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unfinished puzzle

1. DI COSA SI DISCUTE (tratto da: “What Is Autogynephilia? An Interview with Dr Ray Blanchard”, di Louise Perry, novembre 2019, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo):

Ray Blanchard è professore aggiunto di psichiatria all’Università di Toronto, specializzato nello studio della sessualità umana con particolare focus sull’orientamento sessuale, le parafilie e i disturbi relativi all’identità di genere. Fra gli anni ’80 e ’90 ha elaborato una teoria sulle cause della disforia di genere che classifica le donne transessuali (nati maschi che si identificano come donne) in due gruppi separati.

Il primo gruppo è composto da donne transessuali “androfiliache”, che sono attratte esclusivamente da uomini e hanno comportamento e apparenza marcatamente femminili sin da giovane età. Tipicamente, costoro iniziano il processo di transizione medico da maschi a femmine prima dei trent’anni.

Il secondo gruppo è motivato alla transizione come risultato di ciò che Blanchard chiama “autoginefilia”: un orientamento sessuale definito dall’eccitazione sessuale al pensiero di essere donna. Gli autoginefili sono tipicamente attratti da donne, anche se possono identificarsi come bisessuali o asessuali. E’ più probabile che attuino la transizione più tardi e che sino a quel punto siano stati convenzionalmente mascolini nella presentazione di se stessi.

Sebbene la tipologia di Blanchard sia sostenuta da un vasto numero di sessuologi e altri ricercatori, è rigettata in modo veemente da attivisti trans che negano l’esistenza dell’autoginefilia. La storica della medicina Alice Dreger, il cui libro del 2015 “Galileo’s Middle Finger” includeva il dar conto della controversia sull’autoginefilia, riassumeva il conflitto così:

“C’è una differenza cruciale fra l’autoginefilia e la maggior parte degli altri orientamenti sessuali: questi ultimi non sono eroticamente bloccati dal semplice avere un’etichetta. Quando dici al comune uomo gay che è omosessuale, non stai disturbando le sue speranze e i suoi desideri sessuali. Per contro l’autoginefilia si comprende forse meglio come “un amore che vorrebbe davvero tu non dicessi il suo nome”. Il massimo erotismo dell’autoginefilia sta nell’idea di diventare realmente una donna o di essere realmente una donna, non nell’essere un nato maschio che desidera essere una donna.”

Ray Blanchard (dall’intervista che segue la presentazione tradotta sopra):

“Paradossalmente, gli sforzi degli attivisti transessuali per sopprimere completamente ogni menzione dell’autoginefilia nel dibattito pubblico hanno avuto come risultato un’aumentata consapevolezza al riguardo. Penso che questo comportamento controproducente sia persistito perché l’idea dell’autoginefilia è troppo vicina alla verità. Se non avesse nessuna risonanza con loro l’avrebbero semplicemente ignorata e l’autoginefilia sarebbe diventata una delle ipotesi dimenticate, fra le tante, sui disturbi relativi all’identità di genere.

Attualmente, molte persone eterosessuali M-F (nella loro descrizione, donne transessuali lesbiche) presidiano militarmente e incessantemente i forum in cerca di ogni menzione dell’autoginefilia. Se un nuovo arrivato pensa che essa descriva la sua esperienza, gli viene immediatamente detto che il suo pensiero è sbagliato e che l’autoginefilia non esiste. (…)

So che è possibile discutere dell’autoginefilia in modi onesti e spassionati – o persino compassionevoli – perché l’ho visto accadere sul mio account Twitter. In alcune occasioni alcuni autoginefili (anonimi) hanno pubblicato serie organizzate e ben articolate di spiegazioni su come ci si sente ad essere eccitati sessualmente al pensiero o all’immagine di se stessi come donne, su come queste emozioni sessuali si colleghino all’emergere dell’avversione per i loro corpi maschili e al loro desiderio di avere un corpo femminile, sugli effetti deleteri dell’autoginefilia e della disforia di genere sulle loro relazioni personali e il loro umore e stato in generale. Questi spunti di discussione hanno sempre stimolato alcuni altri a scrivere messaggi in cui apprezzavano l’onestà e il coraggio, assieme a dichiarazioni di simpatia. Nessuno ha mai detto: “Adesso che conosco meglio la tua tipologia mi disgusti ancora di più”, sebbene gli utenti di Twitter non siano noti per autocontrollo o generosità. Non so se sia possibile discorrere della questione in arene più pubbliche, probabilmente non al momento a causa dell’attuale politicizzazione del termine autoginefilia.

Anne A. Lawrence, medico, che ha scritto la più esauriente monografia accademica sull’autoginefilia, “Men Trapped in Men’s Bodies”, transessuale M-F che si è sottoposta a transizione medico-chirurgica, era un autoginefilo lei stessa.”

2. CHI DISCUTE (tratto da: “Forced Teaming, Feminism, LGB and ‘Trans Rights’, di Dr. Em, 25 maggio 2020, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo):

Le femministe sostengono che il genere è un meccanismo di un sistema di oppressione, costituito da stereotipi sessisti costruiti ad arte e poi usati per sfruttare le donne: per esempio la nozione che poiché sei femmina vuoi naturalmente aver cura e pulire o quella per cui per natura il sesso femminile è sottomesso e gentile.

I diritti delle persone LGB si basano sull’idea che l’attrazione fra membri dello stesso sesso è reale e normale e ad essa dovrebbero essere garantiti gli stessi diritti e lo stesso rispetto di cui gode l’eterosessualità. Il transgenderismo / transessualismo, per contro, afferma che il genere – l’oppressione delle donne e gli stereotipi sessisti – sia innato, o qualcosa a cui conformarsi alterando il corpo a causa dell’opprimente sconforto dovuto a questo disturbo. La disforia di genere dichiara che è la persona a essere sbagliata, non il sessismo culturale, lo sfruttamento o l’oppressione. Il motto è: “Cambia la persona, non il sistema!”

Il transgenderismo / transessualismo ha cominciato a negare l’esistenza e l’importanza del sesso binario, il che nega a ruota la realtà dell’attrazione fra persone dello stesso sesso, manipolata come “attrazione per lo stesso genere”. Se le lesbiche possono avere peni, la sessualità diventa l’attrazione per gli stereotipi sessisti, per i manierismi e per le scelte di moda. (…)

L’oppressa non può costruire critiche e sfide quando l’oppressore siede alla stessa scrivania e guarda quel che fa da dietro la sua spalla. La presenza dell’oppressore, inoltre, eviscera gli argomenti rendendoli situazionali (basati su circostanze) anziché concreti: “Ma questo è carino”, “A volte le persone nascono sbagliate”, “Lui dice di essere una lesbica ma in realtà sa che non è così, tu sii gentile”. Ciò apre la porta alla trattativa sui diritti e sulle linee di confine delle donne e alla negoziazione sulla realtà stessa dell’attrazione fra persone dello sesso sesso.

La violazione del limite è la chiave. Essendo il primo limite la definizione della donna, poi della femmina, il successivo è la percezione di sé, poi sono violati spazi fisici e risorse.

De Becker (Gavin De Becker, autore di “The Gift of Fear”) dice che se qualcuno ignora la parola “no”, ciò è il segnale più significativo a livello universale del fatto che non ci si dovrebbe fidare di quella persona. I maschi hanno chiesto di continuo di essere inclusi nella definizione di “femmina” e di continuo non hanno ascoltato il “no” delle donne, hanno continuato a usare spazi per sole donne dopo i ripetuti “no” di diverse di noi. I maschi stanno dicendo alla comunità LGB che l’attrazione per lo stesso sesso è bigotta e stanno rifiutando di ascoltare il “no” che ricevono in risposta.

Ignorare un singolo “no” è un segnale d’allarme, ma ignorarne un mucchio è una sirena e l’idea che ci voglia di più di questi no per capire è manipolazione.

3. COME SI DISCUTE (tratto da: “Facebook Community Standards Allow The Promotion Of Violence Against Women”, di Roger Dubar, 28 maggio 2020, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo):

“Va perfettamente bene, secondo i Facebook Community Standards, pubblicare articoli sul prendere a pugni le donne. Prenderle a pugni sulla gola sembra essere particolarmente popolare.

Questa è una battuta, ovvio. Non puoi pubblicare sul prendere a pugni una donna qualsiasi o tutte le donne: devi assicurarti che il tuo post tratti dell’incoraggiare violenza verso donne che hanno opinioni sbagliate sull’ideologia di genere.

Molti anni fa, lavoravo nell’ambito del diritto di famiglia. C’era uno scherzo famoso fra gli avvocati che si occupavano di violenza domestica e faceva più o meno così:

“Cos’hanno in comune un migliaio di mogli pestate? Semplicemente non ascoltano.” Se lo scherzo vi sconvolge, sappiate che non dovrebbe. E’ la precisa giustificazione usata dagli uomini che picchiano le loro mogli e le loro compagne.

Su Facebook, tu puoi pubblicare sul prendere a pugni (o a pugni sulla gola) le donne finché ti pare. Devi solo chiamare prima queste donne “TERF”. Quest’ultimo era l’acronimo per “femminista radicale trans-escludente”, ma non si deve “escludere le persone transessuali” o essere una “femminista radicale” per diventare “TERF”. Tutto quello di cui si ha bisogno è avere un’opinione leggermente differente dalla persona che ti chiama “TERF”.

Pensi che dovrebbe esserci una discussione sull’accesso di maschi biologici che si identificano come donne agli sport femminili e alle prigioni femminili? Sei una TERF.

Pensi che le donne transessuali meritino amore e rispetto, ma che non in tutti i casi siano effettivamente di sesso femminile? Sei una TERF.

Pensi che chiunque dovrebbe poter indossare quel che vuole ed esprimersi come vuole, ma che nessuno dovrebbe essere forzato a pensare o a fingere di aver davvero cambiato sesso? Sei una TERF.

E sei una persona transessuale come Debbie Hayton, frustrata dall’attivismo trans intollerante e iperbolico? Non sei meglio di una collaborazionista nazista.

E promuovere odio e violenza contro le TERF è ok. Dicono così i Facebook Community Standards.

Ma un momento, direte voi: Facebook non permette la promozione della violenza contro le donne in sé – è solo per le donne che hanno opinioni sbagliate.

Queste donne se la sono voluta. Come sempre, semplicemente non ascoltano.

Io venivo regolarmente bullizzato perché giudicato “non conforme” in materia di genere mentre crescevo. Ora, tuttavia, gli stessi bulli che mi dicevano che non ero abbastanza maschio, o che sembravo una femmina, stanno dicendo alle donne che meritano violenza se dicono che il sesso biologico è reale o che gli uomini non dovrebbero identificarsi come donne negli spazi delle donne.

Non penso che Facebook, la corporazione multimiliardaria fondata da Mark Zuckerberg, creda vada bene promuovere violenza contro le donne che non si adeguano: penso che i diritti delle donne non significhino molto per la maggioranza delle persone. Penso che, proprio come diceva sempre mia madre, le donne siano invisibili.

Ad ogni modo, i Facebook Community Standards permettono comunque la promozione della violenza contro le donne non accondiscendenti.”

4. DI COSA NON SI DISCUTE:

18 maggio 2020 – Londra, Regno Unito:

Il Ministero della Giustizia britannico ha rivelato che prigionieri maschi che si identificano come donne sono responsabili di una quota di aggressioni sessuali esponenzialmente più alta della loro proporzione nella popolazione delle carceri femminili. Il Ministero ha riconosciuto che, nel mentre la percentuale dei detenuti maschi che si identificano come transgender ammonta all’1% delle 3.600 persone detenute nelle carceri femminili, essi hanno commesso il 5,6% degli assalti sessuali denunciati. Le donne stuprate da questi individui sono a rischio di gravidanza, di malattie sessualmente trasmissibili e lesioni ai genitali e possono essere di nuovo traumatizzate se erano state vittime di precedenti abusi.

19 maggio 2020 – Bridgend, Galles, Regno Unito:

Un venticinquenne condannato per violenze sessuali, che si identifica come donna, è stato di recente di nuovo incarcerato per aver infranto due volte l’ordine di restrizione relativo agli assalti sessuali, cosa che ha ammesso.

Leah Harvey, in precedenza noto come Joshua, era finito in galera nel 2018 per aver incitato una bambina a compiere atti sessuali dopo averle inviato foto e video pornografici di se stesso. (Uso il maschile perché il corpo con cui ha fatto questo lo è) Dopo due sole settimane dal rilascio, nell’ottobre dello scorso anno, ha molestato due ragazzini di fronte ad agenti di polizia, vantandosi con loro di essere pedofilo. Successivamente, in novembre, è andato a molestare due ragazze adolescenti che lavorano alla cassa di un negozio di cibo da asporto. Quando la prima ragazzina lo ha ignorato, il sedicente pedofilo le ha gettato addosso del cibo; quando sempre costei gli ha detto di non toccarla, ha tentato di infilarsi dietro al bancone dicendo di avere “una sorpresa per lei”. Mandato via, è tornato tre giorni dopo, ha trovato un’altra adolescente alla cassa, le ha chiesto il nome e poi l’ha chiamata a voce alta 15 volte, le ha domandato se era abbastanza grande per avere una relazione sessuale e si è offerto di portarla fuori.

2 giugno 2020 – Manukau City, Auckland, Nuova Zelanda:

Il 47enne Kylie So, che si identifica come donna, è stato posto in carcere con l’accusa di aver ucciso un 71enne, Robert Dickie, in casa del quale si era trasferito. Dopo quattro giorni di coabitazione l’anziano è scomparso e sebbene il corpo non sia ancora stato ritrovato, le analisi della polizia scientifica nella sua casa hanno rilevato “un’ingente quantità di sangue versato”.

Inizialmente, l’accusato era stato incarcerato in una prigione maschile e non aveva eccepito al proposito (come la legge neozelandese gli permette di fare), ma convinto da zelanti attivisti transgender ha poi cambiato idea ed è stato trasferito nella prigione femminile a Wiri.

Attualmente ci sono 33 persone che come lui si identificano donne nelle carceri neozelandesi, 18 delle quali sono dentro per crimini violenti, inclusa l’aggressione sessuale. Dal gennaio 2017, sei assalti sessuali sono stati perpetrati da individui che dicono di essere donne transessuali contro donne prigioniere.

5 giugno 2020 – Melbourne, Victoria, Australia:

Al momento dell’arresto per stalking a danno di una donna, l’ex giocatore di football australiano Dean Laidley, 53enne, indossava un abito e biancheria femminili, trucco, una parrucca bionda e 0,43 grammi di metamfetamina nel reggiseno. L’arresto è avvenuto in flagrante: Laidley si trovava fuori dalla porta di casa della sua vittima. A costei ha mandato oltre 100 messaggi di minacce usando telefono e e-mail, l’ha fotografata per ogni dove, ha richiesto i video delle telecamere di sorveglianza che la riguardano al complesso residenziale, perché la ritiene una troia e una puttana.

Secondo il suo avvocato bisogna compatirlo, perché soffre di disforia di genere. Tra l’altro, quando ha cominciato a perseguitare la donna era fuori dal carcere su cauzione – e al carcere era stato condannato per violenza domestica.

7 giugno – Khon Kaen, Thailandia:

La polizia sta chiedendo aiuto all’opinione pubblica per rintracciare il 28enne Thanphicha Rodnongkheng, che si identifica come donna e che è sospettato dell’omicidio del suo compagno convivente. La vittima è il 27enne Manop Amthao, il cui cadavere è stato ritrovato – con due ferite mortali da coltello al petto – nella casa in affitto in cui i due vivevano. L’arma del delitto è stata abbandonata nel lavandino della cucina. Una videocamera ha registrato Rodnongkheng il giorno precedente il ritrovamento, mentre si allontana dall’area con una borsa a tracolla e due borse di plastica a mano.

7 giugno 2020 – Brisbane, Queensland, Australia:

Uno stupratore recidivo di bambini, 34enne, è stato rilasciato dalla prigione il 4 giugno scorso, dopo aver dichiarato che gli ormoni che ha cominciato ad assumere in carcere, per la transizione sessuale, hanno diminuito la sua possibilità di violare bambini in futuro.

Jeffrey Terrence Anderson è stato condannato nel 2008 per lo stupro di un dodicenne e di due bambini di sei anni a cui faceva da babysitter. In prigione il sig. Anderson ha cominciato a identificarsi come donna e ha mutato il suo nome in Rose. Tuttavia, le guardie carcerarie hanno continuato a trovare immagini di bambini e persino una storia da lui scritta in cui dettaglia la fantasia di stuprare un bambino di tre anni almeno sino al 2017. Adesso è libera, sottoposta a supervisione per dieci anni e ha la proibizione di incontrare minorenni. L’attrezzatura con cui stuprava, comunque, è ancora al suo posto.

PRECISAZIONI:

a) J.K. Rowlings non mi piace, ne’ come persona ne’ come scrittrice. Che siano le donne ad avere le mestruazioni, però, resta vero anche se lo dice lei.

b) Sono qui che aspetto la ripetizione ad libitum del mantra “Gli uomini transessuali sono uomini” e che qualcuno cominci a pretendere la dicitura “persone che donano sperma” al posto di “donatori”, anche se possono farlo solo gli uomini, esattamente come mestruare possono farlo solo le donne.

Ma non succede, perché?

c) Aspetto anche le “vagine-vulve da uomo”, equivalenti dei “peni da donna” e l’accusa di bigottismo e fobia e discriminazione al maschio gay che non voglia andare a letto con il “maschio che ha la vagina” perché semplicemente preferisce altro.

d) Con questo pezzo – davvero troppo lungo – mi prendo un intervallo. Au revoir.

Maria G. Di Rienzo

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(“Persefone in Inverno”, di Robin Hyde (1906 – 1939), pseudonimo di Iris Wilkinson, poeta e giornalista neozelandese, trad. Maria G. Di Rienzo.)

sleeping

Persefone d’inverno

giacque immobile, ne’ si diede pensiero

delle impetuose crescenti onde di fiori

che la sua gioventù inquieta aveva recato.

Intrappolata al di là del tocco di sofferenza o tristezza,

imprigionata fra alte mura di acquamarina,

lei si assopì… la regina di Plutone.

I conigli dai denti affilati scavarono verso il basso

per trovare la fanciulla giunchiglia

che avevano visto danzare nella loro città di collinette

con le braccia nude cariche di boccioli;

con occhi spaventati, i cercatori si arrampicarono

di nuovo a piluccare erba,

narrando di come l’Eburnea dormisse,

troppo ferma, troppo fredda per gli uomini.

Solo il serpente, il cui pensiero arriva gelido

da antichi occhi di gioiello,

in cerchi variegati di verde e oro

scivola attorno a lei come una cintura.

Solo il furtivo suono da corda di liuto

delle titubanti acque sotterranee,

solo le gocce d’acqua di un blu ghiacciato

sono segrete come le sue labbra.

solstice rocks

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“Sono cresciuta sotto la mia materna montagna ancestrale, Tararua, e ho passato gran parte dell’infanzia esplorando i nostri fiumi, le nostre spiagge e le nostre foreste. Mi è stato dato il nome Tui perché quando sono nata il “tui”, un uccello che pianta piccoli semi nella foresta, si stava estinguendo. Questo, io credo, non è stato solo un indicatore culturale rispetto al mio ambiente, ma mi ha messa sul sentiero del proteggere la Terra e del promuovere il vivere in armonia con essa.”

Tui Shortland

Tui Shortland (in immagine) vive a Aotearoa in Nuova Zelanda.

Fedele alla chiamata del suo nome, fa parte del Forum Indigeno sulla Biodiversità; è riconosciuta dalle Nazioni Unite come rappresentante regionale per il Pacifico su sviluppo eco-sostenibile e biodiversità, si concentra sull’uso tradizionale di quest’ultima come direttrice di varie associazioni indigene (fa ad esempio incontrare e lavorare insieme scienziati/e e popolazioni indigene usando la medicina tradizionale Maori e i valori culturali legati alla condivisione della conoscenza ambientale); è persino finita per un periodo in Thailandia, a sviluppare una mappa di lavoro per il popolo Karen, che ha descritto il loro territorio in base alle loro medicine e alle loro pratiche… dar conto di tutti i suoi impegni e successi diventerebbe probabilmente lungo come uno dei fiumi che Tui studia e ama, per cui riassumiamoli nelle sue stesse parole: “Organizzo comunità che comprendono portatori d’interesse primario e specialisti e che usano indicatori di politiche ambientali e conoscenza tradizionale per monitorare programmi.”

Come parte di questo sforzo, ha creato un database delle località sacre per la sua Tribù (Ngati Hine, Ngati Raukawa ki te tonga), assieme a protocolli comunitari bio-culturali che stabiliscono una cornice di autorità condivisa con i ricercatori che entrano nei territori della Tribù.

Tui ritiene il cambiamento climatico la questione maggiore che le comunità indigene si trovano a dover fronteggiare, assieme alle violazioni che l’industria estrattiva dei combustibili fossili ha inflitto alle terre e ai mezzi di sostentamento indigeni: “Una larga parte del lavoro si concentra sull’ampliare la visibilità delle istanze relative alle comunità indigene marginalizzate e nel promuovere i loro diritti e la loro sapienza tradizionale. – la quale, spiega l’attivista, non è assolutamente un blocco statico che si aspetta semplicemente di essere onorato – Le conoscenze tradizionali creano innovazioni, pratiche e soluzioni per la gestione del cambiamento climatico.”

Così, a somiglianza del volatile di cui porta il nome, Tui pianta i suoi semi e alza la sua voce: i tui sono uccelli canori dotati di due laringi e in grado di emettere suoni altamente diversificati e specifici (i Maori insegnavano loro a “parlare”, come noi facciamo con i pappagalli) – cantano anche di notte, specialmente se la Luna è piena.

Tui

Maria G. Di Rienzo

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jacinda

Jacinda Ardern, 37 anni – in immagine – è stata eletta capo di governo della Nuova Zelanda il 26 ottobre 2017. Fa parte del Partito Laburista (socialdemocratico) ed è la più giovane fra i Primi Ministri di tutto il mondo.

La scorsa settimana partecipava al summit per l’Asia Orientale in Vietnam. C’era anche il Presidente degli Usa Trump e sebbene i due si fossero già parlati al telefono quella era la prima volta in cui si incontravano. Così Jacinda ha riportato la scena ai giornali:

“Stavo aspettando di uscire per essere presentata al pranzo di gala del summit, dove tutti sfilavamo, e durante l’attesa Trump si è messo a scherzare con la persona che aveva vicino: gli ha battuto sulla spalla, ha puntato il dito verso di me e ha detto: “Questa signora ha causato un bel po’ di scombussolamento nel suo paese.”, riferendosi alle elezioni, e io ho risposto: “Be’, via, magari forse al 40%.” Allora lui ha ripetuto la frase e io ho detto ridendo: “La sa una cosa, nessuno è sceso nelle strade a protestare quando sono stata eletta io.”

Come ricorderete, le donne invece chiamarono alla mobilitazione (Women’s March) non appena Donald Trump fu eletto e non marciarono solo nelle strade statunitensi, perché la protesta si allargò all’intero pianeta. Per inciso, Jacinda Ardern stessa partecipò alla protesta, nella città neozelandese di Auckland.

Maria G. Di Rienzo

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(tratto da: “Working in a New Zealand brothel was anything but ‘a job like any other’”, un più lungo articolo di Rae Story, 2 maggio 2016, trad. Maria G. Di Rienzo. Rae è stata una prostituta per più di dieci anni e in diversi paesi: in questo pezzo narra la sua esperienza in un bordello neozelandese. Ora è una scrittrice indipendente e vive in Gran Bretagna. Ha un diploma universitario in Cinematografia e si interessa, fra le altre cose, di film femministi. Il suo blog è

https://inpermanentopposition.wordpress.com/ )

rae story

Una delle prime donne prostituite che ho incontrato mi disse di controllare i peni dei clienti per vedere se avevano malattie veneree prima di accettare l’affare. A parte le ovvie piaghe da herpes, non ero esattamente sicura di cosa dovevo cercare. Ad ogni modo, il primo cliente che incontrai in un bordello di Auckland si adombrò all’idea. Io chiesi, timidamente, di esaminarlo e lui puntigliosamente mi assicurò che se continuavo in quella maniera avrebbe parlato alla direzione (in cui vantava amicizie) e mi avrebbe fatta licenziare. Non ancora diciannovenne e sopraffatta da quello strano mondo, non protestai.

Ho passato un’estate là, però l’immagine che ricordo della piccola città è arida e grigia. Forse perché l’ho vista per lo più alla fine del pomeriggio o alle prime luci del giorno, perché lavoravo dalle 6 del mattino alle 6 di sera. Il resto del giorno lo passavo dentro e fuori una sonnolenza insensibile, sempre tentando di scendere dal picco di qualcosa: iperattività, adrenalina, ansia…

Alcuni anni più tardi, la Nuova Zelanda cambiò le leggi sulla prostituzione e la decriminalizzò completamente: prima del 2003 invitare alla prostituzione, dirigere un bordello e vivere dei guadagni fatti sulla prostituzione era illegale. Non solo le prostitute, che vivevano in case comuni per la loro sicurezza, ma i grandi bordelli di “marca”, come uno di quelli in cui lavoravo io, furono decriminalizzati, bordelli che riversavano denaro negli interiori per grandi scalinate e suite di finto-marmo con jacuzzi.

Era un’estetica che si adattava al proprietario, il quale aveva un’aria sdegnosa e auto sportive nere, comprate con le alte commissioni che collezionava dalle dozzine di prostitute che lavoravano sotto il suo tetto. In qualche occasione bighellonava attorno al bar del bordello, visibilmente per controllare che fossimo sedute bene e che interagissimo con gli uomini correttamente, ma anche per dimostrare la sua onnipresenza. Sembrava che quella fosse la sua sola attività, se si eccettua l’intervistare nuove prostitute per accertare che fossero sessualizzate al punto giusto per il suo piccolo regno.

Si preferiva che noi sedessimo sugli sgabelli al bar, con le gambe elegantemente incrociate, sorridendo in modo piacevole. Dovevamo presentare noi stesse ai clienti – che sciamavano confortevolmente nella relativa oscurità – senza sembrare dure o avere un’aria di sfida. Dovevamo apparire disponibili ma non troppo assertive. Naturale, era una rigidità che la direzione non riusciva sempre a imporre. Durante le 12 ore del nostro turno diventavamo apatiche e qualche volta ostili, oscillando fra alti e bassi causati da alcolici o da altri narcotici consumati clandestinamente. (…)

Facevamo soldi solo se interessavamo un compratore abbastanza affinché lui ci portasse di sopra. Nei primi giorni questo era facile, ma mentre il tempo passava la letargia derivata dal poco sonno e da uno stile di vita insano ha consumato me e molte altre al completo. Questo stile di vita era endemico e istituzionale: non potevamo riposare, mangiare cibi sani, fare pause e, dormendo durante il giorno, la maggior parte di noi ha perso il proprio naturale colorito.

Ingabbiate in una cultura di uso di sostanze e di abuso, non avevamo una vita sana. Inoltre la competizione (a volte fra cinquanta donne in una notte) era incredibilmente intensa. Poiché molti dei clienti del bordello erano fissi, più lavoravi là più era difficile attirare la loro volatile attenzione. Se le donne non coltivavano con successo i “regolari” (il che significava dar loro qualsiasi cosa volessero), non era sempre facile fare soldi a lungo termine. In effetti, l’idea che le prostitute si rotolino nel danaro è uno dei miti più persistenti dell’industria. I clienti vogliono le ragazze più nuove, le ragazze più giovani.

Quando un cliente mostrava interesse per me andavo con lui, traballando sui tacchi, al bancone centrale, dove lui avrebbe pagato la sua quota alla receptionist prima di portarmi al piano di sopra. Era un sistema furbo di maneggiare la cosa: avere il controllo sui soldi significava che tu non potevi semplicemente andartene prima della fine del tuo turno. Persino le donne che volevano vedere un numero minimo di uomini, erano più o meno costrette a restare sino alle 6 del mattino per essere pagate. Ho scoperto più tardi che noi eravamo definite “contraenti indipendenti”, ma per il modo in cui il sistema era strutturato non sembrava proprio.

Dovevamo tenere accuratamente il conto di quel che guadagnavamo, altrimenti – altre donne mi dissero – i receptionist avrebbero tentato di tagliare le cifre. Spesso, tuttavia, ero così confusa dalla mia necessaria intossicazione che non ero del tutto sicura di quanti soldi mi spettavano e la maggior parte delle volte non mi mettevo a contare. E non ero la sola.

Le transazioni implicavano pure un mucchio di lavoro non pagato. Non era obbligatorio che ogni puttaniere portasse una donna di sopra, perché spendevano soldi anche al bar, dove le bevande avevano un prezzo più alto degli altri locali, dovuto al fatto che erano servite con un contorno di giovani donne svestite. A noi non toccava alcuna percentuale di questi guadagni, ovviamente.

Non c’era, intenzionalmente, alcun salotto o stanza dove noi potessimo fare una pausa – la sala del trucco era organizzata in modo da rendere impossibile rilassarsi, con specchi di “bellezza” allineati strettamente come rebbi di forchetta. A volte mi rifugiavo in lavanderia, per togliermi la parrucca e far quattro chiacchiere con il tipo che maneggiava una pila infinita di bianche salviette macchiate, ma di solito riuscivo solo a respirare un attimo prima che un receptionist o il proprietario mi notassero, tramite i monitor della tv a circuito chiuso (le videocamere erano ovunque), e mi richiamasse indietro.

I miei ricordi dei clienti sono nebulosi. Rammento vagamente il tentare di non addormentarmi e lo sperare che le ore passassero in fretta, mentre uomini sudati andavano e venivano. Ma uno di loro lo ricordo bene. Il padrone voleva che noi lavorassimo la maggior parte delle notti e perciò la costante interferenza di uomini (spesso) rabbiosi ci lasciava piene di lividi e doloranti. Questo tipo in particolare aveva un grosso pene e gli piaceva infilzarlo dentro e fuori di me il più duramente e più velocemente possibile.

All’inizio, ho tentato di respirare profondamente e di rilassare i muscoli, ma il dolore era insopportabile. Ho cominciato ad aggrapparmi ai suoi fianchi per farlo rallentare, l’ho spinto indietro, ma lui prima si è spazientito e poi si è infuriato, e infine è andato a lamentarsi come se fosse vittima di un’enorme ingiustizia.

Quando sono tornata nel foyer, la receptionist mi ha presa da parte per informarmi del suo reclamo. Io ho esagerato la sua brutalità, sapendo che se avessi detto solo che ero troppo dolorante per continuare – un’esperienza molto banale e frequente del sesso prostituito – ciò non l’avrebbe soddisfatta. Lei strinse gli occhi con aria cinica, ma disse che me l’avrebbe lasciata passare, dato che era l’unica lamentela sollevata contro di me. Le donne dovevano imparare come uscire da queste situazioni da sole, imparare a sopportare i lividi, il disagio, la stanchezza, l’oggettivazione e le ore di lavoro non pagato e per cui non ricevevano neppure un grazie che svolgevano a beneficio del bordello.

Una cameriera può dover sorridere incessantemente, ma non deve essere malmenata o contusa. Un carpentiere o un muratore possono consumarsi le dita o farsi male alla schiena, ma non devono fingere di trovarlo piacevole. Non sono costretti a ignorare il dolore. Ma nella cultura del mondo come mega-bordello queste distinzioni sono crollate e queste rimostranze sono cancellate.

Le migliaia e migliaia di donne che oltrepassano le porte dei bordelli, come quello in cui ho lavorato io, sono disperse nell’etere, non stanno spalla a spalla nei picchetti con i puttanieri e i magnaccia a chiedere ulteriore legittimazione affinché questa gratificazione distruttiva sia considerata unicamente “un lavoro come un altro”.

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Il cambiamento deve cominciare nel cuore della casa, poi da là il cambiamento arriva alle famiglie, poi alle comunità, poi raggiunge il livello nazionale. Una volta che si sia fatto questo allora l’esplosione può diventare internazionale. Non puoi avere cambiamenti sino a che non cominci da te e ti guardi i piedi e vedi dove i tuoi piedi ti stanno portando.” Pauline Tangiora, leader spirituale Maori, ecologista, attivista pacifista e per i diritti delle donne e dei popoli indigeni.

pauline tangiora

Pauline, anziana della tribù Rongomaiwahine nell’isola del nord della Nuova Zelanda, ha otto figli e una valanga di nipotini ed è una giudice di pace dal 1988; è inoltre membro del Consiglio della Terra e della Lega Maori per il welfare delle donne, vice presidente della Lega internazionale delle donne per la pace e la libertà, eccetera eccetera.

Da oltre quarant’anni Pauline è presente nell’attivismo sociale: piena di energia e vitalità continua a organizzare campagne, a viaggiare per il mondo (di recente ha visitato Irlanda, Usa, Brasile e Germania) tenendo conferenze sull’ambiente, la salute e il benessere spirituale, le questioni indigene, la pace. Ha quest’idea, che tutte le cause per cui lotta si tengono insieme, sono correlate e un certo numero di metodi e soluzioni possono venire da un’area e trovare utilizzo in un’altra. E afferma di essere categoricamente ottimista.

Siamo responsabili per quel che lasciamo alle generazioni più giovani. Se continuiamo così il mondo sopravviverà, ma noi non sopravviveremo in esso. In molti luoghi le persone più giovani sono molto consapevoli e pronte per il cambiamento. Noi, la generazione più anziana, dobbiamo fornir loro guida, ma in definitiva dobbiamo permettere che vadano per la loro propria strada.”

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(tratto da: “Very inconvenient truths: sex buyers, sexual coercion, and prostitution-harm-denial”, un lungo, rigoroso e dettagliato saggio di Melissa Farley per Logos Journal, gennaio 2016, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo. Melissa Farley, psicologa clinica e ricercatrice è la direttrice esecutiva del Centro “Prostitution Research and Education” di San Francisco, Usa. L’anno scorso ha pubblicato la ricerca “Pornography, Prostitution, & Trafficking: Making the Connections”. Cioè, non è una che ha “parlato una volta con Sempronia che si prostituiva quattro decenni fa” o che cita il proprio cugino come fonte autorevole, è una che di prostituzione si occupa professionalmente e scientificamente da trent’anni e passa.)

Alcuni sfruttatori, alcuni compratori di sesso e alcuni governi hanno preso la decisione di ritenere ragionevole l’aspettarsi che determinate donne tollerino lo sfruttamento e l’assalto sessuale per sopravvivere. Queste donne più spesso che no sono povere e più spesso che no sono marginalizzate per motivi etnici o razziali. Gli uomini che le comprano hanno maggior potere sociale e maggiori risorse rispetto alle donne. Per esempio, un canadese turista della prostituzione ha detto delle donne thailandesi che si prostituiscono: “Queste ragazze devono pur mangiare, non è vero? Io sto mettendo il pane nel loro piatto. Sto dando un contributo. Morirebbero di fame se non facessero le puttane.”

Questo darwinismo autocelebratorio evita la questione: le donne hanno il diritto di vivere senza l’aggressione sessuale o lo sfruttamento sessuale della prostituzione, o questo diritto è riservato a coloro che godono di privilegi di sesso, razza o classe? “Ottieni quello per cui paghi senza il no. – ha spiegato un altro compratore di sesso – Le donne che non si prostituiscono hanno il diritto di dire no.” Noi abbiamo protezione legale dalle molestie sessuali e dallo sfruttamento sessuale. Ma tollerare abusi sessuali è la descrizione della prostituzione come lavoro.

Una delle bugie più grandi è che la maggior parte della prostituzione sia volontaria. Se non ci sono prove dell’uso della forza, l’esperienza della donna è archiviata come “volontaria” o “consensuale”. Un compratore di sesso ha detto: “Se non vedo una catena alla sua caviglia, presumo che lei abbia fatto la scelta di essere là.”

Il pagamento del puttaniere non cancella quel che sappiamo della violenza sessuale e dello stupro. Sia o no legale, la prostituzione è estremamente dannosa per le donne. Le prostitute hanno le più alte percentuali di stupro, aggressioni fisiche e omicidio di qualsiasi altro gruppo di donne mai studiato.

Secondo una ricerca olandese, il 60% delle donne che esercitano legalmente la prostituzione sono state fisicamente assalite, il 70% minacciate di aggressione fisica, il 40% ha fatto esperienza di violenza sessuale e un altro 40% è stato obbligato con la forza a prostituirsi legalmente.

Nell’ultimo decennio, dopo aver intervistato centinaia di compratori di sesso in cinque paesi (Usa, Gran Bretagna, India, Cambogia e Scozia), stiamo osservando più da vicino i comportamenti e le attitudini che alimentano la misoginia della prostituzione e abbiamo cominciato a capire alcune delle loro motivazioni. I comportamenti normativi dell’acquirente di sesso includono il rifiuto a vedere la propria partecipazione in attività dannose, come il disumanizzare una donna, l’umiliarla, l’aggredirla verbalmente e fisicamente e sessualmente, e il pagarla in danaro per farle compiere atti sessuali che altrimenti non compirebbe.

I compratori di sesso non riconoscono l’umanità delle donne che per il sesso usano. Una volta che una persona sia stata mutata in oggetto, lo sfruttamento e l’abuso sembrano pressoché ragionevoli. Nelle interviste tenute con i compratori di sesso in culture differenti, essi hanno fornito alcuni agghiaccianti esempi di mercificazione. La prostituzione era intesa come “affittare un organo per dieci minuti”. Un altro compratore di sesso statunitense ha affermato che “Stare con una prostituta è come bere una tazzina di caffè, quando hai finito la butti da parte”.

Avevo in mente una lista in termini di razza – ha detto un compratore di sesso inglese – Le ho provate tutte negli ultimi cinque anni, ma sono risultate essere tutte uguali.” In Cambogia, la prostituzione era intesa in questi termini: “Noi uomini siamo gli acquirenti, le prostitute sono le merci e il proprietario del bordello è il venditore.”

Una donna che si era prostituita a Vancouver per 19 anni ha spiegato la prostituzione negli stessi termini dei compratori di sesso: “Sono i tuoi proprietari per quella mezz’ora o quei venti minuti o quell’ora. Ti stanno comprando. Non hanno sentimenti nei tuoi confronti, tu non sei una persona, sei una cosa da usare.”

Usando la sua propria e speciale logica, il compratore di sesso calcola che in aggiunta all’acquistare accesso sessuale, il denaro gli compri il diritto di evitare di pensare all’impatto della prostituzione sulla donna che usa. La sua fantasia è la fidanzata senza-problemi che non gli fa richieste ma è disponibile a soddisfare i suoi bisogni sessuali. “E’ come affittare una fidanzata o una moglie. E puoi scegliere come da un catalogo.”, ha spiegato un compratore inglese di sesso. I compratori di sesso cercano l’apparenza di una relazione. Un certo numero di uomini hanno spiegato il loro desiderio di creare l’illusione, diretta ad altri uomini, di aver acquisito una donna attraente senza averla pagata. (…)

In Scozia, i ricercatori hanno scoperto che più spesso gli uomini comprano sesso, meno empatia provano per le donne che si prostituiscono: “Io non voglio sapere niente di lei. Non voglio che si metta a piangere o altre cose perché questo rovina l’idea, per me.” Gli uomini creano un’eccitante versione di ciò che la prostituta pensa e prova che ha scarse basi nella realtà. Andando contro tutta l’evidenza del buonsenso, la maggioranza dei puttanieri che abbiamo intervistato credeva che le prostitute fossero sessualmente soddisfatte dalle loro performance sessuali. La ricerca compiuta con le donne, d’altra parte, mostra che esse non sono eccitate dalla prostituzione e che, con il tempo, la prostituzione reca danni alla sessualità delle donne. (…)

L’opinione degli uomini favorevoli alla prostituzione è una dell’insieme di attitudini e pareri che incoraggiano e giustificano la violenza contro le donne.

Attitudini per chi si sente di avere il diritto all’accesso al sesso e all’aggressione sessuale e attitudini di superiorità rispetto alle donne sono connesse alle violenza maschile contro le donne. La ricerca mostra che i compratori di sesso tendono a preferire sesso impersonale, temono il rigetto delle donne, hanno un’ostile auto-identificazione mascolina e sono più inclini allo stupro dei non compratori, se possono farla franca. In Cile, Croazia, Messico e Ruanda, i compratori di sesso erano più inclini a stuprare degli altri uomini. Significativamente, gli uomini che avevano usato donne nella prostituzione avevano molte più probabilità di aver stuprato una donna rispetto agli uomini che non compravano sesso. In Scozia, abbiamo scoperto che più volte un puttaniere usa le donne nella prostituzione, più è probabile che abbia commesso atti sessuali coercitivi contro donne che non si prostituiscono. (…)

I compratori di sesso vedono, e allo stesso tempo rifiutano di vedere, la paura, il disgusto e la disperazione nelle donne che comprano. Se lei non corre fuori dalla stanza urlando “Aiuto, polizia!”, allora il compratore conclude che lei ha scelto la prostituzione. Sapere che le donne nella prostituzione sono state sfruttate, coartate, rispondono a un magnaccia o sono state trafficate non scoraggia i compratori di sesso. Metà di un gruppo di 103 compratori di sesso londinesi ha attestato di aver usato una prostituta di cui sapevano che era sotto il controllo di un magnaccia. Uno di loro ha spiegato: “E’ come se lui fosse il suo proprietario.” E un altro: “La ragazza viene istruita su quel che deve fare. Tu puoi rilassarti completamente, è il suo lavoro.” (…)

L’argomento che legalizzare la prostituzione la renderebbe “più sicura” è la razionalizzazione principale per legalizzare o decriminalizzare la prostituzione. Tuttavia, non ci sono prove per questo. Invece, ascoltiamo rivendicazioni egoistiche e asserzioni dalle forti parole ma senza dati empirici. Le conseguenze della prostituzione legale in Olanda e Germania hanno mostrato quanto male può andare: al 2016, l’80% della prostituzione olandese e tedesca è controllata da mafie criminali. Dopo la legalizzazione in Olanda, il crimine organizzato è andato fuori controllo e le donne nella prostituzione non sono state più al sicuro di quando la prostituzione era illegale. Dopo la legalizzazione nello stato di Victoria, Australia, i magnaccia hanno aperto 95 bordelli legali ma allo stesso tempo ne hanno aperti altri 400 di illegali. Invece di far diminuire i crimini violenti correlati, la legalizzazione della prostituzione è risultata come aumento del traffico di esseri umani (la ricerca ha interessato 150 paesi). Chiunque conosca la vita quotidiana di chi si prostituisce capisce che la sicurezza nella prostituzione è una chimera. I sostenitori della prostituzione legale lo capiscono, ma raramente lo ammettono.

Pure, prove alla mano, la “Sex Workers’ Education and Advocacy Taskforce in South Africa” ha distribuito una lista di suggerimenti per la sicurezza inclusa la raccomandazione, per la persona che si prostituisce, di calciare una scarpa sotto il letto mentre si spoglia e, nel recuperarla, di controllare se ci sono coltelli, manette o corda. Il volantino fa notare anche che sprimacciare il cuscino sul letto permetterebbe un’addizionale ricerca di armi. Un magnaccia olandese ha detto a un giornalista: “Non ci vogliono cuscini nella camere del bordello. Il cuscino è un’arma per l’assassinio.” Un’organizzazione di S. Francisco consiglia: “Fate attenzione alle uscite e impedite al vostro cliente di bloccare quelle uscite” e “Le scarpe dovrebbero togliersi e mettersi facilmente ed essere adatte alla corsa” e ancora “Evitate collane, sciarpe, borse la cui tracolla attraversa il collo e ogni altra cosa che possa accidentalmente o intenzionalmente essere stretta attorno alla vostra gola.”

Il gruppo “Australian Occupational and Safety Codes for prostitution” raccomanda un training per la negoziazione da parte di ostaggi, contraddicendo completamente la nozione di prostituzione come lavoro qualsiasi. Al pulsante d’allarme nei saloni per massaggi, nelle saune e nei bordelli non si può rispondere abbastanza velocemente per prevenire la violenza. I pulsanti d’allarme nei bordelli legali hanno tanto senso quanto ne avrebbero nelle case di donne che subiscono maltrattamenti. (…)

I compratori di sesso e i sostenitori del commercio di sesso possono riconoscere una frazione degli abusi e dello sfruttamento all’interno della prostituzione, ma li giustificano perché alle donne è permesso fare molti soldi. Una volta che siano pagate, sfruttamento abuso e stupro scompaiono. “Sono tutte sfruttate. – ha detto un puttaniere italiano – Tuttavia, hanno anche dei bei guadagni.” Un altro compratore di sesso ha descritto gli stupri subiti dalla donna da parte del suo magnaccia ma, ha aggiunto, “Succede una volta ogni tanto, non ogni settimana”. (…)

Magnaccia e trafficanti rappresentano la prostituzione falsamente come un lavoro facile, divertente e remunerativo per le donne. Alcuni assai noti sostenitori della prostituzione si presentano come “sex workers”, sebbene siano invece “manager” per donne nel commercio del sesso: certi sono magnaccia e certi sono stati arrestati per favoreggiamento della prostituzione, per aver aperto bordelli o trafficato esseri umani.

C’è un clamoroso conflitto di interessi quando individui che dirigono/posseggono/sfruttano stanno nella stessa organizzazione di chi è sotto il loro controllo. La falsa rappresentazione diventa ancora meno etica quando proprietari di bordelli e magnaccia nascondono le loro appartenenze, proclamando di rappresentare gli interessi delle prostitute. Nascondendosi dietro la bandiera del “sindacato”, i magnaccia si appellano alla simpatia della Sinistra. Tuttavia, gruppi come New Zealand Prostitutes Collective, the International Union of Sex Workers (GB), Red Thread (Olanda), Durbar Mahila Samanwaya Committee (India), Stella (Canada) e Sex Worker Organizing Project (USA) – mentre promuovono aggressivamente la prostituzione come lavoro non assomigliano affatto a sindacati dei lavoratori. Non offrono pensioni, sicurezza, riduzione d’orario, benefici per le disoccupate o servizi d’uscita dalla prostituzione (che il 90% delle prostitute affermano di volere). Invece, questi gruppi promuovono un libero mercato di esseri umani usati per il sesso.

Noi abbiamo individuato 12 persone (femmine e maschi) di 8 paesi diversi che si identificano pubblicamente come “sex workers” o sostenitori di chi lavora nel commercio di sesso, ma che hanno anche venduto altre persone o sono stati implicati nel commercio di sesso in vari modi specifici. Tutti costoro reclamano la decriminalizzazione dello sfruttamento della prostituzione. Molti sono stati arrestati per aver diretto bordelli e agenzie di escort, per aver trafficato persone, per aver promosso o favorito la prostituzione o per aver derivato i propri guadagni dalla prostituzione altrui, per esempio:

Norma Jean Almodovar, USA, International Sex Worker Foundation for Art, Culture, and Education, Call Off Your Old Tired Ethics (COYOTE): condannata per favoreggiamento della prostituzione.

Terri Jean Bedford, Canada, “sostenitrice delle sex workers” che descriveva se stessa pure come “sex worker”: condannata per aver diretto un bordello.

Claudia Brizuela, Argentina, Association of Women Prostitutes of Argentina, Latin American-Caribbean Female Sex Workers Network: arrestata con l’accusa di traffico di essere umani a scopo di sfruttamento sessuale. Entrambi i gruppi citati di cui fa parte erano finanziati da UNAIDS e facevano riferimento ad Amnesty International per avere sostegno.

Maxine Doogan, USA, Erotic Service Providers Union: arrestata per favoreggiamento della prostituzione e riciclaggio di denaro sporco. Ha ammesso il favoreggiamento ed è stata condannata.

Douglas Fox, Gran Bretagna, International Union of Sex Workers: arrestato per aver derivato i propri guadagni dallo sfruttamento della prostituzione, consigliere di Amnesty International, co-dirige un’agenzia di escort.

Eliana Gil, Messico, Global Network of Sex Work Projects, Latin American-Caribbean Female Sex Workers Network: condannata per traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale. Era la magnaccia, assieme al figlio, di circa 200 donne a Città del Messico. L’associazione Latin American-Caribbean Female Sex Workers Network era affiliata al programma delle NU sull’Hiv/Aids, affiliata all’Organizzazione Mondiale per la Sanità e citata da Amnesty International.

Margo St. James, USA, COYOTE: arrestata per aver diretto un bordello. La sua dichiarazione è che sebbene le donne nelle stanze della sua casa si prostituissero, lei non lo faceva. (…)

L’esistenza della prostituzione ovunque è il tradimento della società nei confronti delle donne, in special modo di quelle che sono marginalizzate e vulnerabili a causa del gruppo etnico di cui fanno parte, della loro povertà, delle loro storie di abuso e abbandono.

La complicità dei governi sostiene la prostituzione. Quando il commercio di sesso si espande, le donne competono meno con gli uomini per i posti lavoro. Quando la prostituzione è incorporata nelle economie di stato, i governi sono sollevati dalla necessità di trovare impieghi per le donne. Nei paesi in cui la prostituzione è legale le tasse sul sangue sono raccolte dallo stato-magnaccia. Banche, linee aeree, internet providers, alberghi, agenzie di viaggio e tutti i media integrano lo sfruttamento e l’abuso delle donne coinvolte nella “prostituzione turistica”, ricavandone grandi profitti.

Se ascoltiamo le voci e le analisi delle sopravvissute che sono uscite dalla prostituzione – coloro che non sono più sotto controllo – ci dirigeranno verso le ovvie soluzioni legali. Gli uomini che comprano sesso devono essere ritenuti responsabili delle loro aggressioni predatorie. Chi si prostituisce non deve subire arresti e le/gli devono essere offerte alternative reali per la sopravvivenza. Coloro che profittano dalla prostituzione – magnaccia e trafficanti – devono pure essere ritenuti responsabili. Un approccio alla prostituzione basato sui diritti umani, che la riconosce come sfruttamento sessuale, come quello di Svezia, Norvegia, Islanda e Irlanda del Nord, fornirebbe sicurezza e speranza. Ma prima dobbiamo muoverci oltre le bugie dei magnaccia e dei profittatori. So che possiamo farlo.

Riassumendo:

1. La verità sulla prostituzione è spesso nascosta dietro le bugie, le manipolazioni e le distorsioni di chi profitta del commercio sessuale. Le verità più profonde sulla prostituzione vengono alla luce nelle testimonianze delle sopravvissute, così come nella ricerca sulle realtà psicosociali e psicobiologiche della prostituzione stessa.

2. Alle radici della prostituzione, come per tutti gli altri sistemi coercitivi, ci sono disumanizzazione, oggettivazione, sessismo, razzismo, misoginia, mancanza di empatia / senso patologico dell’aver diritto (magnaccia e clienti), dominio, sfruttamento e un livello di esposizione cronica alla violenza e alla degradazione che distrugge personalità e spirito.

3. La prostituzione non può essere resa sicura legalizzandola o decriminalizzandola. La prostituzione deve essere completamente abolita.

4. La prostituzione assomiglia più all’essere cronicamente assalite sessualmente, danneggiate e stuprate che a lavorare in un fast food. La maggioranza delle prostitute soffre di acuta sindrome da stress post traumatico e vuole uscirne.

5. I compratori di sesso sono predatori: spesso hanno comportamenti coercitivi, manca loro empatia e hanno attitudini sessiste che giustificano l’abuso delle donne.

6. Una soluzione esiste. Si chiama modello svedese ed è stata adottata in diversi paesi. L’essenza della soluzione è: criminalizzazione per clienti e magnaccia, decriminalizzazione per le donne e il provvedere loro risorse, alternative, alloggi sicuri, riabilitazione.

7. La prostituzione ha effetti su ognuno di noi, non solo su chi è coinvolto.

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Che dipenda dall’aver fatto la principessa guerriera per sei anni di fila? Che l’aver scelto “Lawless” (Senzalegge) come cognome d’arte abbia influito? Lei dice di no. Sta di fatto che quando le hanno proposto di partecipare ad un’azione diretta nonviolenta volta a fermare l’estrazione di petrolio nell’Artico, lo scorso febbraio, Lucille Ryan, meglio conosciuta come Lucy Lawless e ancor di più come Xena la principessa guerriera, ci ha pensato su solo un paio di minuti prima di rispondere “Sì”. E ha passato tre giorni appollaiata su una rampa della nave “Noble Discoverer” appartenente alla Shell.

A dire il vero, non pensavo che ce l’avremmo fatta a salire a bordo. Pensavo che ci avrebbero fermati prima. E invece eravamo là. Per il primo quarto d’ora non sono riuscita a credere che ero sul serio in cima a quell’affare. Per tre giorni e mezzo siamo sopravvissuti a cioccolato e noccioline, mentre sulla nave sparavano musica a tutto volume nel tentativo di innervosirci e noi ululavamo risate in risposta.” Lucy ha odiato spesso le scene d’azione nei telefilm di Xena, ma ammette che il training si è rivelato utile quando ha dovuto scalare strutture sulla nave della Shell: “Per due anni ho vissuto piena di lividi, ma ne sono stata ripagata. Dopo aver preso un bel po’ di colpi i miei riflessi sono diventati molto buoni. Lanciatemi qualsiasi cosa e la prenderò al volo.”

Lucy Lawless, 44enne e madre di tre figli, non ha detto nemmeno ai propri familiari in cosa consisteva l’azione a cui ha preso parte, perché ciò li avrebbe eventualmente resi complici. Suo marito Robert Tapert è rimasto un po’ scioccato, racconta Lucy: “Pensava che mi sarei incatenata ad un bulldozer in procinto di abbattere alberi, o cose del genere. Ho detto ai miei figli che se mi impegnavo in un’azione diretta era perché consideravo importante il suo scopo, ma i più piccoli hanno 12 e 10 anni ed erano seccati dal fatto che la mamma sarebbe stata distante. Mi hanno risposto mugugnando: Sì, sì, abbiamo capito. Vabbé, mamma, ok.”

Attualmente, Lucy è libera su cauzione, ma nel prossimo settembre la sentenza a suo carico, e a carico degli altri sette attivisti che hanno fermato l’estrazione di petrolio nell’Artico, potrebbe arrivare sino ai tre anni di carcere. “Suona figo, no? Sono fuori su cauzione, ragazzi. Ma persone che conosco, che fanno campagne ambientaliste da anni e anni, e molte persone che ho incontrato a Rio+20, mi risponderebbero con una scrollata di spalle: Embé? Io sono stato arrestato trenta volte, ormai.” Lucy era a Rio per lanciare la campagna di Greenpeace “Salviamo l’Artico”: l’organizzazione mira a raccogliere un milione di firme per stabilire un “santuario globale” nella vasta zona disabitata attorno al Polo Nord.

La cosa folle è questa: da quindici anni gli scienziati danno l’allarme rispetto al cambiamento climatico, lo scioglimento dei ghiacchi polari, l’inquinamento crescente nella zona artica, ma nessuno ascolta. Perciò non mi importa nulla di quelli che prendono in giro le “celebrità” impegnate nell’attivismo sociale o ecologico, so anch’io che i nomi noti non aggiungono alcunché di rilevante alla causa, ma almeno portano acqua al mulino. E ora che abbiamo ottenuto un po’ d’attenzione dobbiamo mantenerla viva. Io incoraggerò la gente a firmare la petizione per l’Artico nei paesi in cui Xena è stata un grosso successo, come l’Egitto, la Turchia e il Brasile.”

Come molti altri neozelandesi, Lucy fu oltraggiata dall’aggressione francese alla nave di Greenpeace “Rainbow Warrior” nel 1985 e offrì la sua solidarietà all’associazione. Il suo coinvolgimento nell’azione diretta dello scorso febbraio ha in parte le sue radici nell’amicizia stretta allora con l’attuale responsabile di Greenpeace in Nuova Zelanda, Bunny McDiarmid. All’epoca, Bunny le chiese di sostenere una marcia contro il piano governativo di permettere estrazioni di carbone nelle foreste protette. Il governo ritirò il progetto e Lucy Lawless nacque come attivista. “Probabilmente altre azioni dirette saranno necessarie.”, dice riferendosi all’Artico, “Se si guardano le proiezioni delle compagnie petrolifere, che vanno sino al 2050, le loro idee riguardano solo tre settori: gas, carbone e petrolio. Pensano che con le energie rinnovabili non si guadagna e non hanno il minimo interesse a cambiare le pratiche con cui fanno i loro affari.”

Vi ricordate come cominciavano gli episodi di Xena? Una voce fuori campo recitava: “Il suo coraggio cambierà il mondo.” Maria G. Di Rienzo

(Fonti: The Guardian, Safe World for Women)

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