 2020 – Melbourne, Victoria, Australia:

Al momento dell’arresto per stalking a danno di una donna, l’ex giocatore di football australiano Dean Laidley, 53enne, indossava un abito e biancheria femminili, trucco, una parrucca bionda e 0,43 grammi di metamfetamina nel reggiseno. L’arresto è avvenuto in flagrante: Laidley si trovava fuori dalla porta di casa della sua vittima. A costei ha mandato oltre 100 messaggi di minacce usando telefono e e-mail, l’ha fotografata per ogni dove, ha richiesto i video delle telecamere di sorveglianza che la riguardano al complesso residenziale, perché la ritiene una troia e una puttana.

Secondo il suo avvocato bisogna compatirlo, perché soffre di disforia di genere. Tra l’altro, quando ha cominciato a perseguitare la donna era fuori dal carcere su cauzione – e al carcere era stato condannato per violenza domestica.

7 giugno – Khon Kaen, Thailandia:

La polizia sta chiedendo aiuto all’opinione pubblica per rintracciare il 28enne Thanphicha Rodnongkheng, che si identifica come donna e che è sospettato dell’omicidio del suo compagno convivente. La vittima è il 27enne Manop Amthao, il cui cadavere è stato ritrovato – con due ferite mortali da coltello al petto – nella casa in affitto in cui i due vivevano. L’arma del delitto è stata abbandonata nel lavandino della cucina. Una videocamera ha registrato Rodnongkheng il giorno precedente il ritrovamento, mentre si allontana dall’area con una borsa a tracolla e due borse di plastica a mano.

7 giugno 2020 – Brisbane, Queensland, Australia:

Uno stupratore recidivo di bambini, 34enne, è stato rilasciato dalla prigione il 4 giugno scorso, dopo aver dichiarato che gli ormoni che ha cominciato ad assumere in carcere, per la transizione sessuale, hanno diminuito la sua possibilità di violare bambini in futuro.

Jeffrey Terrence Anderson è stato condannato nel 2008 per lo stupro di un dodicenne e di due bambini di sei anni a cui faceva da babysitter. In prigione il sig. Anderson ha cominciato a identificarsi come donna e ha mutato il suo nome in Rose. Tuttavia, le guardie carcerarie hanno continuato a trovare immagini di bambini e persino una storia da lui scritta in cui dettaglia la fantasia di stuprare un bambino di tre anni almeno sino al 2017. Adesso è libera, sottoposta a supervisione per dieci anni e ha la proibizione di incontrare minorenni. L’attrezzatura con cui stuprava, comunque, è ancora al suo posto.

PRECISAZIONI:

a) J.K. Rowlings non mi piace, ne’ come persona ne’ come scrittrice. Che siano le donne ad avere le mestruazioni, però, resta vero anche se lo dice lei.

b) Sono qui che aspetto la ripetizione ad libitum del mantra “Gli uomini transessuali sono uomini” e che qualcuno cominci a pretendere la dicitura “persone che donano sperma” al posto di “donatori”, anche se possono farlo solo gli uomini, esattamente come mestruare possono farlo solo le donne.

Ma non succede, perché?

c) Aspetto anche le “vagine-vulve da uomo”, equivalenti dei “peni da donna” e l’accusa di bigottismo e fobia e discriminazione al maschio gay che non voglia andare a letto con il “maschio che ha la vagina” perché semplicemente preferisce altro.

d) Con questo pezzo – davvero troppo lungo – mi prendo un intervallo. Au revoir.

Maria G. Di Rienzo

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8 giugno 2020, da La Repubblica:

“Il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano decide di non partecipare a un confronto organizzato con sindaci ed esperti per discutere della ripartenza dopo la pandemia. Tavolo di lavoro virtuale al quale sono stati invitati a partecipare solo uomini. (…) “Me ne accorgo solo ora – scrive il ministro su Twitter postando la foto con l’elenco dei partecipanti tutto al maschile – è l’immagine non di uno squilibrio, ma di una rimozione di genere. Mi scuso con organizzatori e partecipanti, ma la parità di genere va praticata anche così: chiedo di togliere il mio nome alla lunga lista. Spero in un prossimo confronto. Non dimezzato, però.” (…) Il convegno è organizzato dall’Associazione Mecenate 90 che dal 1989 svolge attività di consulenza e di assistenza tecnica verso la Pubblica amministrazione nei settori della valorizzazione e gestione dei beni culturali, della promozione culturale, dello sviluppo locale, della pianificazione strategica.”

Non divento una fan dell’esecutivo in carica per questa notizia, ma quando qualcuno al governo fa cose giuste non ho alcuna difficoltà a riconoscerle: perciò, grazie al ministro Provenzano per non aver chiuso gli occhi. Immaginate, tra l’altro, il tipo di reazioni idiote del commentatore medio italico alla vicenda, oppure le avete lette / sentite, quindi mi astengo dal riportarle qui.

Si potrebbe definire quantomeno curioso l’atteggiamento di un’associazione che da 31 anni istruisce su cultura, sviluppo e pianificazione senza avvertire il bisogno di coinvolgere l’altra metà della popolazione, la quale poi dovrà comunque avere a che fare con le politiche o strategie suggerite e adottate. Da trainer l’ho già detto e lo ripeto: se i portatori di interesse primario (stakeholders) non sono coinvolti, qualsiasi iniziativa è compromessa in partenza – è proprio l’ABC, gentili “mecenati”.

Tuttavia, per quel che riguarda la presenza femminile e la qualità di tale presenza, non è difficile riconoscere che l’atteggiamento dei consulenti e assistenti tecnici di “Mecenate 90” è largamente condiviso nella società di cui fanno parte. Basta dare un’occhiata, per esempio, allo spazio D (Donna) proprio de La Repubblica; direttore e redazione devono essere convinti che alle donne tutta ‘sta roba di pubblica amministrazione e politica non interessa, perché secondo loro le nostre priorità sono queste:

Stefano Accorsi diventa papà per la quarta volta, Bianca Vitali è incinta. La foto su Instagram

Meghan Markle indossa il rossetto nude: e scoppia la tendenza

La modella Vittoria Ceretti compie 22 anni e… si sposa in segreto con il dj Matteo Milleri

Christian Louboutin lancia i rossetti, sensuali come le sue scarpe

8 cose che non bisogna avere in comune con il partner affinché la coppia funzioni

Dico: perché mai io donna dovrei avere interessi e opinioni sullo sviluppo locale o sui beni culturali, quando la mia vita è composta da gravidanza, nudità, nozze, trucco, sensualità e psicologia d’accatto?

Maria G. Di Rienzo

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La pubertà arriva un anno prima, sotto accusa obesità e inquinamento.

Iraq: catturati 8 membri dell’Isis. Hanno tentato di scappare ma erano obesi e lenti.

Roma: la sindaca Raggi inaugura il monumento al Body Mass Index.

Renzi: ‘La messa fuorilegge dell’adipe è vicenda da affrontare subito’.

Borsa: Europa in forte rialzo, Francoforte +2%: ha oltrepassato il peso forma.

Tutti fuori, da Nord a Sud. Lamorgese ai giovani: ‘State attenti alle calorie’.

Il Senato respinge le mozioni di sfiducia su Bonafede. Il ministro soddisfatto: ‘Ora al lavoro per finanziare i centri dimagrimento’.

Bagarre alla Camera, M5S attacca la sanità lombarda: alcuni pazienti Covid erano grassi, perché sono stati curati?

Pronto a Milano il treno per trasportare gli obesi a Treblinka.

holocaust train

Zingaretti: “La liposuzione diventi moda dell’estate”.

Folla di ciccioni fuori da un locale a Firenze: avvisati dalla polizia di stare fuori dalla vista delle persone belle e normali.

Proteste per gli ombrelloni più larghi in spiaggia: volete metterci sotto degli obesi.

Solo una di queste frasi non l’ho manipolata io dai titoli della stampa nostrana. La prima. E’ falsa (non scientifica) come tutte le altre – le quali però, se ignoranti e profittatori di ogni tipo insistono, potrebbero magari diventare vere nel prossimo futuro. Quale simbolo ci faranno cucire sui vestiti, una bilancia o un mottarello? (Naaah, tanto i trasgressori si vedono a occhio: eh, che ridere!)

Maria G. Di Rienzo

P.S. Il titolo descrive quella che è ormai la mia “emozione” principale nel leggere i giornali ogni mattina.

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fabbri editore

(immagine da Rising Feminism)

Dunque, questo è un testo per le scuole elementari, ed. Fabbri, anno corrente.

Lucia è troppo grassa per indossare una minigonna”.

Rossella è così bella da sembrare un angelo, mentre sua sorella è talmente brutta che nessun ragazzo la degna di uno sguardo”.

L’upgrade per le medie potrebbe essere così:

“Alle donne piace:

– fare i lavori di casa;

– ricevere fischi e palpate per strada;

– depilarsi, truccarsi e stare a dieta;

– essere stuprate.

(Esercizio trabocchetto, perché tutte le risposte sono giuste!)”

Alle superiori potremmo magari entrare più nei dettagli:

Presente:

“Nadia non riesce ad avere un ragazzo perché non è abbastanza coraggiosa e liberata e ironica per mandargli le foto di nudo che lui richiede;

Irene non ha amici perché non si veste bene e non va in discoteca;

Marta ha 14 anni ed è ancora vergine!”

Presente e futuro:

“Elena va male a scuola: ma tanto la scuola a cosa le serve, è una femmina e per quanto studi non capirà mai nulla!

Marta ha 15 anni, è ancora vergine e se continua a non lavorare sulla propria bellezza lo sarà per sempre.”

Passato:

“Marta aveva 16 anni ed era una schifosa lesbica, ma dopo uno stupro di gruppo correttivo imparò ad apprezzare gli uomini e qual era il suo posto nel mondo.”

Ehi, Ministra Azzolina, se il trend è questo le dobbiamo proprio riaprire le scuole? Chiedo per circa trenta milioni di amiche, la metà della popolazione italiana, fra cui Marta e la sua ragazza che mi incaricano di mandarla a quel paese (ambasciator non porta pena).

Maria G. Di Rienzo

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my body my rules

(Il MIO corpo, le MIE regole)

Non sarò breve: per cui mettetevi comode/i oppure passate ad altro. Ieri l’HuffPost pubblica in una delle sue rubriche una lettera a cui dà il titolo “Il dovere della bellezza”. La scrive, secondo la sua stessa presentazione, “Marta Benvenuto, 35 anni, 110 e lode in Filosofia, senior digital marketing analyst”. Alcuni brani del testo (le sottolineature sono mie):

“Il 25 aprile la gente cantava dai balconi ‘Bella ciao’. Nei 200 metri concessi allora per una passeggiata sono passata sotto un balcone dal quale un ragazzo cantava ‘Bella ciao’. Complice il 25 Aprile l’ho guardato e gli ho rivolto un ampio cenno di saluto. Poi ho visto un gatto dietro a un cancello e sono andata lì. Intanto continuava a suonare ‘Bella ciao’. Guardavo il terrazzo, c’era il ragazzo, una ragazza, una birra. Ero felice.

E mentre il partigiano moriva cento e cento volte per la libertà il ragazzo ha gridato dal terrazzo: ‘Ehi culona! Puttanona! Tu col gatto guarda che culone da puttanone!’. Io non ho detto niente. I 200 metri che mi erano sembrati così pochi sono diventati infiniti. Improvvisamente non c’è stato altro da sapere di me, non è rimasto altro di me, solo il mio culo grasso. Mi sono arrabbiata per non aver risposto.

Perché noi abbiamo il dovere d’essere belle. Prima d’essere brave o buone. E poi, quando siamo belle, d’essere puttane o frigide. E quando siamo bionde stupide. E quando siamo stupide almeno educate. E quando siamo ricche d’essere passate sotto qualche tavolo, quando siamo giovani di ascoltare e quando siamo vecchie di scomparire. E quando non vogliamo compagni d’essere lesbiche, e quando siamo lesbiche d’esserlo sotto i vostri occhi di maschi, solo per il vostro piacere, mai per il nostro.

E quando vogliamo godere il dovere di fare figli, quando li facciamo il dovere di non pesare sul nostro padrone e capo. Di rientrare in un cassetto costruito da un uomo per noi. Un cassetto di soli doveri. Che a un uomo non sono richiesti, mentre può essere brutto, stupido, ricco, scapolo, vecchio, sterile e tante altre cose per le quali non esiste nemmeno un corrispettivo declinato al maschile. Questi stessi uomini hanno il potere di giudicarci e noi, il dovere di tacere.

Noi dobbiamo vergognarci anche della vostra stupidità. Voi dovete solo vivere, senza nemmeno la decenza di lasciare in pace i partigiani morti, fascisti che non siete altro, fascisti dentro, che non vi meritate ‘Bella ciao’. Me la merito io, io che posso fare qualunque cosa, anche ingrassare, se mi va.”

I commenti (di molti uomini) sono impagabili: ha generalizzato, le persone così sono una minoranza malata di mente e bisogna solo compatirli, con gli stupidi è meglio tacere, adesso mi vergogno di essere un uomo ma non capisco perché Gesù non ha voluto la parità di genere fra gli apostoli (dopo questa stronzata si sente un genio, capite), non scambiamo l’ironia (???) per il mondo reale. Ovviamente, Marta: sono tutti fuori bersaglio. Lei ha ricevuto l’aggressione, ha dettagliato la mera realtà delle vite delle donne – e le vittime sono loro. Se mi permette, un po’ distante dal fare centro è anche lei quando si premura di far notare “Mi alleno molto, pochi uomini riescono a starmi dietro”. E’ una sua scelta e spero che si diverta nel farlo, ma a chi legge appare come una giustificazione: guardate che sono già una di quelle a posto, perciò non venite a consigliarmi nutrizionisti e palestre.

Comunque, la lettera mi serve qui come incipit e ne ringrazio l’Autrice. Quel di cui voglio parlarvi è il culo grasso. Proprio.

Il dovere di essere “belle” e “in forma” – ove la bellezza e la forma sono costrutti ideali che trovano validazione solo nello sguardo maschile – si nutre del fanatismo che circonda il peso corporeo, soprattutto il peso delle donne, alcune delle quali non hanno atteggiamenti così diversi da quelli dei farabutti che si sentono autorizzati a insultare sconosciute dai balconi con tutto lo spettro delle prescrizioni patriarcali a sostenerli: pensano di essersi guadagnate la bellezza/magrezza con il duro lavoro, la palestra, il centro benessere, l’estetista e la parrucchiera e il trucco copiato dall’influencer di turno, contando le calorie e piangendo davanti allo specchio… perché diavolo voi dovreste spassarvela quando loro soffrono ogni giorno per somigliare a x o y? E’ solo giusto, solo normale che dobbiate tollerare il loro odio insensato. In più, quando maschi (in stragrande maggioranza) e femmine vomitano la loro schifosa cascata di offese e ingiurie hanno il coraggio di tirare in ballo la vostra salute, di cui non sanno un piffero ma su cui possono ripetere a oltranza tutte le minchiate che hanno letto e sentito in giro. Perché la guerra al culo grasso è fatta di propaganda.

In caso non sia chiaro: si spremono miliardi dalla truffa del “grasso mortale” e dell’ “epidemia di obesità” (che non esiste). La cultura della dieta è una truffa, tanto più che sempre più studi stanno dimostrando che la perdita di peso non migliora i biomarcatori della salute. Sin dal 2002, ricerca dopo ricerca, salta fuori questo: le persone grasse con problemi cardiaci o renali, diabete, polmonite e varie malattie croniche se la cavano meglio e vivono più a lungo di quelle con le stesse patologie e peso cosiddetto “normale”. Certo, a meno che a forza di sentirsi urlare che sono schifose e rivoltanti si buttino sotto un treno, o si sottopongano a interventi chirurgici che le uccideranno più alla svelta.

Ma che dico mai, questo o quella non sono dimagriti con la dieta? Sì, e le probabilità che hanno di mantenere la perdita di peso per cinque anni o più sono le stesse del sopravvivere alla metastasi del cancro al polmone: 5 per cento. Auguri.

Non sono notizione che vi dò io tirandole giù dal cielo assieme alla Luna. I medici, persino quelli che vogliono far finta di niente, le conoscono. Sanno che affamarsi, perdere peso, riguadagnare peso e rimettersi a dieta sono azioni causa di malattie cardiache, resistenza all’insulina, alta pressione sanguigna e aumento di peso a lungo termine. Sanno che la mortalità più bassa si registra in individui classificati “sovrappeso” o “leggermente obesi” dal Body Mass Index.

Nella realtà, non nei sogni dei nutrizionisti da palcoscenico o da social media, il 97% delle persone dimagrite riguadagna il peso perso e ne aggiunge un po’ entro tre anni. Se il dietologo di grido vi sbandiera le sue “ricerche” lasciate pur perdere i parametri scientifici di controllo (è raro che li abbiano) e chiedetegli solo di dimostrare che esse hanno seguito le persone oltre lo spartiacque dei tre anni: se la risposta è no mandatelo a zappare, affinché faccia meno danni.

Il giudizio sul culo grasso è morale, non clinico. E trattare il dimagrimento come imperativo morale sostiene la violenza sistemica contro le persone grasse, in tutte le sue forme.

“La chirurgia bariatrica è una barbarie, ma è il meglio che abbiamo.” ha dichiarato David B. Allison, docente universitario di biostatistica. Il meglio che abbiamo ha come effetti malnutrizione, blocchi intestinali, disordini alimentari, infezioni e morte. Non male. Storicamente, prima di amputare o legare lo stomaco agli schifosi pigri che si ingozzano da mane a sera (nell’abominevole immaginario creato ad arte) la “medicina” ha prescritto loro altre “cure”: il lockdown meccanico delle mascelle, per esempio. Se queste merde persone non possono aprire bocca mica possono schiaffarci dentro la fetta di tiramisù, giusto? E che dire delle operazioni chirurgiche al cervello per infliggere salutari lesioni all’ipotalamo? Perché ai “ciccioni” è stato fatto anche questo.

Poi c’è chi dirà di essere in grado di provare che i medicinali per la perdita di peso sono sicuri ed efficaci. Il fen-phen? Buonissimo! Ha danneggiato irreparabilmente le valvole cardiache solo a un terzo delle persone che l’hanno preso. L’orlistat? Una figata! Rovina il fegato e dona il brivido di incontrollabili evacuazioni a tutti. Sibutramine, dite? Splendido! E’ solo che non si fa in tempo a dimagrire per bene, perché si schiatta prima di infarto.

Nessuno riesce a collegare scientificamente la perdita di peso all’acquisto di “miglior salute”. Il meccanismo causa-effetto semplicemente non c’è. L’unico studio che in materia ha seguito i propri soggetti per più di cinque anni (Look AHEAD, 2013) ha per esempio constatato che i diabetici (tipo 2) che avevano perso peso avevano sofferto degli stessi problemi di salute di quelli che non lo avevano perso. Lo dicono gli esperti, quelli veri, quelli che hanno speso tempo e risorse a indagare in modo scientifico e che non si aspettavano proprio risultati di questo genere ma una volta che li hanno ottenuti hanno avuto l’onestà intellettuale di ammetterli. Io non sono un’esperta, ma sono stata costretta ad assumere un notevole ammontare di informazioni – e a confrontarle e verificarle – da due fattori: 1) mia madre era diabetica e io l’ho accompagnata ai controlli mensili all’ospedale per più di 15 anni, sciroppandomi vasta letteratura medica in merito; 2) non sopporto la superficialità e la disinformazione che nutrono scherno e aggressioni a varie tipologie di persone, quelle grasse comprese. Perciò continuo a informarmi, sempre.

Ma l’American Medical Associaton ha detto che l’obesità è una malattia!

Sì, del tutto arbitrariamente, in modo non scientifico e contro il parere del suo Comitato su Scienza e Salute Pubblica. Girano un sacco di soldi e di conflitti di interessi in loco, l’ho dettagliato altre volte (consulenze, proprietà di azioni nell’industria dietetica, mazzette vere e proprie, ecc.), ma la cosa bella – si fa per dire – è che persino i semplici umili dottori di famiglia americani che diagnosticano questa malattia ai loro pazienti possono guadagnare qualcosa, aggiungendo il codice di tale diagnosi alla loro parcella e caricandola. Il dio $$$ è con loro.

Poiché siamo umani, persino noi non conformi, nei primi tempi della pandemia abbiamo sperato che messi di fronte a una vera emergenza sanitaria i “grassofobi” avrebbero cominciato a riflettere sulle loro ossessioni e magari a studiare. Poiché siamo umani, questa speranza spirata sul nascere alza un poco la testa ad ogni nuovo conto dei morti da coronavirus (31.610 ieri in Italia) e poi ricade miseramente fra i meme di “prima e dopo” la quarantena sull’orrore del prendere peso, fra i consigli illuminati (dal faro dell’ignoranza) di youtuber e influencer e fankazzistas e laureati su wikipedia o direttamente on the road perché fanno la corsetta tutti i giorni, fra le diete proposte da celebrità milionarie che, con lo sfondo delle loro lussuose magioni, ci mettono in guardia: attenzione, potreste mangiare di più per lo stress e il costumino di quando avevate 13 anni non andarvi più bene!

Il tutto mentre la gente comune soffre per l’isolamento, per la perdita di lavoro e di reddito, per il timore del contagio, per il parente morto o in terapia intensiva. E questi gli dicono di concentrarsi sul girovita. Dare alla faccenda l’aggettivo abominevole non rende appieno il disgusto che provo.

Bisogna dire, però, che c’è chi gli fornisce il retroscena adatto: i sedicenti professionisti che ignorano a bella posta le ricerche sul peso e le loro implicazioni. Con il coronavirus hanno fatto di peggio, rendendo il peso una caratteristica ancora più patologica. Il BMI è stato scorrettamente indicato come fattore di rischio sia per l’essere infettati sia per il soffrire di sintomi più gravi e il peso viene usato come fattore squalificante quando le risorse sono scarse (i ventilatori sono pochi? Be’, togliamone uno alla cicciona e uno al vecchio inutile). Mi ripeto, ma anche qui il meccanismo causa-effetto è inesistente: medici e scienziati con maggior deontologia professionale lo stanno facendo presente, dati e ricerche alla mano, ma l’artiglieria pesante in funzione 24 ore su 24 che urla “il grasso uccide!” impedisce di ascoltarli. E molti loro colleghi continueranno a prescrivere trattamenti che non funzionano per una condizione che non è una malattia. In due studi che ho letto (2003 e 2016) numerosi dottori definiscono i loro pazienti grassi “non adattati”, “eccessivamente autoindulgenti”, “disturbanti (alla vista)”, “brutti”. Si può star certi che, privi di pregiudizi come si dimostrano, avranno senz’altro a cuore la salute di queste persone e, fedeli al giuramento di Ippocrate, si impegneranno per fare diagnosi accurate. Forse no, facciamo qualche esempio internazionale:

– nel 2017 la studente Beth Dinsley ricevette valanghe di complimenti perché era dimagrita. Nel dicembre dello stesso anno, durante un controllo ospedaliero di routine, scoprì che continuava a perdere peso perché aveva un cancro alle ovaie;

– nel 2018, Rebecca Hiles raccontò in un’intervista che i medici avevano ripetutamente sottovalutato i suoi violenti attacchi di tosse e la difficoltà respiratoria come sintomi relativi al suo peso. Aveva un cancro al polmone. Il risultato del non essere stata presa sul serio perché non adattata e autoindulgente è stata l’asportazione dell’intero polmone sinistro. Se la prima volta in cui andò dal dottore, cinque anni prima, questo l’avesse vista come un essere umano il polmone poteva essere salvato;

– nel 2019 il medico di Jen Curran giudicò la presenza di proteine nella sua urina durante la gravidanza e dopo come un problema di peso. Se dimagriva sarebbe andato tutto a posto. Per fortuna costei cercò una seconda opinione: e seppe di avere un cancro al midollo osseo.

Se poi volete un po’ di vittime italiane, da quelle che si sono suicidate grazie al bullismo continuo diretto ai loro corpi, a quelle che sono state macellate e uccise dalla chirurgia bariatrica di cui sopra o dalla liposuzione non dovete far altro che frugare questo blog o usare google.

Secondo la dott. Emma Beckett, scienziata che lavora su cibo e nutrizione all’Università di Newcastle in Australia, “Noi non mangiamo per mantenere una taglia, ma per mantenere i nostri corpi in salute ora e nella vecchiaia. Entrare in un vestito più stretto vale l’avere ossa fragili o un cancro all’intestino più tardi? Mi piacerebbe se smettessimo di concentrarci sul peso e ci concentrassimo sul nutrimento e sulla gioia.” Sarebbe bello, in effetti.

Stamane i giornali riportano l’appello a favore degli anziani di intellettuali e politici italiani: “Non sono scarti”. La petizione intende chiedere “a tutti i governi dell’Unione una maggiore etica democratica che passi dal rispetto degli anziani e dal rifiuto di una “sanità selettiva” che privilegi la cura dei pazienti più giovani a scapito degli over 65″. I promotori e i firmatari giudicano – giustamente – ciò “umanamente e giuridicamente inaccettabile” e sentono la necessità “di un vero cambio di prospettiva e di un recupero dei valori morali, civili e deontologici delle nostre società”.

Okay. Neppure i “culi grassi” sono scarti. Non devono rispondere del reato di “non conformità”. Non stanno togliendo niente alle vite degli idioti che li insultano dai balconi, neppure e meno che mai in senso economico, giacché sono le galline dalle uova d’oro spremute dall’industria dietetica, farmaceutica e di medicina “estetica”. A quando un’iniziativa simile per costoro, intellettuali e politici di cui sopra?

Infine, una volta per tutte: gli esseri umani non sono giocattoli. Non vi piacciono le persone grosse? Sono stracazzi vostri e non siete autorizzati a rovesciare il vostro disprezzo da farabutti sulle loro facce o sui loro culi. Non siete autorizzati a spingerle verso la disistima, i disturbi alimentari, le conseguenze dei traumi relativi ai vostri assalti – suicidio compreso. A me, vedete, è quel che fate a non piacere.

Maria G. Di Rienzo

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Vorrei essere riuscita a trovare un eufemismo che convogliasse garbatamente, ma con la stessa esattezza, i miei – e non solo miei – sentimenti. Non ci sono riuscita. Perciò, in diretta dal mio quarto napoletano, ecco qua: avite scassato la uallera.

Parlo ai gestori dei media di questo paese. Analizzate la situazione:

– Ieri abbiamo contato 29.684 decessi, un numero destinato a salire e che io non sono più in grado di visualizzare mentalmente. Ero abituata a considerare “strage” un incidente stradale in cui morissero dieci persone, ora non ho neppure un nome da dare a quello che vedo.

– Le ricadute della pandemia in ambito relazionale, sociale, economico sono enormi.

– La politica non sta facendo una grande figura e troppi suoi esponenti sono concentrati esclusivamente sul ricavare consenso (e alcuni profitto) per se stessi.

– Non torneremo a vivere come vivevamo prima. Scordatevelo. La portata di questo shock e le norme comportamentali che dovremo seguire per lunghissimo tempo hanno già distrutto quel “prima” in modo definitivo.

– La nostra sopravvivenza, la ripartenza, la creazione di un assetto stabile per il nostro Paese (e per il mondo intero) dipenderanno da come sapremo visualizzare e realizzare uno scenario alternativo a quello che conoscevamo.

Quindi, spiegatemi la valanga di articoli, podcast, video ecc. su Ferragni e Fedez che fanno volontariato – per un giorno intero, un giorno, è roba da cavalierato della Repubblica!, sui personal trainer che “non si sentono tutelati” (nemmeno i/le loro clienti lo sono, visto che un bel numero di questi individui non ha fatto nessuno studio specifico sul corpo umano e spaccia stronzate), sulla “bellezza ai tempi del coronavirus”, sul futuro delle palestre e dei centri estetici.

Spiegatemi i cluster di pezzi in prima pagina sul dimagrimento della cantante Adele: sondaggi, speculazioni, approfondimenti, pareri degli psicologi… e ditemi la ragione per cui il tutto è classificato come “spazio donna”, cioè se pensate davvero che in questo preciso momento sia di decisiva importanza, per le donne italiane, sapere quanto pesa Adele.

Spiegatemi perché da un’intera settimana riempite spazi con le “opinioni” di cani e porci sull’aspetto di Giovanna Botteri, che non fa ne’ la modella ne’ la velina, ma la giornalista: una professione di cui avete dimenticato in pieno il significato.

Spiegatemi l’accorata preoccupazione per la sorte delle/degli influencer : “(…) gli influencer costretti in casa perdono appeal per le aziende, che non sono più disposte ad investire su di loro per dare visibilità ai propri prodotti. Succede così che quasi la metà delle società di marketing ha già speso (e a questo punto buttato) quasi il 20% del proprio budget in post degli influencer che, numeri alla mano, hanno mosso nel 2019 circa 6 miliardi e mezzo di dollari in pubblicità e che ora si ritrovano a bocca asciutta. Un solo post di un influencer sopra il milione di follower viene pagato dall’azienda che vuole sponsorizzare il proprio prodotto circa 10 mila dollari. Ma converrete che non si può pubblicizzare l’ultimo abito da sera di Valentino sdraiati sul divano di casa!” Capite? E noi insensibili che ci preoccupavamo della cassa integrazione e dell’affitto!

Spiegatemi questi titoli:

Manicure e make-up tra plexiglass e termometri: “Che emozione”.

Il trucco con la mascherina? Ispiratevi ad Audrey Hepburn.

Italiani ingrassati di due chili in quarantena, ora scatta la Fase 2: la dieta (li avete pesati uno a uno? A casa mia non è arrivato nessuno con la bilancia e vi assicuro che è meglio per lui/lei e per voi)

E tu di che mascherina sei? Frou frou, minimal o tecnologica?

Coronavirus e scuola, il grido della pornostar Priscilla Salerno: «Troppi rischi per i ragazzi» (per la serie “il parere dell’esperta”).

Elisabetta Franchi: “Nei miei 82 negozi ho mezzo milione di capi invenduti, non resta che rimboccarsi le maniche” (la mia angoscia per la proprietaria di 82 negozi non ha limiti, non è che una volta rimboccate le maniche finirà a raccogliere pomodori in Puglia agli ordini di un “caporale”, vero?).

Scendete dalla giostra, la musichetta è finita e i gettoni pure.

Maria G. Di Rienzo

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