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Posts Tagged ‘letteratura’

… per me è una cosa seria.

writer

Da quando ho deciso che avrei scritto il quinto romanzo, ho buttato via 80.000 parole totali. Non c’è critico letterario al mondo che sappia trovare difetti nella mia scrittura meglio di me: è vero che essa tratta di sf e fantasy, ma la narrazione – oltre che corretta sotto il profilo linguistico – deve essere credibile, nel senso che chi legge dev’essere in grado di entrare in relazione con la storia e i personaggi senza trovare il tutto così improbabile da chiudere il libro e non riaprirlo più.

Una volta attraversato questo processo vado spedita… verso il nulla o verso l’autopubblicazione (vi terrò aggiornati). Non ho aspettative sull’editoria per così dire “ufficiale”, come sapete, perché sono semplicemente una scrittrice e non una persona famosa in altri campi che deve aggiungere libri di fuffa alle sue imprese. La situazione in Italia è questa e credo di non essere la sola ad averlo compreso: ieri me la ribadisce la recensione di un prodotto che viene definito “una sfida a George Orwell sul prato verde della distopia” e poche righe più sotto “un’anti-distopia ironica e distaccata”. Fate voi. Potrebbe persino essere un’utopia, un’eutopia, una cacotopia o un “anti” tutto ciò.

Baldini & Castoldi pubblicano infatti, con totale faccia di bronzo, qualcosa che si chiama “2084. La dittatura delle donne”, ci mettono un dipinto di Tamara de Lempicka in copertina (che fa sempre tanto “trasgressione”) e magari si aspettano che chi ha letto “1984” di Orwell corra in libreria, non vedendo l’ora di fare paragoni fra un gigante della letteratura e l’autore Gianni Clerici.

Costui è un ex tennista, giornalista sportivo (il recensore ricorda le sue “storiche dirette da Wimblendon” – sarebbe Wimbledon), che occasionalmente si avventura fuori dalla sua area di competenza – cosa legittima e non contestabile – con un testo che, anche se non tratta direttamente di tennis, usa il tennis come metafora, ispirazione, monito, similitudine eccetera.

So che ha sofferto di un ictus e che per fortuna ora sta bene, ma non so cosa gli abbia fatto male di recente: il #metoo? La richiesta di dar voce alle donne in Italia? Sta di fatto nel suo 2084 “le donne vanno al potere e invece del Grande Fratello c’è qualcosa che è una macchina chiamata Cerebrorobot. Le donne vanno al potere in seguito a una votazione mondiale in cui sono maggioranza.”

E, ovviamente, per chi le donne non le ascolta e non le vuole ascoltare, ciò può risultare solo in una banalissima dittatura rovesciata: “Gli uomini, i vires, sono messi maluccio, destinati alle mansioni più umili, i rapporti fra i sessi sono banditi e ogni forma di riproduzione è rigidamente controllata”. Giusto, perbacco: per cosa mai vogliamo entrare nella cabina di regia se non per vendicarci? Perché, andiamo, non è mica possibile che noi si reclami una cittadinanza a pieno titolo, diritti umani per tutte/i e si abbiano idee, proposte, capacità da condividere. Due secoli e passa di femminismo (indicato propriamente con tale nome) e questo è quel che Clerici – non solo lui – ha capito. Ma non dobbiamo preoccuparci: “nonostante presenze che si intuiscono autorevoli come la Leader Draga Merkel sr, (Nda: La Feroce Merkel Mangiauomini, ma per piacere! Questa l’ha concordata con Vittorio Feltri o con Salvini?) quello delle amazzoni è un potere vuoto, un simulacro. Su cui Clerici non manca di testare la proverbiale ironia.” Davvero, è un sollievo. E come fa? “Usa proprio il tennis. Facendo ricordare alle protagoniste un match di Serena e Venus Williams perso malamente contro un tennista numero 200 del mondo. “Era un incontro a cui ho assistito in Australia, con il tedesco Karsten Braasch che provava i cambi di campo. Mi pare le abbia battute a turno 6-1 e 6-2”.”

Ah okay, siamo inferiori, torniamo a ricamare le palline da tennis per i veri esseri umani – gli uomini. Cioè, basta la memoria delle Williams sconfitte in un match amichevole per far vacillare la “dittatura democratica” (Nda: questa invece potrebbe andar bene per i gilet arancioni) degli incubi di Clerici: “Come antifrasi non è male eh? – gongola l’autore – Sono due antitesi che contengono tutto”. Non comprendo dove sta l’ironia proverbiale. Ma si sa, le femmine sono stupide e le femministe sono prive di senso dell’umorismo eccetera eccetera eccetera, per cui è un problema mio e chiunque altro, purché dotato di scroto, sta probabilmente ghignando con aria saputa alle mie spalle. Perché poi basterà un uomo, “un padre”, per “sconvolgere il bucolico tran tran del mondo di “2084”.” Come? Clerici spiega: “La storia è quella della figlia di una pittrice che rimane incinta di un pittore di nome Vijay, nome molto comune in India, c’è stato anche un famoso tennista, Vijay Amritraj. Vuol dire vittoria’.”

Il metro di misura è quello. La vittoria. La vita è una guerra e bisogna vincere. Non importa in che modi, non importa quante vittime accidentali o volute ti lasci alle spalle, non importa cosa distruggi irreparabilmente nel processo. E’ il meccanismo alternativo alla “dittatura” dell’avere donne in posti di responsabilità, quello consueto e attuale: la sfida fra uomini. Be’, che se lo tenga Gianni Clerici. Io lavoro e scrivo con lo scopo di vivere in un mondo migliore di questo.

Il recensore, affinché noi non si abbia dubbi sulla statura dell’opera, ci rende noto che “nel pantheon letterario di Clerici ci sono Jack London, Ernest Hemingway, Andé Malraux, Graham Green, Joseph Conrad, James Joyce (…) Tra gli anglosassoni, Henry James, George Eliot, PG Wodehouse, Evelin Waugh (sic: si tratta in realtà di Evelyn Waugh – e nonostante il nome era un uomo)”: a quest’ultimo l’autore ci informa di essere stato persino paragonato. E qui c’è un ulteriore nodo da sciogliere, perché io ho letto tutto il suo pantheon e il mio è più grande di una scala cosmica (in senso metaforico e letterale), ma nessuno mi ha ancora paragonata alla regina Jindeok di Shilla per il mio interesse relativo a culture straniere e politica estera, a Aphra Behn per i miei scritti di teatro, a Hedvig Apollonia Löfwenskiöld per le mie (rare) poesie, a Florynce Kennedy per i testi relativi al femminismo e all’attivismo in genere, a Sofia Hagen per la satira e a Joan Slonczewski per la fantascienza. Purtroppo non sono nemmeno abbastanza cretina da augurarmelo o da crederci nel caso accada. Ho una consolazione, però: so di scrivere meglio di Clerici e del suo recensore. Maria G. Di Rienzo

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(tratto da: “Translation and the Family of Things”, di Crystal Hana Kim, giovane scrittrice contemporanea, per Guernica, 2019, trad. Maria G. Di Rienzo.)

earth and sky di kathleen marver

Alle letture del mio primo romanzo, “If You Leave Me”, la gente mi ha spesso chiesto se i miei genitori erano orgogliosi di avere una scrittrice in famiglia. Ma io non ero l’unica scrittrice. Il mio posto è stato creato dalle donne che sono venute prima di me. Mia madre cominciò a scrivere poesie in coreano quando io mi stavo diplomando. Sono stata connessa al linguaggio da lei – e anche da sua madre.

Mia nonna è sempre stata una narratrice, ma era anche una donna che aveva vissuto la colonizzazione giapponese e la guerra di Corea e che non aveva mai ricevuto un’istruzione superiore. Pensava che nessuno a parte i suoi figli e i figli di costoro avrebbe desiderato ascoltare le sue storie.

Quando aveva 17 anni fu costretta ad accettare un matrimonio da una suocera che le aveva promesso un’istruzione, solo per rimangiarsi tutto al termine della cerimonia. Alla morte del primo marito rimase con un bimbo e senza un soldo. Quando implorò la sua stessa madre di tenerle il bambino così che potesse frequentare un corso per parrucchiere, fu respinta.

Questi aneddoti hanno riempito la mia infanzia. Non mi sono mai scocciata con lei nel modo in cui mi scocciavo con i miei genitori. Forse era perché siamo separate da una generazione o forse, dato che lei parla solo coreano, ho accettato il fardello della traduzione. E poi, nel maggio del 2019, la mia nonna 84enne ha pubblicato le sue prime poesie in Corea.

Due anni prima, la mia nonna si era iscritta a corsi per cittadini anziani a Hoengseong, dove vive. Si è unita a un coro, a un gruppo di suonatori d’armonica e a una classe in cui si insegna poesia. Ha cominciato a scrivere i suoi versi nel centro comunitario locale. L’insegnante, impressionata dalla qualità del suo lavoro, ha inviato le poesie a un giornale letterario. Tre sono state scelte per la pubblicazione, sorprendendo noi tutti. “Nel crepuscolo della mia vita, ho ricevuto un regalo meraviglioso.”, mi disse mia nonna.

Mia zia mi spedì la rivista letteraria non appena uscì. Ho accarezzato la copertina color verde sbiadito e poi ho trovato le poesie di mia nonna all’interno. Le ho lette una volta, due, tre. Non capivo. Quando mia nonna ed io parlavamo, stavamo sullo stesso terreno: salute, cibo, il nostro affetto reciproco, i suoi malanni. Mi ha raccontato ripetutamente le stesse storie piene di pathos. Ma le poesie erano imagiste (1), liriche e piene di metafore. Rivelavano un intelletto e un’immaginazione che non avevo mai considerato. Mi sentivo imbarazzata dalla mia stessa miopia.

Copiai le poesie della nonna in un documento Word e restai a fissare le parole. Avrei tradotto quei versi, sino a che avessi capito. Volevo che il linguaggio mi collegasse alla mia famiglia, anziché agire come una barriera. Volevo comprendere pienamente quanto poco sapevo, con che superficialità avevo immaginato le menti di mia madre e di mia nonna.

Più tentavo di tradurre le poesie, più diventavo intimidita. Volevo essere precisa e rigorosa, ma inerente alla traduzione è l’interpretazione, l’agire proprio del traduttore. Mi preoccupavo. Dovevo aderire alle parole o ai ritmi, ai suoni o ai significati? La poesia doveva risultare facile nella lingua della traduzione, o doveva conservare alcune delle indicazioni sintattiche dell’originale? (…)

Sorprendentemente, mentre lavoravo da sola alle strofe nei giorni seguenti, scoprii che mi piacevano di più quando le parole non si concatenavano chiaramente l’una con l’altra. Lo spazio sfocato tra le lingue dava la sensazione di un’apertura. Alla fine, tradussi i versi di mia nonna come:

Porta un passo al successivo, dalla Terra al Cielo,

intreccia la scala vermiglia di luce dell’autunno,

così che noi si possa testimoniare per sempre.

Vermiglia. Testimoniare. Ho fatto queste scelte basandomi sul suono, il ritmo e il tono. Ma ho anche considerato quel che sapevo di mia nonna. Lei parlava della morte ossessivamente. Ma cos’altro potrebbe riempire i tuoi pensieri se tu avessi attraversato la fame, la colonizzazione, la guerra, la povertà? Questo è il suo modo di esercitare controllo su ciò che è incontrollabile. Ma quando parla a me del morire lo fa in termini semplici: che tipo di ritratto funebre vuole, come dev’essere vestita nella bara, io che dovrei avere figli perché lei morirà presto. Pratica, utilitarista. Ma nella poesia la sua ossessione si trasforma. C’è un certo splendore nel considerare il passaggio della morte come una scala di luce vermiglia.

(1) da Imagismo, corrente letteraria dell’inizio del Novecento con centro a Londra e diffusione in Irlanda e Usa, dichiarava la necessità di immediatezza e concisione nel linguaggio poetico. Inusuale per l’epoca, le maggiori figure imagiste erano donne.

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deborah levy

“Dà speranza quando i bambini creano una lingua che nessuno, tranne i loro compagni, può capire. E’ sperimentale, arguto, un po’ folle – il che è una buona cosa. Al minimo, i bimbi della nostra nazione hanno realizzato un’innovazione collettiva. Sì, lascia ben sperare che il linguaggio possa essere smontato e rimesso insieme in modo differente. E’ qualcosa di cui tutti dovrebbero far pratica.

Dà speranza che la lingua del patriarcato, che attualmente sta avendo il suo ultimo rantolo nel distruggere la Terra, sia stata smascherata dal movimento femminista globale, il che ha fornito a ciascuno un altro tipo di linguaggio. A un certo livello intuitivo, tutti sappiamo che il personale è politico.

Quando gli uomini si eccitano nell’insultare studenti di sesso femminile perché ci hanno dato informazioni scientifiche corrette sul clima, noi capiamo che le donne e i bambini nelle loro vite non sono al sicuro. Lascia davvero ben sperare che più gente al mondo sappia questo, piuttosto che non lo sappia.”

Deborah Levy – poeta, scrittrice, drammaturga inglese nata nel 1959 – dal suo libro “The Man Who Saw Everything” (2019), trad. Maria G. Di Rienzo.

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feminist reading - viktorija

“Una donna che legge in un bar, o seduta su una panchina al parco, o su un mezzo di trasporto pubblico corre sempre il rischio che qualcuno – quasi certamente un uomo – si chini su di lei chiedendo: “Quindi, una lettrice eh?” oppure forse “Hai mai letto qualcosa di mmm… mmm… Patrick O’ Brian?” (1) o, più probabilmente, qualcosa di totalmente estraneo ai romanzi.

E’ come se presumessero che sono annoiata, o triste, o che sto ammazzando il tempo sino a che un uomo non assorba la mia attenzione. Di solito, io sto leggendo per lavoro – difficilissimo spiegare questo al tizio che interrompe senza suscitare ulteriori interruzioni! – e non posso esimermi dal notare che ciò non accade mai quando sto usando il laptop, dove potrei dopotutto star facendo qualcosa di socialmente utile, che magari comporta l’uso di un foglio di calcolo o di una carta di credito. Ma se sto leggendo: chi lo sa?

C’è qualcosa nel topo di biblioteca di sesso femminile, con il volto oscurato dal romanzo, nascosta pur essendo in piena luce, forse ponderante sulle più grandi questioni della vita, forse fantasticante, che può servire da affronto. L’onere di facilitare scorrevoli relazioni umane è da lungo tempo posto sulle donne e leggere da sole è un’occupazione non compatibile con il sé sociale.”

Tratto da “Without women the novel would die: discuss”, di Johanna Thomas-Corr per The Guardian, 7 dicembre 2019, trad. Maria G. Di Rienzo. L’occhiello recita: “Le donne sono il sistema di sostegno alla vita della narrativa: comprano infatti l’80% dei romanzi”.

(1) scrittore e saggista inglese, 1914-2000.

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Lasciala leggere

(“Poet as Housewife”, di Elisabeth Eybers – in immagine, 26 febbraio 1915 / 1° dicembre 2007 – poeta e giornalista sudafricana, ha scritto principalmente in afrikaans. Trad. Maria G. Di Rienzo.)

Elisabeth Eybers

LA POETA COME CASALINGA

Una scopa sempre appoggiata alla parete,

pasti mai in orario, se mai arrivano del tutto.

Giorni senza appuntamenti attraverso i quali lei si muove

vuota e ostinata, leggermente confusa.

La roba da stirare pende sconsolata da una sedia,

gesti che arrivano da non si sa dove.

Vecchie lettere senza risposta, ammassate insieme,

carte e pillole stipate profondamente in un cassetto.

Grata di essere parte del grande tutto del tuo cuore

eppure devota ai limiti del suo piccolo cranio.

O bipede ordinario, fa’ attenzione,

lasciala in pace – lasciala leggere.

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Se vuoi un’immagine del futuro, immagina uno stivale che calpesta un volto umano – per sempre. (George Orwell, “1984”)

incivili

Da Repubblica, oggi: “Questa mattina a Bettola alla Festa della Bortellina (specialità culinaria piacentina, ndr) abbiamo anche arrestato la Rachete (refuso della scrivente, ndr) con un finto Salvini (cartonato)”. Lo scrive sulla sua bacheca di Facebook la deputata della Lega Elena Murelli allegando alcune foto e un breve video in cui si vede una finta capitana della Sea Watch Carola Rackete impersonata da un figurante con parrucca bionda che viene gettata a terra e poi arrestata da un finto Salvini (con felpa e maschera del leader del Carroccio), che si avvicina all’arrestata dicendole “ti abbiamo preso eh?”, sotto gli occhi di una finta Merkel con una ridicola gonnellina gialla che si avvicina per mettere un piede in testa alla finta Rackete. Nel video la parlamentare piacentina assiste divertita alla gag avvenuta a Bettola, nel Piacentino (paese di nascita di Pier Luigi Bersani) accanto al senatore leghista Pietro Pisani, poi entrambi posano per alcune foto ricordo con i figuranti.”

Se (al cittadino comune) gli si consentisse di avere contatti con stranieri, scoprirebbe che sono persone come lui e che la maggior parte di quanto gli è stato detto di loro è pura menzogna. (op. cit.)

se questo è un sindaco

Da Repubblica, oggi: “A calcioni nel suo paese”: a Gallarate sindaco leghista scrive post contro un tunisino, ma era la vittima del reato. Un 60enne italiano con problemi psichici incendia l’auto di un tunisino, ma il sindaco inverte la notizia e scrive un post contro quest’ultimo. (…)

A distanza di qualche ora – ma questa volta dal suo profilo privato, il sindaco ha scritto un lungo post attaccando chi aveva fatto notare il suo errore e i giornali (ancora una volta in stile Salvini), come se l’errore commesso fosse di poco conto: “Ho riconosciuto che ho letto male una notizia e dopo aver scritto un post sbagliato l’ho rimosso in 6 minuti. E che succede? Apriti cielo, le opposizioni ferragostane, più attente a seguirmi su Facebook che alle loro vacanze, non vedevano l’ora di potermi attaccare…haters di professione idem…ma il clou lo raggiunge la carta stracciata che delle notizie false, dei finti scoop a pagamento ci campa che mi condanna per aver scritto un post errato (cancellato dopo 6 minuti, con l’ammissione di aver sbagliato). (…)”

Il potere non è un mezzo, è un fine. Non si stabilisce una dittatura nell’intento di salvaguardare una rivoluzione; ma si fa una rivoluzione nell’intento di stabilire una dittatura. Il fine della persecuzione è la persecuzione. Il fine della tortura è la tortura. Il fine del potere è il potere. (op. cit.)

“Nineteen Eighty-Four” – “1984” di George Orwell fu pubblicato nel 1949. E’ la visione di un futuro distopico in cui uno stato totalitario ha il controllo assoluto su ogni azione e persino sul pensiero della popolazione: il Grande Fratello vi guarda e ha pieni poteri. Se non l’avete ancora letto, ve lo consiglio caldamente.

Maria G. Di Rienzo

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(“Everything We Learned About Women’s Anatomy from Male Authors”, di Jess Zimmerman, caporedattrice di “Electric Literature”, 2 agosto 2019. Trad. Maria G. Di Rienzo. Sull’argomento:

https://lunanuvola.wordpress.com/2018/04/04/molta-strada-da-fare/

https://lunanuvola.wordpress.com/2018/04/13/marlowe-era-un-bel-moretto/ )

L’anno scorso, ci siamo tutte divertite a descrivere noi stesse come avrebbe fatto un autore maschio (testo campione: “Avevo delle ballonzolanti da urlo e ci pensavo costantemente”) e abbiamo persino creato una pratica mappa per generare la nostra propria prosa lubrica.

Ma, onestamente, gli scrittori di sesso maschile non hanno mai avuto bisogno del nostro aiuto e hanno proseguito a dispetto della presa in giro. Sin da maggio, il filone Twitter Uomini che scrivono di Donne ha collezionato i più egregi esempi della situazione attuale: metafore carburate con il testosterone, elementi rivoltanti della trama e narratori che sembrano non aver mai parlato realmente con una donna per quindici minuti di fila, figurarsi aver vissuto con una.

Si può imparare molto passando del tempo con questo filone Twitter, non ultimo il fatto che potreste essere scrittrici migliori di quel che pensate (“Questi sono autori pubblicati. – sottolinea il curatore di Uomini che scrivono di Donne via e-mail – Qualcuno ha scritto la tal cosa e ha pensato: Mmmmh… sai una cosa? Sembra proprio una Descrizione Molto Reale di una donna.”) In particolare, però, guadagni un bel mucchio di conoscenza sull’anatomia femminile. Ecco cosa sappiamo delle donne grazie agli scrittori maschi:

“Piccoli seni che puntavano verso il cielo come missili terra-aria”

“(seni) come due cagnolini che tiravano il guinzaglio in direzioni leggermente diverse”

“Le sue tette erano cose ridenti fermamente al loro posto”

“Ogni follicolo sulle mie braccia e sulle mie gambe stava diventando una piccola clitoride”

“Tutto (negli uomini) era più diretto, le loro viscere non erano labirinti come quelle delle donne, in cui la pipì doveva trovare la sua strada”

“Ma dalle sue mutandine… fece capolino un affettuoso caldo coniglio, un umido e vivente caldo animale”

“La ragazza aveva un piccolo borsellino ficcato in vagina, della grandezza sufficiente a contenere la sua patente di guida, una carta di credito e qualche verdone”

Tenendo conto di tutto questo, ho compilato il seguente sketch di Una Donna, secondo gli Autori Maschi:

according to male authors

Sentite un po’, a noi questa roba non piace quanto non piace a voi, ma sino a che gli scrittori uomini non si comporteranno in modo sensato, questa è la visione artistica delle donne in cui siamo incastrate.

Signori, vi preghiamo: leggete un libro di anatomia. Preferibilmente non uno che abbiate scritto voi.

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books

Care e cari,

spesso mi chiedete suggerimenti su come pubblicare, come contattare case editrici, eccetera. L’ultimo appello in questo senso è di ieri e qui rispondo a esso e a tutti gli altri: purtroppo non ho soluzioni, altrimenti le condividerei assai volentieri.

Le grandi casi editrici italiane hanno via via smesso di servirsi di lettori professionisti per giudicare se pubblicare un libro o meno, nella piccole/artigianali – che spesso esistono unicamente per rendere su carta le passioni dei loro proprietari – non li hanno mai avuti.

Il libro, in Italia, è ormai un prodotto secondario di un “successo” in altri campi.

Perciò nel nostro paese esistono solo queste opzioni:

– conoscere qualcuno in una casa editrice che dica “Sai, è la figlia / il nipote di Tizio e no, il testo non l’ho letto, ma insomma potremmo…” eccetera;

– avere una presentazione o una raccomandazione da persona nota: la fantasy e la fantascienza (e persino la poesia) di serie C pubblicate in Italia rispondono per un buon 90% a questo criterio: quando apro un libro di fantasy e le prime parole che leggo sono di Bruno Vespa che raccomanda chi l’ha scritto – perché ovviamente è un esperto anche di letteratura fantastica, no? – so già che il testo non ha speranza. Per essere il più obiettiva possibile sfoglio di solito anche l’incipit ma sino ad ora ho solo avuto conferma di valore zero incartato in curatissime copertine;

– essere una persona nota: sono numerosi i casi patetici di persone che nemmeno scrivono in italiano ma pubblicano e addirittura curano settori editoriali (Di Battista);

– pubblicare a pagamento, cosa che io non ho mai fatto ne’ farò in futuro. Scrivere è per me un immenso piacere ma non è diverso da qualsiasi altro lavoro: comporta impegno, attenzione, anche fatica, e se remuneriamo un bravo idraulico che ama la propria professione non capisco perché chi scrive invece di condividere questa sorte debba aprire lui/lei il portafoglio;

– autopubblicare online: molto probabilmente non diventerete famosi e sicuramente non ci guadagnerete granché, ma almeno creerete l’opportunità di ampliare la cerchia dei vostri lettori;

– tradurre i vostri testi in inglese e mandarli a case editrici britanniche / statunitensi: che ancora, in maggioranza, i lettori professionisti li hanno e che, sempre in maggioranza e a differenza delle case editrici italiane, in caso di rigetto hanno almeno la cortesia di rispondervi “Ci dispiace, ma il suo libro non risponde alle nostre esigenze editoriali”.

Infine, anche se è terribile, la verità è questa: in Italia non ha nessuna importanza il fatto che scriviate in modo corretto, scorrevole, creativo e appassionante per essere riconosciuti/e come scrittori/scrittrici. L’unica altra idea che mi viene in mente per superare l’ostacolo è metterci insieme e aprire noi una casa editrice. Vogliamo pensarci?

Maria G. Di Rienzo

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suniti

“C’era una volta un uomo che pensava di poter fare qualsiasi cosa, persino essere una donna. Perciò si procurò un neonato, gli cambiò i pannolini e nutrì la dannata cosetta tre volte a notte. Sbrigava tutte le faccende domestiche, era deferente nei confronti degli uomini e si logorò al completo. Ma aveva un fratello, Gianni Testafina, che noleggiò una moglie e si trovò tutto fatto.”

– tratto da “Feminist Fables” di Suniti Namjoshi, in immagine sopra, trad. Maria G. Di Rienzo. Non possiedo l’edizione italiana ma so che esiste (“Fiabe Femministe”, Supernova, 1998) e che è l’unico libro della considerevole produzione letteraria e poetica dell’Autrice disponibile nella nostra lingua.

In tutto il suo lavoro, comprese le serie dedicate ai bambini, Suniti sfida pregiudizi e affronta questioni di genere, sessismo, razzismo, omofobia con una scrittura brillante intrisa di arguzia e saggezza. Può star riscrivendo un mito greco o una favola indiana, ma parla sempre di ciò che trova inaccettabile nella vita di oggi. Suniti è indiana, nata nel 1941, apertamente lesbica. Vive in Gran Bretagna con la scrittrice inglese Gillian Hanscombe.

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Notizia tardiva – 19 agosto u.s. – ma data con vero entusiasmo: i premi Hugo (sf e fantasy) di quest’anno hanno visto il trionfo delle Autrici. Rebecca Roanhorse per il racconto breve, Suzanne Palmer per il romanzo breve, Martha Wells per la novella (romanzo breve, ma un po’ più lungo del precedente), Lois McMaster Bujold per la serie, Ursula K. Le Guin – scomparsa in gennaio a 88 anni – per la saggistica correlata… ma soprattutto il riconoscimento principale per il romanzo, terzo anno di fila, è andato a N.K. Jemisin – https://lunanuvola.wordpress.com/2015/02/14/quando-sara-finita/ – in immagine qui sotto.

jemisin - hugo

A questo punto, ogni capitolo della sua trilogia Broken Earth ha vinto l’Hugo e il primo libro si sta trasformando in uno sceneggiato televisivo grazie al canale latino-americano TNT.

Ma non basta: secondo Hugo anche per lo straordinario fumetto “Monstress” e primo per la sua illustratrice, Sana Takeda, riconosciuta come miglior artista professionista.

https://lunanuvola.wordpress.com/2016/03/05/monstress/

monstress - hugo2

So che c’è chi pensa alla fantascienza e alla fantasy come mero “intrattenimento” e non riesce a considerarle generi letterari di rispetto. So che per lungo tempo il campo è stato dominato da autori bianchi. Ma il potenziale politico e rivoluzionario che entrambe offrono a chi scrive è altissimo – ed è per questo che donne, gruppi etnici, minoranze, persone disabili, persone lgbt, si stanno rivolgendo con tanta potenza a ambo i generi.

Stanno creando nuove storie, nuovi punti di vista, nuovi modi per risolvere i problemi. E se sullo sfondo può esserci l’apocalisse, lo spazio cosmico o il pianeta dei draghi, il cuore della narrazione sono le questioni che stiamo affrontando oggi: la distruzione dell’ambiente a scopo profitto economico di un’élite, gli “ismi” del dominio (sessismo, razzismo, classismo) e le sue fobie, l’emersione di una “società incivile” composta da individui atomizzati incapaci di visione a lungo termine e di visione collettiva sul proprio futuro…

Le stesse resistenze e reazioni negative cui queste opere sono soggette ci confermano che la strada vale la pena di essere percorsa. Jemisin stessa l’ha sottolineato nel suo discorso di accettazione del premio:

“Questo è l’anno in cui arrivo a sorridere a tutti i bastian contrari: a ogni singolo mediocre, insicuro aspirante che concentra la sua bocca nel suggerire che io non ho niente a che fare con questo palcoscenico, che la gente come me non ha la capacità di guadagnare una simile onorificenza, che quando vincono loro è meritocrazia, ma quando vinciamo noi è politica identitaria. Sono in grado di sorridere a queste persone e di sollevare un enorme dito a forma di missile nella loro direzione.” (1)

Maria G. Di Rienzo

(1) Il premio Hugo ha la forma di un missile, come è visibile nella foto di N.K. Jemisin.

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