
(“Meet Rasha Jarhum, Yemen” – Women Nobel’s Initiative, maggio 2018 – trad. Maria G. Di Rienzo. L’attivista yemenita per i diritti umani Rasha Jarhum, in immagine, vive attualmente a Ginevra. E’ la fondatrice di Peace Track Initiative – https://peacetrack.wordpress.com/
che intende creare spazi nei processi di pace per il contributo delle organizzazioni di donne, di giovani e della società civile.)
Tua madre, Hooria Mashhour, è un’attivista di lungo corso; dopo la sollevazione del 2011 in Yemen divenne la prima Ministra per i Diritti Umani del paese. E’ giusto dire che sei cresciuta in mezzo alla lotta?
Mia madre era una fiera sostenitrice dei diritti delle donne. Lavorò nel Comitato nazionale delle donne per almeno un decennio, e dopo la sollevazione fu la prima funzionaria di governo a dare le dimissioni come atto di protesta per il feroce uso della forza contro manifestanti pacifici. Più tardi, fu selezionata come portavoce del consiglio delle forze rivoluzionarie: per la prima volta nella storia yemenita una donna parlava a nome di un movimento politico. Io sono stata privilegiata ad averla come guida. Sin da quando ero bambina l’ho seguita in seminari e campagne – lei è la ragione per cui sono diventata un’attivista. Abbiamo i nostri disaccordi politici, e apprezzo il fatto che non tenta mai di far pressione su di me affinché io cambi le mie posizioni.
Da tua madre hai anche imparato che l’attivismo può costare caro.
Questa è una cosa che la mia intera famiglia capisce. Il padre di mio marito, che fu il primo a denunciare l’ex presidente yemenita Ali Abdullah Saleh per appropriazione indebita di denaro statale, è stato assassinato. Durante la guerra in corso, che è cominciata nel 2014, abbiamo perso familiari e beni e siamo stati minacciati e pedinati. Il nome di mia madre è stato messo nella lista degli “infedeli ricercati” e uomini armati sono penetrati nel suo ufficio. A questo punto è partita per cercare asilo politico in Germania.
Perché anche tu hai lasciato lo Yemen?
Dopo il 2011, quando il presidente Saleh si dimise, credevo che saremmo stati in grado di costruire uno stato civile e moderno in Yemen. Per conto delle Nazioni Unite lavoravo in un programma per motivare le persone, incluse le donne, affinché andassero a votare. Volevo che gli yemeniti gustassero il futuro della democrazia.
Ma avevo già attraversato due devastanti guerre precedenti, nel 1986 nello Yemen del sud e quella del 1994 fra nord e sud, e avevo due figli piccoli. Durante la sollevazione fummo testimoni del conflitto armato a Sana’a e nel timore, per i nostri bambini, che il conflitto crescesse, mio marito e io cominciammo a cercare opportunità fuori dal paese. Nel 2012, lui ebbe un’offerta di lavoro in Libano e andammo a stare a Beirut per cinque anni. Da là ho continuato a sostenere le organizzazioni della società civile e ho lavorato con Oxfam al programma “Crisi dei rifugiati siriani e giustizia di genere”. Quando cominciò la guerra nel 2014, in Yemen, sapevo che sarebbe stata lunga e orribile.
Qual è lo scopo della Peace Track Initiative (Iniziativa Traccia di Pace)?
L’Iniziativa lavora per localizzare processi di pace e assicurare ad essi inclusività, con la sottesa premessa che quelli direttamente toccati dalla guerra sono quelli con la posta in gioco più alta nella costruzione di pace. Si compone di due gruppi: uno si concentra sullo Yemen e l’altro sull’intero medioriente e la regione nordafricana. Per lo Yemen, sostengo le organizzazioni guidate da donne a livello comunitario e i gruppi di donne nelle attività di costruzione di pace. Troppe di queste donne sono invisibili al mondo.
Cosa stanno facendo le donne locali per promuovere la pace in Yemen? Perché la comunità internazionale non sa di loro?
Storicamente parlando, la situazione per le donne in Yemen era pessima. Le donne non avevano libertà decisionale di lavorare, viaggiare, sposarsi. Norme legislative, istituzionali e sociali hanno tutte ostacolato le donne. Ma le donne hanno guidato la rivoluzione nel 2011 e oggi le donne yemenite sono di nuovo in prima linea. Nelle aree assediate, le donne camminano per chilometri per portare beni di primo soccorso alle loro famiglie, mettono in moto convogli di rifornimenti, portano di nascosto medicine negli ospedali.
Le stime dicono che un terzo dei combattenti in Yemen sono bambini e le donne stanno affrontando la questione del reclutamento di minori. Le donne sono impegnate su questioni complicate come il rilascio dei detenuti, il contrasto al terrorismo tramite lavoro di coesione sociale e la de-radicalizzazione della gioventù. Le donne stanno lavorando per rivitalizzare l’economia tramite collettivi di risparmio, agricoltura e imprese sociali.
Quando le donne sono coinvolte nei processi di pace, noi ci concentriamo sulla condivisione di responsabilità anziché sulla condivisione del potere. La partecipazione delle donne al dialogo nazionale nel 2011 condusse alla creazione di una delle più forti piattaforme di diritti e libertà in tutta la storia yemenita. Ma le agenzie umanitarie che lavorano in Yemen ritraggono le donne solo come vittime passive. Le storie della loro resilienza e della loro leadership non arrivano alle notizie. Parte del problema può essere che diverse donne locali lavorano come individui o in coalizioni che non hanno una registrazione formale, e perciò sono private delle opportunità di finanziamento. Inoltre, molte donne yemenite non parlano inglese.
Il 4 dicembre del 2017 l’ex presidente Saleh è stato ucciso e la situazione in Yemen sembra essere peggiorata.
Per anni, lo Yemen è stato il peggior paese in cui le donne potessero vivere. Con questa guerra, la nostra crisi umanitaria è aumentata. Ora noi abbiamo un milione di donne incinte a rischio di denutrizione e circa due milioni di donne e bambine a rischio di violenza di genere, stupro incluso.
Ma quando tocchi il fondo c’è un solo modo di muoversi: verso l’alto. Io credo che una pace reale, sostenibile e inclusiva possa essere raggiunta in Yemen. E penso che la soluzione stia davvero nelle mani delle donne.
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