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Posts Tagged ‘fantasy’

Il 14 agosto scorso è stato pubblicato sul New York Times un pezzo dal titolo “‘We’ve Already Survived an Apocalypse’: Indigenous Writers Are Changing Sci-Fi”, a firma di Alexandra Alter.

L’articolo parla del modo in cui scrittori nativi americani stanno danno dando nuove forme alla fantascienza e alla fantasy, usando questi generi per parlare (anche) di degrado ambientale, discriminazioni, minaccia di cancellazione culturale – cioè di quel che vivono sulla loro pelle qui ed ora. Alcuni hanno detto che il fantastico permette loro di re-immaginare l’esperienza delle comunità indigene in modi che non sarebbero possibili tramite la fiction “realistica”: le narrazioni sul futuro e i mondi di fantasia forniscono alla scrittura libertà di sperimentare e innovare.

La maggioranza degli autori impegnati in questa avventura sono autrici. Eccone tre:

Cherie Dimaline

Cherie Dimaline (Métis, nata nel 1975, Canada):

“C’è un grande bisogno ora di raccontare storie indigene. L’unico modo per sapere chi sono, cos’è la mia comunità e i modi in cui sopravviviamo e ci adattiamo, è tramite le storie.”

Alcuni lavori di Cherie: Seven Gifts for Cedar (2010), Red Rooms (2011), The Girl Who Grew a Galaxy (2013), A Gentle Habit (2015), The Marrow Thieves (2017), Empire of Wild (2019).

Rebecca Roanhorse

Rebecca Roanhorse (Ohkay Owingeh Pueblo, nata nel 1971, USA, vincitrice dei Premi Hugo e Nebula per la fantascienza):

“Ho messo di proposito cultura, lingua e popoli indigeni nel futuro, nonostante gli sforzi di secoli per cancellarli, di modo che si possa dire “Ehi, i nativi americani esistono” – ed esisteremo in futuro. Siamo già sopravvissuti a un’apocalisse.”

Alcuni lavori di Rebecca: Star Wars: Resistance Reborn (2019), Race to the Sun (2020), Trail of Lightning (2018), Storm of Locusts (2019).

Darcie Little Badger

Darcie Little Badger (Apache Lipan, geoscienziata, nata nel 1987, USA):

“La maggior parte delle volte, quando nei libri il personaggio principale è Apache la storia si svolge nel 1800. E sembra una finzione, la gente pensa che non siamo sopravvissuti, ma lo siamo e stiamo ancora fiorendo.”

Il suo romanzo “Elatsoe” è uscito questo mese: ha per protagonista una ragazza Apache che può destare i fantasmi degli animali morti.

La lista degli altri lavori di Darcie, che scrive anche saggistica e fumetti e ha una particolare attenzione per le tematiche lgbt… è davvero troppo lunga!

Maria G. Di Rienzo

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… per me è una cosa seria.

writer

Da quando ho deciso che avrei scritto il quinto romanzo, ho buttato via 80.000 parole totali. Non c’è critico letterario al mondo che sappia trovare difetti nella mia scrittura meglio di me: è vero che essa tratta di sf e fantasy, ma la narrazione – oltre che corretta sotto il profilo linguistico – deve essere credibile, nel senso che chi legge dev’essere in grado di entrare in relazione con la storia e i personaggi senza trovare il tutto così improbabile da chiudere il libro e non riaprirlo più.

Una volta attraversato questo processo vado spedita… verso il nulla o verso l’autopubblicazione (vi terrò aggiornati). Non ho aspettative sull’editoria per così dire “ufficiale”, come sapete, perché sono semplicemente una scrittrice e non una persona famosa in altri campi che deve aggiungere libri di fuffa alle sue imprese. La situazione in Italia è questa e credo di non essere la sola ad averlo compreso: ieri me la ribadisce la recensione di un prodotto che viene definito “una sfida a George Orwell sul prato verde della distopia” e poche righe più sotto “un’anti-distopia ironica e distaccata”. Fate voi. Potrebbe persino essere un’utopia, un’eutopia, una cacotopia o un “anti” tutto ciò.

Baldini & Castoldi pubblicano infatti, con totale faccia di bronzo, qualcosa che si chiama “2084. La dittatura delle donne”, ci mettono un dipinto di Tamara de Lempicka in copertina (che fa sempre tanto “trasgressione”) e magari si aspettano che chi ha letto “1984” di Orwell corra in libreria, non vedendo l’ora di fare paragoni fra un gigante della letteratura e l’autore Gianni Clerici.

Costui è un ex tennista, giornalista sportivo (il recensore ricorda le sue “storiche dirette da Wimblendon” – sarebbe Wimbledon), che occasionalmente si avventura fuori dalla sua area di competenza – cosa legittima e non contestabile – con un testo che, anche se non tratta direttamente di tennis, usa il tennis come metafora, ispirazione, monito, similitudine eccetera.

So che ha sofferto di un ictus e che per fortuna ora sta bene, ma non so cosa gli abbia fatto male di recente: il #metoo? La richiesta di dar voce alle donne in Italia? Sta di fatto nel suo 2084 “le donne vanno al potere e invece del Grande Fratello c’è qualcosa che è una macchina chiamata Cerebrorobot. Le donne vanno al potere in seguito a una votazione mondiale in cui sono maggioranza.”

E, ovviamente, per chi le donne non le ascolta e non le vuole ascoltare, ciò può risultare solo in una banalissima dittatura rovesciata: “Gli uomini, i vires, sono messi maluccio, destinati alle mansioni più umili, i rapporti fra i sessi sono banditi e ogni forma di riproduzione è rigidamente controllata”. Giusto, perbacco: per cosa mai vogliamo entrare nella cabina di regia se non per vendicarci? Perché, andiamo, non è mica possibile che noi si reclami una cittadinanza a pieno titolo, diritti umani per tutte/i e si abbiano idee, proposte, capacità da condividere. Due secoli e passa di femminismo (indicato propriamente con tale nome) e questo è quel che Clerici – non solo lui – ha capito. Ma non dobbiamo preoccuparci: “nonostante presenze che si intuiscono autorevoli come la Leader Draga Merkel sr, (Nda: La Feroce Merkel Mangiauomini, ma per piacere! Questa l’ha concordata con Vittorio Feltri o con Salvini?) quello delle amazzoni è un potere vuoto, un simulacro. Su cui Clerici non manca di testare la proverbiale ironia.” Davvero, è un sollievo. E come fa? “Usa proprio il tennis. Facendo ricordare alle protagoniste un match di Serena e Venus Williams perso malamente contro un tennista numero 200 del mondo. “Era un incontro a cui ho assistito in Australia, con il tedesco Karsten Braasch che provava i cambi di campo. Mi pare le abbia battute a turno 6-1 e 6-2”.”

Ah okay, siamo inferiori, torniamo a ricamare le palline da tennis per i veri esseri umani – gli uomini. Cioè, basta la memoria delle Williams sconfitte in un match amichevole per far vacillare la “dittatura democratica” (Nda: questa invece potrebbe andar bene per i gilet arancioni) degli incubi di Clerici: “Come antifrasi non è male eh? – gongola l’autore – Sono due antitesi che contengono tutto”. Non comprendo dove sta l’ironia proverbiale. Ma si sa, le femmine sono stupide e le femministe sono prive di senso dell’umorismo eccetera eccetera eccetera, per cui è un problema mio e chiunque altro, purché dotato di scroto, sta probabilmente ghignando con aria saputa alle mie spalle. Perché poi basterà un uomo, “un padre”, per “sconvolgere il bucolico tran tran del mondo di “2084”.” Come? Clerici spiega: “La storia è quella della figlia di una pittrice che rimane incinta di un pittore di nome Vijay, nome molto comune in India, c’è stato anche un famoso tennista, Vijay Amritraj. Vuol dire vittoria’.”

Il metro di misura è quello. La vittoria. La vita è una guerra e bisogna vincere. Non importa in che modi, non importa quante vittime accidentali o volute ti lasci alle spalle, non importa cosa distruggi irreparabilmente nel processo. E’ il meccanismo alternativo alla “dittatura” dell’avere donne in posti di responsabilità, quello consueto e attuale: la sfida fra uomini. Be’, che se lo tenga Gianni Clerici. Io lavoro e scrivo con lo scopo di vivere in un mondo migliore di questo.

Il recensore, affinché noi non si abbia dubbi sulla statura dell’opera, ci rende noto che “nel pantheon letterario di Clerici ci sono Jack London, Ernest Hemingway, Andé Malraux, Graham Green, Joseph Conrad, James Joyce (…) Tra gli anglosassoni, Henry James, George Eliot, PG Wodehouse, Evelin Waugh (sic: si tratta in realtà di Evelyn Waugh – e nonostante il nome era un uomo)”: a quest’ultimo l’autore ci informa di essere stato persino paragonato. E qui c’è un ulteriore nodo da sciogliere, perché io ho letto tutto il suo pantheon e il mio è più grande di una scala cosmica (in senso metaforico e letterale), ma nessuno mi ha ancora paragonata alla regina Jindeok di Shilla per il mio interesse relativo a culture straniere e politica estera, a Aphra Behn per i miei scritti di teatro, a Hedvig Apollonia Löfwenskiöld per le mie (rare) poesie, a Florynce Kennedy per i testi relativi al femminismo e all’attivismo in genere, a Sofia Hagen per la satira e a Joan Slonczewski per la fantascienza. Purtroppo non sono nemmeno abbastanza cretina da augurarmelo o da crederci nel caso accada. Ho una consolazione, però: so di scrivere meglio di Clerici e del suo recensore. Maria G. Di Rienzo

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Generalmente, questo è il periodo dell’anno in cui formuliamo buoni propositi per noi stessi e cerchiamo di proiettarci nel futuro. Nel farlo, esaminare, riconoscere e apprezzare le nostre capacità collegandole ai nostri desideri è essenziale: ma sapere su che terreni tendiamo a incespicare e imparare a restare in piedi sentendosi al sicuro e fiduciosi lo è altrettanto.

Il mio suggerimento al proposito è di usare gli archetipi. E’ facile, non costa nulla e permette di risvegliare energie dormienti e di esplorare lati della nostra personalità sepolti da condizionamenti o paure.

L’archetipo (significa “modello”, “prototipo”, “primo esemplare”) è un elemento simbolico che esprime una serie specifica di aspetti e ricorre nelle narrazioni di qualsiasi tipo, dalla fiaba per bambini alla leggenda urbana. In effetti, ci imbattiamo continuamente nella Strega (cattiva per lo più), nel Vecchio Saggio, nella Madre benevola o nella Matrigna malvagia, nel Principe Azzurro, nel Genio, eccetera. Solo da questo brevissimo elenco avrete notato che gli archetipi non sfuggono alla stereotipizzazione di genere, giacché i posti migliori, per così dire, sono riservati agli uomini: se il Vecchio Saggio è competente, custode di tradizioni e profonde conoscenze, associato a potere e intelligenza e “motore” del bene, la Vecchia Saggia non gode di eguale considerazione: è al meglio una fattucchiera astuta e manipolativa che dev’essere temuta o persino eliminata – tuttavia nulla vi impedirà di rivalutarla e di chiamarla al vostro fianco se ne avrete bisogno.

Vi rassicuro anche sul fatto che non avete necessità di studiare mitologia o di avere una specializzazione in psicologia junghiana, giacché gli archetipi prendono forme “moderne” e popolari che vi sono sicuramente note: Daenerys de “Il Trono di Spade”, come Xena prima di lei, è un archetipo (la principessa guerriera), così come Yoda di “Star Wars” (il vecchio saggio, appunto).

Date un’occhiata al parco offerte:

1. C’è un libro, un film, uno sceneggiato, un videogioco che ha per voi grande significato e vi è particolarmente caro, magari sin dall’infanzia?

2. Qual è il vostro personaggio preferito in uno o più di questi mondi virtuali? Perché vi piace?

3. Nell’eventualità che la fiction non vi soddisfi, c’è un individuo reale che non conoscete personalmente ma vi appassiona e vi ispira?

E’ assai probabile che le risposte siano collegate ai vostri sogni, ai vostri timori, a come siete e a come vorreste essere in determinate situazioni. Se siete attratte/i da un determinato personaggio è possibile esso rappresenti qualcosa che attende di essere risvegliato in voi. Chiunque ella o egli sia, chiamate la sua energia e la sua alleanza quando, come detto all’inizio, vi trovate su terreni instabili.

Mettiamo che siate di continuo coinvolti, per lavoro o relazioni personali, nella mediazione di dispute e conflitti: avete alti standard su giustizia, equità, eguaglianza e dovete esercitare pazienza, ascolto, osservazione, comprensione di differenti punti di vista. Il vostro personaggio preferito / archetipo è il Diplomatico. Che forma ha preso nel vostro immaginario?

E’ una cosa da vecchi cinefili incalliti, tipo il giudice Dan Haywood interpretato da Spencer Tracy in “Vincitori e vinti” (“Judgment at Nuremberg”, 1961)? Oppure è l’avvocata Alicia Florrick (Julianna Margulies) di “The Good Wife”? E’ Re Salomone o la Profetessa e Giudice Debora nella Bibbia? E’ l’avvocata Premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi?

Evocate il vostro archetipo, chiunque sia, così: “Ora ho bisogno della chiarezza lungimirante di Debora”, “Alicia (o Shirin) in questo momento devo esercitare la tua resilienza e il tuo coraggio”. Pensare o dire queste parole stimolerà in voi i tratti che associate a Debora, Alicia Florrick o Shirin Ebadi. Potete persino agire come il personaggio o la persona in questione, parlare come pensate lei o lui parlerebbe se presente – voi restate chi voi siete, non svilupperete una doppia personalità, ma più a lungo praticherete l’uso degli archetipi più le qualità che “chiamate” si riveleranno come semplicemente vostre.

Insomma, se vi sembra che il vostro prossimo compito sia portare un Anello a Mordor, non fatevi scrupolo di mandare un messaggio a Frodo (o a Gandalf). Brindo al vostro successo!

Maria G. Di Rienzo

Baby Yoda 2

(per la serie: ogni scusa è buona per piazzare un Baby Yoda da qualche parte)

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books

Care e cari,

spesso mi chiedete suggerimenti su come pubblicare, come contattare case editrici, eccetera. L’ultimo appello in questo senso è di ieri e qui rispondo a esso e a tutti gli altri: purtroppo non ho soluzioni, altrimenti le condividerei assai volentieri.

Le grandi casi editrici italiane hanno via via smesso di servirsi di lettori professionisti per giudicare se pubblicare un libro o meno, nella piccole/artigianali – che spesso esistono unicamente per rendere su carta le passioni dei loro proprietari – non li hanno mai avuti.

Il libro, in Italia, è ormai un prodotto secondario di un “successo” in altri campi.

Perciò nel nostro paese esistono solo queste opzioni:

– conoscere qualcuno in una casa editrice che dica “Sai, è la figlia / il nipote di Tizio e no, il testo non l’ho letto, ma insomma potremmo…” eccetera;

– avere una presentazione o una raccomandazione da persona nota: la fantasy e la fantascienza (e persino la poesia) di serie C pubblicate in Italia rispondono per un buon 90% a questo criterio: quando apro un libro di fantasy e le prime parole che leggo sono di Bruno Vespa che raccomanda chi l’ha scritto – perché ovviamente è un esperto anche di letteratura fantastica, no? – so già che il testo non ha speranza. Per essere il più obiettiva possibile sfoglio di solito anche l’incipit ma sino ad ora ho solo avuto conferma di valore zero incartato in curatissime copertine;

– essere una persona nota: sono numerosi i casi patetici di persone che nemmeno scrivono in italiano ma pubblicano e addirittura curano settori editoriali (Di Battista);

– pubblicare a pagamento, cosa che io non ho mai fatto ne’ farò in futuro. Scrivere è per me un immenso piacere ma non è diverso da qualsiasi altro lavoro: comporta impegno, attenzione, anche fatica, e se remuneriamo un bravo idraulico che ama la propria professione non capisco perché chi scrive invece di condividere questa sorte debba aprire lui/lei il portafoglio;

– autopubblicare online: molto probabilmente non diventerete famosi e sicuramente non ci guadagnerete granché, ma almeno creerete l’opportunità di ampliare la cerchia dei vostri lettori;

– tradurre i vostri testi in inglese e mandarli a case editrici britanniche / statunitensi: che ancora, in maggioranza, i lettori professionisti li hanno e che, sempre in maggioranza e a differenza delle case editrici italiane, in caso di rigetto hanno almeno la cortesia di rispondervi “Ci dispiace, ma il suo libro non risponde alle nostre esigenze editoriali”.

Infine, anche se è terribile, la verità è questa: in Italia non ha nessuna importanza il fatto che scriviate in modo corretto, scorrevole, creativo e appassionante per essere riconosciuti/e come scrittori/scrittrici. L’unica altra idea che mi viene in mente per superare l’ostacolo è metterci insieme e aprire noi una casa editrice. Vogliamo pensarci?

Maria G. Di Rienzo

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arthdal poster

Ecco qua (per la serie: oggi parliamo di “fuffa”, my friends). Questo è il manifesto di “Arthdal Chronicles” – “Le Cronache di Arthdal”, attesissimo sceneggiato fantasy sudcoreano che ha persino vinto un premio (per il drama più atteso…) ancor prima di andare in onda su TvN e Netflix, cosa che è finalmente accaduta il 1° e il 2 giugno.

Definito nelle conferenze stampa, non dai suoi autori, “la risposta orientale a Il Trono di Spade”, criticato in modo drastico in questi giorni sul web proprio per le supposte somiglianze alla serie tv sunnominata, “Le Cronache di Arthdal” è in effetti deludente – ma non per questi motivi, e inoltre è partito con percentuali d’ascolto molto buone che sono persino cresciute per il secondo episodio.

“Non ho neppure mai pensato di paragonare la nostra serie a “Il Trono di Spade” e non penso che il nostro scopo sia creare qualcosa di simile. Penso che il paragone non sia appropriato. Abbiamo tentato di creare una serie televisiva costruendo un mondo fantastico a partire dalla nostra immaginazione e spero che vedrete la nostra serie per quello che essa è.”, ha detto lo scrittore e sceneggiatore Park Sang-yeon ai giornalisti, ma sembra che non lo abbiano ascoltato.

Partiamo dalla “risposta orientale”. La prima stagione de “Il Trono di Spade” ha cominciato ad andare in onda il 17 aprile 2011 e non è un mistero che la sottoscritta ne ha preso visione, ha registrato i motivi del suo successo – sangue, brutalità, torture, efferatezza, oggettivazione sessuale delle donne, stupri, stupri e ancora stupri – e ha bellamente ignorato lo show sino alla sua fine. Tuttavia, se vogliamo mentire e dire che il fascino dello sceneggiato era in realtà la lotta per il potere con i suoi tradimenti e intrighi, le sue guerre e colpi di stato e omicidi politici, be’, potremmo definirlo “la risposta occidentale” a “The Legend” (11 settembre – 15 dicembre 2007) o meglio ancora a “La Regina Seon Deok” (25 maggio – 28 dicembre 2009): quest’ultimo avrebbe dovuto contare 50 episodi, ma il suo successo fu talmente clamoroso che i produttori ne aggiunsero altri 12.

The Legend poster

Nel primo caso abbiamo: due giovani principi apparentemente designati entrambi come l’atteso sovrano delle leggende e delle profezie, l’uno quasi privo di appoggi a corte e l’altro membro di una potente e spietata coalizione interna; quattro semi-dei, custodi mistici del regno, e le loro interazioni con i due rivali; un clan di assassini adoratori del fuoco che giustificano la loro brama di potere assoluto con un’antica sete di vendetta… magia, spade, veleno, eserciti, ambizioni personali, creature fantastiche (il Serpente-Tartaruga, la Fenice, la Tigre Bianca, il Drago Blu) ecc. C’è tutto: “Il Trono di Spade” ha copiato?

queen seondeok poster

Nel secondo caso abbiamo: una principessa – e poi unica legittima erede al trono – allontanata alla nascita per evitarne l’omicidio, che cresce ignorando il proprio status; sicari e profezie; religione asservita al potere temporale; frenetiche e crudeli lotte fra i cortigiani; sfrenata ambizione personale soprattutto nell’antagonista principale della principessa, una cortigiana che sale di forza a vette sempre maggiori di potere usando letteralmente e implacabilmente se stessa e gli altri: un personaggio “cattivo” così affascinante, intelligente, profondo, complesso – e magistralmente reso dall’attrice che lo interpretava – da rendere impossibile odiarlo del tutto. Anche qui magia e spade e veleno e eserciti, ecc.: il “Trono di Spade” ha copiato?

Gli elementi tipici, universali, di queste storie semplicemente si ripetono. Qualunque cosa tu crei avendo come sfondo un trono conteso – ed è questo il caso per tutti e tre gli sceneggiati citati – li rende inevitabili. C’è da dire che “The Legend” e “La Regina Seon Deok” li hanno semmai espressi in modo assai più coinvolgente e raffinato di quanto abbia fatto quel carnaio – bordello noto come “Il Trono di Spade”.

Se “Le Cronache di Arthdal” è deludente, come ho detto all’inizio, non è perché abbiamo i “figli della profezia”, i politici avidi e sfrenati, i guerrieri macellai – e nemmeno i (francamente per me ridicoli) “neandertaliani” con il sangue blu e la magia dei sogni: è perché, almeno per il momento, non è riuscito a suscitare la nostra simpatia, identificazione, passione per nessuno dei personaggi che in esso si muovono.

cast

(i quattro principali sono qui sopra)

Gli scenari sono di sicuro bellissimi, i dettagli che differenziano le varie aggregazioni molto curati, la recitazione non merita meno di impeccabile… è il copione che fa acqua, assieme al ritmo assai confuso delle riprese. Ma una somiglianza con “Il Trono di Spade” c’è, sebbene di segno opposto: invece di spogliare ossessivamente le attrici, “Le Cronache di Arthdal” denuda di continuo i torsi degli attori. Ambo i trucchetti rivelano che tipo di pubblico si sta cercando di agganciare – guardoni maschi occidentali o idol-fan femmine orientali… l’importante, sapete, è soddisfare gli sponsor pubblicitari con ogni mezzo necessario.

Maria G. Di Rienzo

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La prima cosa che ricordo relativa alla visione di “Dark Crystal” al cinema, probabilmente durante il lontano 1983 (il film uscì nel dicembre 1982 negli Usa e nel febbraio dell’anno dopo in Gran Bretagna), è la voce di un bimbo nella fila davanti che tenta di mettere in guarda dai nemici incombenti uno dei personaggi: “Scappa Aughra, scappa!” (L’amata astronoma, per chi non la conoscesse, è qui sotto.)

Aughra

Come forse già saprete, di questa pellicola “cult” sta per uscire un prequel in 10 puntate per Netflix, con inizio il 30 agosto prossimo. Il trailer di “Dark Crystal: Age of Resistance” è carino e sono sicura di averci visto un’Aughra – o qualcuna di molto simile – per un paio di secondi, ma è un po’ troppo frammentato e non chiarisce molto di che storia si tratti.

dark crystal prequel

(immagine dal trailer)

Quella originale, in effetti, era perfettamente conclusa e a mio parere non si sarebbe prestata bene a un seguito. Rapidissimo riassunto: il pianeta fantastico su cui svolge la vicenda doveva la sua armonia e prosperità al Cristallo della Verità; purtroppo esso si è spezzato durante l’allineamento dei soli, avvenuto un migliaio di anni prima, e allo stesso modo si sono spezzati i suoi guardiani – in precedenza creature complesse composte di “bene” e “male”, diventano incarnazioni fisse del primo o del secondo (gli anziani Mistici e i simil-avvoltoi Skeksis). Il Cristallo della Verità è diventato il Cristallo Nero del titolo, usato dai malvagi Skeksis per i loro scopi di dominio e per estendere la durata delle loro esistenze. Mistici e Skeksis, nonostante la divisione, restano in effetti i medesimi individui: quando un Mistico muore, il suo corrispettivo “cattivo” fa la stessa fine e viceversa.

Ma il Cristallo può essere riparato. Il compito di rinvenire la scheggia mancante e restituirla al Cristallo spetta al giovane Jen, del gruppo forse estinto dei Gelfling (grandi orecchie, tratti elfici: Jen crede di essere solo ma troverà Kira, una sua simile)… e qui parte l’avventura.

Da quel che ho capito nella serie Netflix, ambientata molto tempo prima di questi eventi, i Gelfling sono ancora numerosi e si ribellano all’uso corrotto del Cristallo. Sono curiosa di vedere come si evolverà la storia su questo sfondo, perché se segue i dettami dell’originale noi spettatori sappiamo già che i ribelli sono destinati a fallire – e personalmente non la ritengo una grande offerta narrativa.

Ad ogni modo, ripetere i fasti del film potrebbe essere difficile. “Dark Crystal” è stato il capolavoro di Jim Henson (il creatore degli indimenticabili Muppets), un film fatto di pupazzi animati ed effetti speciali che allo spettatore appare ancora oggi magicamente concreto e tangibile. E la cosa migliore di esso erano i suoi messaggi. Ai bambini in quella sala cinematografica, più di 35 anni fa, ha detto che spezzare la verità uccide i mondi, che bene e male sono una nostra scelta, che avere valore non dipende dall’aspetto o dall’ascendenza, che le nostre azioni più importanti sono quelle tese al bene comune. Mi domando se oggi lo ricordino.

Maria G. Di Rienzo

P.S. Non potevo esimermi dall’onorare il “fizzgig”, l’adorabile animaletto compagno di Kira… eccolo qui.

fizzgig

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(“Dude Corner: Why I’m Not Ready for a Female President, But Totally Stoked for a Woman to Rule Westeros”, 24 aprile 2019, Reductress, trad. Maria G. Di Rienzo.)

Io non ho niente contro le donne forti, ma quando si tratta di scegliere un Presidente bisogna essere pratici. Certo, un sacco di donne sarebbero fantastiche come Segretarie di Stato o solo come una sorta di assistenti gnocche, ma Presidenti? Proprio per niente.

A noi serve qualcuno che si possa guardare dicendo: “Quel tipo prende tutti a calci in culo.” Ma tanto per non farvi pensare che io sessista o merda del genere, ciò non significa che non sia favorevole ad avere una donna energica e tosta come governante della terra fittizia di Westeros. Voglio dire, hanno dei fottuti draghi! Questa sì che è roba! Mostratemi una singola candidata donna per il 2020 che abbia un animale da compagnia che sputa fuoco e cambierò idea.

light fury

(Ndt. Furia Chiara ha di sicuro in serbo un po’ di fiamme per costui…)

Il problema nell’avere una donna a capo dell’America è che quando una donna alza la voce è fottutamente stramba e quando parla è noiosa in modo superlativo. Se sei a Westeros, allora è figo vedere Cersei che perde la testa e ammazza un po’ di gente, perché alla fine lei rimane sexy e completamente immaginaria, ma in questo Paese? Farebbe senso avere una cagna stridula che dirige le cose – e in più l’incesto è incasinato. Per essere seri, dico. Sarebbe abbastanza divertente, comunque.

La mia leader favorita per Westeros è probabilmente Daenerys perché è calda ed è un po’ bastarda. E’ figo vedere questa grande stronza cavalcare un drago in una terra medievale fittizia, perché “Game of Thrones” non ha niente a che fare con la vita reale. Io voglio un candidato Presidente che sappia come sfrecciare su uno skateboard, o almeno sappia urlare quel che vuole sino a che alla fine lo ottiene. Questo è il tipo di leader che posso seguire.

Se una donna dovesse vincere la presidenza, sarebbe assai difficile per la gente ascoltarla. Come fai a sapere se sta dicendo qualcosa che dovresti ascoltare o se si sta solo lagnando di qualche stupidaggine da donne? Comunque penso anche che sarebbe mitico vedere Brienne di Tarth come re/regina di Westeros, perché è alta e quella è una cosa con cui posso entrare in relazione.

Le donne reali non sanno parlare di cose come il controllo delle armi, quando a malapena sanno tenere un fucile in mano – o come la leadership, quando non sono mai state Presidenti. Ah, ma Arya sa come tenere in mano una spada, è il tipo di pollastra che muori dalla voglia di vedere in battaglia.

Perciò no, non sosterrò mai una candidata femmina in questo campo. Ma sono completamente favorevole a qualsiasi donna governi Westeros, sempre che sia gnocca e che non gareggi contro Bernie. Quello sarebbe un bel casino!

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Notizia tardiva – 19 agosto u.s. – ma data con vero entusiasmo: i premi Hugo (sf e fantasy) di quest’anno hanno visto il trionfo delle Autrici. Rebecca Roanhorse per il racconto breve, Suzanne Palmer per il romanzo breve, Martha Wells per la novella (romanzo breve, ma un po’ più lungo del precedente), Lois McMaster Bujold per la serie, Ursula K. Le Guin – scomparsa in gennaio a 88 anni – per la saggistica correlata… ma soprattutto il riconoscimento principale per il romanzo, terzo anno di fila, è andato a N.K. Jemisin – https://lunanuvola.wordpress.com/2015/02/14/quando-sara-finita/ – in immagine qui sotto.

jemisin - hugo

A questo punto, ogni capitolo della sua trilogia Broken Earth ha vinto l’Hugo e il primo libro si sta trasformando in uno sceneggiato televisivo grazie al canale latino-americano TNT.

Ma non basta: secondo Hugo anche per lo straordinario fumetto “Monstress” e primo per la sua illustratrice, Sana Takeda, riconosciuta come miglior artista professionista.

https://lunanuvola.wordpress.com/2016/03/05/monstress/

monstress - hugo2

So che c’è chi pensa alla fantascienza e alla fantasy come mero “intrattenimento” e non riesce a considerarle generi letterari di rispetto. So che per lungo tempo il campo è stato dominato da autori bianchi. Ma il potenziale politico e rivoluzionario che entrambe offrono a chi scrive è altissimo – ed è per questo che donne, gruppi etnici, minoranze, persone disabili, persone lgbt, si stanno rivolgendo con tanta potenza a ambo i generi.

Stanno creando nuove storie, nuovi punti di vista, nuovi modi per risolvere i problemi. E se sullo sfondo può esserci l’apocalisse, lo spazio cosmico o il pianeta dei draghi, il cuore della narrazione sono le questioni che stiamo affrontando oggi: la distruzione dell’ambiente a scopo profitto economico di un’élite, gli “ismi” del dominio (sessismo, razzismo, classismo) e le sue fobie, l’emersione di una “società incivile” composta da individui atomizzati incapaci di visione a lungo termine e di visione collettiva sul proprio futuro…

Le stesse resistenze e reazioni negative cui queste opere sono soggette ci confermano che la strada vale la pena di essere percorsa. Jemisin stessa l’ha sottolineato nel suo discorso di accettazione del premio:

“Questo è l’anno in cui arrivo a sorridere a tutti i bastian contrari: a ogni singolo mediocre, insicuro aspirante che concentra la sua bocca nel suggerire che io non ho niente a che fare con questo palcoscenico, che la gente come me non ha la capacità di guadagnare una simile onorificenza, che quando vincono loro è meritocrazia, ma quando vinciamo noi è politica identitaria. Sono in grado di sorridere a queste persone e di sollevare un enorme dito a forma di missile nella loro direzione.” (1)

Maria G. Di Rienzo

(1) Il premio Hugo ha la forma di un missile, come è visibile nella foto di N.K. Jemisin.

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Mondi di fantasia

lynda

Le storie non possono trasformare la tua situazione reale, ma possono trasformare l’esperienza che ne fai. Noi non creiamo mondi di fantasia per sfuggire alla realtà, li creiamo per essere in grado di rimanere nella realtà. Io credo che abbiamo sempre fatto questo, usiamo le storie e le immagini per affrontare e capire ciò che altrimenti sarebbe intollerabile.”

Lynda Jean Barry, fumettista e scrittrice nata nel 1956, attualmente docente universitaria.

lynda barry - dickinsonL’illustrazione di Lynda di una poesia di Emily Dickinson.

P.S. Questo risponde abbastanza alla domanda sul perché scrivo sf e fantasy, sì? MG DR

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1) Un affettuoso benvenuto a ProgettoFelice, titolare della 600^ iscrizione a questo blog. Non vince niente, ok (siete spiritose/i, eh?), però almeno sa che la sua anfitriona ha un briciolo di educazione.

you are welcome

2) Un gentile monito, invece, per il signore che – nonostante io gli abbia reso noto personalmente e via blog

https://lunanuvola.wordpress.com/2013/11/06/un-po-dascolto-grazie/

la volontà di non apparire sul suo sito – continua spensierato ad utilizzare il mio lavoro. Non me ne frega niente se quest’ultimo è “pubblico”, mister D.B.: resta di libero utilizzo non bisognoso di autorizzazione solo sino a quando l’autrice non ti dice di smetterla e questa autrice lo ho fatto ripetutamente. Quale parte della parola NO non hai ancora capito?

3) A proposito. Alle amiche / agli amici del succitato e altre/i che mi contattano affinché io recensisca le loro opere: cercate di informarvi almeno su chi sono prima di fare le vostre richieste (basta fare click su Interni, in alto a destra). Non si può esordire dicendo a una che scrive e pubblica sf da trent’anni: “Ho visto dai suoi articoli (sul blog di cui sopra) che lei non disdegna la fantascienza…” come se fossi una mera fan che sì, dai, fa recensioni appetibili, e poi assicurarmi che nonostante il mio rifiuto si “continuerà a seguirmi”… sempre sul blog di cui sopra: wow, che inarrivabile onore.

Ascoltate, gente. Non ho bisogno della vostra legittimazione per essere un’autrice di fantascienza e fantasy, è ciò che sono. Abbiate la decenza di prenderne atto e se quello che scrivo non vi piace andate a leggere qualcosa d’altro: dopo tre romanzi e un numero di racconti che neppure ricordo finiti su carta stampata, per una decina di editori differenti, io non ho bisogno neanche del vostro gradimento. So di saper scrivere, e mi basta.

Pissy Kitty di Atrocious Nothing

4) Ieri un individuo diversamente intelligente è finito qui cercando “fisico adatto ad attici 17enni”. Voi lo ignoravate, e io pure, ma un attico di tre anni ospita più agevolmente corpi giovani e festini adolescenziali, mentre un attico diciassettenne – che magari comincia a mostrare crepe qua e là fra le ragnatele e i cassoni d’annata – è più adatto alle vecchie rognose come me. Per entrare in attici più anziani ancora è consigliabile avere un occhio di vetro, una gamba di legno e un elmetto protettivo per l’eventuale crollo del soffitto. Sì, sto scherzando, ho capito che ha sbagliato anche la digitazione e voleva scrivere “attrici”. Cos’altro ha sbagliato? A credere che per recitare essendo femmina e diciassettenne ci voglia un fisico particolare. Quello serve ai film porno e alla tv spazzatura. Per recitare servono passione, memoria, capacità comunicativa, capacità relazionale, capacità di immedesimazione, empatia, ascolto. Parola di regista. Maria G. Di Rienzo

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