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E’ uscito “Big Heart, Strong Hands” – “Grande cuore, mani forti” della fotografa norvegese Anne Helene Gjelstad (35 sterline, 256 pagine, Dewi Lewis Publishing), che documenta vita quotidiana, azioni e visioni delle donne in quella che è considerata l’ultima società matriarcale in Europa.

Si tratta delle isole estoni Kihnu e Manija nel Mar Baltico, dove sono le anziane a curarsi di tutto quel che riguarda la terra e a prendere decisioni in merito, mentre gli uomini vanno per mare.

Anne Helene Gjelstad ha dedicato numerosi anni al progetto, che vede come il proprio “contributo a dar testimonianza di questa cultura unica e a preservarne il futuro”.

Due particolari delle sue fotografie e il testo relativo:

lohu hella

“Lohu Ella è una delle maestre artigiane più rispettate di Kihnu. Sempre pronta a dare una mano, amichevole e gentile, con un gran cuore e un sorriso amabile, è una delle donne con cui ho passato più tempo e ho fotografato di più. Da lei ho appreso la cultura dell’abbigliamento delle donne: come fanno i loro copricapi, come mettono le loro gonne speciali, cosa indossano per dormire e come tengono al sicuro i loro tesori. Lohu Ella sta costantemente creando qualcosa. Ha persino confezionato per me un bellissimo costume Kihnu.”

virve

“Järsumäe Virve ha sempre amato gli animali e tutte le creature viventi. Non sa quanti gatti ha di preciso e persino i gatti delle vicine vengono da lei per mangiare. Ha due cani e un cavallo che corrono liberi nella sua proprietà durante la stagione calda. Quando diventammo amiche aveva anche due capre e le piaceva bere direttamente dal recipiente subito dopo averle munte. Mi spiegò quanto era salutare farlo e gentilmente condivise con me il latte tiepido.”

Maria G. Di Rienzo

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(“We Communicate Earth” di Jannie Staffansson (in immagine), del Consiglio del popolo Sami, Norvegia. Cultural Survival, estate 2017, trad. Maria G. Di Rienzo.)

Jannie Staffansson

Io vengo da una famiglia di allevatori di renne. Siamo pastori. Crediamo che se la renna ha una buona vita, avremo noi stessi una buona vita. Il mio sapere non viene dalla scienza, o dai sistemi occidentali, ma dalle nostre comunità.

Quando ero bambina, ho cominciato a sentir parlare del cambiamento climatico dagli anziani e nella comunità, perché noi parliamo costantemente del tempo atmosferico. Notavo dalle notizie e dai media che realmente non ne sapevano granché. Ho chiesto a mio padre: Perché non ne sanno niente? E mio padre rispose: Be’, noi non siamo istruiti con i loro sistemi, perciò non credono a quel che diciamo. Non danno valore alle cose in cui crediamo o ai nostri modi di conoscere.

Perciò, mi sono occupata di scienza. Ho studiato chimica ambientale e organica, e sono entrata in politica nel Consiglio del popolo Sami.

Lavoro principalmente con il Consiglio Artico, che è un forum internazionale. Collaboriamo con gli scienziati sugli agenti inquinanti, le tossine e l’atmosfera e produciamo moltissime perizie. Ma abbiamo anche gruppi diversi, nel Consiglio Artico, che si occupano di questioni culturali, sociali e relative al linguaggio nella zona artica. Da ciò, abbiamo capito di aver bisogno di orientamento quando si tratta di usare il sapere tradizionale all’interno della scienza occidentale. Quindi, abbiamo sviluppato dei principi fondamentali sull’uso appunto del sapere tradizionale, che è come i colonizzatori lo chiamano; noi potremmo chiamarlo “samu”, o sapere indigeno, per aiutare l’opera dei Sami nel Consiglio Artico.

Lo stato svedese ha una lunga storia di problemi correlati alle miniere e noi abbiamo avuto difficoltà con le dighe idroelettriche che ci hanno forzati a lasciare le nostre terre. Abbiamo anche a che fare con il cambiamento climatico, con ghiacci inaffidabili e valanghe che accadono continuamente, e con la deforestazione. C’è una comunità che sta maneggiando questioni relative a un’enorme area di mulini a vento e le persone sono dovute andare in tribunale per lottare per i loro diritti e i diritti delle renne alla terra. Grandi corporazioni entrano nella terra dei popoli indigeni e noi dobbiamo difendere quei diritti.

Un buon esempio è la Lapponia, designata come intangibile eredità culturale (ndt.: dall’Unesco). Oggi ha la forma di un’ong in cui le comunità Sami hanno membri e la maggioranza del consiglio d’amministrazione. I membri delle comunità hanno condotto ricerche sulla pesca basandosi sulle loro conoscenze tradizionali. Abbiamo anche movimenti che nascono a livello locale. Avevano costruito una miniera in una zona Sami chiamata Kallak, e allora i piccoli leader delle comunità hanno cominciato ad alzare le loro voci contro queste grandi compagnie commerciali. Abbiamo organizzato assemblee per arrivare al COP21 di Parigi (ndt.: la conferenza sul clima delle Nazioni Unite tenutasi nel 2015), per cui è anche stato creato un “joik”, una canzone che viene da una delle più grandi artiste fra noi (ndt.: Sara Marielle Gaup Beaska) e si chiama Gulahallat Eatnamiin – Noi comunichiamo la Terra. Perché parlare è a senso unico, ma comunicare è in ambo i sensi. Se la guida la fai insieme, allora puoi creare movimento. Noi siamo la natura che si ribella.

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Faccio strada

(“Ti racconterò la fiaba”, di Monica Aasprong – in immagine – poeta, scrittrice e traduttrice nata a Kristiansund, in Norvegia, nel 1969. Trad. Maria G. Di Rienzo. La traduttrice deve lasciarvi per qualche giorno ma come leggerete di seguito, nel frattempo, ci sarà il fuoco a camminare al vostro fianco.)

monica-aasprong

TI RACCONTERÒ LA FIABA

Ti racconterò la fiaba che tanto ti piace. Quella del fuoco:

Incontrai il fuoco nella foresta

e il fuoco mi vide e mi guardò

con occhi sfolgoranti

Venne vicino e ancora più vicino

e il calore riscaldava

dalle sue braccia gialle

dalla sua faccia rossa

Si ferma e chiede:

verresti con me nella foresta

vieni con me attraverso gli alberi

attraverso l’erba

oltre il campo, io andrò

sotto la Terra, disse il fuoco

con la bocca piena di corteccia

e la voce piena di fiori

Ed io mi unii al suo viaggio

gli camminai accanto nell’oscurità

Faccio strada, disse il fuoco

dea-pele

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Adorabili compagne/i di viaggio cibernetico: la connessione è ripristinata (con il legittimo dubbio che il provider si ingarbugli di nuovo nei propri errori nel prossimo futuro, ma intanto va). Potrebbe essere l’unica buona (ehm…) notizia che ricevete oggi, per cui allegria! E visto che domani è il mio compleanno… no, non dovete darmi quello strano anello d’oro che avete ripescato dal fiume, tesssori… e intendo occuparmi egoisticamente solo di me stessa, vi scrivo una pappardella bella lunga oggi. Qualcuna/o stenterà a crederlo, ma c’è gente che si fida delle mie recensioni di sceneggiati, per cui ecco cos’ho visto di recente che posso consigliare anche a voi (con l’eccezione della stagione n. 4 di Orphan Black, la peggiore del mazzo: è riuscita a buttare nello scarico del wc tutto quanto di buono aveva fatto in precedenza).

Vera

Il primo premio del mio gradimento va senz’altro a “Vera”, una serie poliziesca britannica basata sui romanzi di Ann Cleeves. La protagonista Vera Stanhope – interpretata da Brenda Blethyn, nell’immagine sopra – capo ispettrice nel Northumberland, è uno dei personaggi più realistici (e di conseguenza per me più amabili e affascinanti) che io abbia mai visto in uno sceneggiato televisivo. Donna di mezz’età con una storia di abbandono familiare alle spalle, arruffata e scapigliata, irascibile, acuta e penetrante e calcolatrice, che si cura profondamente del proprio lavoro e dei propri colleghi. Puoi pensare di entrare in una centrale di polizia e trovarla là che maneggia incartamenti, fa ipotesi, programma sopralluoghi e interrogatori… e dopo averle esposto il tuo caso chiederle se le va di prendere un caffè con te: “Sure, pet” (“Certo, tesoruccio”) ti risponderà Vera con il suo caratteristico intercalare.

Inoltre, le trame di Ann Cleeves sono solide, hanno credibilità e ritmo e la giusta dose di anticipazione, per cui è un vero piacere scoprire pian piano la verità – che è sempre fatta di luci e ombre, come nella vita reale – assieme alla capo ispettrice. Da notare: nessuna battuta sull’aspetto di costei – e vorrei vedere uno che ci si prova…, nessun “consiglio” 3F (fitness – fashion – femininity : forma moda femminilità) le viene ammannito e il suo corpo è lei stessa e basta, non una bandiera da sventolare o un manichino da vendere.

Dal lavoro della medesima autrice è stata tratta un’altra serie poliziesca altamente consigliabile, Shetland”, ambientata nell’omonimo arcipelago scozzese. Oltre a condividere tutti i tratti positivi di “Vera” in termini di plot, anche qui il protagonista è piacevolmente inusuale rispetto agli standard americanizzati di produzioni simili. L’ispettore Jimmy Perez (interpretato da Douglas Henshall) è probabilmente l’unico uomo che vedrete in televisione condividere amore, cure e fatiche della crescita della figliastra con il precedente marito della madre di lei, deceduta, in una relazione d’amicizia che riesce a superare gelosie e asprezze. Di “Shetland” ho anche apprezzato molto il modo in cui ha trattato lo stupro sofferto dalla “mano destra” dell’ispettore, la sergente McIntosh. Di solito, quale espediente narrativo, lo stupro è usato in modo infame per titillare la morbosità degli spettatori, per punire un personaggio femminile “troppo” orgoglioso e sicuro di sé e rassicurare con ciò l’audience maschile o per motivare tale personaggio nelle sue decisioni e scelte (per la serie: una donna dev’essere stuprata per avere uno scopo). In “Shetland” non accade nulla di simile: noi sappiamo ciò che è accaduto ma non lo vediamo nei dettagli, ciò che vediamo invece, realisticamente, è la lotta dolorosa di una giovane donna per riprendere signoria e controllo sulla propria vita.

Nell’ambito dei gialli inglesi una rapida menzione onorevole va anche a “Happy Valley”. (Nella foto l’attrice Sarah Lancashire nei panni della protagonista, la sergente Catherine Cawood)

sarah lancashire - happy valley

La “Valle Felice” è quella del fiume Calder nel nord dell’Inghilterra e si tratta di un eufemismo realmente usato dalla polizia locale per alludere ai problemi di droga dell’area. Dietro la serie c’è la scrittrice e regista Sally Wainwright e forse per questo le donne in essa sono esseri umani a tutto tondo. Catherine Cawood, divorziata, vive con la sorella (ex alcolista ed eroinomane) e con il nipotino. Quest’ultimo è purtroppo il frutto di uno stupro da cui la figlia di Catherine non si riprese mai, giungendo a suicidarsi. Per entrambe le due stagioni della serie la sergente deve vedersela in un modo o l’altro con il violentatore della figlia, rimesso in libertà dopo 8 anni di carcere e deciso a “vendicarsi” di lei che ce l’ha mandato, mentre cerca di risolvere vari casi. Discorso uguale a “Vera” (e a “Shetland”) per le 3F: sono felicemente invisibili.

Il secondo premio del mio gradimento va a uno sceneggiato norvegese da poco terminato, “Okkupert” (“Occupati”). Nell’immagine qui sotto vedete la magnifica attrice Raghnild Gusbranden, che interpreta la capa dei servizi segreti norvegesi. (3F? Nei, takk – e cioè No, grazie in norvegese).

raghnild gusbranden - okkupert

Okkupert” descrive un prossimo futuro in cui la Russia, con l’approvazione e l’appoggio dell’Unione Europea, occupa la Norvegia affinché quest’ultima riprenda la produzione di petrolio, dismessa da quando il Partito Verde ha vinto le elezioni nel paese (dopo che un uragano di enormi proporzioni causato dal cambiamento climatico ha devastato la Norvegia). La crisi energetica europea è grave: il Medioriente, a causa dei continui tumulti, non le fornisce petrolio e nemmeno lo fanno gli Usa, che sono entrati in un regime di autosufficienza abbandonando la Nato. L’idea del governo norvegese è sostituire i combustibili fossili con l’energia nucleare derivata dal torio (è assai meno pericoloso dell’uranio, in effetti, ma – questa è l’unica pecca che trovo nella storia – mi suona stridente l’idea che diventi il vessillo di un partito ecologista). L’occupazione è sinistramente “morbida”, strisciante, ufficialmente paludata dal gergo e dalle consuetudini della politica (un teatrino di convenzioni e trattati e accordi senza effettiva rilevanza) e sempre più violenta mano a mano che il governo e la popolazione norvegese oppongono ad essa atti di resistenza. La trama è fitta e avvincente, ma non ve la racconto nei dettagli sia per non rovinarvi il piacere di vedere lo sceneggiato, sia perché dovrei scrivere sino a domani mattina… per quel che riguarda l’avvincente, vi basti sapere che al termine di ogni puntata mi spostavo dal salotto in qualsiasi altra stanza borbottando: “Dannazione, la Norvegia è ancora occupata!”

Noto di passaggio che fra le produzioni televisive nordiche potreste apprezzare anche la serie poliziesca islandese “Ófærð” (“In trappola”) in cui un incendio apparentemente casuale che provoca la morte di una ragazza si collega, sette anni più tardi, al torso di un cadavere mutilato ripescato dal mare. Qui sotto c’è lo straordinario Andri Olafsson, e cioè l’attore Ólafur Darri Ólafsson, capo della polizia locale: in tutto tre persone, il “locale” è la piccola città di Seyðisfjörður.

olafur darri olafsson

Ah: nessuna scherzosa battuta o saggio consiglio su come diventare una sardina ne’ per il detective, ne’ per qualsiasi altro personaggio maschio o femmina. Anche qui impera il rispetto per i corpi, la nozione che i corpi umani sono esseri umani, stupendamente vari.

Terza postazione per una serie fantastica spagnola, El Ministerio del Tiempo” (“Il Ministero del Tempo”). La premessa è che in Spagna sia custodito un segreto cruciale: un’istituzione governativa autonoma che risponde solo al Primo Ministro e che si occupa di raddrizzare gli incidenti causati dai viaggi nel tempo. Il Ministero del Tempo custodisce e controlla le porte che conducono dall’oggi a varie epoche del passato, assicurandosi che nessuno cambi la Storia a proprio beneficio. Per chiunque si interessi come me sia di Storia sia di narrazione fantastica questo sceneggiato è una doppia delizia. Si dipana principalmente seguendo le avventure di una delle squadre di intervento del Ministero, formata dal soldato Alonso de Entrerríos (originario del 1.600), dalla studente Amelia Folch (19° secolo, “capa” della pattuglia) e dal paramedico Julián Martínez reclutato nel tempo presente. I tre attori sono rispettivamente Nacho Fresneda, Aura Garrido e Rodolfo Sancho – che è brillato di recente anche nella serie gialla “Mar de plástico”.

ministerio

La struttura delle puntate è bilanciata in modo sapiente e sfaccettato, la tensione drammatica (ad esempio la tentazione di cambiare il passato per riavere la moglie morta da parte di Julián Martínez) ha sempre il suo contrappeso “leggero” (i comici tentativi dello spadaccino delle Fiandre Alonso de Entrerríos di trovare senso e posto nel 2016); le figure femminili sono variegate e trattate con la massima cura narrativa: hanno spessore e profondità che età, aspetto e sessualità non oscurano e noi spettatrici e spettatori possiamo finalmente trovare normale il rispetto dato alle loro capacità e competenze. Per cui… buona visione a voi e tanti auguri a me, ci risentiamo il 5 giugno! Maria G. Di Rienzo

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... in ogni senso

… in ogni senso

(brano tratto da: “Norwegian city bans adverts with semi-naked models in bid to combat negative body image”, un più lungo articolo di Gabriel Samuels per The Independent, 12 maggio 2016, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)

Una città norvegese ha bandito gli annunci pubblicitari con modelle/i seminude/i nel tentativo di affrontare le istanze collegate a un’immagine negativa del corpo e le attiviste che hanno fatto campagna per questo stanno chiedendo ad altri paesi di imitarla.

Il consiglio comunale di Trondheim, che è la terza maggior città della Norvegia, ha votato martedì scorso la rimozione di tutti i cartelloni e striscioni che possono contribuire a creare problemi sull’immagine corporea.

La nuova politica recita: “Nessuna pubblicità che convoglia una falsa immagine dell’apparenza di chi fa da modello/a e contribuisce a un’immagine negativa del corpo sarà permessa. Come minimo, le pubblicità in cui le forme del corpo sono state ritoccate dovrebbero essere apertamente presentate come tali.”

Caitlin Roper, direttrice di campagne per il movimento anti-oggettificazione “Urlo Collettivo”, ha detto a The Independent: “E’ grandioso vedere che Trondheim è proattiva su queste istanze pressanti. I pubblicitari hanno fatto come a loro pareva per troppo tempo. Nel combattere i problemi relativi all’immagine corporea è necessario un approccio comunitario a vasto raggio. Questo è solo un tassello del puzzle, ma è un tassello importante. Abbiamo insistito molto su questo: una pubblicità che riduce le donne a oggetti sessuali per l’uso e l’intrattenimento degli uomini non dovrebbe aver posto in una società progressista.

Il Consigliere Ottar Michelsen ha detto alla tv statale norvegese: “Dobbiamo riflettere bene su che tipo di pubblicità contribuiamo a diffondere. Non dobbiamo diffondere immagini che contribuiscono alla crescente pressione sull’immagine corporea.” (1)

(1) Michelsen è di Sinistra Socialista e colui che ha proposto il nuovo regolamento in Consiglio comunale. Nello stesso intervento citato da The Independent ha detto che tale provvedimento segue un grande dibattito in corso nel paese su come ridurre la pressione posta su giovani e ragazze/i affinché si adeguino a un “modello” di corpo: “Se siamo seri nel discutere il tipo di pressione cui sottoponiamo la nostra gioventù sull’apparenza fisica, allora abbiamo anche in mente che tipo di pubblicità avere. Dobbiamo essere consci di che tipo di modelli sono usati e quando sono pesantemente manipolati mostrando corpi del tutto irrealistici.”

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(tratto da: “Very inconvenient truths: sex buyers, sexual coercion, and prostitution-harm-denial”, un lungo, rigoroso e dettagliato saggio di Melissa Farley per Logos Journal, gennaio 2016, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo. Melissa Farley, psicologa clinica e ricercatrice è la direttrice esecutiva del Centro “Prostitution Research and Education” di San Francisco, Usa. L’anno scorso ha pubblicato la ricerca “Pornography, Prostitution, & Trafficking: Making the Connections”. Cioè, non è una che ha “parlato una volta con Sempronia che si prostituiva quattro decenni fa” o che cita il proprio cugino come fonte autorevole, è una che di prostituzione si occupa professionalmente e scientificamente da trent’anni e passa.)

Alcuni sfruttatori, alcuni compratori di sesso e alcuni governi hanno preso la decisione di ritenere ragionevole l’aspettarsi che determinate donne tollerino lo sfruttamento e l’assalto sessuale per sopravvivere. Queste donne più spesso che no sono povere e più spesso che no sono marginalizzate per motivi etnici o razziali. Gli uomini che le comprano hanno maggior potere sociale e maggiori risorse rispetto alle donne. Per esempio, un canadese turista della prostituzione ha detto delle donne thailandesi che si prostituiscono: “Queste ragazze devono pur mangiare, non è vero? Io sto mettendo il pane nel loro piatto. Sto dando un contributo. Morirebbero di fame se non facessero le puttane.”

Questo darwinismo autocelebratorio evita la questione: le donne hanno il diritto di vivere senza l’aggressione sessuale o lo sfruttamento sessuale della prostituzione, o questo diritto è riservato a coloro che godono di privilegi di sesso, razza o classe? “Ottieni quello per cui paghi senza il no. – ha spiegato un altro compratore di sesso – Le donne che non si prostituiscono hanno il diritto di dire no.” Noi abbiamo protezione legale dalle molestie sessuali e dallo sfruttamento sessuale. Ma tollerare abusi sessuali è la descrizione della prostituzione come lavoro.

Una delle bugie più grandi è che la maggior parte della prostituzione sia volontaria. Se non ci sono prove dell’uso della forza, l’esperienza della donna è archiviata come “volontaria” o “consensuale”. Un compratore di sesso ha detto: “Se non vedo una catena alla sua caviglia, presumo che lei abbia fatto la scelta di essere là.”

Il pagamento del puttaniere non cancella quel che sappiamo della violenza sessuale e dello stupro. Sia o no legale, la prostituzione è estremamente dannosa per le donne. Le prostitute hanno le più alte percentuali di stupro, aggressioni fisiche e omicidio di qualsiasi altro gruppo di donne mai studiato.

Secondo una ricerca olandese, il 60% delle donne che esercitano legalmente la prostituzione sono state fisicamente assalite, il 70% minacciate di aggressione fisica, il 40% ha fatto esperienza di violenza sessuale e un altro 40% è stato obbligato con la forza a prostituirsi legalmente.

Nell’ultimo decennio, dopo aver intervistato centinaia di compratori di sesso in cinque paesi (Usa, Gran Bretagna, India, Cambogia e Scozia), stiamo osservando più da vicino i comportamenti e le attitudini che alimentano la misoginia della prostituzione e abbiamo cominciato a capire alcune delle loro motivazioni. I comportamenti normativi dell’acquirente di sesso includono il rifiuto a vedere la propria partecipazione in attività dannose, come il disumanizzare una donna, l’umiliarla, l’aggredirla verbalmente e fisicamente e sessualmente, e il pagarla in danaro per farle compiere atti sessuali che altrimenti non compirebbe.

I compratori di sesso non riconoscono l’umanità delle donne che per il sesso usano. Una volta che una persona sia stata mutata in oggetto, lo sfruttamento e l’abuso sembrano pressoché ragionevoli. Nelle interviste tenute con i compratori di sesso in culture differenti, essi hanno fornito alcuni agghiaccianti esempi di mercificazione. La prostituzione era intesa come “affittare un organo per dieci minuti”. Un altro compratore di sesso statunitense ha affermato che “Stare con una prostituta è come bere una tazzina di caffè, quando hai finito la butti da parte”.

Avevo in mente una lista in termini di razza – ha detto un compratore di sesso inglese – Le ho provate tutte negli ultimi cinque anni, ma sono risultate essere tutte uguali.” In Cambogia, la prostituzione era intesa in questi termini: “Noi uomini siamo gli acquirenti, le prostitute sono le merci e il proprietario del bordello è il venditore.”

Una donna che si era prostituita a Vancouver per 19 anni ha spiegato la prostituzione negli stessi termini dei compratori di sesso: “Sono i tuoi proprietari per quella mezz’ora o quei venti minuti o quell’ora. Ti stanno comprando. Non hanno sentimenti nei tuoi confronti, tu non sei una persona, sei una cosa da usare.”

Usando la sua propria e speciale logica, il compratore di sesso calcola che in aggiunta all’acquistare accesso sessuale, il denaro gli compri il diritto di evitare di pensare all’impatto della prostituzione sulla donna che usa. La sua fantasia è la fidanzata senza-problemi che non gli fa richieste ma è disponibile a soddisfare i suoi bisogni sessuali. “E’ come affittare una fidanzata o una moglie. E puoi scegliere come da un catalogo.”, ha spiegato un compratore inglese di sesso. I compratori di sesso cercano l’apparenza di una relazione. Un certo numero di uomini hanno spiegato il loro desiderio di creare l’illusione, diretta ad altri uomini, di aver acquisito una donna attraente senza averla pagata. (…)

In Scozia, i ricercatori hanno scoperto che più spesso gli uomini comprano sesso, meno empatia provano per le donne che si prostituiscono: “Io non voglio sapere niente di lei. Non voglio che si metta a piangere o altre cose perché questo rovina l’idea, per me.” Gli uomini creano un’eccitante versione di ciò che la prostituta pensa e prova che ha scarse basi nella realtà. Andando contro tutta l’evidenza del buonsenso, la maggioranza dei puttanieri che abbiamo intervistato credeva che le prostitute fossero sessualmente soddisfatte dalle loro performance sessuali. La ricerca compiuta con le donne, d’altra parte, mostra che esse non sono eccitate dalla prostituzione e che, con il tempo, la prostituzione reca danni alla sessualità delle donne. (…)

L’opinione degli uomini favorevoli alla prostituzione è una dell’insieme di attitudini e pareri che incoraggiano e giustificano la violenza contro le donne.

Attitudini per chi si sente di avere il diritto all’accesso al sesso e all’aggressione sessuale e attitudini di superiorità rispetto alle donne sono connesse alle violenza maschile contro le donne. La ricerca mostra che i compratori di sesso tendono a preferire sesso impersonale, temono il rigetto delle donne, hanno un’ostile auto-identificazione mascolina e sono più inclini allo stupro dei non compratori, se possono farla franca. In Cile, Croazia, Messico e Ruanda, i compratori di sesso erano più inclini a stuprare degli altri uomini. Significativamente, gli uomini che avevano usato donne nella prostituzione avevano molte più probabilità di aver stuprato una donna rispetto agli uomini che non compravano sesso. In Scozia, abbiamo scoperto che più volte un puttaniere usa le donne nella prostituzione, più è probabile che abbia commesso atti sessuali coercitivi contro donne che non si prostituiscono. (…)

I compratori di sesso vedono, e allo stesso tempo rifiutano di vedere, la paura, il disgusto e la disperazione nelle donne che comprano. Se lei non corre fuori dalla stanza urlando “Aiuto, polizia!”, allora il compratore conclude che lei ha scelto la prostituzione. Sapere che le donne nella prostituzione sono state sfruttate, coartate, rispondono a un magnaccia o sono state trafficate non scoraggia i compratori di sesso. Metà di un gruppo di 103 compratori di sesso londinesi ha attestato di aver usato una prostituta di cui sapevano che era sotto il controllo di un magnaccia. Uno di loro ha spiegato: “E’ come se lui fosse il suo proprietario.” E un altro: “La ragazza viene istruita su quel che deve fare. Tu puoi rilassarti completamente, è il suo lavoro.” (…)

L’argomento che legalizzare la prostituzione la renderebbe “più sicura” è la razionalizzazione principale per legalizzare o decriminalizzare la prostituzione. Tuttavia, non ci sono prove per questo. Invece, ascoltiamo rivendicazioni egoistiche e asserzioni dalle forti parole ma senza dati empirici. Le conseguenze della prostituzione legale in Olanda e Germania hanno mostrato quanto male può andare: al 2016, l’80% della prostituzione olandese e tedesca è controllata da mafie criminali. Dopo la legalizzazione in Olanda, il crimine organizzato è andato fuori controllo e le donne nella prostituzione non sono state più al sicuro di quando la prostituzione era illegale. Dopo la legalizzazione nello stato di Victoria, Australia, i magnaccia hanno aperto 95 bordelli legali ma allo stesso tempo ne hanno aperti altri 400 di illegali. Invece di far diminuire i crimini violenti correlati, la legalizzazione della prostituzione è risultata come aumento del traffico di esseri umani (la ricerca ha interessato 150 paesi). Chiunque conosca la vita quotidiana di chi si prostituisce capisce che la sicurezza nella prostituzione è una chimera. I sostenitori della prostituzione legale lo capiscono, ma raramente lo ammettono.

Pure, prove alla mano, la “Sex Workers’ Education and Advocacy Taskforce in South Africa” ha distribuito una lista di suggerimenti per la sicurezza inclusa la raccomandazione, per la persona che si prostituisce, di calciare una scarpa sotto il letto mentre si spoglia e, nel recuperarla, di controllare se ci sono coltelli, manette o corda. Il volantino fa notare anche che sprimacciare il cuscino sul letto permetterebbe un’addizionale ricerca di armi. Un magnaccia olandese ha detto a un giornalista: “Non ci vogliono cuscini nella camere del bordello. Il cuscino è un’arma per l’assassinio.” Un’organizzazione di S. Francisco consiglia: “Fate attenzione alle uscite e impedite al vostro cliente di bloccare quelle uscite” e “Le scarpe dovrebbero togliersi e mettersi facilmente ed essere adatte alla corsa” e ancora “Evitate collane, sciarpe, borse la cui tracolla attraversa il collo e ogni altra cosa che possa accidentalmente o intenzionalmente essere stretta attorno alla vostra gola.”

Il gruppo “Australian Occupational and Safety Codes for prostitution” raccomanda un training per la negoziazione da parte di ostaggi, contraddicendo completamente la nozione di prostituzione come lavoro qualsiasi. Al pulsante d’allarme nei saloni per massaggi, nelle saune e nei bordelli non si può rispondere abbastanza velocemente per prevenire la violenza. I pulsanti d’allarme nei bordelli legali hanno tanto senso quanto ne avrebbero nelle case di donne che subiscono maltrattamenti. (…)

I compratori di sesso e i sostenitori del commercio di sesso possono riconoscere una frazione degli abusi e dello sfruttamento all’interno della prostituzione, ma li giustificano perché alle donne è permesso fare molti soldi. Una volta che siano pagate, sfruttamento abuso e stupro scompaiono. “Sono tutte sfruttate. – ha detto un puttaniere italiano – Tuttavia, hanno anche dei bei guadagni.” Un altro compratore di sesso ha descritto gli stupri subiti dalla donna da parte del suo magnaccia ma, ha aggiunto, “Succede una volta ogni tanto, non ogni settimana”. (…)

Magnaccia e trafficanti rappresentano la prostituzione falsamente come un lavoro facile, divertente e remunerativo per le donne. Alcuni assai noti sostenitori della prostituzione si presentano come “sex workers”, sebbene siano invece “manager” per donne nel commercio del sesso: certi sono magnaccia e certi sono stati arrestati per favoreggiamento della prostituzione, per aver aperto bordelli o trafficato esseri umani.

C’è un clamoroso conflitto di interessi quando individui che dirigono/posseggono/sfruttano stanno nella stessa organizzazione di chi è sotto il loro controllo. La falsa rappresentazione diventa ancora meno etica quando proprietari di bordelli e magnaccia nascondono le loro appartenenze, proclamando di rappresentare gli interessi delle prostitute. Nascondendosi dietro la bandiera del “sindacato”, i magnaccia si appellano alla simpatia della Sinistra. Tuttavia, gruppi come New Zealand Prostitutes Collective, the International Union of Sex Workers (GB), Red Thread (Olanda), Durbar Mahila Samanwaya Committee (India), Stella (Canada) e Sex Worker Organizing Project (USA) – mentre promuovono aggressivamente la prostituzione come lavoro non assomigliano affatto a sindacati dei lavoratori. Non offrono pensioni, sicurezza, riduzione d’orario, benefici per le disoccupate o servizi d’uscita dalla prostituzione (che il 90% delle prostitute affermano di volere). Invece, questi gruppi promuovono un libero mercato di esseri umani usati per il sesso.

Noi abbiamo individuato 12 persone (femmine e maschi) di 8 paesi diversi che si identificano pubblicamente come “sex workers” o sostenitori di chi lavora nel commercio di sesso, ma che hanno anche venduto altre persone o sono stati implicati nel commercio di sesso in vari modi specifici. Tutti costoro reclamano la decriminalizzazione dello sfruttamento della prostituzione. Molti sono stati arrestati per aver diretto bordelli e agenzie di escort, per aver trafficato persone, per aver promosso o favorito la prostituzione o per aver derivato i propri guadagni dalla prostituzione altrui, per esempio:

Norma Jean Almodovar, USA, International Sex Worker Foundation for Art, Culture, and Education, Call Off Your Old Tired Ethics (COYOTE): condannata per favoreggiamento della prostituzione.

Terri Jean Bedford, Canada, “sostenitrice delle sex workers” che descriveva se stessa pure come “sex worker”: condannata per aver diretto un bordello.

Claudia Brizuela, Argentina, Association of Women Prostitutes of Argentina, Latin American-Caribbean Female Sex Workers Network: arrestata con l’accusa di traffico di essere umani a scopo di sfruttamento sessuale. Entrambi i gruppi citati di cui fa parte erano finanziati da UNAIDS e facevano riferimento ad Amnesty International per avere sostegno.

Maxine Doogan, USA, Erotic Service Providers Union: arrestata per favoreggiamento della prostituzione e riciclaggio di denaro sporco. Ha ammesso il favoreggiamento ed è stata condannata.

Douglas Fox, Gran Bretagna, International Union of Sex Workers: arrestato per aver derivato i propri guadagni dallo sfruttamento della prostituzione, consigliere di Amnesty International, co-dirige un’agenzia di escort.

Eliana Gil, Messico, Global Network of Sex Work Projects, Latin American-Caribbean Female Sex Workers Network: condannata per traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale. Era la magnaccia, assieme al figlio, di circa 200 donne a Città del Messico. L’associazione Latin American-Caribbean Female Sex Workers Network era affiliata al programma delle NU sull’Hiv/Aids, affiliata all’Organizzazione Mondiale per la Sanità e citata da Amnesty International.

Margo St. James, USA, COYOTE: arrestata per aver diretto un bordello. La sua dichiarazione è che sebbene le donne nelle stanze della sua casa si prostituissero, lei non lo faceva. (…)

L’esistenza della prostituzione ovunque è il tradimento della società nei confronti delle donne, in special modo di quelle che sono marginalizzate e vulnerabili a causa del gruppo etnico di cui fanno parte, della loro povertà, delle loro storie di abuso e abbandono.

La complicità dei governi sostiene la prostituzione. Quando il commercio di sesso si espande, le donne competono meno con gli uomini per i posti lavoro. Quando la prostituzione è incorporata nelle economie di stato, i governi sono sollevati dalla necessità di trovare impieghi per le donne. Nei paesi in cui la prostituzione è legale le tasse sul sangue sono raccolte dallo stato-magnaccia. Banche, linee aeree, internet providers, alberghi, agenzie di viaggio e tutti i media integrano lo sfruttamento e l’abuso delle donne coinvolte nella “prostituzione turistica”, ricavandone grandi profitti.

Se ascoltiamo le voci e le analisi delle sopravvissute che sono uscite dalla prostituzione – coloro che non sono più sotto controllo – ci dirigeranno verso le ovvie soluzioni legali. Gli uomini che comprano sesso devono essere ritenuti responsabili delle loro aggressioni predatorie. Chi si prostituisce non deve subire arresti e le/gli devono essere offerte alternative reali per la sopravvivenza. Coloro che profittano dalla prostituzione – magnaccia e trafficanti – devono pure essere ritenuti responsabili. Un approccio alla prostituzione basato sui diritti umani, che la riconosce come sfruttamento sessuale, come quello di Svezia, Norvegia, Islanda e Irlanda del Nord, fornirebbe sicurezza e speranza. Ma prima dobbiamo muoverci oltre le bugie dei magnaccia e dei profittatori. So che possiamo farlo.

Riassumendo:

1. La verità sulla prostituzione è spesso nascosta dietro le bugie, le manipolazioni e le distorsioni di chi profitta del commercio sessuale. Le verità più profonde sulla prostituzione vengono alla luce nelle testimonianze delle sopravvissute, così come nella ricerca sulle realtà psicosociali e psicobiologiche della prostituzione stessa.

2. Alle radici della prostituzione, come per tutti gli altri sistemi coercitivi, ci sono disumanizzazione, oggettivazione, sessismo, razzismo, misoginia, mancanza di empatia / senso patologico dell’aver diritto (magnaccia e clienti), dominio, sfruttamento e un livello di esposizione cronica alla violenza e alla degradazione che distrugge personalità e spirito.

3. La prostituzione non può essere resa sicura legalizzandola o decriminalizzandola. La prostituzione deve essere completamente abolita.

4. La prostituzione assomiglia più all’essere cronicamente assalite sessualmente, danneggiate e stuprate che a lavorare in un fast food. La maggioranza delle prostitute soffre di acuta sindrome da stress post traumatico e vuole uscirne.

5. I compratori di sesso sono predatori: spesso hanno comportamenti coercitivi, manca loro empatia e hanno attitudini sessiste che giustificano l’abuso delle donne.

6. Una soluzione esiste. Si chiama modello svedese ed è stata adottata in diversi paesi. L’essenza della soluzione è: criminalizzazione per clienti e magnaccia, decriminalizzazione per le donne e il provvedere loro risorse, alternative, alloggi sicuri, riabilitazione.

7. La prostituzione ha effetti su ognuno di noi, non solo su chi è coinvolto.

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Berit Ås, nata in Norvegia nel 1928, è una donna politica di sinistra che è stata più volte eletta in Parlamento, una femminista e docente emerita di psicologia sociale all’Università di Oslo con vari dottorati ricevuti da altre università norvegesi ed estere. A livello internazionale è però più conosciuta per aver descritto in modo articolato le “Tecniche di dominio” – chiamate anche “Tecniche di repressione del padrone” – e cioè le strategie manipolative con cui un gruppo dominante mantiene i propri privilegi rispetto ad un altro gruppo e la propria influenza su di esso.

berit

Originariamente Berit descrisse cinque tecniche negli anni ’70 riferendole ai modi in cui gli uomini le usano per imporsi sulle donne. Chiunque di voi lettrici (e anche alcuni di voi lettori) faccia parte o abbia fatto parte in passato di un gruppo misto – con scopi che vanno dall’attivismo sociale alla politica o persino con finalità artistiche – ha incontrato tutt’e cinque le tecniche almeno una volta e spesso continua ad incontrarle.

Oggi la vostra trainer preferita (sono io, ovviamente… ehm, no?) vi dirà come smantellarle, perché questa è la buona notizia: quando ne divenite coscienti le tecniche per farvi sentire passive, sottomesse e represse perdono il loro potere.

1. RENDERE INVISIBILE. E’ l’azzittire e il marginalizzare le persone ignorandole. Include il riformulare le vostre idee come le idee di chi sta parlando, prendere la parola al posto vostro quando sarebbe il vostro turno, non prestarvi alcuna attenzione mentre parlate (leggendo il giornale, controllando le e-mail sul telefonino, chiacchierando con altri). Per noi donne essere ignorate, dimenticate, stimate come trascurabili eccetera non è una novità: serve a ribadirci che siamo inferiori, insignificanti e senza potere. Come bambini, i dominatori pensano che se fingono di non vederci noi non esistiamo proprio. Per quanto riguarda l’appartenenza ad un gruppo, subire questo atteggiamento è devastante: la persona non vista e non ascoltata con il tempo riduce impegno e interesse e più spesso che no prende la porta.

COSA FARE:

a) Chiedete attenzione, anche pestando un pugno sul tavolo o alzando la voce a vette da soprano: poi, con un sorriso, spiegate che state parlando al gruppo (o a quella tal persona), non al vento.

b) Denunciate la situazione: spiegate chiaramente che siete consapevoli del metodo usato su di voi e non lo accettate.

c) Naturalmente otterrete una pletora di non-risposte / insulti : “Non è vero”, “Stai dando i numeri”, “Non mi sono accorto di niente”, “Questo è perdere tempo” eccetera. Attestate, a questo punto, che applicherete la medesima tecnica al prossimo uomo che prende la parola, così che tutti possano vederla all’opera e riconoscerla. E fatelo.

2. RIDICOLIZZARE. E’ quando si disprezzano le vostre argomentazioni e il vostro operato, evitando di stare sul merito e beffandosi di voi: siete emotive, siete sciocchine, siete superficiali, siete isteriche, siete delle pollastre troppo ambiziose. E’ quando il vostro aspetto viene discusso e commentato su basi e in contesti non congruenti: quanto scollata è la vostra maglietta, come vi stanno i capelli oggi e quante erezioni provocate ai presenti non hanno niente a che fare con l’ordine del giorno e nessun uomo seduto al vostro stesso tavolo subisce mai un trattamento simile. E’ l’implicare (o il dichiarare apertamente) in varie maniere che le donne sono incompetenti e inutili in qualsiasi campo eccettuati il sesso e le faccende domestiche.

So che avete riconosciuto la tecnica a tambur battente, perciò non insisto con gli esempi. Quindi, COSA FARE:

a) Denunciate la situazione: attestate chiaramente che essere trattata in questo modo non vi sta bene.

b) Non ridete mai delle loro battute, nemmeno se lo “scherzo” è diretto ad un’altra donna. Piuttosto, guardate il tizio che pensa di essere divertente con aria annoiata e sbadigliate. Nel silenzio penoso che molto probabilmente seguirà, giratevi verso una seconda persona, possibilmente una donna, e chiedetele: “Cosa diamine stava dicendo, secondo te? Aveva senso?”

c) Dite direttamente al tizio, senza rabbia e senza imbarazzo: “Non mi diverto per niente. Sei pregato di smettere.”

3. TENERE CELATE LE INFORMAZIONI.

Accade quando il gruppo misto non prende tutte le decisioni insieme, in una comune assemblea: un segmento di uomini (di solito, ma non necessariamente) le prende prima o dopo, al bar o sulle gradinate dello stadio. Per poter reiterare l’incompetenza e la mancanza di abilità e l’ignoranza delle donne non c’è niente di meglio che tenerle all’oscuro di quel che succede, così in riunione faranno la figura che si meritano e non avranno occasione di intervenire sull’istanza ed eventualmente di modificare la scelta già presa. Vi ricordate, vero, di quando avete detto: “Ma non dovremmo discutere di…” e vi è stato risposto di non creare difficoltà, che non si poteva trascinare ancora la questione, e di essere un po’ più “decise”, perdinci?

COSA FARE:

a) Chiedete sia reso noto come si è arrivati alla decisione, con tutte le informazioni del caso.

b) Quando vi si nega questo, o le informazioni sono insufficienti, o i vostri interlocutori non hanno neppure il coraggio di rispondervi – e di dirvi la verità, attestate che non potere avallare una decisione presa su queste basi e chiedete un rinvio.

c) Cercate di ottenere le informazioni da altri canali: fate rete con altre donne, se potete.

sunset friends4. DOPPIO VINCOLO.

E’ il mettere una persona in una situazione per cui sarà penalizzata, insultata, disprezzata qualsiasi alternativa scelga e qualsiasi sia il suo comportamento. Se il vostro lavoro è stato fatto molto bene, con attenzione ai dettagli, è arrivato troppo tardi, siete lente. Se il vostro lavoro è stato fatto in modo efficiente ma molto velocemente, siete trasandate. Ma come donne lo sapete molto bene, non è vero? Sbagliate sempre. Dovreste sempre essere altrove, non dove vi trovate: se siete al nido per l’inserimento del bimbo dovreste essere al lavoro, se siete al lavoro dovreste essere a casa a curarvi di lui e del resto della famiglia, eccetera. Quando decidete di impegnarvi pubblicamente in qualcosa siete già inadeguate perché donne, ma diventate inadeguate come madri in modo superlativo; nello stesso tempo, vi si dice che è meglio non assumiate la tal carica o la direzione del tal progetto, perché non potreste metterci lo stesso tempo di un uomo. E quando vi fate umilmente da parte, arriva il commento sulla vostra scarsa lealtà al gruppo, sul vostro disinteresse, sulla vostra superficialità…

COSA FARE:

a) Poiché questo crea senso di colpa e lo alimenta in un circolo vizioso, dovete ripetervi sino ad esserne convinte, in modo granitico, che voi siete titolari degli stessi diritti degli uomini ad avere sia una vita lavorativa / associativa sia una vita familiare e non dovete essere punite per questo.

b) Agite di conseguenza. Piantate grane sul poter dire “sì” o “no” ad una proposta come i vostri compagni / colleghi senza dover incorrere in penalità che per loro non sono previste.

c) Calcolate le ore di lavoro domestico e negoziatele con il / la partner e il resto della famiglia. Tutti sporcano, tutti puliscono, ovviamente a seconda delle loro capacità (età, salute, ecc.) ma nessuno che sia abile può sottrarsi perché a differenza di voi gli crescono i baffi.

5. BIASIMO E SVERGOGNAMENTO.

E’ la tecnica più elusiva di tutte, in parte un risultato della combinazione di ridicolizzazione e doppio vincolo. In pratica, consiste nel darvi la colpa delle denigrazioni e dei maltrattamenti che vi trovate a subire (come è di norma per la violenza di genere, ad esempio). “Non puoi biasimare che te stessa per quel che è accaduto.” E spesso le donne nei gruppi accettano questo giudizio – grazie alle condizioni di insicurezza in cui i gruppi stessi le mettono – e si accollano responsabilità e magagne altrui.

COSA FARE:

a) Guardate la situazione dal di fuori, assieme a un’amica / compagna / collega fidata che conosca i fatti. Analizzatela in modo il più possibile spassionato.

b) Scuotetevi di dosso il senso di colpa riconoscendo all’opera lo schema del biasimo alla vittima.

c) Confrontatevi con chiunque vi stia gettando il biasimo addosso, esigete che ascolti cos’è davvero accaduto.

d) Difendete le altre donne a cui vedete lo schema applicato. Ruggite come leonesse e restate salde come querce.

Maria G. Di Rienzo

P.S. Successivamente, Berit Ås aggiunse altre due tecniche alla lista: OGGETTIVAZIONE e MINACCIA / USO DELLA FORZA, di cui spesso parlo qui estensivamente, per cui non le ho incluse.

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C’è sempre un luogo dove, se ascolti attentamente nella notte, udirai una madre raccontare una storia e al termine del racconto ti farà questa domanda: ‘Ou libéré?’ Sei libera, figlia mia?” Edwidge Danticat, “Breath, Eyes, Memory”

are you free

Il seguente brano è tratto da: “Norway’s ‘We’re Sorry’ Monument to 91 Dead Witches”, di Nina Strochlic per The Daily Beast, maggio 2015, trad. Maria G. Di Rienzo.

“La città di Vardø, conosciuta come “la capitale norvegese delle streghe”, ha eretto un monumento dedicato alla memoria delle donne e degli uomini che furono bruciati o torturati a morte perché accusati di stregoneria. Il luogo di una delle più brutali cacce alle streghe d’Europa è stato trasformato in un moderno sito memoriale, arroccato sopra il Circolo Artico sulla punta più a nord-est della frastagliata costa norvegese.

Mentre l’Europa uccideva più di 40.000 persone accusate di stregoneria, nel 17° e 18° secolo, si tenevano crudeli processi ai confini della terra, nei minuscoli villaggi di pescatori norvegesi. Quattrocento anni fa, Vardø s’impegnò in una crociata per liberarsi dalla stregoneria. In circa un secolo – fra il 1593 e il 1692 – si tennero più di 140 processi nel piccolo villaggio. Almeno 91 persone, sia uomini sia donne, furono trovati colpevoli e bruciati sul rogo o torturati a morte.

La cifra non è grande come quelle che si trovano in ogni altro luogo d’Europa, ma nel paesaggio spopolato della Norvegia del nord, essa toccò una fetta sproporzionatamente alta della popolazione. Circa un terzo di questi processi avevano come bersaglio specifico il popolo indigeno dei Sami, che suscitavano sospetti praticando rituali tradizionali di guarigione. I procedimenti erano registrati in modo meticoloso, il che dà agli storici moderni un appiglio per capire le accuse e i ragionamenti che alimentarono la caccia alle streghe. Le testimonianze dell’epoca rivelano che la stregoneria era vissuta come qualcosa di “consumabile” – agiva nella forma di latte, pane o birra magicamente contaminati.

inaugurazione monumento norvegia

Secondo lo storico Rune Blix Hagen dell’Università Artica di Norvegia, la subitanea ondata di accuse di stregoneria avvenne dopo una tempesta particolarmente forte che uccise 40 pescatori, nel giorno di Natale, all’inizio del 1600. Ci vollero tre anni prima che la legislazione permettesse processi di massa sul sospetto di stregoneria, ma una volta avuto questo segnale incoraggiante Vardø usò tutto il suo fervore nei processi.

La storica Liv Helene Willumsen riporta una teoria in voga, all’epoca, per cui la malvagità di poteva trovare più facilmente al nord “e persino l’ingresso dell’inferno era situato a nord. In Europa vi era l’idea che i popoli del nord fossero più inclini alla stregoneria e alla perversione di altri.”

Nel 2011, alle vittime norvegesi della caccia alle streghe fu dato riconoscimento ufficiale. Il monumento, lo Steilneset Memorial, fu inaugurato dalla regina Sonja nell’esatto posto in cui si erano tenute le esecuzioni delle cosiddette streghe. La costruzione si deve a due artisti di fama mondiale: l’architetto svizzero Peter Zumthor e l’artista franco-americana Louise Bourgeois.”

corridoio

(Ndt.: L’installazione è fatta di due parti, entrambe parzialmente visibili nelle immagini: l’edificio, di cui è autore Zumthor, è un lungo corridoio con 91 lampade alle pareti, ognuna delle quali illumina una placca che racconta la storia di una vittima; l’altra parte è una scatola di vetro nero alta 125 metri, al cui centro una sedia brucia costantemente mentre sopra di essa tre specchi riflettono il fuoco: questa è opera di Bourgeois e il titolo che lei le ha dato è: “Le dannate, le possedute e le amate”.)

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(“Violence is the real provocation, not speech “, di Deeyah Khan per The Guardian, 24 gennaio 2015, trad. Maria G. Di Rienzo.)

Deeyah Khan ha vinto un Emmy per il suo commovente documentario “Banaz” che racconta di una ragazza assassinata dalla sua famiglia in un “delitto d’onore”. Ora ha organizzato un summit per radunare donne le cui voci dissidenti ne mettono le vite in pericolo.

Deeyah Khan

La libertà di espressione è essenziale per le femministe e i dissidenti nel mondo musulmano. Da ragazza dovetti abbandonare una carriera promettente come cantante a causa delle violente aggressioni degli islamisti. Da allora ho passato più di vent’anni come documentarista e attivista e sono un’appassionata sostenitrice della libertà di espressione, anche quando sfida idee ed immagini ritenute sacrosante.

Il massacro di Parigi non dovrebbe essere singolarizzato. Sebbene gli assalitori e molti di coloro che ad essi hanno risposto abbiano visto la vicenda come parte di una battaglia epocale fra l’Oriente e l’Occidente, io l’ho vista come la continuazione della campagna terrorista a lungo termine per silenziare ogni opposizione o critica alla destra religiosa.

Com’è tipico del terrorismo islamista, la maggior parte delle vittime di queste campagne provengono da un contesto musulmano – e le donne e le bambine ne sono vittimizzate ancora di più.

Se una ragazzina che cantava canzoni tradizionali Pashtun in modo del tutto innocente è stata considerata una minaccia ai valori islamisti e meritevole di attacchi fisici, allora che ne è di tutte quelle donne coraggiose che sfidano le giustificazioni religiose all’oppressione delle donne negli ambienti più difficili, stati che imprigionano, torturano e giustiziano dissidenti, dove milizie ed estremisti agiscono come vigilantes al servizio delle loro idee contorte e della loro intolleranza per qualsiasi cosa li disturbi.

Questi sforzi di schiacciare la libertà di espressione sono una potente testimonianza sull’importanza di ciò che i dissidenti hanno da dire e sulla vulnerabilità della loro posizione. E’ per onorare il coraggio e la creatività delle voci dissidenti delle donne che sto organizzando ad Oslo l’inaugurazione di “World Woman” – http://fuuse.net/world-woman/about/ – e l’evento vedrà la partecipazione di molte che hanno dovuto affrontare violenza e minacce per il loro sostegno all’eguaglianza, a riforme, alla laicità e ai diritti delle donne. Questo evento è la mia personale sfida a coloro che vogliono ridurre al silenzio le voci delle donne, le voci di donne che sono le mie eroine personali, ed è il mio fermo impegno a favore della libertà di espressione.

Dai fumettisti di Charlie Hebdo agli scritti tolleranti di Raif Badawi, grottescamente condannato a un migliaio di frustate dallo stato saudita per il crimine di aver creato un blog di larghe vedute, non ci possono essere equivoci sulla libertà di espressione, chiunque sia a minacciarla e qualunque sia la sua giustificazione.

Le nostre libertà sono libertà condivise: sono legate l’una all’altra. La capacità di confrontarsi con l’oppressione vestita da religione è legata alla capacità di professare qualsiasi religione scegliamo: entrambi sono atti dell’espressione. La violenza, non la parola, è il vero atto di provocazione. La parola, non la violenza, è il modo in cui creiamo ponti su ciò che ci divide.

Ndt.: “World Woman” si terrà il 30/31 gennaio a Rikscennen – Oslo, Norvegia.

Parteciperanno, secondo la presentazione ufficiale: “(…) piantagrane e costruttrici di pace, attiviste e artiste, pensatrici e rivoluzionarie” e alcuni uomini che condividono queste caratterische e “una visione del mondo in cui le donne vivono libere da violenza e paura”.

La lista di conferenziere e performer è impressionante e lunghissima, e inoltre particolarmente gratificante per me: ho scritto/tradotto articoli sulla maggioranza di esse e quasi tutti si trovano su questo blog. Nawal El Saadawi, Shirin Ebadi, Hina Jilani, Mona Eltahawy, Panmela Castro, Salma, Farida Shaheed, Sanam Naraghi-Anderlini, Safak Pavey, Rana Husseini… sembra che Deeyah abbia riunito anche le mie, di eroine. (Per la cronaca, fra gli uomini c’è John McLaughlin).

Su Deeyah:

https://lunanuvola.wordpress.com/2011/08/23/ricorda/

https://lunanuvola.wordpress.com/2010/09/24/la-musica-che-fa-tremare-i-dittatori/

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(“Being and Being Bought: An interview with Kajsa Ekis Ekman”, di Meghan Murphy per Feminist Current, 20 gennaio 2014, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo. In memoria di Cristina Andreea Zamfir, rumena, 26enne, madre di due figli, prostituta: uccisa e crocifissa ad una transenna sotto il cavalcavia dell’A1 nei pressi di Firenze, il 4 maggio u.s.)

Kajsa Ekis Ekman è una giornalista svedese e l’autrice di “Being and Being Bought: Prostitution, Surrogacy and the Split Self”, che di recente è stato tradotto in francese ed inglese. Ho parlato con lei al telefono mentre si trovava a Stoccolma.

libro

Meghan Murphy (MM): Cosa ti ha guidato nello scrivere un libro sulla prostituzione?

Kajsa Ekis Ekman (KEE): Due cose, la pratica e la teoria. Esaminare un soggetto da due angolazioni è molto fruttuoso e, a dire il vero, è necessario se vuoi scrivere su qualcosa come la prostituzione. Quando ho cominciato a scrivere il libro era il 2006 e il dibattito sulla prostituzione stava appena dando segni di vita in Svezia. La legge sui servizi sessuali era implementata dal 1999 e allora il dibattito era stato piuttosto sottotono. Quando invece ricominciò, spuntando apparentemente dal nulla, fu immediatamente vasto e acceso. Di colpo, c’erano persone che dicevano: “Questo è solo un lavoro, questa legge è moralista, chiunque ha il diritto di fare quello che gli pare.” Vedevo femministe e persone nei movimenti di sinistra lasciarsi prendere da questo e cambiare le loro opinioni, e lo trovavo sconcertante.
Nello stesso periodo vivevo a Barcellona e dividevo un appartamento con una donna che vendeva se stessa sulla circonvallazione fuori città. Perciò osservavo quel che accadeva con i miei stessi occhi. Lei aveva un ragazzo che fungeva più o meno da magnaccia, anche se si era vantato con me di essere un rapinatore di banche – ma penso non fosse proprio il caso, perché era sempre in casa sul computer o accompagnava lei sulla strada o la andava a riprendere. Presto ho capito che viveva alle spalle della donna. Vedevo la realtà della vita di lei e della vita delle sue colleghe. La maggior parte di esse non erano europee, lei era russa e c’erano anche delle sudamericane. All’inizio anche loro si vantavano con me, di fare un sacco di soldi, ma chiaramente non era vero: facevano poche decine di euro a notte, ci si sbronzavano sino a perdere i sensi e la cosa ricominciava uguale il giorno dopo.
La realtà della situazione non combaciava con quel che veniva detto nel dibattito sul “lavoro sessuale” – erano due mondi differenti. Perciò ho cominciato a scriverne.
Scrissi un paio di articoli sulla prostituzione e la risposta fu scioccante. In precedenza avevo scritto un bel po’ di pezzi con cose del tipo “Distruggiamo il capitalismo, ora!” e nessuno mi aveva criticata, ma come mi sono permessa di dire: “Sapete, le leggi che abbiamo sulla prostituzione mi sembrano abbastanza buone.”, tutti sono impazziti. Ho ricevuto un’incredibile ammontare di odio e minacce via mail. Perciò ho deciso di concentrarmi ancora di più sulla prostituzione e ho cominciato la mia ricerca, cosa che ho fatto per quattro anni a partire da allora.

MM: La reazione com’è stata?

KKE: Molti hanno reagito dandomi della “femminista radicale”, ma non lo sono, sono semplicemente una femminista. Tutto qua. Conosco le teorie radicali femministe, ma sto usando anche un bel po’ di letteratura marxista nelle mie analisi – perché guardo alle cose da più angolazioni.

MM: Alcuni credono che se la prostituzione fosse completamente legale uscirebbe dal sottobosco e sarebbe in qualche modo più sicura per le donne.

KKE: Se dici una cosa del genere dovresti sostenere la tua opinione con dei fatti, perché se si guarda alla realtà, almeno qui in Europa, non è andata così. Hanno fatto uno studio (1) che ha valutato la legalizzazione della prostituzione e dei bordelli, ed esso mostra che nessuno degli scopi relativi alla sicurezza delle donne è stato raggiunto. La legalizzazione non ha reso la prostituzione più sicura, non ha fornito alle donne un ambiente di lavoro sicuro e neppure stabilità nel lavoro, e la maggioranza delle donne ha continuato a non pagare le tasse. Quello che risulta, invece, è che le donne restano nella prostituzione per più tempo di quel che si aspettavano, perché è diventato più difficile per loro lasciare l’industria. Se osservi l’esperienza tedesca e quella olandese ti accorgi che la legalizzazione non ha reso la faccenda maggiormente sicura – in effetti è accaduto il contrario.

MM: C’è anche quest’idea che la prostituzione sia tabù, il che è collegato all’idea che la sessualità sia tabù. Basandosi su tale argomentazione, alcuni dicono che se la prostituzione è normalizzata come opposizione al “tabù” è sessualmente liberatoria. L’argomentazione si spinge sino a dire che le femministe contrarie alla prostituzione sono “anti-sesso” o bigotte o stanno reprimendo la sessualità altrui. Tu cosa ne pensi?

KKE: Bisogna chiedersi: “Cos’è la prostituzione?” Ci sono due persone in questo scambio. Una di queste persone ha voglia di fare sesso e l’altra no. Questo è il criterio di base. Senza questa condizione non c’è prostituzione. Se ci sono due persone che vogliono fare sesso l’una con l’altra – se sono calde, se sono eccitate, se muoiono dalla voglia l’una per l’altra, ovviamente non pagano. Se c’è una sessualità libera nessuno dei due paga l’altro.
Nella prostituzione stiamo parlando di un tipo di “sessualità” dove una persona non desidera una situazione sessuale e l’altra deve darle una mazzetta per averla. Questo è il fondamento della prostituzione. Ciò come configura il non plus ultra della libertà sessuale? Perché le persone non sono disturbate dal fatto che qualcuno debba essere convinto a soldi ad entrare in una situazione sessuale?

MM: C’è chi ti dirà che è consensuale, che sta accadendo fra adulti consenzienti.

KKE: Ma la donna a cosa sta acconsentendo? Sta acconsentendo al denaro, non al sesso di per sé. Se tu dici ad una prostituta qualsiasi: “Hai due opzioni: puoi prendere i soldi e andartene o puoi prendere i soldi e restare a fare sesso.”, quante pensi restino a fare sesso? Nemmeno se sei il più accanito difensore della prostituzione riesci a dire che la maggioranza rimarrà per il sesso. In maggioranza le prostitute prenderebbero i soldi e se ne andrebbero, perché non vogliono fare sesso, in realtà, vogliono il denaro.
Chi parla di sessualità radicale o di sessualità liberata, come fa a non vedere la situazione per quella che è? Sesso dove una persona non lo vuole? Questo è ciò che rende la prostituzione diversa da ogni altro tipo di situazione sessuale. Se le due persone lo vogliono, nessuna paga, e se nessuna persona lo vuole, non c’è per niente sesso.

MM: Cosa pensi della posizione “è solo un lavoro”? Per esempio, c’è chi dice che le prostitute forniscono semplicemente un servizio, come una terapista, una parrucchiera o una cameriera.

KKE: Bene. Se è solo un lavoro allora dobbiamo dimenticarci l’idea che la prostituzione abbia a che fare con la libertà sessuale. Ma anche se guardiamo da questa prospettiva, la prostituzione non si conforma al concetto di “è solo un lavoro”. Io definisco la prostituzione una menzogna.
Mentre stavo intervistando una prostituta per il libro lei mi disse: “Ok, facciamo finta che sia solo un lavoro. In questo caso, sai come sarebbe? Masturberesti il tizio mentre lui guarda un film porno. Non dovresti fingere niente, non dovresti mugolare e gemere, non dovresti dirgli nulla. Lo faresti meccanicamente.” Ma la prostituzione non è così. Nella prostituzione la persona che vende deve fingere di essere là perché le piace.
La parte spinosa è questa: la prostituzione viene istituzionalizzata come lavoro, ma allo stesso tempo, quando la donna è pagata, deve fare del suo meglio per pretendere di essere là perché adora esserci. Deve dire a lui: “Oh, sto venendo, sei il migliore, sei così sexy, mi stai eccitando da pazzi” e via così. Deve fare del suo meglio per far dimenticare a lui che la sta pagando.
E in ogni caso, perché dovremmo legalizzare un “lavoro” che ha così alti tassi di abuso, omicidio, stupro? Guardate i livelli di violenza e l’alto tasso di mortalità delle persone che si prostituiscono: voglio dire, qualsiasi altro lavoro verrebbe rubricato come illegale dal primo giorno. Persino in Olanda, nel distretto a luci rosse che si suppone così sicuro e controllato, le donne sono uccise di continuo. Persino la prostituzione legalizzata, ovunque si dia, non si conforma ad alcuna legge o regolamento sul lavoro.

MM: In Canada, ove io vivo, femministe e progressisti sono d’accordo sul fatto che le prostitute non dovrebbero essere criminalizzate: nessuna merita di essere punita perché lavora nell’industria del sesso. Il dibattito, invece, è sul criminalizzare o no i magnaccia e i clienti, e alcuni sostengono che il farlo danneggerebbe le prostitute o che finirebbe per punire i membri delle loro famiglie. Per esempio il partner o i figli che vivono con la prostituta potrebbero essere accusati di sfruttamento della prostituzione.

KKE: Chi lo sostiene ha qualche statistica al proposito? Qualcosa che dimostri come sia comune per i membri della famiglia finire in prigione? Perché se lo sostieni devi mostrarmi quanti casi di questo tipo ci sono. Il problema di questo dibattito è che contiene un mucchio di cose presunte e nessun fatto. Se dici che la legge mette in prigione i familiari di una prostituta per sfruttamento me lo devi dimostrare, non basta che tu lo dica.
Sul fatto che criminalizzare i clienti danneggerebbe le prostitute, la domanda che devi farti è: “Chi sta commettendo violenza contro le donne nella prostituzione?” E’ la legge? O sono i clienti? O i magnaccia? Se c’è qualcuno che abusa delle prostitute sono gli uomini. E questo è il problema. Ed è per questo problema che dobbiamo fare qualcosa.
Non ci sono prove concrete per dire che la situazione peggiora con la legge. Le esperienze che abbiamo noi con la legge, in Svezia, sono molte positive: si sta riducendo il numero dei compratori, e abbiamo un ridotto numero di prostitute, 1500/2000 al massimo. L’altro aspetto della legge, di cui nessuno parla, è che dà alcuni vantaggi alle prostitute. Ora, una prostituta può denunciare il suo cliente, ma lui non può denunciare lei. Diciamo che la tratti male, o che rifiuti di pagare: lei può minacciare di denunciarlo, perché quel che sta facendo è già illegale. Lui non può usare la stessa minaccia con lei, perché lei non sta facendo nulla di illegale. Nei paesi dove la prostituta sta facendo qualcosa di illegale, e il cliente no, lui ha ancora più potere in una situazione già diseguale, perché può minacciare di denunciarla.

MM: Poi c’è la questione del traffico di esseri umani. Alcuni dicono: state confondendo il traffico e la prostituzione, sono due cose diverse. Lo sono?

KKE: Di base, il traffico è la risposta alla questione di domanda e approvvigionamento. Il traffico entra in gioco quando non c’è un numero di prostitute bastante a soddisfare la domanda: parlando in termini di mercato, è così. Nel mondo occidentale, dove non ci sono mai abbastanza donne ad entrare volontariamente nell’industria del sesso, c’è sempre scarsità. Detta crudelmente, le persone che entrano nella prostituzione si “consumano” molto presto e i clienti vogliono “carne fresca”, vogliono donne più giovani e donne che abbiano appena iniziato. Non vogliono prostitute vecchie che fanno il mestiere da decine da anni. Inoltre, l’alto tasso di mortalità e il prezzo che la prostituzione chiede al tuo corpo rendono la vita all’interno del mestiere molto corta. Perciò c’è sempre richiesta di più prostitute. Se le donne affluissero a milioni all’industria del sesso non ci sarebbe bisogno di trascinarle fuori dall’Europa dell’est. Chi si prenderebbe un fastidio simile? Non è logico. Se ci fossero migliaia di donne in fila fuori dai bordelli che dicono: “Per favore, lasciatemi entrare a lavorare!”, perché mai la mafia dovrebbe aver bisogno di trascinarle in giro attraverso l’Europa e il mondo – non ha senso. Il traffico di esseri umani esiste semplicemente perché non ci sono abbastanza donne che si prostituiscono volontariamente. Se vuoi l’industria della prostituzione senza traffico, sarebbe un’industria ben piccola. Non si può separare il traffico dalla prostituzione. Dovresti far decrescere la domanda al punto che davvero pochissimi uomini comprerebbero sesso: in quel caso, potresti essere abbastanza sicuro che le donne sono lì “volontariamente”.

MM: Mi chiedo se puoi parlare un poco del modello svedese, o del “modello nordico”, come viene a volte chiamato, e cosa comporta.

KKE: Ciò che molta gente non sa è che il modello è il risultato di trent’anni di lavoro e ricerca. C’è gente che pensa si tratti di un gruppo di femministe e assistenti sociali che hanno deciso di far guerra agli uomini o roba del genere. No: si è cominciato a fare ricerca negli anni ’70 e a guardare in profondità alla realtà della prostituzione. Era la prima volta che ci si prendeva la briga di intervistare prostitute su larga scala. Il focus era spostare lo sguardo sulla prostituzione, dall’essere un devianza all’essere un problema sociale che coinvolgeva le relazioni sociali di genere, la povertà, il modo in cui le donne sono cresciute, l’incesto, eccetera.
Dopo la ricerca, è venuta la domanda sul cosa fare. La risposta fu la criminalizzazione del cliente e la legislazione entrò in vigore nel 1999. Sono passati 14 anni e la legge ha avuto molto successo non solo nel far diminuire la domanda, ma nel far comprendere alla popolazione che la prostituzione è un prodotto della diseguaglianza di genere. L’80% degli svedesi approvano la legge, ed è una cosa che non senti riportare molto spesso.
E’ accaduto che i trafficanti hanno cominciato a trovare difficile stabilirsi in Svezia e si sono mossi in Norvegia. Oslo, la capitale, fu inondata dalla mafia nigeriana e ciò spinse il paese ad adottare la stessa legge. I trafficanti si spostarono allora in Danimarca, e questo è il motivo per cui la Danimarca sta considerando la possibilità di adottare la stessa legge.

MM: Esistono sistemi di sostegno per le persone che vogliono lasciare l’industria del sesso? Cosa accade alle donne che perdono i loro introiti quando lasciano la prostituzione?

KKE: C’è qualcosa che voglio ribadire: se vuoi adottare una legge di questo tipo non puoi farla entrare in vigore e basta. Devi assicurarti che la legge sia accompagnata da adeguati servizi di sostegno. In Svezia abbiamo le “unità sulla prostituzione” che non sono solo programmi d’uscita, sono molto di più. Se sei stata nell’industria hai accesso, ad esempio, a terapie gratuite, ti si fornisce aiuto a trovare casa e lavoro e a maneggiare i debiti se ne hai.
In Svezia abbiamo un welfare molto forte così, a differenza del Canada o degli Usa, la prostituzione da noi non è il risultato dell’estrema povertà. La prostituzione in Svezia tende ad esistere come risultato di precoci abusi sessuali e cose simili. Le donne tendono ad aver bisogno di aiuto per superare comportamenti autodistruttivi, piuttosto che per sfuggire alla povertà.

MM: Qualcuno, identificandosi come anarchico o socialista, dice che la criminalizzazione dei clienti non è una buona risposta perché “Non voglio dare alla polizia più potere di quanto ha già, anche se si tratta di uomini che comprano sesso o che sono violenti.” Tu ti identifichi come anarchica? Socialista? Cosa pensi di questo argomento?

KKE: Mi sono definita anarchica, in passato, forse lo sono ancora un po’… Ma credo che lo stato sia un attrezzo importante. Intendo: lo stato può essere qualsiasi cosa, buona o cattiva, ma non è sempre e necessariamente una cosa cattiva. Lo stato può servire gli interessi del capitale, o dell’esercito, o del popolo. Dipende dalle circostanze storiche e non è limitato in se stesso ad un’unica funzione.
Credo che l’argomento citato come anarchico sia un’interiorizzazione di pessimismo. E’ come dire: le cose non cambieranno mai. E in questo caso, se niente cambierà mai tu cosa suggerisci? Andrai con il tuo gruppo anarchico a dimostrare ogni giorno davanti al bordello?
L’esperienza con la polizia svedese è stata davvero interessante, perché all’inizio non capivano lo scopo della legge, non vedevano il comprare sesso come un crimine, perciò trattavano i clienti come se avessero violato i limiti di velocità. La maggioranza degli uomini che compravano sesso era sposata, perciò chiedevano ai poliziotti di mandar loro la multa in ufficio invece che a casa, dove moglie e figli l’avrebbero vista. E i poliziotti rispondevano: “Sicuro, non si preoccupi, non c’è problema.”
Una campagna educativa all’interno della polizia ha cambiato questo e fatto capire agli agenti che si trattava di proteggere le donne, non gli uomini. Se ascolti le registrazioni delle lezioni pensi che gli istruttori siano delle femministe, sono straordinari. Adesso i poliziotti dicono cose del genere: “Cos’è successo perché questi uomini non sappiano nemmeno controllare i loro uccelli? Dovrebbero smetterla.” Devi lavorare con le forze dell’ordine: se non lo fai, loro manterranno la stessa attitudine che avevano prima e cioè che le donne sono le criminali e che gli uomini stanno solo essendo uomini.

MM: Com’è legata la prostituzione all’eguaglianza di genere e come le leggi del tipo di quella svedese hanno un impatto sulle donne tutte?

KKE: I lobbysti dell’industria del sesso tentano di raffigurare la prostituzione come se non fosse un’istanza di genere, ma solo un “compratore” con una “venditrice”. Parlano in termini di mercato, e io penso sia molto interessante. Nel mio libro studio il discorso pro-prostituzione a partire da 100 anni fa e la differenza principale fra allora e ora è che la prostituzione non era una cosa di mercato, riguardava l’essere uomini e donne. In passato si pensava che le prostitute fossero donne “cadute” e che non fossero adatte a nient’altro: se smettevano di essere prostitute, sregolate com’erano, avrebbero fatto le criminali. Per gli uomini, invece, l’idea era che avevano necessità dell’accesso alle prostitute, altrimenti avrebbero stuprato donne “decenti” e non sarebbero stati in grado di continuare a vivere i loro matrimoni.
Un secolo più tardi il movimento femminista c’è stato e mentre delle persone difendono ancora la prostituzione come istituzione, il discorso è cambiato. Non parlano più di uomini e donne, ma la questione è ancora di genere, perché i compratori sono praticamente al 100% uomini e chi vende sono al 90% donne. E’ solo un altro modo di arrangiare le relazioni di potere fra uomini e donne e se vogliamo parlare di sessualità io non penso potremo avere relazioni sessuali positive ed egualitarie fra uomini e donne fintanto che la prostituzione esiste in modo prevalente nella società.
Ciò che la prostituzione fa agli uomini che pagano per il sesso è mantenerli all’interno di una menzogna. Questi uomini non sanno nemmeno cosa fare a letto, non sanno come dar piacere a una donna, e non capiscono il corpo femminile, perché le donne con cui fanno sesso sono pagate per dir loro che sono il massimo, che sono amanti eccezionali. Per cui, lui la paga e poi va a casa e fa la stessa cosa con sua moglie e lei è tipo: “Mmmm… no.”, e lui pensa che è noiosa e bigotta o che c’è qualcosa in lei che non va. Perciò non imparerà mai la verità su cosa fare a letto, e la bugia continuerà a perpetuarsi.
La bugia, anche, induce le donne che si prostituiscono a conformarsi ad un’idea specifica di come le donne “dovrebbero” essere a letto. Non si tratta di persone che stipulano un contratto, è lo stabilirsi di una relazione dove il sesso è quello che vogliono gli uomini: l’uomo è il compratore e perciò avrà quello che vuole. La faccenda è tutta sul rinunciare a qualsiasi tipo di desiderio da parte della donna per soddisfare i desideri dell’uomo.

cristina

(1) (http://www.bmfsfj.de/RedaktionBMFSFJ/Broschuerenstelle/Pdf-Anlagen/bericht-der-br-zum-prostg-englisch,property=pdf,bereich=bmfsfj,sprache=en,rwb=true.pdf)

P.S. IMPORTANTE – Kajsa si è messa in contatto con me. Le piacerebbe incontrare gruppi femministi italiani per parlare del suo lavoro sulla prostituzione. Questi sono i link per saperne di più:

http://www.spinifexpress.com.au/Bookstore/book/id=246/

http://www.amazon.fr/L%C3%AAtre-marchandise-prostitution-maternit%C3%A9-substitution/dp/2923986644

http://www.kajsaekisekman.blogspot.se/

E questa è lei:

autrice

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