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Posts Tagged ‘cambiamento climatico’

Milfont - Le Robotism Suprême - Iemanjá2

(Le Robotism Suprême, dell’artista brasiliana Alessandra de Norões Milfont)

Missione compiuta. Il mio quinto romanzo è realtà. Adesso ho bisogno di qualche giorno per limare, trovare errori di battitura che il controllo ortografico ignora, rileggere. Poi lo pubblicherò online come il quarto e, se la cosa vi interessa, potrete andarverlo a prendere. Qui sotto c’è il prologo e, per inciso, è stato scritto prima del manifestarsi della pandemia Covid-19: non so ancora se la mia menzione di un’ecatombe sia una banale coincidenza, indichi che sono (vagamente) veggente o che porto sfiga…

MERGELLINA E LE MADRI

(di Maria G. Di Rienzo)

Mergellina,

Mergellina…

Dentro questa barca fammi sognare

Rema per me

Non mi svegliare

(Serenata a Mergellina – Mario Abbate)

PROLOGO.

Svegliarsi di soprassalto, o comunque senza una ragione specifica ma con tutti i sensi all’erta, era abbastanza usuale per Lin. In un movimento automatico saggiò sotto la coperta il posto accanto al suo e ritirò la mano di scatto, con un dito leggermente morsicato e un misto di irritazione e sollievo: la piccola era sveglia ma non ancora incline a uscire dal bozzolo. Dall’unica finestra della stanza occhieggiava il bagliore velato di un’alba di pioggia. Forse erano state le gocce che picchiettavano con forza sul vetro a destarla. La testa le doleva un poco, le tempie pulsavano. Aveva bevuto, la sera prima? Probabile, a conclusione di un viaggio e ad avvenuta consegna della merce e riscossione del pagamento relativo un paio di brindisi erano quasi un obbligo… forse più di un paio, sì, però non ne aveva memoria. Aguzzò lo sguardo nella penombra. C’erano decorazioni sulle pareti che non distingueva bene, c’era un armadietto laccato, c’era un comodino con una tazza sopra – e nella sua mente nessuna associazione.

Per un attimo fu stretta in una vertigine d’ansia: non ricordava il giorno precedente, ne’ in quale Atollo si trovava, chi era il cliente, se quella camera in cui aveva dormito l’aveva affittata o se era ospite di qualcuno… Annaspò, premette convulsamente le mani sul petto. Qualcosa a mezzo fra un gemito e un ululato le si stava gonfiando in gola, ma proprio quando pensava che non sarebbe più riuscita a trattenerlo le tende rosse e nere che davano su un altro vano, probabilmente la cucina, si aprirono frusciando e Lin trasse un respiro profondo e lo ricacciò indietro. L’apparizione del giovane uomo in tunica e pantaloni corti, con una lanterna in mano e una treccia castana semi-disfatta spiovente su una spalla, aveva messo a posto di colpo la catena degli eventi. Lo riconosceva. Sapeva il suo nome, uno di quei bizzarri nomi englesiani le cui lettere scritte non corrispondevano alla pronuncia comune e dovevano essere interpretate. Geid – Jade. L’ambiente non era più estraneo e vagamente minaccioso, ma il familiare alloggio di Jade alla locanda “Terraterra” in quel di Triade-Maratea, e Lin vi era stata più volte.

Si osservarono, lui con un sorriso schivo, lei annuendo e sfregandosi la fronte. Quel maledetto ticchettio sulla finestra la irritava incomprensibilmente.

“Ero venuto a vedere se vi eravate alzate. Sto preparando la colazione.”, disse il ragazzo a voce bassa.

Lin annusò l’aria e riuscì a rispondere con solo una traccia di tremito nella voce: “Fonduta di groviglio, come al solito?”

“Si chiama budino di floristella. – corresse lui ridacchiando – In pratica, hai appena dimostrato di saperlo, un piatto nazionale per tutti gli Atolli. E oggi è anche speciale, perché ho usato la farina più costosa, quella dolce… piacerà a Ninni. Dorme ancora?”

La donna osò un’occhiata sollevando cautamente un lembo di coperta e rilasciandolo in tutta fretta: “Sonnecchia.” Gettò le gambe fuori dal letto e non appena fu in piedi si accorse di non avere addosso nulla oltre ai tatuaggi tipici della sua gente. Fissò ancora Jade, questa volta sgranando gli occhi: “Tu… noi… abbiamo fatto qualcosa ieri notte?”

Il giovane si umettò le labbra e distolse lo sguardo. “Qualcosa.”, ripeté divertito in direzione della finestra. Aggrottò le sopracciglia per un momento, guardando il vetro su cui le gocce sembravano accanirsi.

“Cioè… nel letto con la piccola?!” Le mani di Lin annaspavano sul pavimento in cerca di indumenti.

“No, sul divano. – Jade indicò con il pollice la stanza alle sue spalle – Tua figlia era qui e sognava già.”

Infilandosi la camicia Lin imprecava tra sé. “Ero ubriaca, sì?”

“Di solito quando mi salti addosso lo sei.”

“Va bene, va bene. Spero sia stato divertente, perché al momento non…”

“La pentola.”, concluse lui sparendo fra uno svolazzar di tendaggi. Lin ricadde a sedere fra i cuscini e questa volta si grattò la testa, passando poi il palmo avanti e indietro sul taglio a spazzola dei suoi capelli corvini. Non avrebbe dovuto tornare sempre da lui quando attraccava in loco. Era come se lo incoraggiasse per malignità, certa che poi lo avrebbe deluso. Conosceva il ragazzo da quattro anni e da quasi subito aveva saputo di rivestire per lui un’importanza particolare… non corrisposta. Eppure Jade le piaceva. Conversare con lui, passeggiare con lui, mangiare con lui, fare sesso con lui, erano tutte attività gradevoli.

Vederlo sul palcoscenico del “Terraterra”, come membro di un tradizionale duo comico, era spesso esilarante e al minimo serviva a distrarla: si erano presentati proprio dopo una delle sue esibizioni, perché da alticcia Lin aveva insistito per complimentarsi con lui personalmente. L’altro attore era secondo lei uno stronzo fatto e finito che, oltre a predare il talento del compagno più giovane, usava la posa da severo mentore per umiliarlo dietro le quinte senza ragione alcuna. In qualche occasione ne aveva parlato con Jade, ma il giovane si limitava a scrollare le spalle e a ripetere che non voleva dar peso all’atteggiamento di Norino (così si chiamava il suo collega), che ribattere o protestare l’avrebbe incoraggiato, che non si sentiva offeso e che comunque alcuni dei suoi rimproveri avevano fondamento.

Lei si era chiesta se la struttura stessa di quel tipo di cabaret proprio degli Atolli rendesse inevitabile una certa dose di sopraffazione nel loro rapporto: esso prevedeva infatti l’interazione fra un saggio e onesto adulto, in quel caso il quarantenne Norino, e un giovincello malizioso e dispettoso quanto sciocco. Nella sceneggiata quest’ultimo poteva essere il figlio, il fratello minore, l’allievo o il discepolo che per quanti consigli affettuosi o veementi reprimende ricevesse insisteva a combinare guai. Gli scambi fra la coppia erano fuochi d’artificio verbali, freddure e fraintendimenti e giochi di parole creati in perfetta alchimia in cui si prendevano di mira l’un l’altro e sfottevano il mondo a 360°: ma l’azione da parte dell’adulto diventava via via simbolicamente sempre più violenta, sino a poter prevedere nel finale l’impartire al ragazzo una “buona lezione” a schiaffi, calci e bastonate. La sconfitta rituale del personaggio pestifero era accolta con tripudio dal pubblico degli Atolli, sembrava una sorta di catarsi in cui perdevano il ruolo di spettatori e contribuivano al castigo del reo scatenandosi nell’urlare incitamenti e insulti e talvolta lanciando oggetti sul palcoscenico. Accadeva, per quanto occasionalmente, che Jade uscisse di scena con un paio di lividi, sia perché un lancio dal pubblico lo aveva raggiunto, sia perché Norino aveva usato “troppa energia” o gli era “scivolata la mano”. Era la parte della rappresentazione che a Lin non piaceva molto, quella da cui era più distante per cultura essendo una nativa delle Palafitte. Sapeva però come si era originata secoli prima, durante l’Ecatombe: il virus prosperava con feroce intensità ed era assai contagioso negli individui sotto i 25 anni, i quali mostravano tutti i sintomi del caso, però sopravvivevano più facilmente. Mentre si tentava curarli essi infettavano altre persone a catena, quelle in particolare che non potevano o volevano isolarsi da essi, madri, padri, sorelle, fratelli, guaritori, sacerdoti… e costoro morivano come mosche. Dopo un lustro di decessi di massa il termine “bambino” divenne in pratica sinonimo di “untore”. Sua madre le aveva raccontato al proposito una discreta serie di storie macabre e raccapriccianti, in cui genitori si radunavano a macellare figli durante cerimonie espiatorie o li annegavano alla nascita e in cui bambini demoniaci tendevano subdoli agguati agli adulti sputando nella minestra della zia e pisciando nelle ciabatte del nonno. Lin scrollò inconsciamente le spalle. Di norma la infastidiva pensare alla propria madre, nei casi peggiori la infuriava addirittura. Si erano definitivamente separate alla nascita di Ninni e non in buoni termini. L’infanzia di Lin era comunque stata un’inusuale fiera dello scetticismo e della sfiducia: aveva smesso di credere alla donna che l’aveva messa al mondo così presto da considerarla un’estranea prima della pubertà.

A posteriori, pensava che quei racconti dell’orrore potevano essere eco distorte e amplificate di casi sinistri davvero avvenuti. Poi l’epidemia decrebbe, i nuovi nati erano sempre più immuni e molto tempo dopo la sua cessazione il risentimento generale verso giovani e giovanissimi si era calcificato, nel sistema dell’arcipelago, in una più o meno innocua formula teatrale.

Jade aveva appena compiuto 23 anni e ad ogni modo non avrebbe recitato la parte del marmocchio scemo per sempre, rifletteva Lin. Era un artista appassionato e versatile che sapeva esprimersi con la pittura, la poesia e il canto, era una mente aperta intellettualmente curiosa di tutto. Prima o poi si sarebbe lasciato Norino alle spalle, trascinato via dalla sua stessa eccellenza. Ma, per qualche folle ragione, questo individuo notevole era rimasto folgorato da una comune traghettatrice indipendente, più vecchia di lui, che trasportava piccoli carichi e passeggeri in giro per l’arcipelago e le cui abilità consistevano nello sfruttare venti e correnti, nel manovrare una pagaia con energia e nel contrattare il proprio prezzo a denti stretti e pugni chiusi che potevano diventare pugni sui denti quando doveva sfuggire a quelli che si chiamavano saccheggi se a compierli erano contrabbandieri, o sequestri se erano effettuati dai forzatori legali di qualche Commissariato.

Quel che Jade voleva da lei era una convivenza stabile e stanziale. Se proprio desiderava continuare a maneggiare remi e sacchi, le aveva detto, poteva cercare un impiego formale nel commercio a Triade-Maratea. Alcune delle sue argomentazioni Lin non le considerava insensate: ad esempio, che lei e la bimba corressero rischi su base quasi quotidiana era ovvio. Tuttavia non poteva piegarsi a dimorare in modo permanente in un luogo qualsiasi e meno che mai su un Atollo. Gli abitanti delle terre ferme tolleravano per necessità il fradiciume – era il termine meno offensivo e più comune con cui definivano i nativi delle Palafitte, i quali per ritorsione li chiamavano con uguale disprezzo satolli – che spesso costituiva la bassa manovalanza delle loro economie e Lin, se aveva qualche soldo in tasca, poteva entrare nelle loro taverne e botteghe senza aspettarsi assalti o discriminazioni. Ninni, però, era tutt’altra faccenda. Il mondo intero la descriveva come “malformata” e solo per Lin – e per il tenero Jade, sin dal loro primo incontro – era semplicemente “formata a modo suo”. Se per stili di vita, valori e attitudini Atolli e Palafitte cozzavano su tutto, a un solo sguardo sulla bambina concordavano: avrebbe dovuto essere soppressa alla nascita, non era adatta a un’esistenza normale e comunque per conformazione non l’avrebbe mai avuta, il suo aspetto era ripugnante.

Ninni aveva quasi cinque anni e non aveva mai imparato a camminare: le sue lunghe elastiche gambe che terminavano in grandi piedi palmati la rendevano una nuotatrice provetta e velocissima, ma sul suolo perdeva l’equilibrio, tendeva a incespicare e riusciva a procedere solo a piccoli balzi. Fuori dall’acqua Lin continuava a portarla sulla schiena, imbracata in un sostegno di stoffa come una neonata. Ninni aveva anche difficoltà a parlare in modo del tutto comprensibile, glielo impedivano le grandi ossa mascellari allungate e una bocca con una doppia fila di denti micidiali. Assieme alla fronte alta e agli occhi rotondi e un po’ sporgenti tali particolarità contribuivano a suggerire la somiglianza con le fattezze di un pesce. Quel viso singolare era incorniciato da una cascata di capelli folti e mossi, di uno splendido e raro rosso fiammante, ma come per tutte le altre sue caratteristiche, comprese quelle diverse dall’usuale, Lin non avrebbe saputo dire da chi la avesse ereditata.

Il padre di Ninni era un palificato come lei, bruno e dalla pelle dorata, suo compaesano in quel di Romita Sacra: ossia il centro politico, culturale e spirituale degli agglomerati delle Palafitte in cui stranieri di terraferma non erano ammessi sin dalla sua fondazione e le unioni miste erano respinte oltre le paludi con draconiana fermezza.

Non c’era modo di dire se le differenze di Ninni risalissero all’ascendenza paterna. La reazione orripilata del giovane uomo alla vista della piccola aveva peraltro spento in Lin ogni residuo interesse per lui. L’unica cosa per cui gli era grata era l’averle regalato la propria barca, nuova e perfetta, affinché potesse andarsene con la neonata. Lin usava ancora quella stessa imbarcazione, in attesa di risparmiare abbastanza per acquistarne una più grande.

Per quanto riguardava la sua, di ascendenza, be’, lei era figlia di una Graud Madra “certificata” dagli Spiriti – una donna che aveva compiuto dieci volte il Pellegrinaggio di Gravidanza e aveva messo al mondo dieci figli sani… come pesci. Lin guardò la testolina di Ninni che emergeva tentennante dalle lenzuola e sogghignò al pensiero, con una traccia d’amarezza. Dei dieci, suo fratello Arone mancava all’appello: si era ammalato di salina durante l’infanzia e per quella non c’era granché si potesse fare.

Gli sguardi di madre e figlia si incrociarono. “Pi-pì.”, sillabò la bimba sporgendo un po’ le labbra.

“Buona idea, – replicò Lin prendendola tra le braccia – vengo anch’io.”

Quando furono uscite dal bagno e Ninni fu sistemata a tavola con una generosa razione di budino, tisana di frutta e biscotti, Jade tirò in modo discreto Lin per un gomito e la riportò in camera di letto.

“Che diamine, vuoi una replica? Credevo mi avessi offerto la colazione.”, protestò scherzosamente lei.

“La pioggia. – sussurrò grave lui – Non senti niente?”

La donna si girò verso la finestra. Il ticchettio era ancora forte e insistente, cominciava ad essere davvero tormentoso. “Vorresti dire?”

“Fuori pioviggina. E’ solo sul mio vetro che si sta accanendo in quel modo. E’ un messaggio climatico.” Lin si irrigidì.

“E qui c’è solo una persona in grado di comprenderlo e a cui quindi potrebbe essere diretto. – proseguì il ragazzo – Tu.”

I magusci delle Palafitte mi hanno trovata? “Come” non era la domanda successiva che Lin si pose, i manipolatori atmosferici potevano rintracciare chiunque fosse stato addestrato all’ascolto e ogni palificato, come lei, riceveva tale insegnamento sin da bambino, pur profittandone in misura variabile secondo le sue personali capacità. Quel che si stava chiedendo, con terrore sottile e strisciante, era perché.

Rimase immobile per circa un minuto, a occhi chiusi, con la testa leggermente chinata e le braccia allargate verso l’esterno prima che la percezione della presenza di Jade al suo fianco svanisse. Lasciò che la pioggia le parlasse, che il suono disegnasse figure e concetti nella sua mente. Non ci volle molto, il messaggio era breve. Lin respirò profondamente sollevando il busto, il capo si raddrizzò, le palpebre si sollevarono, le braccia ricaddero.

“Adesso capisco il motivo per cui continuavo a pensare a lei.”, mormorò.

Jade la fissava apprensivo: “Cos’è successo?” Lin gli voltò per un attimo le spalle. Il picchiettio rallentò e dopo una manciata di secondi si spense.

“Zulma di Romita Sacra è morta.”, annunciò infine la donna.

“Prego?”

Lin si girò. Il suo viso era privo di espressione, ma le lacrime le correvano sino al mento. “Mia madre.”, aggiunse soltanto. Il giovane non disse nulla e la strinse a sé.

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(“In Fiji, lesbian feminist activist Noelene Nabulivou strives for world ‘liberated and free’”, di Hugo Greenhalgh per Thomson Reuters Foundation, 13 maggio 2020. Trad. Maria G. Di Rienzo.)

Noelene

Crescere essendo lesbica nelle Fiji, stato insulare dell’Oceania, durante gli anni ’70 sembrava abbastanza impossibile, dice la femminista e attivista “climatica” Noelene Nabulivou.

Una cultura machista, basata sulla chiesa, ha significato per Nabulivou – lei stessa figlia di un pastore metodista – non dichiararsi sino al compimento dei 35 anni, non molto dopo l’inizio del nuovo millennio.

“L’ho chiamato il mio obiettivo di sviluppo del millennio.”, dice ridendo su Skype, riferendosi alla lista di ambiziosi obiettivi delle Nazioni Unite, che includevano il dimezzare la povertà estrema e il mettere fine alla diffusione dell’Hiv/Aids entro il 2015.

Ora 52enne, Nabulivou ha una moglie e una figlia di due anni ed è conosciuta in tutto il mondo come attivista contro il cambiamento climatico e come attivista per l’eguaglianza di genere e i diritti delle persone LGBT+ nel suo Paese.

Tuttavia, fa ancora esperienza di discriminazione e abusi, e ha ricordi dolorosi di come è cresciuta in una piccola città vicina a Suva, la capitale dell’arcipelago che conta circa 900.000 abitanti.

“Semplicemente sentivi che (essere apertamente gay) non era una possibilità alla tua portata. Non c’erano modelli di riferimento, in particolare per la mia generazione.”, ha detto a Thomson Reuters Foundation dalla sua casa di Suva.

Le Fiji sono una delle sole otto nazioni che menzionano esplicitamente l’orientamento sessuale e l’identità di genere nelle loro Costituzione, ma in pratica i diritti degli individui LGBT+ sono limitati. I matrimoni fra persone dello stesso sesso e l’adozione da parte di coppie gay restano illegali – Nabulivou e sua moglie si sono sposate a New York – e l’attitudine omofoba persiste.

“Mi hanno sputato addosso; mia moglie ed io siamo state molestate in pubblico; ci hanno tirato pietre sul tetto di notte. Ci sono stati molti episodi durante gli anni. Un quotidiano mi ha fatto l’outing. Ho dovuto lottare contro la chiesa metodista alla radio e in televisione, il che è stato davvero duro per me, che sono una persona molto riservata.”, racconta Nabulivou.

Le Fiji sono state colpite il mese scorso dal forte ciclone tropicale Harold, che ha ucciso due persone e ha distrutto più di 3.000 abitazioni. Il ciclone ha esacerbato l’impatto economico dell’epidemia di coronavirus e le due crisi hanno ulteriormente aggravato la difficile situazione che le persone LGBT+ vivono, dice l’attivista.

Nel mentre il tasso di disoccupazione nelle Fiji, relativo al 2019, si attestava più o meno al 4,5%, secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, Nabulivou dice che circa il 62% di lesbiche, bisessuali e transgender o non hanno un lavoro o ce l’hanno precario.

E’ questo tipo di diseguaglianza che Nabulivou combatte nel suo ruolo di consigliera politica e addetta a progetti speciali dell’organizzazione figiana per i diritti umani “Diverse Voices and Action (DIVA) for Equality”, che lei stessa ha contribuito a fondare nel 2011: “E’ cominciato con un gruppo di giovani che sono venuti da me e dalla mia partner e hanno detto: Okay, ci discriminano. Cosa possiamo fare insieme?

Un decennio più tardi, il gruppo sostiene il lavoro di nove sezioni in tutto il Paese, affrontando questioni come visibilità e povertà nonché omofobia e transfobia, ha detto Nabulivou. La parte chiave del suo lavoro, ha aggiunto, è tentare di contrastare le “proporzioni epidemiche” della violenza contro le donne – siano esse lesbiche, bisessuali, transessuali o eterosessuali – nelle Fiji e in altre nazioni del Pacifico: “L’84% delle donne LBT e delle persone “non conformi” al genere (che non assumono i ruoli tradizionali ascritti a maschi o femmine) hanno denunciato violenze da parte dei propri partner, contro i due terzi delle donne eterosessuali.”

Oltre che sui diritti delle persone omosessuali e sulla violenza domestica, Nabulivou organizza campagne su istanze climatiche ed ecologiche, dicendo che molte di queste sfide sono collegate.

“Noi siamo donne che devono lottare contro la povertà, ma vogliamo anche parlare del bullismo nelle scuole o delle esperienze di sviluppo ecologico nel Pacifico. Come esseri umani abbiamo tante cose diverse a cui teniamo. – spiega Nabulivou, che si definisce maniaca del lavoro e dice di aver ottenuto nuova ispirazione dalla sua bambina – Voglio per lei un mondo meraviglioso, in cui possa essere emancipata e libera.”

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margolyes

L’attrice Miriam Margolyes – in immagine – è nata nel 1941 in una famiglia ebraica. E’ dichiaratamente lesbica e ha una relazione con l’australiana Heather Sutherland dal 1967. E’ una sostenitrice della causa palestinese perché, dice, “Il nostro dovere come esseri umani è testimoniare la verità che vediamo”.

In questo momento Miriam si trova a Londra, nel mezzo della quarantena, ma l’anno scorso ha viaggiato per più di 10.000 chilometri e più di due mesi in Australia allo scopo di realizzare un nuovo documentario della rete televisiva ABC, “Almost Australian”.

I brani che seguono sono tratti da “Miriam Margolyes: ‘The government is utterly deplorable. The world is in chaos’ “, l’intervista che Brigid Delaney le ha fatto per The Guardian il 10 maggio 2020; la traduzione è mia.

“Quello che mi ha sbalordito è che per alcune persone l’economia è più importante della gente e dovremmo uscire dal lockdown e tornare alla normalità. – dice Margolyes – E sembrano perfettamente preparati a sacrificare gli anziani. Questi ultimi sono stati descritti come non importanti per l’economia e come se non dessero alcun contributo.

Una delle cose che devo impedire a me stessa di fare è il leggere i commenti sotto articoli di questo tipo. Quelli del Daily Telegraph sono terrificanti. (…) C’è troppo odio (in Gran Bretagna). Il paese è in uno stato terribile a causa della Brexit e poi del virus. E’ indegno. Non sono contenta dell’Inghilterra. Il governo è totalmente deplorevole.”

Nel documentario citato all’inizio, l’attrice ha parlato con persone affette dalla siccità, persone appartenenti a remote comunità indigene e richiedenti asilo. La giornalista le ha chiesto come ha fatto a entrare in relazione con individui che avevano ogni tipo di retroscena.

“Non mi presento come una celebrità: mi presento come un’amichevole anziana signora. – risponde Margolyes – Sono ancora in contatto con alcune delle persone che ho incontrato per il programma, ci scambiamo e-mail. Tutte le volte in cui faccio cose del genere, non sono oggettiva verso le persone con cui parlo. Devo interagire con loro in modo personale. Non sono una reporter, non ho quel tipo di abilità, ho solo la mia personalità da usare come ponte fra me e le altre persone. E tutto nello show è spontaneo. Non so in anticipo chi incontrerò.”

Prima di accettare l’incarico, Margolyes ha chiesto ai produttori di “Almost Australian” l’assicurazione che le comunità indigene sarebbero state nel programma:

“Ma mi sento ancora turbata dalla relazione fra gli australiani bianchi e le Prime Nazioni. Vorrei che fosse migliore.” Gli australiani possono risentirsi delle critiche, particolarmente di quelle provenienti dagli inglesi, dice l’attrice: “Dicono: Chi diavolo è questa, viene qua, si compra una casa e poi ci getta dentro immondizia? Ma io voglio che l’Australia diventi migliore.”

Maria G. Di Rienzo

Big Fat Adventure

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(tratto da: “People Aren’t Bad for the Planet—Capitalism Is”, di Izzie Ramirez per Bitch Media, 27 marzo 2020, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo. Izzie Ramirez – in immagine – è una reporter freelance e la caporedattrice di NYU Local.)

Izzie

C’è una brutta china nei commenti che giustificano i decessi umani per preservare l’ambiente. Come l’attivista per il clima Jamie Margolin ha spiegato in un tweet “Dire ‘I deboli moriranno ma va bene perché ciò aiuta il clima’ non è giustizia climatica. Questo è ecofascismo.” L’ecofascismo è definito da governi che esercitano il loro potere per la protezione dell’ambiente a costo delle vite individuali.

Nel loro articolo del 2019 “Overpopulation Discourse: Patriarchy, Racism, and the Specter of Ecofascism,” Jordan Dyett e Cassidy chiarirono come l’ecofascismo prese piede nel 19° e 20° secolo in Germania, dove “una serie di preoccupazioni ecologiche cominciarono ad interagire con la xenofobia, il nazionalismo e il razzismo presenti nella regione.”

All’epoca, le autorità fasciste tedesche erano solite giustificare determinate politiche di esclusione collegando l’ambiente alla salute. La retorica tipica includeva il controllo della popolazione, misure anti-sovrappopolazione e nozioni per cui i gruppi minoritari erano specie invasive che costituivano una minaccia all’ambiente stesso. Questa è ideologia comune ai suprematisti bianchi, in particolare, e a quelli che commettono omicidi di massa. Per esempio, l’assassino responsabile degli omicidi di un gran numero di persone a El Paso, Texas, nel 2019 citò la degradazione ambientale come una delle sue ragioni. “Se riusciamo a sbarazzarci di abbastanza gente, allora il nostro stile di vita diventerà più sostenibile”, scrisse nel suo manifesto.

Nel contesto odierno, comunque, persone comuni stanno argomentando che il Covid-19 sarebbe il vaccino della Terra contro gli esseri umani mentre il virus sta gettando il mondo nello scompiglio e sta uccidendo migliaia di persone, molte delle quali appartengono alla classe lavoratrice, non hanno accesso alla sanità e sono costrette a continuare a lavorare perché sono considerate forza lavoro essenziale. Per come le cose stanno ora, l’ecofascismo – visto attraverso tali conversazioni sui social media – sta asserendo che la gente povera, la gente disabile e la gente anziana dovrebbero sacrificarsi per far vivere il resto di noi. Ciò non è solo moralmente riprovevole ma è l’incomprensione del problema più vasto: il coronavirus non è un “detox” per la Terra, è una perturbazione dei sistemi che potenziano il capitalismo.

Persino chi cerca di sfidare il capitalismo è forzato a vivere al suo interno, giacché dobbiamo sopravvivere in un’economia capitalista concentrata sul beneficio immediato anziché sulle conseguenze future. Perciò le persone salgono in autobus per andare ai loro impieghi salariati, montano in auto per andare in fabbrica e condividono veicoli per far quadrare i conti. Queste persone non hanno molte alternative economiche, perché hanno bocche da sfamare e bollette da pagare. La loro adesione per sopravvivenza al capitalismo non li rende egoisti o sacrificabili. In effetti, se voi siete preoccupati per il cambiamento climatico, queste sono le esatte persone per cui dovreste preoccuparvi.

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question

(brano tratto da un intervento del 19 marzo 2020 di Teresa Anderson e Niclas Hällström, per Action Aid, su cambiamento climatico e coronavirus. Teresa Anderson è la coordinatrice delle politiche sul clima per Action Aid International, Niclas Hällström è il direttore di WhatNext?, un forum svedese sulle istanze globali sociali e ambientali. Trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)

EGUAGLIANZA: I governi devono proteggere le donne, i poveri e i vulnerabili dalle crisi e dal loro impatto, dando uguale valore a ogni vita umana al di là di nazionalità, status economico, genere, etnia o età. Allo stesso modo, non è accettabile che una generazione continui a “fare come prima” sapendo di essere relativamente al sicuro, nel mentre aumenta il rischio e l’impatto per un’altra generazione.

PROTEZIONI SOCIALI: Sanità pubblica e gratuita, congedo pagato per malattia e benefici relativi alla disoccupazione per i lavoratori, nelle economie formali e informali, sono necessari in modo urgente, così che le persone non debbano scegliere se proteggere i loro mezzi di sussistenza o proteggere la società durante la pandemia.

SOLIDARIETÀ: Nessun Paese può “farcela da solo”. I governi devono lavorare insieme ed evitare di ritirarsi in approcci nazionalisti e competitivi. Le nazioni ricche devono contribuire con una giusta parte e aumentare il sostegno finanziario e tecnologico per le nazioni in cui i redditi sono più bassi. La vera solidarietà significa anche adottare e condividere soluzioni.

LA MANO INVISIBILE DEL MERCATO NON AGGIUSTERÀ QUESTE COSE:

Crisi climatica e pandemia mostrano la necessità di profondi cambiamenti di sistema. Queste emergenze rivelano le ingiustizie delle economie neo-liberiste, in cui potenti corporazioni economiche danno priorità ai profitti rispetto al bene comune e fanno tutto quel che possono per evitare di essere regolamentate.

Le risposte dei governi alla pandemia richiedono di prendere decisioni di ordine pubblico, incluse forti misure restrittive, nell’interesse dei cittadini piuttosto che dei loro finanziatori politici delle corporazioni.

NON E’ MAI TROPPO TARDI PER AGIRE: Ogni giorno che passa conta. Ogni azione che limita il danno ha valore. Anche se siamo stati più lenti a uscire dai blocchi di partenza di quanto avremmo dovuto, diamoci dentro ora. Rinunciare non è un’opzione, al di là di quanto grave la situazione possa apparire.

FATE QUEL CHE SERVE, MA NON ABUSATE DEL POTERE: Nel mentre molti governi sono stati lenti nel prendere misure severe per fermare la pandemia, i cittadini hanno chiesto misure più forti per contenere la crisi. La società ha mostrato la sua volontà di accettare svantaggi, forti interventi governativi, protezione sociale e sì, meno shopping e meno voli aerei, se ciò significa proteggere milioni di vite a rischio.

I governi devono tener conto di questo. Ma non devono abusare del loro potere, ne’ cementare misure prese durante le emergenze in limiti autoritari alla libertà dopo che la crisi è passata.

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Galina Angarova

“Come in molte altre culture indigene, il sacro femminino gioca un ruolo centrale nella visione cosmologica della mia gente, i Buryat (Buriati – Russia), ed è espresso tramite le nostre relazioni, le nostre storie e i nostri modi di vivere. Io provengo da quella che originariamente era conosciuta come società matrilineare. Eravamo le famose guerriere della foresta, riverite come eccezionali cacciatrici e combattenti. Molti di questi tratti sono ancora visibili oggi nelle donne del mio clan. Forti, indipendenti, determinate, indefesse lavoratrici – e anche, a volte, cocciute e chiassose.

Io sono cresciuta con le storie di mia nonna, che nella nostra lingua incapsulavano la saggezza dei nostri antenati. Ognuna insegnava un aspetto della vita: relazioni con le entità naturali come le piante, i fiumi e le montagne, o con esseri come animali, spiriti, antenati, o come maneggiare la condizione umana.

Oggi, viviamo in un mondo in cui maschile e femminile sono sbilanciati. Questo sbilanciamento si manifesta nel modo in cui ci rapportiamo l’un l’altra, nel modo in cui governiamo, nel modo in cui cresciamo i bambini, nel modo in cui facciamo affari. Poiché il sacro femminino è stato disprezzato, assalito e violato, stiamo fronteggiando le conseguenze dello sbilanciamento: ingiustizie, diseguaglianza di genere e etnica, povertà, cambiamento climatico.

Dobbiamo restaurare l’equilibrio fra il mascolino e il femminino. Nella visione del mondo dei Buryat il nostro pianeta, i nostri terreni e il nostro ambiente sono la manifestazione definitiva del sacro femminino. Senza un cambiamento nella nostra consapevolezza continueremo a ripetere gli stessi errori, a sfruttare e distruggere la Madre Terra senza capire che ne siamo parte. Tutti veniamo dal suo grembo, tutti veniamo dal sacro femminino ed è nostro dovere rispettarlo e proteggerlo.”

Galina Angarova (in immagine), direttrice esecutiva di Cultural Survival, organizzazione non profit che lavora per i diritti dei popoli indigeni (trad. Maria G. Di Rienzo), gennaio 2020.

Sempre suoi i seguenti brani tratti dal podcast “Why Preserving Cultural and Language Diversity is Vital to Protecting Biodiversity: An Interview with Galina Angarova”, di Kamea Chayne per Green Dreamer, 23 marzo 2020.

“La diversità di linguaggio è estremamente importante per la protezione della biodiversità, perché quei termini esistono nelle lingue native. La sapienza tradizionale sulla protezione della biodiversità esiste in quelle lingue. Se le perdiamo, la conoscenza scompare con esse.”

“La semplificazione del concetto di ricchezza ha condotto al convincimento che il danaro sia l’unica soluzione, ma vi sono molteplici soluzioni per mantenere il nostro spazio su questo pianeta essendo in relazione e in equilibrio con esso. Noi diamo valore all’avere una moltitudine di relazioni.

Questo è il motivo per cui quando preghiamo, preghiamo per tutte le nostre connessioni e relazioni nel mondo. Preghiamo non solo con gli esseri umani ma con il mondo naturale. Noi non oggettiviamo la natura: animali, pietre, uccelli e fiumi sono partecipanti in questa vita e hanno un’indiretta relazione con noi.”

“Abbiate cura di voi stessi. Ascoltate il vostro corpo e il vostro cuore. Noi, come persone, tendiamo a vivere nelle nostre teste, ma è importante affondare dalla testa al cuore e lasciare che sia il cuore a dirigere: è così che accadono i miracoli.

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8 marzo 2020, lettera aperta (trad. Maria G. Di Rienzo):

Ai capi di stato e di governo di tutto il mondo.

Noi siamo Hilda e Leonie, donne che stanno lottando in prima linea contro la crisi climatica e l’ingiustizia di genere.

Hilda e Leonie

(Hilda Flavia Nakabuye di “Fridays for Future Uganda” e Leonie Bremer di “Fridays for Future Germany”, particolare di un’immagine di Thomas Reuters Foundation.)

Hilda:

Io sono cresciuta in tre differenti luoghi dell’Uganda. Da mia zia, da mia mamma e da mio papà – e tutto quel che mi importava era andare a scuola, cosa che mi è sempre piaciuta. Tuttavia, è arrivato un momento in cui la mia famiglia non poteva più pagare le tasse scolastiche. Come risultato, ho saltato la scuola per tre mesi. La crisi climatica ha cominciato a reclamare il nostro orto, con forti piogge che lavavano via le sementi, costanti periodi di siccità che prosciugavano i torrenti e forti venti che hanno portato alla massiccia diffusione di insetti nocivi, così anche i soldi sono andati a finire. In modo ingiusto, i paesi che hanno contribuito di meno alla crisi del clima sono quelli colpiti più duramente.

Ho visto molta gente morire a causa della crisi climatica e ci sono persone che ne muoiono ogni giorno mentre la situazione continua a peggiorare. Tuttavia, nulla è stato fatto da chi è al potere per combattere o risolvere questa crisi. L’impatto della crisi climatica mi ricorda lo sfrenato razzismo e l’apartheid che i miei antenati hanno subito. Io sto costantemente soffrendo a causa dei gravi effetti che hanno su di me le azioni, le parole e l’avidità di chi è al potere, con poco aiuto o niente aiuto del tutto da parte dei paesi sviluppati. Invece, stanno contribuendo incondizionatamente all’aumentare delle emissioni grazie alle quali milioni di vite innocenti sono già state perdute nel Sud globale. In effetti, questo dovrebbe essere il momento in cui questi paesi rispondono al loro dovere morale e ripuliscono il loro caos.

Leonie:

Nel mentre Hilda è diventata un’attivista di Fridays for Future per l’impatto diretto del cambiamento climatico sulla sua vita, io avrei potuto non averne mai idea, giacché vivo in Germania dove la gente può ancora permettersi il lusso di ignorare l’attuale tremendo impatto della crisi climatica. Questo paese è abbastanza ricco da poter semplicemente compensare i danni fatti dalla siccità ai raccolti importando prodotti. La mia vita sino ad ora è stata senza problemi e non ho mai dovuto saltare la scuola, i pasti o le vacanze.

Sul treno verso la conferenza mondiale sul clima, Hilda si è confrontata con me con la sua storia e il fatto che il paese da cui provengo non sta agendo in base alle sue responsabilità. La Germania è spesso chiamata la pioniera della protezione del clima, il che è contraddittorio rispetto al fatto che è ha il quarto posto al mondo pro capite per emissioni di CO2 (CO2-Bericht des Joint Research Center).

E’ spaventoso che il più grande obiettivo della Germania sia un’economia funzionante al costo, al peggio, della vita delle persone. La crisi climatica è il risultato del sistema economico industrializzato diretto da una società patriarcale. Al contrario, nei gruppi di attivisti per il clima le donne sono predominanti, poiché sono quelle che soffrono di più per la crisi climatica.

Le donne devono essere in prima linea nella lotta contro la crisi climatica. Secondo le Nazioni Unite, l’80% delle persone disperse da questa crisi sono donne.

Hilda:

La crisi climatica ha un volto femminile.

Nel mio vicinato, la maggioranza delle coltivazioni sono maneggiate da piccole agricoltrici. La crisi climatica ha immediato impatto sulle condizioni di vita delle donne, causa fame e rischi per la salute e ha un effetto terribile sulle nostre famiglie. Siccità e inondazioni causano perdita di raccolti, ma i proprietari terrieri hanno la possibilità di ricevere compensazioni dallo stato. Alle donne, tuttavia, è tradizionalmente negata la proprietà della terra, il che conduce a una minaccia diretta per i nostri minimi mezzi di sussistenza.

Come donna africana, io sono spesso oppressa dal razzismo, dal sessismo, dalla cultura, dal classismo e ora la crisi climatica si aggiunge come cappello.

Questo è il motivo per cui noi, Leonie e Hilda, abbiamo fatto squadra. Dobbiamo tutti ascoltare l’uno il dolore dell’altro, la paura, la sofferenza e altre emozioni causate dalla crisi climatica.

Noi abbiamo capito che essa è il pericolo più grave per gli esseri umani e in special modo per le donne.

Dobbiamo unirci e lottare contro la crisi climatica oltrepassando i confini continentali. Dobbiamo lottare per la protezione del clima senza sessismo, razzismo e oppressione e costringere i governi a fare altrettanto.

Fridays for NOW! – Hilda & Leonie”

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selma

“La nostra mobilitazione in Lussemburgo è necessaria: siamo fra le nazioni che emettono più CO2, il consumo di carne è molto alto e non stiamo facendo nulla per aumentare la consapevolezza sul cambiamento climatico. Ed è ridicolo che chiunque conosca almeno una persona che ha due o tre automobili. E’ importante sottolineare che non siamo “giovani che vogliono portare disturbo alla società”, vogliamo solo che le nostre voci siano ascoltate. Stiamo ponendo domande concrete. Ma sappiamo che è necessario perturbare la quotidianità delle persone di modo che esse non ci ignorino. L’emergenza climatica ci impone di agire ora. Vorremmo un nuovo patto politico verde, leggi più restrittive: pensiamo per esempio alla Banca di Investimento Europeo di Kirchberg, che sta ancora finanziando un buon numero di attività inquinanti. I nostri genitori? E’ vero che all’inizio erano un po’ preoccupati, ma abbiamo parlato con loro e capiscono che stiamo facendo questo per il nostro futuro.”

Selma Vincent (in immagine sopra), lussemburghese, liceale 16enne, attivista di “Youth For Climate Luxembourg”.

lussemburgo

Degno di nota il fatto che, prima delle manifestazioni, il gruppo organizza per le/i partecipanti seminari su nonviolenza e disobbedienza civile: quando scendono in piazza, queste ragazze e questi ragazzi sanno come attirare l’attenzione sul proprio messaggio, come muoversi in sicurezza, come dialogare con polizia e passanti, come affrontare situazioni di crisi, eccetera. Messaggio ai gruppi simili italiani: se non lo state già facendo imitateli – è sano, furbo e divertente.

Maria G. Di Rienzo

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patti e greta

Questa è

Greta Thunberg, che compie

diciassette anni oggi, senza chiedere elogi o regali

eccetto che noi non sia neutrali.

La Terra conosce le persone come lei

proprio come tutte le divinità, proprio come

gli animali e la primavera

che guarisce. Buon compleanno

a Greta, che ha manifestato oggi

come ogni venerdì, rifiutando

di essere neutrale.

Era il 3 gennaio scorso e Patti Smith dedicava su Instagram questi suoi versi a Greta Thunberg (la traduzione è mia).

Sì, per nostra fortuna la Terra conosce bene queste due.

Maria G. Di Rienzo

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deborah levy

“Dà speranza quando i bambini creano una lingua che nessuno, tranne i loro compagni, può capire. E’ sperimentale, arguto, un po’ folle – il che è una buona cosa. Al minimo, i bimbi della nostra nazione hanno realizzato un’innovazione collettiva. Sì, lascia ben sperare che il linguaggio possa essere smontato e rimesso insieme in modo differente. E’ qualcosa di cui tutti dovrebbero far pratica.

Dà speranza che la lingua del patriarcato, che attualmente sta avendo il suo ultimo rantolo nel distruggere la Terra, sia stata smascherata dal movimento femminista globale, il che ha fornito a ciascuno un altro tipo di linguaggio. A un certo livello intuitivo, tutti sappiamo che il personale è politico.

Quando gli uomini si eccitano nell’insultare studenti di sesso femminile perché ci hanno dato informazioni scientifiche corrette sul clima, noi capiamo che le donne e i bambini nelle loro vite non sono al sicuro. Lascia davvero ben sperare che più gente al mondo sappia questo, piuttosto che non lo sappia.”

Deborah Levy – poeta, scrittrice, drammaturga inglese nata nel 1959 – dal suo libro “The Man Who Saw Everything” (2019), trad. Maria G. Di Rienzo.

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