Feeds:
Articoli
Commenti

Posts Tagged ‘foresta’

“Sono cresciuta sotto la mia materna montagna ancestrale, Tararua, e ho passato gran parte dell’infanzia esplorando i nostri fiumi, le nostre spiagge e le nostre foreste. Mi è stato dato il nome Tui perché quando sono nata il “tui”, un uccello che pianta piccoli semi nella foresta, si stava estinguendo. Questo, io credo, non è stato solo un indicatore culturale rispetto al mio ambiente, ma mi ha messa sul sentiero del proteggere la Terra e del promuovere il vivere in armonia con essa.”

Tui Shortland

Tui Shortland (in immagine) vive a Aotearoa in Nuova Zelanda.

Fedele alla chiamata del suo nome, fa parte del Forum Indigeno sulla Biodiversità; è riconosciuta dalle Nazioni Unite come rappresentante regionale per il Pacifico su sviluppo eco-sostenibile e biodiversità, si concentra sull’uso tradizionale di quest’ultima come direttrice di varie associazioni indigene (fa ad esempio incontrare e lavorare insieme scienziati/e e popolazioni indigene usando la medicina tradizionale Maori e i valori culturali legati alla condivisione della conoscenza ambientale); è persino finita per un periodo in Thailandia, a sviluppare una mappa di lavoro per il popolo Karen, che ha descritto il loro territorio in base alle loro medicine e alle loro pratiche… dar conto di tutti i suoi impegni e successi diventerebbe probabilmente lungo come uno dei fiumi che Tui studia e ama, per cui riassumiamoli nelle sue stesse parole: “Organizzo comunità che comprendono portatori d’interesse primario e specialisti e che usano indicatori di politiche ambientali e conoscenza tradizionale per monitorare programmi.”

Come parte di questo sforzo, ha creato un database delle località sacre per la sua Tribù (Ngati Hine, Ngati Raukawa ki te tonga), assieme a protocolli comunitari bio-culturali che stabiliscono una cornice di autorità condivisa con i ricercatori che entrano nei territori della Tribù.

Tui ritiene il cambiamento climatico la questione maggiore che le comunità indigene si trovano a dover fronteggiare, assieme alle violazioni che l’industria estrattiva dei combustibili fossili ha inflitto alle terre e ai mezzi di sostentamento indigeni: “Una larga parte del lavoro si concentra sull’ampliare la visibilità delle istanze relative alle comunità indigene marginalizzate e nel promuovere i loro diritti e la loro sapienza tradizionale. – la quale, spiega l’attivista, non è assolutamente un blocco statico che si aspetta semplicemente di essere onorato – Le conoscenze tradizionali creano innovazioni, pratiche e soluzioni per la gestione del cambiamento climatico.”

Così, a somiglianza del volatile di cui porta il nome, Tui pianta i suoi semi e alza la sua voce: i tui sono uccelli canori dotati di due laringi e in grado di emettere suoni altamente diversificati e specifici (i Maori insegnavano loro a “parlare”, come noi facciamo con i pappagalli) – cantano anche di notte, specialmente se la Luna è piena.

Tui

Maria G. Di Rienzo

Read Full Post »

(“Meet Mariamah Achmad, Indonesia” – Nobel Women’s Initiative 2017, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)

mariamah-achmad

Mariamah “Mayi” Achmad, indonesiana del Kalimantan occidentale, è la Coordinatrice per l’istruzione alla consapevolezza ambientale della Fondazione Palung e dirige l’organizzazione ecologista “Sekolah Lahan Gambut”. Ha un diploma in gestione forestale e lavora per educare i villaggi rurali alla protezione della biodiversità.

Cosa ti ha spinta a diventare un’attivista?

Sono cresciuta in un bellissimo villaggio rurale con un lungo fiume e molte mangrovie. La foresta forniva alla mia famiglia e alle persone nel mio villaggio legno, lavoro e acqua potabile. All’epoca mio fratello lavorava come disboscatore. Quando il governo mise fuorilegge il disboscamento io mi sentivo arrabbiata, perché pensavo che i nostri mezzi di sussistenza ci fossero stati tolti. Ma ho capito che il vero problema erano le compagnie multinazionali a cui era permesso di controllare larghe aree e di usare la terra a proprio beneficio. Mio fratello non poteva tagliare un albero, ma una di queste compagnie venne al mio villaggio, tagliò il legno delle mangrovie per fare carbone e distrusse i loro acquitrini per produrre gamberetti. Ho preso il diploma in gestione forestale perché sapevo che non c’era abbastanza consapevolezza su come maneggiare la foresta e le nostre risorse naturale. E’ stato come se la foresta mi avesse chiamata.

Quanto grave è l’attuale problema di deforestazione dell’Indonesia?

L’Indonesia soffre degli effetti del surriscaldamento globale, ma allo stesso tempo siamo diventati uno dei paesi che producono più emissioni di anidride carbonica. Centinaia di migliaia di incendi nelle foreste accadono qui ogni anno, molti sono iniziati deliberatamente per aver terra da coltivare, in particolare per le piantagioni che producono olio di palma.

Le nostre umide foreste torbiere sono state prosciugate e disboscate e la torba è molto infiammabile, specialmente nella stagione secca. Quando la torba prende fuoco può bruciare invisibile sotto il terreno e solo la pioggia può spegnerla. L’uso di pesticidi e fertilizzanti e le attività minerarie – sia legali sia illegali – hanno inquinato i fiumi. Nel 2013, l’intera regione del Kalimantan è finita nella lista dei 10 luoghi più inquinati del mondo.

Che impatto ha questo sulle persone?

Il fumo denso delle foreste che bruciano può causare asma, bronchite, malattie cardiache e cancro ai polmoni, e interessa specialmente gli agricoltori che vivono vicini alle piantagioni di palma da olio. A queste comunità manca anche l’accesso a servizi sanitari e istruzione. Nelle zone urbane fanno campagne per insegnare alla gente come maneggiare lo smog, ma la mia squadra e io siamo state in aree rurali piene di fumi dove i membri delle comunità, inclusi i bambini, continuavano a svolgere le attività quotidiane senza usare neppure mascherine.

Ho colleghe che hanno documentato problemi di salute riproduttiva per le donne come risultato dell’uso di acqua inquinata. C’è un costo sociale, pure. Con la perdita della foresta, la comunità perde i suoi mezzi di sussistenza. In passato, la foresta forniva tutto ciò di cui le persone avevano bisogno gratuitamente. Ora devono pagare, il che significa trovarsi un lavoro e usualmente il lavoro lo trovano alle piantagioni per l’olio di palma: dove l’orario è lunghissimo e la paga irrisoria.

In che modo la tua organizzazione “Sekolah Lahan Gambut”, contrasta tale realtà?

Molti dei nostri membri sono giovani donne. Le istruiamo affinché vadano nelle zone rurali a ricordare alle persone quanto importanti sono le foreste, perché le stiamo perdendo e cosa loro possono fare per dare una mano. Lavoriamo nelle scuole, usando le tecniche del racconto e dello spettacolo di marionette per educare gli studenti sull’importanza delle foreste pluviali e torbiere e della biodiversità in generale. Io porto gli studenti nelle foreste in uscite didattiche nelle foreste, che sono anche habitat per specie animali in pericolo. Facciamo anche campagne sui media e abbiamo creato un sito web e programmi radio per diffondere il messaggio.

Cosa dovrebbe accadere?

Dobbiamo far pressione sul governo affinché mantenga la decisione di revocare alle compagnie multinazionali i permessi di bruciare le foreste. Dobbiamo far pressione affinché smettano di aprire queste aree e assicurare le loro riforestazione ove siano state disboscate o bruciate. Le politiche del governo devono sostenere le comunità, non le compagnie commerciali. Io spero di fare in modo che le persone ricordino tutto ciò che le foreste ci hanno dato e che è nostra responsabilità proteggerle.

Read Full Post »

majandra-rodriguez-acha

“Prendete la città di Puno, in Perù, ove abitano tribù indigene Aymara e Quechua. – spiega Majandra Rodriguez Acha (in immagine) – Usualmente gli inverni sono pesanti in quel luogo e stanno diventando sempre peggiori e anticipati a causa del cambiamento climatico. La mortalità materna è del 45% più alta della media del paese e in parte dovuta a questo freddo intenso. Sono le donne rurali impoverite e i loro bambini che soffrono di più, ma quel che si fa per loro è mandare in dono coperte ogni anno: chiaramente la loro situazione non è prioritaria per il governo.”

Per Majandra i danni provocati all’ambiente sono divenuti prioritari nel 2009, quando giungle e foreste furono invase dalle compagnie petrolifere causando lo spostamento forzato e assai violento di migliaia di persone indigene. Indignata da ciò che vedeva in televisione, andò a prendersi la prima dose di gas lacrimogeno in una manifestazione di protesta, mentre ripeteva lo slogan “La selva no se viende, la selva se difende” – “La giungla non si vende, la giungla va difesa”: aveva allora 19 anni e subito dopo fondò “TierrActiva Perù”, la propria organizzazione di attivisti.

Majandra è oggi consigliera di due gruppi internazionali che lavorano esplicitamente per contrastare il cambiamento climatico e le operazioni che lo favoriscono, “Global Greengrants’ Next Generation Climate Board” e “Women’s Environment and Development Organization”: in quest’ultimo il suo “titolo” è Giovane Femminista per la Giustizia Climatica.

Come lavora in tal campo una giovane femminista? “Ascoltando. Io sono un megafono per voci storicamente soffocate. Credo che le vere esperte delle situazioni siano le persone che le vivono. Nei miei seminari non mi porto dietro presentazioni e non tengo conferenze, mi porto dietro grandi fogli di carta bianca e matite, di modo che chi partecipa possa narrare la propria storia e lasciarne traccia.”

TierrActiva va direttamente nelle aree minacciate o devastate, decentralizza l’organizzazione delle azioni e usa per esse tutti i mezzi e i media a portata di mano: la Mobilitazione per i diritti della Madre Terra nacque dall’allestimento di una radio comunitaria, da laboratori tenuti dalle persone coinvolte a livello locale e dalla costruzione di centinaia e centinaia di enormi pupazzi che poi furono portati in manifestazione con clamoroso effetto visivo. Incontrare le persone sul loro territorio fornisce l’esatta percezione di cosa sta accadendo: chi vive nelle montagne sta affrontando le conseguenze dello scioglimento dei ghiacciai (riduzione della pioggia o scomparsa del suo ciclo), mentre chi vive presso o nelle foreste le vede distrutte da fuochi alimentati dalla siccità.

Majandra dice che far venire alla luce queste narrazioni è critico per parlare di cambiamento climatico: “Non si tratta di tabelle e numeri. Si tratta delle strutture di potere che sfruttano le risorse, danneggiando gli esseri viventi durante il processo.” Un’altra cosa che vede molto chiaramente è la connessione fra il degrado dell’ambiente e le donne: in Perù, dice, questo è particolarmente vero, giacché le donne sono in pratica assenti dai luoghi decisionali e nella sfera politica e tuttavia, la maggioranza delle persone che praticano agricoltura di sussistenza e subiscono i danni del cambiamento climatico sono donne.

La violenza contro la Terra, spiega Majandra, è simile alla violenza sessuale. “Il linguaggio usato è lo stesso, è quello che descrive lo stupro. I modi violenti in cui si estraggono le risorse, si saccheggiano le foreste, si inquinano i corsi d’acqua, hanno forti somiglianze con i modi in cui non si rispettano le donne. Pensano di stuprare la Madre Terra e di farla franca.” Majandra intende mettersi di mezzo. E’ quello che dovremmo fare tutte e tutti.

Maria G. Di Rienzo

Read Full Post »

(“An Indonesian Village’s First Female Chief Ended Illegal Logging With Spies and Checkpoints”, di Carolyn Beeler per Public Radio International, 30 dicembre 2016, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)

Una strada maestra che attraversa il distretto di Sedahan Jaya nel Borneo occidentale è solo una striscia di terra marrone. Ma è meglio della pozza di fango in cui soleva mutarsi dopo intense piogge. “La strada era in condizioni così cattive quando i bambini andavano a scuola che tornavano a casa con le gambe coperte di fango. – dice Hamisah, una residente locale – Questo era davvero triste per me.”

hamisah-foto-di-carolyn-beeler

Hamisah (in immagine), 43enne, ha due figli maschi e vive in una delle piccole case annidate lungo tale strada. Dal suo cortile, si possono scorgere alcune delle colline del parco nazionale di circa 400 miglia quadrate Gunung Palung: è da là che venivano le inondazioni, a causare problemi maggiori delle gambe infangate. Molti dei circa 900 residenti del villaggio di Hamisah sono contadini e lavorano nelle risaie dal verde iridescente che si situano sotto il parco.

“C’erano sempre inondazioni quando i contadini stavano per mietere il riso, perciò perdevamo i nostri raccolti.”, dice Hamisah. Il problema, aggiunge, era peggiorato dal disboscamento illegale nel parco. “A causa del taglio illegale, alcune colline non hanno più molti alberi, perciò la terra non può assorbire l’acqua della pioggia. – spiega Hamisah – Perciò, ogni anno, c’erano grosse inondazioni.”

Ho parlato con Hamisah nella stanza d’ingresso della sua casetta di legno, dove lei aveva disteso uno spesso tappeto porpora perché ci sedessimo insieme. Discuteva enfaticamente e gesticolando, apparendo vivace e professionale pur nel soffocante caldo tropicale e anche se si alzava ogni pochi minuti per scacciare le galline dalla porta d’ingresso.

Hamisah non è mai andata alle superiori e la gente dice che era timida. Ma le inondazioni e i problemi che esse causavano alla usa comunità l’hanno spinta in avanti: “Ho pensato che per me era il momento di essere coraggiosa e di presentare la mia candidatura a capo del villaggio.”

Non c’era mai stato prima un capo di sesso femminile nella zona, ma Hamisah si era costruita del sostegno. Aveva conosciuto un bel po’ di persone tramite il suo lavoro di assistente sanitaria, lavorando in una clinica locale alla cura delle persone con tubercolosi.

“Forse perché sono una donna, una madre, molta gente veniva da me se aveva problemi. – dice Hamisah – Io ascoltavo e tentavo di suggerire soluzioni. Così, dopo un po’, alcuni hanno cominciato a dirmi che avrei dovuto presentare la mia candidatura.” Lei lo fece, nel 2013, e vinse diventando la leader di Sidorejo nel distretto di Sedahan Jaya.

Hamisah si mise subito al lavoro per fermare la deforestazione illegale e cominciò dalle donne del villaggio. All’epoca, fra i disboscatori illegali, ce n’era solo uno che effettivamente viveva nel villaggio e lei parlò alla moglie di costui dei pericoli che correva: e se si fosse tagliato con la sega, chiese, e se un albero gli fosse caduto addosso? “Feci in modo che sua moglie gli parlasse di questo e lo incitasse a smettere.” Funzionò. L’uomo appese la sega al chiodo e trovò lavoro nell’edilizia.

“Negli altri casi, chiesi alle donne che futuro volevano per i loro bambini, per le foreste e per alcuni tipi di flora e fauna di cui avevano cura. – prosegue Hamisah – Questa è la mia strategia: dire alle donne perché dobbiamo proteggere il villaggio.”

Tuttavia, quelli che tagliavano gli alberi nelle foreste che circondano il villaggio venivano in effetti da fuori di esso. Ma poiché Hamisah aveva i residenti locali dalla propria parte, ne reclutò alcuni affinché fermassero i disboscatori che attraversavano il villaggio per raggiungere le foreste. Hamisah chiama le/i suoi aiutanti “spie”. Una è una negoziante di nome Selamat, che lavora in un chiosco distante pochi minuti di strada dalla casa di Hamisah: “Mi chiese di prestare attenzione a chi guidava mezzi portando una sega. Io dissi di sì, perché volevo essere d’aiuto.” Quando Selamat individuava un disboscatore, doveva chiamare la “spia” successiva lungo la strada, un uomo di nome Ridwan, che avrebbe fermato l’automobile e tentato di convincere il guidatore a tornare indietro.”

Ridwan ha raccontato uno dei blocchi che ha effettuato nell’agosto 2014: “Il tipo era molto arrabbiato, mi disse che non avrebbe venduto il legno e che voleva solo costruire una casa. Ha tirato fuori ogni tipo di argomenti ma alla fine se n’è andato.”

La rete creata da Hamisah ha fermato cinque disboscatori illegali nel suo primo anno e mezzo da capo del villaggio. Ridwan dice che attorno al villaggio nessuno tenta più di tagliare alberi e attribuisce in larga parte il fatto alla guida di Hamisah: “Lei non è come un uomo che si arrabbia subito, lei ha più disciplina. E’ diretta e dura, ma è il tipo di leader che riesce a far cooperare chiunque con lei e a seguirla.”

Il villaggio ha ottenuto anche cure sanitarie meno costose nella clinica dove Hamisah lavora perché ha fermato il disboscamento illegale. La clinica infatti incentiva la conservazione delle foreste offrendo sconti agli abitanti dei villaggi che lo hanno impedito o diminuito.

Il villaggio di Hamisah è un piccolo luogo. Solo sei disboscatori sono stati fermati sino ad ora. Nel frattempo, le foreste indonesiane vengono ancora perdute su larga scala e molta di questa perdita avviene in modo legale. Tutta questa deforestazione ha reso il paese uno dei primi emissori di gas a effetto serra del mondo.

Hamisah sa questo, ma attesta di essere felice per quel che è riuscita ad ottenere: “E non solo io sono felice. Tutte le donne qui intorno si sentono vincitrici perché abbiamo fermato i disboscatori.”

Hamisah dice che la sua esperienza è la prova che se lei può fare la differenza nella sua comunità, chiunque altro può. E che tante piccole differenze possono sommarsi sino a diventare qualcosa di grande.

Read Full Post »

Mphatheleni Makaulule

Mphatheleni (detta Mphathe) Makaulule, sudafricana, è la fondatrice della “Mupo Foundation” e l’organizzatrice chiave delle donne riunite sotto la sigla “Dzomo la Mupo – La Voce della Terra”: come spiega lei stessa, il significato di mupo (che si traduce come “Terra”) è “la naturale creazione dell’universo che dà spazio a ogni essere sul pianeta”.

Da anni, nella provincia di Limpopo, queste donne organizzano campagne per la protezione del loro ambiente, che vanno dall’opposizione alle attività della compagnia mineraria australiana “Coal of Africa” alla registrazione legale delle foreste come aree protette. Il gruppo fa parte della Rete Africana per la Biodiversità.

Mphathe crede che la distruzione delle foreste sia inestricabilmente legata alla distruzione di valori, cultura e futuro. Ecco perché: “Il sapere indigeno è nelle mie vene. Mio padre, mia madre, mia nonna, mi hanno insegnato condividendo le loro storie anche mentre lavoravamo insieme nei campi. Lavorando la terra ho appreso la conoscenza dei semi e dei sistemi alimentari e ho così tanti anziani e anziane attorno me a istruirmi, io li chiamo le mie “librerie viventi”, sono i miei migliori amici. Quando ho cominciato a difendere la spiritualità indigena, le donne e l’ambiente tramite la Fondazione Mupo ho incontrato anziane/i della Colombia, dell’Etiopia, del Kenya e ho imparato molto anche da loro. Se la conoscenza non ha agganci con le generazioni più giovani, si dissipa.

Ognuna e ognuno di noi si origina nella via della Madre Terra. In questa via, le donne sono i veri semi. Sono le donne che raccolgono, selezionano, immagazzinano e piantano semi. I nostri semi vengono dalle nostre madri e dalle nostre nonne. Per noi, il seme è il simbolo della continuità della vita. I semi non hanno a che fare solo con i raccolti. Il seme concerne il suolo, l’acqua, la foresta.

Quando piantiamo i nostri semi, non lo facciamo comunque e dovunque. I nostri anziani ci hanno insegnato il calendario ecologico. Il seme segue il suo naturale flusso ecologico. Quando crea un altro seme, questo viene piantato e il ciclo continua. Se tagli il ciclo del seme, tagli il ciclo della vita. Noi non riusciamo a capire come qualcosa di geneticamente modificato o trattato chimicamente possa essere chiamato “seme” se non è in grado di dar continuità al ciclo della vita.

seed woman di pawel-jonka

Io vivo in un ambiente fatto di montagne, fitte foreste e terra fertile. Le attività minerarie stanno minacciando ingiustamente la nostra acqua, il nostro suolo, le montagne, i semi e la sovranità alimentare. Il governo sta permettendo scavi sul nostro territorio e nelle montagne, incluse aree tropicali con buona terra e acqua pulita. E l’agricoltura commerciale ha contribuito a cacciare l’agricoltura tradizionale, perché guarda solo al denaro come prodotto finale: i semi dipendono da sostanze chimiche e non crescono secondo il ritmo ecologico naturale. Semi “chimici” e fertilizzanti rendono il suolo secco come una crosta. Il nostro terreno è danneggiato e inaridito. I nostri semi naturali non riescono a crescere in questo terreno.

Quando il suolo è danneggiato e la foresta non porta più frutti, le prime a soffrirne sono le donne. In Africa, la maggioranza delle donne non ha un impiego. Il nostro guadagno viene dalla terra dove possiamo far crescere il cibo, dalla foresta dove raccogliamo frutti organici, dal rivo e dal fiume dove raccogliamo acqua pulita e pura. A livello globale, le donne che non hanno un impiego e non sono istruite stanno sperimentando il problema del non poter più crescere il cibo che mangiano, come avevano fatto da generazioni.

Ora, le persone dipendono solo dai mercati, per il cibo che mangiano, perché i campi non producono più cibo naturale e loro devono comprare tutto, semi inclusi, il che dà come risultato fame e povertà. La gente non tocca più la terra per avere cibo: trovano lo stesso pacchetto congelato sullo stesso scaffale in ogni stagione. Noi donne che seguiamo la conoscenza indigena sappiamo bene che il cibo ha effetti sulla salute. Abbiamo bisogno di varietà in quel che mangiamo. Non poter trovare i nostri cibi naturali, stagionali, peggiora la salute delle nostre famiglie.

Quando i bambini e i familiari sono malati, le prime a soffrirne sono le donne. Le donne non trovano più le erbe medicinali nella foresta, perché gli alberi sono stati tagliati e il terreno non fa crescere i semi da cui dovrebbero germogliare le piante che ci servono per guarire.

L’alternativa è riportare il ruolo di semi alle donne. Le giovani e le bambine devono ricollegarsi al suolo e ai campi delle nostre nonne, alle foreste vicine alle nostre case e ai semi locali indigeni. Le donne sono l’alternativa. Dobbiamo rivitalizzare i nostri metodi e le nostre tecniche tramite la permacultura o l’agroecologia. Anche se il terreno è stato danneggiato da fertilizzanti e semi geneticamente modificati, c’è l’opportunità di ricostruire, compostare e lavorare il terreno sino a che divenga vivo di nuovo.

Le donne di “Dzomo la Mupo” si stanno portando a casa la sovranità alimentare. Nei nostri orti e nei nostri campi, noi insegniamo ai bambini che il cibo viene dal suolo, non dagli scaffali del supermercato. Le donne conoscono il calendario ecologico e le stagioni per piantare, quando selezionare i semi e quali semi produrranno cibo. Questo è sapere di donne in tutto il mondo. Quale futuro può esserci, se noi ci arrendiamo? Se non parliamo di questo noi donne, chi capirà?

Noi siamo quelle che difenderanno le restanti foreste indigene dalla distruzione.” (trad. Maria G. Di Rienzo)

Dzomo la Mupo

Le donne di “Dzomo la Mupo” riunite prima di una marcia di protesta.

Read Full Post »

simona e zabka

Simona Kossak (1943 – 2007), polacca, era una scienziata, un’ecologista che ha lottato per la protezione delle più antiche foreste d’Europa, una documentarista pluripremiata e una conduttrice radiofonica, nonché una zoopsicologa. Per più di trent’anni ha vissuto in una capanna nella foresta di Białowieża, senza elettricità o accesso all’acqua corrente. La chiamavano strega, perché parlava con gli animali, aveva allestito un rifugio per loro e uno studio veterinario per curarli: una lince dormiva nel suo letto e una femmina di cinghiale, Żabka, visse con lei per 17 anni; allevò una cucciolata di cervi che la ritenevano la loro madre e strinse amicizia con il famoso corvo-terrorista che faceva dispetti a tutto il mondo, fuorché a lei.

I brani seguenti sono tratti dal libro di Anna Kamińska “Simona. Opowieść o niezwyczajnym życiu Simony Kossak”, uscito nel luglio 2015. Le immagini sono di Lech Wilczek.

La gente chiamava il corvo un villano domestico e un ladro. Terrorizzò metà dell’area di Białowieża. Rubava pacchetti di sigarette, spazzole per capelli, forbici, arnesi da taglio, trappole per topi e blocchetti per appunti. Attaccava i ciclisti e quando cadevano faceva a pezzi i sedili delle biciclette. Rubava le salsicce ai taglialegna nei boschi e faceva buchi nelle borse delle spesa. La gente pensava che Korasek – perché così si chiamava – fosse una forma di castigo per i peccatori.” Agli amici di Simona rubò di tutto, chiavi della macchina, documenti, eccetera ma bastava promettergli un uovo e insistere un po’ e Korasek, anche se di malavoglia e con ben poca grazia, restituiva il bottino.

simona e il corvo terrorista

Simona raccontò: Un giorno i cervi, che avevo allevato con il biberon e che per molti anni mi seguirono nei boschi, manifestarono segni di paura e non vollero entrare nella foresta a pascolare. Come mi ci diressi io si fermarono, le orecchie rizzate e il pelo diritto sul fondoschiena. In apparenza doveva esserci qualcosa di assai minaccioso nella foresta. Attraversai metà dello spazio aperto e mi fermai, perché i cervi stavano producendo un terribile coro di latrati alle mie spalle. Mi voltai e ce n’erano cinque, rigidi sulle zampe, che mi guardavano e chiamavano: Non andare, non andare, c’è la morte laggiù! Devo ammetterlo, restai di stucco ma alla fine andai. E trovai che c’erano tracce di una lince, una lince aveva attraversato la foresta. Trovai le sue feci più avanti. Cos’era successo? Un carnivoro era entrato nella fattoria, i cervi lo avevano notato ed erano spaventati. Poi hanno visto la loro “madre” andare verso la morte, completamente inconsapevole, e dovevano avvisarla – per me, lo dico onestamente, quel giorno fu una conquista. Avevo attraversato il confine che ci divide dagli animali, un muro che non sembrava possibile abbattere. Se mi avevano avvisata voleva dire una sola cosa: sei un membro del branco, non vogliamo che tu sia ferita. Ho rivissuto questo momento molte volte e persino oggi, quando ci penso, provo un senso di calore al cuore.” La madre cerva si era avvicinata alla capanna, aveva accettato lo zucchero offertole da Simona e poi aveva partorito i suoi cuccioli in quel luogo ospitale.

simona e i cervi

Con il tempo, altri animali apparvero nel rifugio di Simona accanto alla casa. Una cicogna nera per cui Simona allestì un nido nella propria stanza, un bassotto e una lince femmina che dormivano con lei, pavoni. Li curava, li abbracciava, li osservava. Allevò due alci orfani. Portava il ratto femmina Kanalia nella manica, perché la bestiola temeva gli spazi aperti. Ospitava i grilli in un contenitore di vetro. Prediceva che tempo avrebbe fatto studiando i pipistrelli che abitavano in cantina. Il serraglio aumentava ogni anno.”

Nell’inverno del 1993, Simona cominciò la sua battaglia per salvare linci e lupi di Białowieża dall’estinzione. I ricercatori dell’Accademia polacca delle Scienze avevano in mente di effettuare studi telemetrici, mettendo collari con trasmettitori radio agli animali. Ma prima dovevano catturarli. Si scoprì che i ricercatori avevano messo trappole per lupi e linci, del tipo proibito dalla legge polacca. Simona Kossak mostrò ai giornalisti ciò che aveva trovato nei boschi: pesanti ganasce metalliche. Ci volevano due uomini per aprirle. Poco dopo la denuncia di Simona e la rimozione delle trappole, un branco di lupi si avvicinò alla sua casa nella foresta, ululando tremendamente. “E’ stato un inno di gratitudine per aver salvato le loro vite. – disse l’ecologista ai giornalisti – I lupi non si avvicinano mai agli edifici se possono evitarlo, sono troppo spaventosi per loro. Forse hanno percepito l’aura amichevole che emana dalla capanna.” Maria G. Di Rienzo

Read Full Post »

(“The Bear Princess”, di Rosemary Lake. Rosemary si è basata sulla fiaba “L’Orsa” contenuta nel Pentamerone di Giambattista Basile, ma la storia è assai diffusa in molte lingue e varianti e non ha un autore/autrice che sia noto/a. La differenza principale nella versione di Rosemary è che qui il padre vuole costringere al matrimonio la figlia, ma non sposarla lui stesso com’è invece nella maggioranza delle altre versioni. Trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo)

 dea orsa

Molto tempo fa, vivevano un re e una regina che non avevano figli. Governavano uno splendido regno e la regina era famosa per la bellezza dei suoi lunghi capelli dorati. Entrambi desideravano avere un bambino e alla regina sarebbe piaciuto averne uno che somigliasse a lei. Infine il desiderio fu esaudito: nacque una piccola deliziosa bimba che aveva gli stessi capelli d’oro della madre.

L’intero regno si diede alle celebrazioni, ma alla festa per la nascita le fate madrine sembravano turbate. Era usanza, all’epoca, che le fate si recassero da ogni nuovo nato per far conoscere il suo destino, ma in questo caso le fate si limitavano a sussurrare e scuotere la testa.

“Parlate.”, disse loro il re, “Vedete qualche disgrazia per la nostra bambina? Abbiamo dimenticato di invitare qualcuno?”

“Dobbiamo buttare via tutti i fusi?”, chiese la regina, “Mi piacerebbe proprio farlo, tra l’altro.”

“No.”, rispose la fata più anziana, “Non sono i fusi questa volta. Non siamo sicure di quale strano fato incomba sulla principessa Preziosa. Vediamo solo che, nonostante tutte le ricchezze stipate nel vostro palazzo, lei troverà la sua fortuna da sola, nei boschi.”

“Indossando nient’altro che un mantello di pelliccia.”, aggiunse la fata più giovane, ma tutte le altre la zittirono immediatamente, dicendo che non era una bella cosa indossare pellicce. “A meno di essere un animale.”, replicò la fata più giovane. “Oh, chiudi il becco!”, le dissero le altre.

Poiché non c’erano proibizioni o istruzioni da seguire, tutti presto dimenticarono la profezia, eccettuata una vecchia nutrice, una piccola signora grigia, che si prese cura della principessa da quando costei era bambina.

Ma quando la principessa Preziosa era ormai cresciuta, una tragedia colpì il regno. La regina si ammalò gravemente e nessun dottore riuscì a fare qualcosa per lei. Mentre stava per morire la sua mente divagava e disse al re: “Promettimi che nessun’altra donna siederà sul mio trono, a meno che non abbia i capelli d’oro, identici ai miei.” Accecato dal dolore, il re promise, e poco dopo la regina morì.

Presto i ministri cominciarono a chiedere al re di risposarsi: “In accordo alle nostre leggi, solo il figlio maschio o il nipote maschio di un re può ereditare il regno. E’ vostro dovere risposarvi, per dare un erede al vostro paese.”

Nonostante la tristezza, il re si disse d’accordo: “Sceglierò una nuova regina, ma non infrangerò la promessa che ho fatto alla mia cara moglie. La nuova regina deve avere i capelli dorati identici ai suoi.” I ministri dovettero accontentarsi.

E così il re cominciò a cercare la nuova consorte e chiamò al suo cospetto donne e fanciulle da tutto il regno, ma nessuna aveva quei capelli d’oro. Un giorno, mentre rifletteva disperato che non sarebbe riuscito a fare il suo dovere come re e nel contempo a mantenere il voto pronunciato, colse nell’ombra di un corridoio la figura di una giovinetta incorniciata da lunghi capelli dorati, che le arrivavano sino ai piedi. “E’ la mia cara moglie tornata in vita!”, gridò, “Guardie! Accendete tutte le candele! E voi, signorina, venite subito nella sala del trono!”

“Certo, padre.”, rispose Preziosa, poiché di lei si trattava, “C’è qualcosa che non va?”

Il povero re, riconosciutala, si sentiva morire: “Preziosa, solo tu hai i capelli d’oro identici a quelli di tua madre. Devi sedere sul trono della regina. Devi sposare uno dei miei leali nobili ed avere subito un figlio che diventi il mio erede. Io continuerò a governare, e tu farai quel che io ti dirò di fare.”

Preziosa si infuriò: “Cambia la legge, e sarò io la tua erede. Ma di certo non sarò la tua marionetta. E non sposerò nessuno solo per produrre un nipote per te!”

“Invece lo farai!”, urlò il re, “Tu sei mia figlia e obbedirai ai miei ordini.”

“No!”, gli gridò di rimando Preziosa. La fanciulla fuggì via, si chiuse nella sua stanza e si tagliò i capelli. Aveva appena finito quando la vecchia nutrice bussò alla porta e Preziosa la lasciò entrare.

“Cosa avete fatto?”, disse dispiaciuta la donna nel vedere le lunghe trecce d’oro sparse sul pavimento.

“Mio padre vuole un pupazzo biondo per il trono. Può prendere questi capelli e metterli in testa a una bambola, se vuole!” E la principessa raccontò tutto il resto alla nutrice. La donna l’abbracciò e la confortò: “Avete ragione, è terribile.”

“Vorrei scappare.”, disse Preziosa, “Ma dove potrei mai andare? L’intero regno mi conosce.”

“Forse è ora di seguire la profezia.”, rispose la vecchia nutrice. E poiché Preziosa non ne sapeva nulla, la donna le raccontò cosa le fate avevano detto alla sua nascita.

“Trovare la mia fortuna nei boschi, da sola?”, rifletteva la principessa ad alta voce, “Sarebbe un bel cambiamento! Ma in che modo riuscirei a sopravvivere?”

“In forma animale nessuno potrebbe riconoscervi, e potreste vivere delle bacche e dei funghi del bosco… C’è un animale che vi piacerebbe essere?”

Preziosa sogghignò: “Un’orsa! Un’orsa grande il doppio di mio padre!”

Allora la nutrice prese dalla propria tasca un piccolo fermaglio di legno: “Mettete questo nei capelli. Potrete mutare forma e tornare a quella originaria togliendolo, tutte le volte che volete.”

Preziosa non sapeva se crederle, ma sedette sul letto e mise il fermaglio nel caschetto di capelli che le era rimasto dopo il taglio. Immediatamente vide che le sue mani e i suoi piedi si erano trasformati in zampe dal pelo nero. Poi il letto si ruppe sotto di lei. Preziosa si rimise in piedi, buttò uno sguardo allo specchio e quasi urlò alla vista della grande orsa nera che stava in piedi nella sua stanza. Si tolse il fermaglio con la zampa e guardò nello specchio la sua figura tornare umana.

“Ebbene?”, chiese la vecchia nutrice. “E’ splendido!”, rispose la principessa abbracciandola. Poi sospirò, osservando la lussuosa camera che stava per lasciare: le tende di pizzo, i folti tappeti, gli oggetti raffinati. Quando guardò il letto si mise a ridere: “Suppongo che un’orsa starà comoda nei boschi e che non le serva un letto, dopotutto.” “Siete una ragazza coraggiosa! Ma ora me ne vado, sento che sta arrivando il re.”, e la vecchia signora si dileguò appena in tempo.

Il re batteva alla porta: “Esci! Ho programmato il tuo matrimonio fra un’ora.”

Preziosa spense tutte le candele tranne una: “Scordatelo.”, disse al re.

“E’ un ordine reale!”, gridava suo padre, mentre nella penombra della stanza Preziosa si infilava il fermaglio tra i capelli e guardava le sue mani diventare grosse zampe.

Gli uomini del re sfondarono la porta e lui si precipitò dentro: “Muoviti, devi sposarti!”, gridò.

“Grrr.”, disse la principessa.

“Non fare la stupida.” disse il re, che non aveva la vista acuta, “Togli quel cappotto di pelliccia e indossa un abito bianco.”

“Grrrrrrrrr.”, disse la principessa.

“Devo avere un nipote prima del prossimo anno.”

“GGGGRRRRRR!!!”, disse la principessa e balzò di fronte a lui in piena luce.

Il re si spaventò talmente che cercò di nascondersi sotto il letto rotto. Preziosa-Orsa uscì dalla stanza, attraversò sale e scalinate con le unghie che graffiavano i marmi e infine lasciò il palazzo: nobili, guardie, servitori e soldati fuggirono tutti di fronte a lei.

orsa

Preziosa-Orsa camminò tutta la notte alla luce delle luna e arrivò in una quieta foresta. Trovò una morbida cavità erbosa in cui dormire e si sentiva comoda e calda anche senza letto e coperte grazie alla sua folta pelliccia. Il mattino successivo esplorò le radure della foresta. All’inizio gli animali più piccoli di lei che vivevano là fuggivano al solo vederla, come avevano fatto le persone nel palazzo. Ma presto lei imparò a camminare gentilmente con le sue zampe da orsa e ad abbassare il suo ruggito da orsa e gli altri animali non ebbero più paura e diventarono affabili e amichevoli. La guidarono ad un albero cavo che diventò la sua casa. Gli uccelli le indicarono i frutti più dolci, le talpe dividevano i tuberi con lei, le api costruirono l’alveare accanto al suo albero di modo che potesse avere un po’ di miele, e gli animali più piccini e pelosi dormivano attorno ai suoi piedi. In cambio, lei proteggeva animali ed alberi da cacciatori e tagliatori e così tutti vivevano felicemente insieme. Dopo qualche tempo, Preziosa-Orsa perse il ricordo della sua esistenza precedente come essere umano. Amava la vita da orsa, la frutta fresca, i fiori selvatici, gli amici di ogni specie animale.

Poi un giorno, un principe di un regno vicino si perse in quella foresta. Quando vide Preziosa-Orsa chinarsi su di lui rimase paralizzato dalla sorpresa: “Scusami, buon orso, me ne vado subito.”, disse infine indietreggiando, “Mio bell’orso, caro orso…”

Il suo viso e la sua voce erano gentili e Preziosa-Orsa si avvicinò, allo stesso modo cauto con cui si era avvicinata dapprima agli altri animali e lo fiutò. Il principe capì che non aveva nulla da temere e carezzò la testa dell’orsa e la grattò dietro le orecchie. “Sei un’orsa buona e dolce, ma io devo tornare a casa, ora. Vorresti venire con me?” A Preziosa-Orsa piacque così tanto quello strano animale alto che lo seguì volentieri.

Quando raggiunsero il suo castello nella foresta il principe, il cui nome era Jerome, condusse l’orsa ad un grande e splendido padiglione nel suo giardino e disse ai suoi servitori: “Quest’orsa è una creatura speciale. Servitela come servireste me.” Presto tutti i servitori divennero suoi amici. Preziosa-Orsa continuava a vivere con gli altri amici animali, ma faceva visita al castello sempre più spesso e passava molto tempo nel bel padiglione. Un giorno, mentre dormiva accanto allo stagno dei gigli nel giardino del principe, il fermaglio di legno le cadde dalla pelliccia.

Non appena si fu mutata in una giovane donna dai lunghi capelli d’oro (perché era passato abbastanza tempo ed erano ricresciuti) la principessa guardò il suo riflesso nello stagno e rimase di stucco: “Oh cielo! Cosa mi sta succedendo? Dov’è il mio bel pelo nero?” Naturalmente pensò così perché non ricordava nulla del suo passato. Accadde che il principe, affacciato ad una finestra del castello, vide una fanciulla dalla chioma dorata vagare incerta nel suo padiglione. Corse ad una balconata e saltò nel giardino, attraversando malamente una siepe di rose e atterrando ai piedi di Preziosa. La principessa aveva appena ritrovato il fermaglio e pur non sapendo bene perché se l’era rimesso nei capelli. Così Jerome colse un breve momento della sua trasformazione, ma la siepe l’aveva ferito al viso e agli occhi ed era così sconcertato da quel che aveva visto che perse i sensi. Preoccupata, Preziosa-Orsa si chinò su di lui e gli leccò gentilmente la faccia.

In quel momento la madre del principe, che stava passeggiando, arrivò in quel punto del giardino e vide il figlio disteso a terra e l’orsa china su di lui. “Cos’hai fatto al principe?”, gridò, “Servi, uccidete questa bestia!” Preziosa-Orsa corse verso l’interno della foresta e i servitori la inseguirono. Non voleva far loro del male, perciò si nascose per un po’ e poi tornò alla sua casa nell’albero cavo. Era felice come sempre con gli altri animali, ma Jerome le mancava e ogni giorno toglieva il fermaglio per pochi minuti, guardava la propria pelle senza pelo e i capelli dorati e si chiedeva cosa significassero.

I servitori che l’avevano inseguita si erano fermati non appena fuori di vista dalla regina, dicendosi l’un l’altro che l’orsa era buona e gentile e non avrebbe mai ferito il principe. “Lasciamola stare.”, disse uno. “Ma la regina ci ha ordinato di ucciderla.”, rispose un altro. E infine tornarono al castello e mentirono alla regina, dicendo che avevano ucciso l’orsa. Quando Jerome sentì questa notizia saltò fuori dal letto come se fosse impazzito e urlò che avrebbe ridotto i servitori a carne tritata. Giusto in tempo, uno di loro gli bisbigliò all’orecchio: “L’orsa è viva, è nella foresta.” Allora il principe balzò a cavallo, dimentico delle sue ferite, e percorse la foresta per giorni e notti, sino a quando trovò la radura della sua amica orsa. “Per favore, torna da me.”, disse a Preziosa-Orsa, “Mia cara, bella, dolce orsa. Mia madre è dispiaciuta e i servitori non ti avrebbero mai fatto del male.”

E così Preziosa-Orsa tornò al padiglione, ma stette molto attenta a non togliersi mai il fermaglio, poiché il farlo aveva causato così tanti guai. Il principe ricordava la breve visione della sua forma umana come un sogno, ma cominciava a capire che, qualsiasi cosa quella creatura fosse in realtà, lui la amava. Ma poiché era andato a cercarla senza riposarsi e curare le proprie ferite il principe si ammalò e diventò via via sempre più debole. “Non voglio più medici.”, disse ad un certo punto, “Non voglio attendenti o prescrizioni. Voglio stare con l’orsa.” Sua madre, che ormai temeva di vederlo morire, fece trasportare il letto e Jerome nel padiglione, dove Preziosa-Orsa cominciò a curarlo con le erbe e il miele e la frutta fresca che i suoi amici della radura le portavano. Il principe guarì così bene da sembrare nuovo di zecca, e sua madre ringraziò l’orsa e l’abbracciò e la baciò.

Jerome le chiese: “Posso baciarti anch’io, per favore?” L’orsa abbassò la testa in un assenso. E il principe la strinse e la bacio e ribaciò, così tante volte che il fermaglio le cadde dalla pelliccia e lui si ritrovò fra le braccia una giovane donna dai capelli d’oro.

“Cara ragazza, cosa significa tutto ciò?”, disse la regina, “Perché eri travestita da orsa? Sei in qualche guaio?”

Di colpo la memoria di Preziosa tornò e la giovane raccontò alla madre del principe l’intera storia.

“Hai fatto la cosa giusta.”, le disse la regina, “Nessuno deve sposarsi per forza.”

Jerome invece le disse: “Sposeresti me di tua volontà?”

Preziosa era contenta e fu d’accordo, e entrambi si inginocchiarono lì dov’erano per ricevere la benedizione della regina. Mandarono a chiamare la vecchia nutrice affinché partecipasse alle loro nozze e poi vivesse con loro e qualche giorno dopo si sposarono nel padiglione, davanti a tutti gli animali amici di Preziosa.

Poco tempo dopo, la regina chiese alla coppia di governare il regno perché aveva svolto quel compito per molti anni e desiderava riposare, e Jerome e Preziosa accettarono ma dissero che l’avrebbero fatto continuando a vivere nel castello della foresta, dove alberi, fiori, uccelli e scoiattoli, volpi e api, marmotte e talpe stavano felicemente insieme con loro.

Read Full Post »

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: