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Archive for the ‘Teatro’ Category

(“How to make yourself small or how to be black and survive” di Porsha Olayiwola, in immagine, trad. Maria G. Di Rienzo. Olayiwola è scrittrice, poeta, educatrice, futurista, femminista, lesbica, storica della “diaspora nera”, direttrice artistica… La lista sarebbe ancora più lunga, ma c’è una frase che può fungere da riassunto: questa giovane donna è un genio. Vederla su un palcoscenico, che stia recitando le sue poesie o mettendo in scena una performance teatrale, è illuminante e catartico.)

porsha

Come rimpicciolire te stessa o come essere nera e sopravvivere

Accovacciati giù

in basso

non stendere le tue membra per tutta la loro lunghezza

Fletti le ginocchia

lascia che le tue ossa si ripieghino o

si rompano

Avvizzisci

Lascia che la tua pelle ti abbracci

come una bara, tienila vicina

La tua lingua è fragorosa

per diluire il ruggito, dirotta i tuoi occhi

osserva solo il manto stradale

Così un’ombra massiccia spalanca per noi

una tomba

Vedi solo le formiche

minuscoli esseri di melanina

scorrazzarne via

indenni

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“Io sono un’artista che si sta specializzando in primitivismo perciò per me la storia, in un dipinto, è assai più importante dei dettagli. Molti pensano che i primitivisti non sappiamo disegnare, ma in effetti si tratta di un’area artistica complessa e interessante: rappresentare qualcosa con il minimo numero possibile di linee è assai più difficile di quel che sembra.

La mia arte mancava di significato all’inizio. Quando sono diventata una femminista, ho cominciato a guardare le opere di varie donne artiste e anche i fumetti – storie in figure – e ho capito per la prima volta che l’arte poteva parlare di cose importanti. Ho capito che le artiste incorporavano un’agenda sociale e politica tramite il loro lavoro.”, Yulia Tsvetkova (in immagine).

tsvetkova

Lo scorso marzo sono stati revocati gli arresti domiciliari a Yulia, l’artista femminista e lesbica di cui avevo parlato qui:

https://lunanuvola.wordpress.com/2020/01/23/la-censura-e-questa/

Il 7 aprile Open Democracy, chiedendosi come mai un progetto educativo composto da illustrazioni sia diventato “pornografia”, ha pubblicato una lunga intervista a Yulia curata da Anna Kim. Di seguito, la traduzione di alcuni brani.

Perché pensi di essere stata liberata dagli arresti domiciliari? Perché è accaduto ora ed è stata una novità per te?

E’ stata una novità per me: ne’ io ne’ il mio avvocato ce lo aspettavano. Penso abbia in parte a che fare con le procedure burocratiche. Ci hanno messo tre mesi e mezzo per fare un’inchiesta e letteralmente dieci giorni fa hanno cambiato i dettagli dell’articolo in virtù del quale ero accusata e hanno fatto invece un’indagine. Si supponeva che dovessero arrestarmi di nuovo, ma non è accaduto. Il giudice voleva andare avanti ma il procuratore, con mia totale sorpresa, ha sostenuto la nostra parte.

I detective avevano chiesto inizialmente che i miei arresti domiciliari fossero inaspriti con il bando ad ogni comunicazione e all’accesso a internet, perciò le cose avrebbero potuto andare in modo molto diverso. Non posso chiamarlo un disgelo o una dinamica positiva, può essere stata solo una coincidenza, il che è molto comune.

Ma il tuo caso non è ancora chiuso?

No, adesso sono ufficialmente una sospettata, ho la notifica in cui mi si sospetta di aver commesso il crimine relativo alla diffusione di pornografia. Alcuni media hanno detto, sbagliando, che non sono stata accusata di nulla, ma l’annuncio dell’incriminazione avviene alla fine del procedimento, davanti a una giuria, quando l’indagine è finita e c’è il rinvio a giudizio, perciò è ancora troppo presto per incriminarmi.

Nel tuo post su Facebook, in cui dici di essere stata rilasciata dagli arresti domiciliari, hai scritto che la pubblica accusa aveva “grandi piani” per te. Cosa significava?

Durante le sedute in tribunale la pubblica accusa, chiedendo l’estensione del mio stato di arresto, ha elencato tutto ciò che avrebbe fatto durante le udienze: interrogare mia madre e ogni membro del mio gruppo sui Monologhi della Vagina; controllare i miei account e chiamare a testimoniare un bel po’ di esperti: in campo artistico, psichiatrico, informatico. Potrei dover affrontare un secondo arresto: ancora non è chiaro, ma il caso non è chiuso.

Da quando ricevi minacce dal gruppo omofobico “Pila protiv LGBT (Saw contro LGBT: il gruppo si ispira al film horror omonimo, chiama alla violenza contro le persone omosessuali e mette online i loro dati privati, come indirizzo e numero di telefono, organizza aggressioni durante le manifestazioni del Pride, eccetera)? Che sta facendo la polizia al proposito?

Il movimento “Saw” è in giro da un paio d’anni, dal 2017-2018. Io non ero un’attivista all’epoca e non una singola istituzione, inclusi l’FSB (Servizi federali per la sicurezza della Federazione russa) e il Centro per il contrasto all’estremismo, è stata in grado di scoprire gli autori della lettera di minacce (ricevuta da Yulia e da altre/i). Li abbiamo cercati da noi e abbiamo fatto denunce.

La prima volta in cui mi hanno minacciata direttamente è stata nell’estate del 2019 quando io, assieme ad attiviste/i di ogni parte della Russia, sono finita nella cosiddetta “Lista Pila” e ho fatto denuncia. E’ stato solo di recente che l’FBS ha risposto dichiarando che si trattava di non luogo a procedere.

Quel che è stato buffo è che io dovevo fornire prove delle minacce al poliziotto che aveva in carico i miei casi penali e civili. In altre parole, questo tizio stava raccogliendo prove incriminatorie contro di me, mentre allo stesso tempo io dovevo fornirgli prove in mia difesa.

Il 18 marzo scorso nuove minacce, con il mio indirizzo e numero di appartamento, sono arrivate per posta. Questa volta chiedevano 250 bitcoins prima del 31 marzo, altrimenti mi avrebbero uccisa. Dopo le prime minacce la polizia ci ha messo sei settimane per dirmi che non poteva fare niente e consigliarmi di non uscire di casa e di prendermi un cane. Le uniche domande che mi hanno fatto durante la nostra conversazione miravano a sapere se disegno pornografia e se vado a letto con le donne, perciò sarebbe stato futile chiedere aiuto da quella parte.

Allo stesso tempo, quando ricevo mail di odio dagli omofobi, la cosa si risolve in un paio di giorni. Se qualcuno pensa si tratti di un bello scherzo va bene, ma troviamo l’umorista e diciamogli che non è divertente.

[Nota dell’editore: Yulia Tsvetkova ha riportato su FB il 2 aprile di aver ricevuto nuove minacce da “Saw”.]

Cosa hai mente di fare in futuro? Tornerai all’attivismo, al teatro, all’attività su internet e al lavoro educativo?

Non ho idea di cosa farò, c’è ancora la possibilità che io vada in prigione per un periodo compreso fra i due e i sei anni. La mia attività qui è stata tagliata alla radice. Tutto quel che ho fatto negli scorsi due anni è svanito e non ho nulla di pronto per il futuro. Ci sono alcuni appunti e progetti che amerei sviluppare, ma non è realistico pensarlo, al presente. Ma certamente voglio essere coinvolta nel teatro e nell’attivismo pro diritti umani in Russia o da qualche altra parte.

Yulia Tsvetkova illustration

(un dipinto di Yulia)

Maria G. Di Rienzo

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“Una fissazione culturale sulla magrezza femminile non è un’ossessione per la bellezza femminile, ma un’ossessione per l’obbedienza femminile.”, Naomi Wolf – “Il mito della bellezza”.

katie

Lo spiega bene la londinese Katie Greenall (in immagine) con il suo ultimo lavoro teatrale “Fatty Fat Fat”, di recente messo in scena con grande successo al Fringe Festival di Edimburgo, il più grande festival delle arti al mondo. Oltre che commediografa Katie è poeta, attrice, narratrice e facilitatrice: usa il teatro con gruppi di giovani quale attrezzo per affrontare le questioni che loro interessano (tematiche lgbt, arte, razzismo, multiculturalismo ecc.).

La performance citata basa tutta sulle sue spalle: è un one woman show dove l’Autrice ricrea con l’aiuto del pubblico ciò che vive quotidianamente come persona non conforme agli standard di “bellezza” femminile ed è potente, orgoglioso, profondamente commovente e divertente al tempo stesso, nonché un chiaro pronunciamento politico.

Katie ha spiegato alla stampa perché ha ritenuto importante crearlo: “La tua taglia non dovrebbe limitare i personaggi che interpreti: il teatro dovrebbe tenere uno specchio davanti alla società e ci sono un mucchio di persone che mi somigliano che non sono mostrate sul palcoscenico e le cui storie vengono sradicate. Le storie in cui c’è spazio per gente grossa riguardano spesso la promozione della perdita di peso o l’essere tristi per come si appare. Questo spettacolo non vuol dire “questo è il mio corpo e lo amo”, questo spettacolo riguarda la vita.”

E fra lacrime, risate e applausi il pubblico lo ha capito perfettamente.

Maria G. Di Rienzo

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Ola

La giovane donna in immagine è Ola Ince, la brillante regista di teatro di cui si discute di più in questo momento in Gran Bretagna. Ola ha trent’anni, si è diplomata con lode nel 2010 alla scuola di recitazione Rose Bruford College, ha diretto una serie impressionante di opere e collezionato una cascata di premi. Una delle sue particolarità è il modo di affrontare i pregiudizi razziali e di genere senza paura e fuori da ogni stereotipo.

La passione per il teatro, dice la regista, è nata essenzialmente come passione per la narrazione: “Con mio papà guardavo i film, mia madre mi leggeva libri: il teatro era troppo costoso, così riuscivo ad andarci qualcosa come una volta l’anno. – ha raccontato alla BBC – Il teatro stimola conversazioni importanti; è ovvio che puoi andarci solo per l’intrattenimento, ma io penso sia davvero importante tentare di cambiare il mondo. Se aiuto qualcuno a vedere il mondo in modo differente o rendo più facile affrontare determinati argomenti, penso che ciò sia splendido.”

Farsi strada nel mondo del teatro, per Ola, non è stato semplice: “Non ho un retroscena accademico, non parlo latino e non suono il pianoforte ad alto livello, così ho preso altre strade. Sono fiera di essere riuscita a trasformare una forma di espressione in un lavoro che amo.”, ne’ – ve lo aspettavate, suppongo – ha ricevuto grandi incoraggiamenti: “Quando sei una giovane artista ti dicono spesso: E’ bello che tu voglia fare la regista, ma pensaci perché sarai povera e infelice per sempre. Mentre le persone che ti sono care faranno mutui per la casa e metteranno al mondo bambini, tu sarai solo un’artista indigente. E invece quest’anno (Ndt.: 2019) ho imparato che puoi avere entrambe le cose. Qualcosa su cui ho lavorato davvero a lungo mi sta pagando le bollette e mi permette di viaggiare per il mondo. E’ bello che io non debba più soffrire per l’arte, ma che essa mi stia in effetti aiutando.”

Maria G. Di Rienzo

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“Le storie sono una gran cosa. Le storie possono essere mappe. Possono essere modelli. Possono essere guide. Possono essere avvertimenti. Possono essere specchi. Possono essere latitudine e longitudine. Possono essere vitamine spirituali. Possono essere prezioso retaggio.

La poeta lesbica Muriel Rukeyser ebbe a dire: “L’universo è fatto di storie, non di atomi.” Ciò suona come un’affermazione poetica sino a che non dai uno sguardo profondo a quella che chiamiamo realtà, alla fisica quantistica. Allora, è in effetti un’affermazione abbastanza scientifica.

E qui c’è la poeta Maya Angelou: “Non esiste agonia più grande del portare una storia non detta dentro di te.” – 19 febbraio 2019, Carolyn Gage (nata nel 1952), femminista, donna lesbica, drammaturga, regista teatrale e scrittrice. E’ autrice di dodici libri e di più di 75 opere teatrali. (Trad. Maria G. Di Rienzo.)

Olga e Jan

La storyteller Jan Blake narra la storia de “La Vecchia Signora e la Zucca”, accompagnata al pianoforte da Olga Jegunova (2014).

casa donne roma

Le storytellers della Casa Internazionale delle Donne (Verona, 30 marzo 2019), narrano la storia della nostra resistenza al patriarcato: perché, citando Alice Walker, “La resistenza è il segreto della gioia”.

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(brano tratto da: “The disbelieved: rape accusers’ stories retold on stage”, di Helen Pidd per The Guardian, 25 aprile 2018, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo. L’immagine è di Christopher Thomond.)

trial

Un processo per stupro finisce con la sentenza di non colpevolezza. L’accusato rilascia una sprezzante dichiarazione sui gradini del tribunale. Ma della donna la cui denuncia ha dato inizio al procedimento legale non sentiamo nulla. A prescindere dal verdetto, lei resta anonima per la sua vita intera, a meno che non sia processata per false accuse. Potrebbe voler raccontare la sua storia ma i media non possono, non vogliono, pubblicarla. Lei non è stata creduta e farle pubblicità equivarrebbe a suggerire che la giuria ha sbagliato.

Un luogo e un lavoro teatrale specifici, nella città di Bolton, forniranno questa settimana (ndt. 26-28 aprile) una tribuna alle “non credute”.

“Trial” – “Processo” della compagnia teatrale Monkeywood Theatre di Manchester, si basa sulle storie di donne reali che hanno sofferto violenza sessuale ed esplora il devastante impatto dell’essere raffigurate come bugiarde. Messo in scena nella sala consiliare di Bolton, che un tempo era un’aula giudiziaria, presenta quattro storie individuali tessute insieme dagli estratti della trascrizione di un vero processo per abuso sessuale.

Tutti i dati che potrebbero condurre a identificazioni sono stati omessi dalla trascrizione per evitare reclami per diffamazione da parte dell’imputato, ma il caso è centrato su dichiarazioni fatte nel tempo da una serie di donne, che dissero di essere state manipolate da lui sin da quando erano bambine.

La compagnia teatrale ha incontrato una delle querelanti, che ora è sulla quarantina e dichiarò alla giuria di essere stata abusata fra gli 8 e i 12 anni. Ha dato il suo benestare affinché la sua storia sia usata e ora lavora con le sopravvissute alla violenza sessuale, come racconta la co-direttrice artistica di Monkeywood Theatre, Sarah McDonald Hughes, che ha scritto uno dei quattro pezzi che compongono “Trial”. (…)

“Nessuno sta dicendo che non sia terribile essere accusati falsamente. Ma se si guarda alla percentuale delle persone che presentano false accuse essa risulta piccolissima, a confronto con il numero di denunce per stupro che terminano con una condanna. – spiega Sarah McDonald Hughes – Questo non è un lavoro teatrale su quante volte gli uomini sono accusati falsamente. Stiamo raccontando storie che percepiamo largamente non narrate e non viste su un palcoscenico, personaggi che non vedete e che, se vedete, sono usualmente ritratti in un determinato modo.” (…)

Qualche sopracciglio potrebbe alzarsi per la scelta di un regista maschio, il membro di Monkeywood Martin Gibbons, il quale ammette di aver lui stesso dubbi sul suo ruolo. Ma per McDonald Hughes non è un problema: “Capisco le ragioni per avere una regista donna, ma questa non è una “questione delle donne”. E’ davvero importante che gli uomini la affrontino. E’ un problema di tutti. All’interno del dibattito su #MeToo, vedi spesso uomini farsi avanti perché possono immaginare che si tratti della loro sorella o della loro figlia e questo mi fa venir voglia di strapparmi i capelli. Dovrebbe importartene perché lei è una persona.”

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poonam ghimire

Quando aveva 11 anni, la nepalese Poonam Ghimire – in immagine – scrisse, mise in scena e diresse un pezzo teatrale che affrontava le diseguaglianze di genere nella scuola e chiedeva maggiore inclusione. Il suo lavoro riscosse un tal successo che la gente lo metteva spontaneamente in scena nelle strade: questo in un paese in cui solo il 66% delle ragazze frequenta le medie, poiché all’età in cui dovrebbero farlo sono già intrappolate in matrimoni precoci o lavoro forzato, oppure ne sono impedite dalla povertà o da proibizioni socioculturali.

In più, in molte regioni sono costrette a sottoporsi alla “tradizione” che le allontana dalle proprie case quando hanno le mestruazioni. Confinate in remote capanne, le ragazze sono spesso stuprate, si ammalano, muoiono di freddo e di fame.

Contro tutto questo, Poonam ha organizzato le sue amiche e ha fatto campagna per l’eguaglianza di genere. L’Unicef l’ha notata abbastanza presto da chiederle di scrivere per l’organizzazione, cosa che le ha fatto guadagnare un profilo internazionale.

Quando è stato il momento di andare all’università, Poonam ha scelto scienze forestali: è convinta che il cambiamento climatico e la diseguaglianza di genere siano connessi. Il cambiamento climatico ha impatto principalmente su bambine e donne, sostiene, giacché nelle comunità sfollate la percentuale di matrimoni forzati infantili cresce, gli agricoltori su piccola scala – che sono in maggioranza donne – vedono distrutte le loro possibilità di sopravvivere grazie al loro lavoro e molte bambine a cui è permesso studiare non riescono più neppure a raggiungere le scuole.

Garantire alle donne il diritto alla salute sessuale fornendo loro l’accesso al controllo delle nascite e fornire istruzione sul cambiamento climatico a donne e bambine sono due dei rimedi per cui la giovane attivista lavora assieme all’Associazione delle organizzazioni giovanili del Nepal (con cui ha anche affrontato le conseguenze del devastante terremoto del 2015, in prima linea negli sforzi per l’assistenza e la ricostruzione).

Durante la sua attività, Poonam ha visto altre connessioni: in Nepal solo il 37% delle persone può usufruire di impianti igienici e sanitari, e di nuovo ciò ha un impatto sproporzionato su donne e bambine, a cui è affidato il compito di fornire acqua potabile; inoltre, espone la popolazione al rischio di colera e altre malattie relative al consumo di acqua contaminata.

Poonam ha già prodotto lavori di ricerca sullo smaltimento sostenibile dei rifiuti, promuove un’agricoltura pure sostenibile, organizza concorsi di poesia sul cambiamento climatico e diffonde libri, tiene seminari sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite per i giovani, incoraggiandoli a fondare gruppi ambientalisti in tutta la nazione. Mentre viaggia per questi scopi, raccoglie dati locali sull’inquinamento dell’aria.

“Per molti, io sono una donna non sposata che lavora nel mondo degli uomini e non sa cucinare. – ha detto di recente alla stampa – Ma io sono una donna che ha sogni, aspirazioni e, cosa più importante di tutte, ho una voce.”

Maria G. Di Rienzo

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Thanyia Moore

Thanyia Moore, performer comica e danzatrice, ha appena vinto il Premio Funny Women: in altre parole è stata incoronata come la “regina della commedia” inglese 2017/2018 (nell’immagine regge lo “scettro” consegnatole durante la cerimonia).

Non è il primo riconoscimento che riceve per il suo lavoro. Nel 2013 era stata premiata come “Miglior Nuovo Arrivo” sulla scena comica, dopo che aveva viaggiato con in suoi spettacoli non solo in tutta la Gran Bretagna ma in giro per il mondo (Stati Uniti, Svezia, Olanda, Spagna ecc.).

Thanyia è nata a Londra da genitori giamaicani e uno dei suoi pezzi più riusciti si basa sui ricordi e sugli aneddoti del crescere essendo l’unica ragazza di colore nella sua classe. I bambini le stanno particolarmente a cuore e offre regolarmente i suoi spettacoli a un’organizzazione umanitaria – The Sunshine Foundation Charity – che ha lo scopo di sostenere i piccoli con speciali necessità nel Regno Unito e nei Caraibi.

La sua principale ispirazione è la sua mamma, che descrive come “l’incarnazione di una donna nera forte”, se deve definire il femminismo con una sola parola sceglie “eguaglianza” e dichiara che di quest’ultima, nel suo ambito lavorativo, non c’è traccia… ma dice anche di essere “abbastanza fortunata da essere nata dopo l’inizio del femminismo e da beneficiare del duro lavoro fatto in esso dalle donne venute prima di noi, che hanno lottato per noi”.

Che consigli darebbe a chi ha appena intrapreso la sua stessa carriera?

“Resta con i piedi per terra – Tieni vicino chi ti conosce e ti ama. Non credere alla pubblicità gonfiata e resta umile.

Continua a essere l’autentica te stessa – Non perderti e non perdere te stessa. Cresci, ma non cambiarti.

Divertiti! – Quando sarai anziana, sulla sedia a dondolo, e tutto si starà rilassando… i nipotini ti chiederanno com’è stata la tua vita. Assicurati di essere in grado di dirgli quanto ti sei divertita!”

Maria G. Di Rienzo

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Octavia Butler, autrice di sf, ci ha purtroppo lasciato nel 2006 ma non smette di essere amata ne’ di ispirarci: ora il suo romanzo “La parabola del seminatore” (Parable of the Sower, 1993) è stato adattato in senso teatrale-operistico dalla musicista Toshi Reagon (in immagine, con Octavia sullo sfondo).

toshi

Toshi è un’artista eclettica (folk, funk, gospel, blues, rock) che ha condiviso il palcoscenico con colleghi del calibro di Lenny Kravitz, Elvis Costello, Ani DiFranco – solo per citarne alcuni – e la sua band “Toshi Reagon and BIGLovely” ha un pubblico appassionato, entusiasta e fedele.

L’opera tratta dal romanzo è frutto della collaborazione della musicista con sua madre, la dott. Bernice Johnson Reagon, che è un’altra donna-leggenda: attivista per il cambiamento sociale, compositrice, fondatrice di “Sweet Honey in the Rock”, gruppo “a cappella” composto esclusivamente di donne di colore.

La storia della Parabola probabilmente la conoscete: tratta del risveglio spirituale-politico della giovane protagonista, Lauren Olamina, in un’America distopica, spezzata dalla violenza e da un’ingiustizia sistemica, e di come questa “profetessa” trascinerà via via al suo fianco altre e altri, incamminandoli sulla strada della libertà. Visti i temi del romanzo, in cui c’è persino un personaggio che vuole “rendere di nuovo grande l’America” (chi ci ricorda?), Toshi non poteva scegliere ne’ testo ne’ momento migliori. Il 26 febbraio un’altra artista, Jamara Wakefield, ha intervistato Toshi su questo lavoro che sta riscuotendo grande successo sin dal suo debutto a Abu Dhabi, presso il NYUAD Arts Center nel novembre del 2017.

parable poster

Ecco alcune delle cose che la musicista ha detto:

“La mia finestra per arrivare a Octavia Butler sono stati i libri. La mia mamma li ha letti prima di me e io ho cominciato a leggerli nei tardi anni ’80. Ho anche incontrato Octavia un paio di volte, il che è stato fantastico.

Quando osserviamo il suo lavoro, al di là del periodo in cui lei scrive, c’è sempre umanità, anche se le creature non sono umane. E’ interessante per me che sia diventata la madre dell’Afrofuturismo, perché lei non ci ha mai promesso un futuro. Ha solo scritto di tempi futuri. In termini di bilanciamento fra il momento presente e la capacità di avere una visione del futuro, Angela Davis ha parlato in pubblico pochi giorni prima della nostra performance in Connecticut. E’ entusiasta del periodo in cui ci troviamo perché stiamo mettendo in discussione molte istanze contemporaneamente. Ed è proprio così che dovrebbe essere. Sì, le donne dicono “Anch’io”. Sì, stiamo urlando “Le vite nere sono importanti”. Sì, il cambiamento climatico è reale. Sì, sosteniamo i Sognatori. Dovremmo lavorare tutti insieme. Stiamo usando a stento tutte le risorse che abbiamo.

Nei suoi lavori Octavia Butler ci presenta questi periodi devastanti in cui le persone sono costrette a usare tutte le loro risorse. Ne “La parabola del seminatore” tu vedi che le circostanze per i personaggi stanno peggiorando, ma ognuno vuol restare immutato. La lezione, qui, è che dobbiamo cambiare e che dobbiamo usare tutte le nostre risorse. Dobbiamo guardare alla nostra vita e decidere se tollereremo l’orrore.

Abbiamo dovuto rendere la nostra opera un po’ diversa dal libro, perché il libro è enorme. Abbiamo voluto concentraci sull’idea delle due comunità: quella in cui sei nato e quella che ti sostiene. La seconda è una comunità sconosciuta che tu scopri e che ti scopre. Abbiamo pensato di iniziare con la comunità nota e intima e poi di raccontare la storia portando l’intero teatro e il pubblico all’interno di quella comunità. Questo è il motivo per cui le luci sono accese quando la performance comincia. Vogliamo che il pubblico faccia esperienza di uno spazio confortevole e poi attraversi l’esperienza del vedere le cose che si fanno disagevoli. Abbiamo deciso di mostrare quanto fragili diventiamo quando continuiamo a restare attaccati a qualcosa, mentre è il momento di cambiare.”

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Autobiografia

(“Autobiography”, di Tamar Shapiro-Tamir, poeta e scrittrice contemporanea. Tamar, che ha oggi 19 anni, scrisse questa poesia quando ne aveva quattordici: è stato il primo suo lavoro a essere pubblicato. Testo e immagine vengono dall’ultimo numero – dicembre 2017 – di “Lavender Review: lesbian poetry & art”. Trad. Maria G. Di Rienzo.)

Berthe Morisot

(Berthe Morisot, Due Ninfe abbracciate – 1892)

AUTOBIOGRAFIA

Il mio nome è Tamar, e ho quattordici anni…

con tutti quei dettagli banali.

Sono una ragazza… più o meno.

Come il personaggio che interpreto nel musical di quest’anno

“Il femminile riempie la mia mente, il mio cuore, e alcuni dei miei sogni.”

(Se mi conoscete, probabilmente ciò già lo sapete, ma è una parte importante di chi io sono.)

Sì, faccio parte del musical di quest’anno

recitando un personaggio che sembra contenere

i miei stessi segreti, desideri e paure,

al di sotto della sua apparenza risoluta.

Cantare e recitare non è tutto quel che faccio, comunque: scrivo anche,

tessendo parti di me stessa nel mezzo delle storie che racconto.

Circa un anno fa, ricordo di aver detto a mio padre:

“La mia vita è perfetta.”

Come se il Destino avesse voluto mettere alla prova quella convinzione,

mi sono innamorata.

La mia vita è cambiata drasticamente.

Per proteggermi,

ho dovuto diventare più forte, più dura.

Ero certa che tutti mi avrebbero odiata quando mi sono rivelata.

Ma mantenere segreti non ha mai fatto parte di chi io sono.

Perciò, lentamente, ho cominciato a dirlo alle persone.

Per alcuni versi è stato difficile.

Alcuni individui non mi hanno creduta subito;

alcune relazioni sono state danneggiate

apparentemente in modo irreparabile.

Ma altre sono diventate più strette.

Immagino sia vero quel che si dice

sullo scoprire chi

sono i tuoi veri amici.

Ci sono cose che mi interessano oltre alle relazioni d’amore,

il modo in cui mi presento, in generale,

è cambiato ma la maggior parte delle persone

amano e accettano la nuova me stessa

come facevano con quella vecchia.

Nel profondo, dove conta,

io sono ancora la medesima persona,

appassionata, premurosa,

forse un po’ più pazza

di come usavo essere.

E sono anche arrivata ad amare quella persona.

Va bene, forse ho avuto più sofferenza e confusione durante lo scorso anno che nella mia intera vita…

ma pure più gioia e più sicurezza.

Così com’è,

la mia vita attuale è perfetta.

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