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Parable of the Sower

“La società generalmente vede la fantascienza come un genere per il tempo libero. La leggi perché hai tempo, non perché vuoi imparare qualcosa. Tuttavia, questo non potrebbe essere più lontano dalla verità.

Alcune delle nostre migliori pensatrici, e certamente le migliori a esprimere speranze globali, sono scrittrici di fantascienza. N.K. Jemisin ci ha dato semi-dee nere che, nonostante i loro poteri, ancora soffrono per mano di società oppressive. Octavia Butler ci ha dato mutatrici di forma, viaggiatrici temporali e pellegrine che hanno dovuto reagire e sopravvivere sotto il patriarcato e il razzismo.

Dobbiamo cambiare. Ognuno di noi ha bisogno di più coraggio. Il testo informativo è importante, ma quello emotivo è cruciale.

Mentre lottiamo per il mondo dei nostri sogni, dovremmo leggere le opere di coloro che l’hanno già creato.”

Tratto da: “If You Really Want to Unlearn Racism, Read Black Sci-Fi Authors”, di Cree Myles, 22 giugno 2020. Trad. Maria G. Di Rienzo.

afrofuturism

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Octavia Butler, autrice di sf, ci ha purtroppo lasciato nel 2006 ma non smette di essere amata ne’ di ispirarci: ora il suo romanzo “La parabola del seminatore” (Parable of the Sower, 1993) è stato adattato in senso teatrale-operistico dalla musicista Toshi Reagon (in immagine, con Octavia sullo sfondo).

toshi

Toshi è un’artista eclettica (folk, funk, gospel, blues, rock) che ha condiviso il palcoscenico con colleghi del calibro di Lenny Kravitz, Elvis Costello, Ani DiFranco – solo per citarne alcuni – e la sua band “Toshi Reagon and BIGLovely” ha un pubblico appassionato, entusiasta e fedele.

L’opera tratta dal romanzo è frutto della collaborazione della musicista con sua madre, la dott. Bernice Johnson Reagon, che è un’altra donna-leggenda: attivista per il cambiamento sociale, compositrice, fondatrice di “Sweet Honey in the Rock”, gruppo “a cappella” composto esclusivamente di donne di colore.

La storia della Parabola probabilmente la conoscete: tratta del risveglio spirituale-politico della giovane protagonista, Lauren Olamina, in un’America distopica, spezzata dalla violenza e da un’ingiustizia sistemica, e di come questa “profetessa” trascinerà via via al suo fianco altre e altri, incamminandoli sulla strada della libertà. Visti i temi del romanzo, in cui c’è persino un personaggio che vuole “rendere di nuovo grande l’America” (chi ci ricorda?), Toshi non poteva scegliere ne’ testo ne’ momento migliori. Il 26 febbraio un’altra artista, Jamara Wakefield, ha intervistato Toshi su questo lavoro che sta riscuotendo grande successo sin dal suo debutto a Abu Dhabi, presso il NYUAD Arts Center nel novembre del 2017.

parable poster

Ecco alcune delle cose che la musicista ha detto:

“La mia finestra per arrivare a Octavia Butler sono stati i libri. La mia mamma li ha letti prima di me e io ho cominciato a leggerli nei tardi anni ’80. Ho anche incontrato Octavia un paio di volte, il che è stato fantastico.

Quando osserviamo il suo lavoro, al di là del periodo in cui lei scrive, c’è sempre umanità, anche se le creature non sono umane. E’ interessante per me che sia diventata la madre dell’Afrofuturismo, perché lei non ci ha mai promesso un futuro. Ha solo scritto di tempi futuri. In termini di bilanciamento fra il momento presente e la capacità di avere una visione del futuro, Angela Davis ha parlato in pubblico pochi giorni prima della nostra performance in Connecticut. E’ entusiasta del periodo in cui ci troviamo perché stiamo mettendo in discussione molte istanze contemporaneamente. Ed è proprio così che dovrebbe essere. Sì, le donne dicono “Anch’io”. Sì, stiamo urlando “Le vite nere sono importanti”. Sì, il cambiamento climatico è reale. Sì, sosteniamo i Sognatori. Dovremmo lavorare tutti insieme. Stiamo usando a stento tutte le risorse che abbiamo.

Nei suoi lavori Octavia Butler ci presenta questi periodi devastanti in cui le persone sono costrette a usare tutte le loro risorse. Ne “La parabola del seminatore” tu vedi che le circostanze per i personaggi stanno peggiorando, ma ognuno vuol restare immutato. La lezione, qui, è che dobbiamo cambiare e che dobbiamo usare tutte le nostre risorse. Dobbiamo guardare alla nostra vita e decidere se tollereremo l’orrore.

Abbiamo dovuto rendere la nostra opera un po’ diversa dal libro, perché il libro è enorme. Abbiamo voluto concentraci sull’idea delle due comunità: quella in cui sei nato e quella che ti sostiene. La seconda è una comunità sconosciuta che tu scopri e che ti scopre. Abbiamo pensato di iniziare con la comunità nota e intima e poi di raccontare la storia portando l’intero teatro e il pubblico all’interno di quella comunità. Questo è il motivo per cui le luci sono accese quando la performance comincia. Vogliamo che il pubblico faccia esperienza di uno spazio confortevole e poi attraversi l’esperienza del vedere le cose che si fanno disagevoli. Abbiamo deciso di mostrare quanto fragili diventiamo quando continuiamo a restare attaccati a qualcosa, mentre è il momento di cambiare.”

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(tratto da: “Demanding the Impossible: Walidah Imarisha Talks About Science Fiction and Social Change”, una più ampia intervista di Kristian Williams, 13 aprile 2015, trad. Maria G. Di Rienzo.

Vi ricordate di Walidah Imarisha, vero? https://lunanuvola.wordpress.com/2013/12/15/la-prole-di-octavia/ )

Prima di essere una poeta, una giornalista, una documentarista, un’attivista nelle prigioni e un’istruttrice al college, Walidah Imarisha era affascinata dai Klingon e dagli Elfi. Lo è ancora.

“La prole di Octavia”, una nuova antologia edita da Imarisha e dalla studiosa di fantascienza, scrittrice e facilitatrice Adrienne Maree Brown, raccoglie i racconti di 23 attivisti e organizzatori politici. Costoro usano fantascienza, fantasy e horror per riflettere sulle esperienze relative all’oppressione, le sfide poste dalla resistenza e la possibilità di nuovi mondi basati sulla giustizia.

All’inizio di aprile, poco prima dell’uscita ufficiale del libro, Imarisha ed io ci siamo seduti insieme a parlare delle connessioni fra fantascienza e attivismo.

octavia's brood

Perché la fantascienza?

WALIDAH IMARISHA: La fantascienza è l’unico genere letterario che non solo ti permette di lasciare da parte tutto quel che ti è stato insegnato come “realistico”, ma in effetti richiede tu lo faccia. In questo modo ti consente di muoverti oltre i confini di quel che è realistico e quel che è reale, nel regno nell’immaginazione: il che è, invero, quanto gli organizzatori fanno ogni singolo giorno. Tutto il lavoro organizzativo è fantascienza. Quando gli organizzatori immaginano un mondo senza povertà, senza guerra, senza confini o prigioni – quella è fantascienza. Essere capaci di sognare collettivamente questi nuovi mondi significa che possiamo cominciare a crearli, qui.

Cosa può dirci il femminismo della fantascienza? In particolare sulle convenzioni del genere e il modo in cui le storie sono narrate? In che modo la fiction “visionaria” ci aiuta a comprendere il femminismo, in particolare?

WALIDAH IMARISHA: In maggioranza, le persone che sono state coinvolte in questo processo, e che amavano la fantascienza prima di essere coinvolte, si sono sempre sentite marginalizzate. Intendo, io sono cresciuta come una secchiona. Mi piace ancora Star Trek. Ho passato fin troppo tempo ad imparare nomi di pianeti e linguaggi che non esistono in alcun contesto utile. Pure, quei mondi non erano creati da me, non mi comprendevano. Avevo ben chiari i limiti della fantascienza mainstream nella sua capacità di interagire con le complessità della mia identità o con il fatto che gente come me riuscisse a vivere nel futuro.

Penso sia per questo che Octavia Butler e altri scrittori di sf che hanno infuso nei loro lavori un senso di giustizia e scritto dal punto di vista della gente di colore siano così importanti: perché hanno operato un mutamento nel modo in cui guardiamo a noi stessi.

La prima volta in assoluto in cui ho visto una persona nera in un libro di fantascienza l’ho dovuta a “Kindred” di Octavia Butler. Sono una liceale in una libreria dell’usato e fisso questa copertina su cui ci sono due volti di donne nere che si incrociano… era la prima volta in cui vedevo persone che mi assomigliavano sulla copertina di un libro di fantascienza. Ho pensato: Non ho bisogno di leggere il riassunto in quarta, questo lo compro, ovviamente e intendo leggere qualsiasi altra cosa l’autrice abbia scritto!

Riguarda il dare alle persone il potere di scrivere se stesse nella storia. Sfidare l’idea che solo determinate persone sono abilitate a creare la narrativa su cosa sarà il futuro è anche sfidare l’idea che solo determinate persone abbiano la capacità di costruirlo, o di immaginare come le nostre vite dovrebbero essere strutturate.

Uno dei princìpi della fiction visionaria è rendere centrali le persone che sono state marginalizzate. Tu sai che la stragrande maggioranza dei personaggi creati da Octavia Butler sono giovani donne di colore. Quando noi guardiamo attraverso gli occhi di persone con identità intersezionali – razza, genere, nazionalità, abilità – non solo spostiamo il modo in cui guardiamo il mondo, ma trasformiamo questo modo completamente. E trasformiamo anche ciò che crediamo essere liberazione.

Per me, come femminista, questa è una convinzione di base: il muovere le persone che sono state marginalizzate al centro della scena, non per poterle assimilare all’esistente struttura oppressiva di potere, ma in modo da guardare alla liberazione tramite nuovi occhi. Il racconto di Leah Lakshni Piepzna-Samarasinha nella nostra antologia, “Bambini che volano”, è uno straordinario esempio di ciò. L’idea di fondo è che ci sono questi sopravvissuti al trauma, per lo più sopravvissuti ad abusi sessuali patiti da bambini, e stanno attraversando un processo dissociativo – il che, come ci viene detto, è un problema, giusto? Qualcosa su cui tu ti devi impegnare, per curarlo, qualcosa per cui devi andare in terapia. Ma la storia, invece di dire che queste donne di colore, queste persone transessuali, sono “rotte”, suggerisce che la loro capacità di uscire dai corpi è finalizzata ad unire le loro energie per cominciare a guarire questo “rotto” mondo. Penso sia una rilettura incredibilmente potente.

La questione identitaria è davvero centrale a molti dei racconti. Ma queste storie sono anche destabilizzanti delle stesse identità che narrano: costringono il lettore a riflettere davvero sul modo in cui razza e genere sono costruiti. Perciò, portano l’attenzione sull’idea di identità ma la mettono anche in discussione. Era parte del progetto iniziale o è risultato così per via delle persone a cui hai chiesto di scrivere i racconti?

WALIDAH IMARISHA: Penso sia parte di quel che significa avere organizzatori, attivisti, agenti del cambiamento, che scrivono queste storie: sono persone che hanno le loro radici nell’idea di costruire nuovi mondi. Vedono le complessità perché le vivono. Una cosa è leggere sul giornale della brutalità della polizia e pensare di scriverci su una storia, un’altra è essere sul territorio, organizzarsi, andare a una dimostrazione, confrontarsi con la polizia, lavorare con i familiari di chi ha subìto la violenza della polizia. Ciò ti fornisce una cornice che ha più sfumature, è più complessa e vera, e nei termini della costruzione di un nuovo mondo è più “utile”.

Molti degli autori sono persone che vivono nelle intersezioni delle identità: donne queer di colore, giovani con disabilità, molte identità multiple allo stesso tempo. Perciò riconoscono che il modo semplicistico in cui noi parliamo delle identità – razza o genere o sessualità – non funziona. Le categorie suddette sono dinamiche e interattive e questo conferisce la capacità di essere visionari.

astronaute

Una delle persone che ha contribuito al progetto del libro, Morrigan Phillips, ha creato un seminario dal titolo “Fantascienza e organizzazione di azioni dirette”. Prende dei mondi esistenti nella letteratura fantastica, come Oz o Mordor, e ti chiede di scegliere le persone marginalizzate al loro interno, di creare uno scopo per esse e di sviluppare azioni dirette per raggiungere tale scopo. E’ il seminario più divertente del nostro pianeta, e anche di qualsiasi altro pianeta! Ti trovi con le scimmie volanti di Oz che reclamano il diritto al ritorno, perché sono state portate via dalla loro terra natale. E ti trovi con i combattenti Uruk-hai a Mordor che si sollevano contro i loro padroni schiavisti, o con il Fronte di Liberazione degli Elfi che crea corsi di istruzione politica.

Certo molti di questi mondi fantastici sono “problematici”, ma questo non significa che dobbiamo gettarli da parte. Se abbiamo investito del tempo in essi, vuol dire che per qualche ragione ci hanno parlato. Per cui sì, Star Trek ha come sfondo una forza militare che sta colonizzando l’intera galassia, è assolutamente problematico e io – santo cielo – ho imparato la lingua dei Klingon. Il nostro punto di vista al proposito è rendere le persone legittimate a interagire con questi mondi, a ri-visualizzarli e reinterpretarli in modo da rispondere ad essi e sovvertirli. E, di converso, l’altro lato della faccenda è sentirsi abbastanza potenti da creare cambiamenti.

Noi nei movimenti radicali spesso lottiamo “contro” qualcosa invece di costruire qualcosa d’altro. E dobbiamo certamente fare ciò, ma non vogliamo neppure consumare l’intera nostra energia nella semplice sfida all’esistente. Dobbiamo coltivare la nostra capacità di sognare quel che sarà, e renderlo reale. Questo è il modo in cui tutti i cambiamenti più significativi sono avvenuti.

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Walidah

Walidah Imarisha (storica, giornalista, formatrice, scrittrice, docente universitaria, poeta) è una donna la cui attività non può certo essere contenuta nelle definizioni che ho messo tra le parentesi. Che nome posso dare al suo insegnare a scrivere poesia e a fare giornalismo alle donne in prigione e alle ragazze e ai ragazzi nei riformatori, e agli anziani e alle anziane nei centri comunitari e alle bimbe e ai bimbi nelle scuole? Come chiamo il coinvolgimento con band punk e hip hop e il dividere un palco con Angela Davis, Nikki Giovanni, Ani DiFranco e innumerevoli altre/i? E la regia di documentari? E i sei anni nel Comitato centrale per gli obiettori di coscienza? E l’essere co-fondatrice della Coalizione per i diritti umani? “Attivista” è corretto, ma in realtà dice poco di tutta questa energia in movimento, della capacità di interagire con gruppi diversi e di destreggiarsi come una magnifica acrobata fra tante abilità. E il motivo per cui sono indotta a parlare di lei, un altro progetto, non l’ho neppure ancora menzionato: Walidah sta attualmente curando con Adrienne Maree Brown un’antologia di fantascienza che si chiamerà “La prole di Octavia: storie di fantascienza dai movimenti per la giustizia sociale”. E di seguito ci sono le ragioni per cui lo fa.

“Durante un’intervista negli anni ’80, a Octavia Butler fu chiesto come si sentiva ad essere LA scrittrice nera di fantascienza per antonomasia. E Octavia replicò che non aveva mai desiderato quel titolo. Disse che voleva essere una delle centinaia di scrittrici nere di sf. Il suo desiderio, disse ancora, era che migliaia di persone scrivessero sf e tracciassero se stesse nel futuro.

Quando la mia co-editrice ed io abbiamo cominciato a lavorare su “La prole di Octavia: storie di fantascienza dai movimenti per la giustizia sociale”, non sapevamo neppure di star rispondendo alla richiesta di Octavia; sapevamo solo che percepivamo il potere, il potenziale e la necessità di fantascienza visionaria. La fantascienza è vitale come l’aria per le nostre comunità di colore, per il futuro della Terra: sf, fiction speculativa, fantasy ecc., sono i soli generi che ci permettono di fare un passo oltre i confini e le regole di questa società, di questo mondo, e di rinnovare completamente la visione di presente e futuro.

Questa è la premessa dell’antologia. Abbiamo oltre 20 attivisti per il cambiamento sociale che hanno scritto storie usando la fantascienza per esplorare questioni che vanno dal cambiamento climatico al colonialismo alla “guerra al terrorismo”. Abbiamo anche due saggi, uno di Tananarive Due e uno di Mumia Abu-Jamal. Molti di questi organizzatori, attivisti e visionari non avevano mai scritto fantascienza prima. In effetti, alcuni di loro ci risposero all’inizio con scetticismo e trepidazione: Non l’ho mai fatto, non credo di saperlo fare, non saprei neanche di che scrivere.

Noi sapevamo però che non era vero, perché quel che abbiamo chiesto loro riguarda il lavoro che fanno ogni giorno. Tutto il lavoro di organizzazione è fantascienza. Come sarebbe un mondo senza povertà? Senza prigioni? Come sarebbe un mondo in cui ognuno ha abbastanza cibo e vestiario? Non lo sappiamo. E’ fantascienza, un mondo che ci è estraneo come il pianeta natale dei Klingon (che si chiama Q’onos, in caso ve lo stiate chiedendo). Ma essere capaci di averne una visione, di immaginarlo, significa che possiamo cominciare a intravedere i passi che ci porteranno fin là.

Infatti, dopo pochi giorni, le persone che avevamo contattato hanno cominciato a chiamarci, esaltate per aver già scritto 15 pagine e più: parecchi stanno ora lavorando a romanzi nati da questo progetto, perché le storie che stanno scrivendo vivevano tutte dentro di loro, e quello di cui avevano bisogno era un po’ di spazio per venire al mondo.

Ovviamente, ci sono stati e ci sono un mucchio di film e libri che creano un futuro in cui le diseguaglianze e la gerarchia sono replicate. In effetti, il saggio di Mumia Abu-Jamal per il libro analizza Star Wars nel contesto dell’imperialismo statunitense, ricordandoci che dobbiamo affrontare e decostruire questo tipo di narrativa. Per marcare la differenza dalla sf reazionaria (e anche per evitare le polemiche intellettualoidi su cosa si qualifica o meno come fantascienza), noi chiamiamo i lavori ne “La prole di Octavia” fiction visionaria. Consideriamo la sf visionaria quando guarda il mondo attraverso gli occhi degli oppressi, quando è cosciente delle diseguaglianze istituzionali nel potere, quando il cambiamento comincia dal basso invece che dall’alto e avviene collettivamente e non grazie all’eroe solitario, quando sa delle identità che si intersecano nelle nostre esperienze.

Perché chi proviene da comunità che hanno storicamente sperimentato oppressione e trauma, ognuno di noi, di voi, siamo e siete fantascienza. I vostri antenati hanno sognato di voi, e piegato la realtà per crearvi. Per Adrienne e me, due donne nere, c’è il pensiero dei nostri antenati in catene, che sognano il giorno in cui i figli dei figli dei loro figli saranno liberi. Erano creatori visionari di fantascienza e alchimisti. Sognando di noi hanno raccolto il coraggio, la forza, l’abilità e la creatività per riformare il mondo intero, per darci alla luce. E questa è una grande responsabilità. Spesso si pensa alla fantasia come frivola, indulgente, egoista. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. Octavia Butler ci ha presentato una sfida nell’intervista summenzionata: siamo abbastanza coraggiosi per affrontare la realtà del mondo in cui viviamo? Possiamo far crescere sogni da tale realtà, come fiori selvatici fra le crepe dei marciapiedi? Siamo forti abbastanza per rendere reali quei sogni?”

L’antologia uscirà nel giugno 2014, in onore del compleanno di Octavia Butler (22.6.1947 – 24.2.2006) e il suo lancio sarà un tour statunitense che includerà letture, seminari di scrittura, sessioni di organizzazione per il cambiamento sociale, e feste basate su temi fantascientifici. “E’ importante, – spiega Walidah – che questo viaggio abbia molteplici volti, perché deve riflettere la complessità delle vite, delle realtà e delle necessità delle nostre comunità, e creare spazio affinché tutti possano partecipare a questo sogno collettivo. Perché grazie alle eredità lasciateci dagli antenati e dai più anziani, come Octavia e tanti altri, quando ci impegnamo in questo lavoro diventiamo tutti parte della prole di Octavia.” Maria G. Di Rienzo

Octavia

P. S. Di Octavia Butler, per quel che ne so io, sono stati tradotti in italiano alcuni racconti e i seguenti romanzi: Patternmaster (1976), La nuova stirpe (Mind of my mind, 1977), Sopravvissuta (Survivor, 1978), Legami di sangue (Kindred, 1979), Seme selvaggio (Wild seed, 1980), Incidente nel deserto (Clay’s Ark, 1984), Ultima genesi (Dawn, 1987), Ritorno alla Terra (Adulthood Rites, 1988), Imago (1989), La parabola del seminatore (Parable of the Sower, 1993), La parabola dei talenti (Parable of the Talents, 1998).

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