Dall’inizio del 2021, in Italia c’è stato un femminicidio ogni 5 giorni (3 sono stati perpetrati nelle 24 ore tra il 6 e il 7 febbraio). In questi giorni, sulla stampa:
“Il procuratore aggiunto di Palermo Laura Vaccaro (…) torna a lanciare un appello a tutte le donne: “Non abbiate paura di denunciare – dice – C’è sempre qualcuno disposto ad ascoltarvi. C’è soprattutto una rete di accoglienza per tutelare voi e i vostri figli“. “
“Soltanto due settimane fa Repubblica ha aperto l’Osservatorio Femminicidi e ci troviamo già qui a contare altre donne morte. (…) E quante volte dobbiamo registrare il dolore di parenti e amici che raccontano di segnali non colti. Non c’è più tempo però, non c’è per aspettare redenzioni, non c’è per dare seconde possibilità che spesso sono quarte o quinte. Denunciare, rivolgersi ai centri antiviolenza. Dare alle donne la certezza di essere ascoltate, e aiutate.” Oriana Liso
” (…) un mese fa aveva chiamato la polizia, ma poi non aveva voluto presentare denuncia contro il compagno violento.” (riferito a Piera Napoli, 32 anni, assassinata dal partner)
“Ventinovenne uccisa a coltellate nel Salento, fermato per omicidio il suo ex: era in fuga. In passato aveva già minacciato la vittima di femminicidio: “Una tragedia annunciata“. “
Il quadro postula come al solito due assunti falsi: primo, che la responsabilità di fermare la violenza ricada sulle vittime di quest’ultima; secondo, che esista una diffusa solidarietà nei confronti delle vittime stesse.
L’afflato verso le donne investite dalla violenza assume le seguenti forme se muoiono:
– Era una ragazza semplice e solare.
– Era una donna piena di vita.
– Inspiegabile e assurda tragedia.
– Perché nel 2021 ci sono ancora queste persone per cui le donne non sono niente?
– Dobbiamo fermare tutto questo! Basta violenza sulle donne.
(Più i consueti svarioni pseudo-lirici fatti di stelle, angeli, coretti e applausi.)
Per contro, se restano vive dopo l’assalto, lo stupro o anni di pestaggi, il loro comportamento è sottoposto al più severo degli esami non solo dagli stessi che cianciano a vanvera con le frasi di cui sopra, ma da poliziotti, medici, avvocati e giudici… i quali costituiscono la parte istituzionale della succitata “rete di accoglienza” che dovrebbe “tutelarle”: gli opinionisti da strapazzo, i commentatori seriali sui social media, la grande bagarre misogina dei media tutti fanno il resto.
I parametri dello scandaglio sono la fiera patriarcale dello stereotipo di genere: era bella, non era bella (solo le belle sono degne di violenza sessuale); era brava, non era brava (quelle brave sospettano di tutti, non vanno a feste, non escono da sole, denunciano – ma anche NON sospettano, per non offendere l’uomo di turno, vanno alle feste perché il suddetto deve mostrarle agli amici come trofei, escono da sole per andare ad incontrarlo, NON denunciano perché non sono certo schifose femministe…); eccetera eccetera. Non si tratta come vedete di punire l’autore delle violenze, ma di capire grazie a quale provocazione della vittima costui – stressato, abbandonato, colto da raptus, avvilito, depresso, geloso – sia stato costretto ad agirle.
In ambo i casi, non appare mai uno straccio di analisi su cosa effettivamente crei un clima adatto alla sopraffazione e all’omicidio. E quindi, giusto: Perché nel 2021 ci sono ancora queste persone per cui le donne non sono niente?
Mah. Forse perché avete passato l’estate del 2020 a discutere della modella di Gucci e di Santa Chiara Influencer? No, non sto scherzando. E naturalmente non si tratta solo dell’estate scorsa, perché sul culo di questa e le tette di quell’altra e sulle montagne di sterco relative a trucchi – acconciature – abiti – accessori – diete – fitness che dovrebbero dar forma alla “bambola scopabile” si blatera da anni ed anni.
L’oggettivazione ossessiva, coatta, asfissiante che investe le italiane di qualsiasi età 24 ore su 24 e che neppure la morte ferma (Era così bbbeeellla…) è l’ingrediente principale della violenza di genere: a una persona si deve, in linea di principio, rispetto – a del materiale da scopare no.
Questa narrazione a senso unico, vischiosa, mai messa davvero in discussione, si è insediata come una melassa a presa rapida in cervelli di ogni genere, origine e latitudine, vedasi le fotografe che mettono in posa giovani donne nude per i calendari o producono immagini di bambine in atteggiamenti da Lolite per vendere automobili e di fronte a un minimo di reazione civile strillano: “Io sono femminista!”… che è l’equivalente di “Non sono razzista, conosco tanti immigrati”, “Non sono omofobo, ho un sacco di amici gay” e via dicendo. Ma quando io contesto una tua azione, sorella, non ti sto in alcun modo etichettando e definendo: sto dicendo che quel che hai fatto (non quel che sei) porta acqua al mulino avverso alle donne. Tutto qua, non c’è bisogno di utilizzare ad minchiam il termine “femminista”, perché è evidente che se lo usi come scudo per pararti il didietro tu non sai cosa significa.
All’oggetto-femmina, il cui dovere dalla culla alla tomba è essere bbbeeella per soddisfare sguardo e interno mutanda maschili, non è riconosciuto spessore umano, dignità, legittimazione. Perciò i sedicenti giornalisti (e le sedicenti giornaliste, certo) che in Italia scrivono di violenza di genere non solo non hanno alcuna preparazione al proposito ma ritagliano la storia in modo adeguato affinché risponda ai loro pregiudizi e al sessismo che respirano quotidianamente quanto ogni altro/a.
Solo per fare un esempio, questa notizia l’ho letta due giorni fa:
“Getta in mare la ex, poi la risarcisce: condanna lieve, soltanto sei anni”.
Il (dei tenetemi le mani) professionista della carta stampata ci spiega perché:
“(il perpetratore del tentato omicidio) ha chiesto scusa, ha lanciato segnali di pentimento e ha risarcito la sua ex. Ha staccato un assegno, oltre a scrivere lettere nelle quali ha provato a rivisitare il recente vissuto, fino a quell’ultimo – drammatico – momento di coppia: lei che sta sul muretto, lui che la spinge; lei che cade in acque (sic), a mare, lui che scappa. Lei che rischia di morire e che viene salvata (…).
Sono tutti “momenti di coppia”, quindi: il primo bacio, la prima sberla, la richiesta di assomigliare a una diva all’esterno e a una pornostar a letto, il selfie dopo il pestaggio, il lancio in mare… Io credo che l’autore neppure si sia reso conto di quanto questo tipo di narrazione normalizzi e scusi la violenza contro le donne: lui ne scrive MA NON NE SA UNA BEATA MAZZA. I suoi capi non gli hanno offerto formazione, per due semplici motivi: 1) a loro non interessa fare giornalismo, ma click-bait; 2) ne sanno meno di lui.
In compenso, la reiterazione dell’oggettivazione femminile mascherata da reverente ossequio alla “bellezza” e le interminabili manfrine su stereotipi di genere prescrittivi (le donne sono così, gli uomini sono cosà, senza spazio ne’ per le differenze ne’ per l’individualità), i quali hanno l’unica funzione di presentare come naturale, santa e giusta la subordinazione delle donne, hanno formato generazioni di giovani stronzi – oltre a fornire ossigeno agli stronzi più anziani – che si beano della propria ignoranza, della propria crudeltà e del sessismo più becero a disposizione sul mercato.
Tre esempi dalla cronaca di gennaio/febbraio, il primo della lista ha 19 anni.
Gettata a diciassette anni in un burrone. Il fidanzato: “Roberta si è data fuoco da sola”
– “Il giudice per le indagini preliminari: “Quantomeno a livello gravemente indiziario può ritenersi in questa fase cautelare che Morreale Pietro, mosso da una fortissima gelosia e da un sentimento morboso maturato nei confronti di Roberta (Siragusa), la abbia uccisa (…) dopo aver comunque tentato un approccio sessuale e poi le abbia dato fuoco abbandonandola nella scarpata”.”
– “A Caccamo, raccontano che Morreale era sempre parecchio geloso nei confronti della fidanzata: “La scorsa estate era arrivato anche alle mani – sussurra un’amica della vittima – avevo visto Roberta con un occhio nero. I litigi erano proseguiti, poi di recente sembrava essere tornato il sereno”. Fino a sabato sera, quando sarebbe avvenuta un’altra scenata nel corso della festa a casa di amici.”
– “Risultati dell’autopsia: “Roberta stordita e poi bruciata dal suo assassino”. Secondo una ricostruzione emersa dai lavori dei periti la giovane sarebbe stata colpita, stordita e poi data alla fiamme, forse mentre era ancora viva.
Il secondo ne ha 24.
Rapper 1727 wrldstar arrestato, botte alla compagna con un bastone di ferro
– “Ha ferito gravemente la sua compagna con una mazza di ferro, al culmine di una lite. Per questo è stato arrestato con accuse di maltrattamenti, lesioni e droga Algero Corretini, 24 anni, che sul web è conosciuto anche come ‘1727wrldstar’ (…)”
– “(i carabinieri) hanno ricostruito una prolungata storia di maltrattamenti culminata nella mattinata di sabato in una violenta aggressione.”
Il terzo ne ha 17.
Revenge porn tra minori, la vittima ha solo 13 anni.
“Aveva solo 13 anni quando inviò al suo fidanzatino delle foto che la ritraevano senza veli. Lui, un 17enne, prima ha custodito gelosamente quegli scatti sul suo telefono poi, quando lei lo ha lasciato, li ha inoltrati sulle chat di tutti i loro amici svergognando pubblicamente la ragazzina che, presa dal panico, non voleva nemmeno più andare a scuola. Quella vendetta a luci rosse si è protratta per ben tre mesi poiché anche dopo la denuncia sporta dai genitori della 13enne, il ragazzo ha continuato a diffondere quelle immagini.”
Poi abbiamo il maestro (si fa per dire) Alberto Genovese, anni 43, esperto di festini a base di stupefacenti, serie di foto allucinanti in cui mima incontenibili entusiasmi con la bocca spalancata e bottiglie al vento. Due delle giovani donne che lo hanno denunciato per stupro hanno riportato oltre alle sue violenze i convincimenti da cui esse si originano:
“Mi diceva che la donna non deve andare all’università e non deve lavorare.”
“Faceva certi discorsi, che la donna è stupida e anche se è intelligente non si deve applicare e non deve lavorare. Mi diceva: ‘Tu a 24 anni ti trovi uno che ti mantiene, a 27 fai una famiglia, così hai il futuro garantito, perché una donna a 27 anni è da buttare.’ “
Genovese si è avvalso della facoltà di non rispondere alle domande del giudice per le indagini preliminari, ma ha avuto la faccia tosta di chiedergli di andare ai domiciliari a casa della madre e della compagna, aggiungendo che spera in una pena “rieducativa” che gli consenta di “guarire”: “Voglio disintossicarmi, da 4 anni sono tossicodipendente. Quando mi drogo perdo il controllo e non riconosco il confine tra legale e illegale.”
Perché è tutto lì, il problema. Ci sono ancora legislazioni, al mondo, che normano quanto si può picchiare una donna e in che circostanze sia ammesso violentarla, ma da noi comandano le femministe…
E le donne continuano a soffrire e a morire sia che denuncino sia che non denuncino, sia che rifiutino di aderire al modello imposto sia che lo accettino:
“La Procura di Milano ha chiuso le indagini, in vista della richiesta di processo, a carico di Mattia Colli, medico chirurgo del ‘Centro di chirurgia plastica ed estetica MC’ in centro a Milano, accusato di omicidio colposo per la morte di una donna di 36 anni deceduta in un hospice nel Bresciano l’11 aprile 2018 per complicanze seguite ad una grave infezione dopo un intervento di liposuzione a cui si era sottoposta il 5 luglio 2017.”
Se dopo i 27 anni una donna dovrebbe essere conferita in discarica, figuratevi a 36. Per questo gli utilizzatori, i fini conoscitori e gourmet di femmine producono notizie simili:
Bambina di 18 mesi morta nel Comasco, non è stato un incidente: arrestato il compagno della madre.
“Gli esiti della consulenza medico legale, rende noto la Procura di Como, inducono gli inquirenti a ritenere che la piccola sia stata picchiata non solo il giorno del suo decesso, (…) ma pure in altre circostanze, quando – sempre secondo gli accertamenti – la piccola sarebbe stata anche violentata.”
Era bella, suppongo.
Maria G. Di Rienzo
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