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Posts Tagged ‘oggettificazione’

(lettera e testamento: devo essere a breve operata agli occhi e sto scrivendo con gran fatica – mi scuso per gli eventuali errori dovuti a ciò.)

Capisco. La comunicazione “social media style” in voga è così veloce-effimera che ascoltare, riflettere, acquisire informazioni ed elaborarle è difficile. Di più: lo si stima noioso e sorpassato.

Quindi, per incapacità o per volontà, un numero enorme di persone battibecca e non discute, fa battute e passa oltre (l’argomento del giorno scade talmente in fretta da suscitare il legittimo sospetto che sia adulterato a priori), riduce a tifoseria da stadio ogni platea e taglia con l’accetta del noi/loro qualsivoglia argomento.

Ripeto, questo lo capisco: ma oltre a non aver intenzione di adeguarmi ciò che davvero non comprendo è perché agiscano in tal modo quelli e quelle che da tale modalità non guadagnano niente. La notizia stupirà qualcuno, tuttavia fatevi forza e accettate il fatto che la maggioranza degli esseri umani non lavora nell’ambito marketing yourself / shaming others – definibile con il neologismo “itagliese” payed rincoglioned autoincensing.

Meno comprensibili ancora sono coloro che apparentemente riconoscono la situazione (Bufale.net) e però si rivolgono agli altri così:

“Analizza la situazione, anziché fare l’ultras: Fedez c’ha il cu*o al caldo ed è vero: influencer, marito della Ferragni, imprenditore, rapper. Non vive come me e te in un bilocale (anzi, nemmeno quello), non conta i centesimi a fine mese e non posta da uno smartphone riadattato, è verissimo. Però tutto questo se lo è costruito, non è che lo ha ottenuto ieri e ha lottato per ottenerlo, fra lavoro e amore. E ora può far sentire la sua voce gestendo le conseguenze di esse.” (era “essa”, presumo).”

Vedi, miserabile stronzo, tu non sei riuscito a costruire niente, lavoro e amore ti sono andati a rotoli perché non hai lottato abbastanza o non hai lottato “bene” – e nemmeno ti sei procurato gli amici “giusti” che ha lui: finanziatori, banchieri, azionisti e cialtroncelli disposti a dar spettacolo per costoro a mo’ di giullari di corte. Come se si potesse arrivare ad essere ricchi sfondati con la lotta, il lavoro e l’amore, che al massimo costituiscono il cv e il saldo del conto corrente di innumerevoli attivisti / attiviste per il cambiamento sociale su tutto il pianeta. E come se arrivare ad essere ricchi sfondati giustificasse la piramide sociale dell’esclusione.

Ora, lo so che la prossima citazione è stata strombazzata dalla destra per screditare quanto il rapper ha detto sul palco del Concertone, su cui non ho nulla da eccepire, ma non resta per questo meno problematica:

“Mi interessa che Tiziano Ferro abbia fatto outing / Ora so che ha mangiato più würstel che crauti / Si era presentato in modo strano con Cristicchi / Ciao sono Tiziano, non è che me lo ficchi?”. Le spiegazioni dell’autore sono ugualmente motivo di perplessità: 1) il pezzo si chiama “Tutto il contrario” ed esprime quindi il contrario di quel che lui pensa; 2) ha cambiato idea, proprio come Salvini (che le cambia velocissimamente); 3) era giovane.

Converrete che convivono male: rivendico, abiuro, non mi assumo responsabilità perché ho scritto ‘sta roba quando ero innocente e ignorante. Trovo inadeguato conferire a costui la palma di paladino dei diritti umani: domani potrebbe cambiare di nuovo idea. Io scrivevo anche da adolescente proprio come lui, ma non ho mai partorito stronzate del genere. L’idea per cui non esistono inferiori da sbertucciare non l’ho cambiata mai e me vanto.

Inoltre, per la milionesima volta: l’outing te lo fanno gli altri (Tizio è una checca, gne gne gne!) – quando esci tu (Sono Tizio e sono gay, e allora?) si chiama coming out. E questa è la spia del perché trovo inadeguato anche porgli in capo la corona d’alloro di difensore della comunità lgbt: conoscerà individui che ne fanno parte, ma sembra ignorare storia e istanze relative ad essa. Preferisco, gusti personali, che il pavimento me lo aggiusti un piastrellista piuttosto di uno che dice: “Sì dai, lo faccio io, ho visto online un video sul reparto piastrelle di Leroy Merlin! Poi te lo racconto su Instagram! Solidarietà al gres porcellanato! Click, like, money money money!!!”

Poi, mi ripeto ancora a beneficio degli estrapolatori di parole che faticano troppo a seguire un discorso intero, tutto quel che ha detto il 1° maggio era vero – non concordo sulle modalità espressive, ma questa è di nuovo questione di gusti – ed era stato detto da parecchie persone prima di lui e persino meglio di lui: sono quelle di cui sopra, con lotta – lavoro – amore in attivo, prive però dell’amplificatore mediatico a disposizione del rapper influencer imprenditore e quant’altro.

Una seconda vicenda che ha (per certi versi incredibilmente) sofferto della mancanza di ascolto e della comunicazione frammentata – vacua – fulminea da web è stata quella relativa a Rula Jebreal e al suo annuncio via social che avrebbe annullato la partecipazione già concordata a “Propaganda Live”, per correttezza e fedeltà ai suoi principi che non prevedono l’essere l’unica donna in un parterre di ospiti composto da uomini (sebbene le fosse già capitato, come hanno notato in molti/e). Diego Bianchi e compagnia sono cascati dalle nuvole, si sono arrampicati sugli specchi (ci sono due giornaliste fisse in studio, cerchiamo le persone per le loro competenze al di là del loro sesso, abbiamo preso il Diversity Media Award ecc.) e io credo che tutti i protagonisti di questa vicenda fossero in buona fede, una buona fede che ha però come fondamenta una notevole superficialità.

E’ possibile che Jebreal durante la conversazione telefonica di ingaggio, per così dire, non abbia chiesto chi altri era presente quella sera? Io sono la Signora Nessuno, di solito chiamata a tener conferenze e incontri a titolo gratuito, però lo faccio – e se la compagnia non mi piace spiego direttamente agli organizzatori perché non potranno contare su di me. Sono femminista da oltre 45 anni. Cerco di comportarmi come un civile essere umano da quando ne ho memoria e con chiunque: peccato che tale attitudine mi torni sempre meno indietro… anche e soprattutto da molte persone che considero “alleate” o “vicine”. Con costoro mi sembra di essere passata da The times, they are a’changin a The times have changed for the worst.

Comunque, come probabilmente saprete io non ho la tv: spesso però vedo “Propaganda Live” online la mattina successiva alla sua messa in onda. Venerdì prossimo questa sua stagione si chiude, perciò mi permetto di chiedere a chi crea e gestisce il programma se nella prossima qualcosa può davvero cambiare nell’attitudine diretta alle donne. Numeri a parte, che come vi hanno ribadito sono pure importanti (chi non c’è non si vede e non si sente), vi illustro dei piccoli esempi. Mi piacerebbe:

1. che Marco Damilano – dopo aver puntualmente ricordato come qua e là ci fossero donne, quando ha incontrato Tizia, cosa ricorda di Caia – non scendesse dal palco dopo un’ultima frase a effetto del tipo “Il mondo degli uomini”. Sono una outsider, lo so, ma questo mondo è anche mio e non sono un uomo. Ogni tanto mi piacerebbe fare brevemente esperienza dell’inclusione;

2. che Marco D’Ambrosio Makkox facesse una ricerca su quante bambine / ragazze / donne si tolgono la vita dopo aver sperimentato innumerevoli aggressioni dirette ai loro corpi non conformi; dopo, decida lui se per prendere in giro Meloni una frase del genere è accettabile: “Ricordo che da bambina a scuola tutti mi bullavano perché ero cicciona… compresi quindi la sofferenza dei discriminati perché diversi… e fu allora che decisi di diventare fascista!”.

Gli altri paragoni usati nel fumetto (pubblicato da L’Espresso) mettono a confronto situazioni che oggettivamente non sono paragonabili per magnitudo – per dirne una, dar fuoco per sbaglio alla casa e capire “chi fugge dopo aver perso tutto”: l’effetto comico sta proprio in questo. Però le “ciccione bullate” come Beatrice Inguì

https://lunanuvola.wordpress.com/2018/04/06/senza-tregua/ – si buttano sotto il treno a 15 anni e a me non fa ridere;

3. che l’ospite fisso Memo Remigi riflettesse sul rispondere con icone di applausi e pollici alzati al genio che gli scrive su Twitter: “Per incrementare le vaccinazioni suggerirei, per il periodo estivo, alle infermiere che se lo possono permettere, di indossare mascherina e grembiule trasparenti sopra un bikini”. Perché chi decide cosa io mi posso o non posso permettere, in base a quali parametri e in forza di quale investitura da mio giudice?

Il corpo di una donna NON è un luogo pubblico, non è arena di dibattito per gli uomini quali esseri superiori – consumatori – acquirenti e le donne costituiscono comunque la metà della gente che deve vaccinarsi: e guardate che suggerire un trattamento simile (con l’infermiere “figo” a torso nudo e slippini ripieni) non solo non guarisce alcuna ferita ma è impossibile. Le posizioni di potere e di legittimazione da cui donne e uomini partono sono troppo diseguali. Persino Benni rinunciò, a suo tempo, dopo aver ipotizzato di sbottonare gli abiti delle infermiere per far entrare i pazienti in sala operatoria in ottime condizioni di spirito (“Elianto”): “Era allo studio un analogo trattamento per le degenti donne”. E allo studio è rimasto e rimarrà ancora a lungo, giacché la portata dell’oggettivazione dei corpi delle donne è così enorme e pervasiva, così intessuta di discriminazione e violenza, da non permettere paragoni.

Come ho detto all’inizio l’ascolto prende tempo, può essere faticoso e persino doloroso, ma se vogliamo capirci, vivere insieme e fare di questo mondo il “mondo degli uomini e delle donne”, qualcosa che valga la pena lasciare alle future generazioni, credetemi: non abbiamo altra scelta.

Maria G. Di Rienzo

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Qualche anno fa, qui abbiamo visto online un film giapponese di cui, purtroppo, non riesco a ricordare il titolo. (1) Trattava di un gruppo di adolescenti e della loro stagione di follie, messe in atto a scuola e fuori, nel 1969. Sebbene il registro sia dichiaratamente leggero – si ride parecchio – il film innesca spunti di riflessione sul rapporto che nel contesto i ragazzi avevano con le autorità e con la società in generale. Ovviamente, vista l’età dei protagonisti, la storia ha anche a che fare con la scoperta del sesso e il desiderio.

C’è una scena che è entrata nel nostro lessico familiare, nel senso che la usiamo come paragone per persone / casi somiglianti: vede uno dei ragazzi tenere banco fra gli amici con il clamoroso racconto di un rapporto sessuale con una donna adulta.

Costei – una perfetta sconosciuta per il narratore – arriva su un’auto sportiva, adocchia il fanciullo, se lo porta in albergo, gli pratica una fellatio ed è così straordinariamente soddisfatta da ciò da lanciargli sul letto le chiavi dell’automobile, come premio. A questo punto gli altri ragazzi saltano addosso al narratore per malmenarlo un po’: la bugia è andata troppo oltre.

Ora, date uno sguardo a questo sublime parto letterario (è dell’anno scorso, ma ancora a maggio 2020 c’è chi lo recensisce così, con pensoso profluvio di puntini di sospensione: Bel libro… il primo è più profondo …. questo un po’ meno …. però da leggere):

tutto vero

Già dal titolo del capitolo la mia impressione è che il libro non sia solo uno spreco di carta e inchiostro, ma proprio un danno per il modo in cui esprime allegramente sessismo e oggettivazione. Tuttavia, come ho detto altre volte, se l’autore è già famoso di suo (e non importa perchéqui si tratta di un individuo che fra truffe, estorsioni, tentate corruzioni di funzionari di polizia ecc. ha una fedina penale sicuramente clamorosa) vogliamo negargli la pubblicazione di libri? Che sappia scrivere o no e di che cosa scriva è assolutamente irrilevante.

Il preclaro autore è infatti Fabrizio Corona, la casa editrice è Mondadori – in mano al gruppo Fininvest, presidente Marina Berlusconi – e il titolo dell’opera è “Non mi avete fatto niente”, che è quel che dicono i bambini petulanti quando ricevono un castigo.

C’è qualcuno che, in buona fede, crede al resoconto in immagine? Dopo la quinta elementare è davvero difficile cascarci. All’asilo Mondadori, infatti, responsabili e lettori non fanno una piega e la casa editrice presenta il libro sul proprio sito web con questo estratto:

“E ricordatevelo: non mi avete fatto niente, mi avete solo reso più ricco umanamente e culturalemente. Decidete voi se la mia vita è quella di un ragazzo fortunato o di un uomo che la fortuna l’ha dovuta rincorrere per non cadere. Non è stato facile ma… non mi avete fatto niente”

Così, “culturalemente” e senza punto che chiuda l’ultima frase.

Quindi, quando la suddetta casa editrice propone “iniziative per la scuola italiana” (Mondadori Education) e si dichiara “al fianco di insegnanti e studenti”, io mi domando legittimamente di che diamine siano fatti i “materiali e supporti (sic)” propinati agli/alle studenti e quanto vantaggio trarranno i/le docenti dall’ “aggiornamento” offerto loro:

“Mondadori Education promuove l’apprendimento permanente dei docenti, nella consapevolezza che il ruolo del docente sia un processo di consolidamento e di aggiornamento continuo delle singole competenze disciplinari ma soprattutto dei modelli di insegnamento.”

Mi dispiace, ma qui il verbo essere doveva essere declinato al presente indicativo, terza persona singolare: è.

Lo so. Imparare “è un processo continuo”: tieni duro, Mondadori, perché sembra che fino a questo momento tu non abbia imparato niente.

Maria G. Di Rienzo

(1) Mi è appena venuto in soccorso l’altro spettatore: il film si chiama proprio “69” ed è uscito nel 2004.

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“Oh, sei l’unico che lo sa.”

“Io devo ricambià in quel modo, te faccio quel regalo. E’ carina, carina, quando la vedi mi dirai. Poi è una donna pure intelligente. Così almeno ti passi qualche weekend sereno pure da ‘ste parti”.

“Bravo, bravo.”

present

Trattasi della “registrazione di una telefonata decisamente compromettente tra Andrea Montemurro, presidente della Divisione Calcio a 5, e il numero uno del Latina Gianluca La Starza, in cui il primo rivolge confidenze sull’imminente esclusione di una squadra dal massimo campionato e il secondo per ringraziarlo gli offre i servizi di una ragazza”.

L’informazione è utile per tesserare giocatori della squadra esclusa prima degli altri, cosa che in effetti è accaduta. Gli articoli al proposito sono molto concentrati su possibili sviluppi e ricadute in ambito Lega Nazionale Dilettanti – Figc – Uefa ecc. Nessuno si sofferma sul tipo di “regalo”.

Un orologio da polso, l’ultimo cellulare della Samsung, il biglietto per una crociera ai Caraibi o una donna. Fa lo stesso. E’ lo stesso – un oggetto, che dopo aver offerto all’uomo i “servizi” relativi all’essere “carina-carina” è presumibilmente capace di intrattenerlo anche parlando: “è pure intelligente”, un vero bonus, come quello di un cane affettuoso che si rivela in aggiunta essere in grado di portarti le pantofole a comando.

Poi, sì, succede che “il regalo” dica cose che non avrebbe dovuto dire, faccia cose che non avrebbe dovuto fare e il proprietario lo rompe e lo getta in discarica. Non sarà mica un problema, in Italia abbiamo la raccolta differenziata e un sacco di donne a disposizione. A proposito: ci piacciono proprio, le donne. Le amiamo!

Maria G. Di Rienzo

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bound

“Molte di noi vogliono difendere il nostro diritto all’essere individui sessuali – il non sentirsi vergognose o represse rispetto ai modi in cui danziamo, facciamo sesso o guadagniamo soldi.

Il problema è che, invece di difendere il diritto delle donne a comprendere ed esprimere la loro effettiva sessualità, alcune donne stanno difendendo la mercificazione di tale sessualità: una “sessualità” che ha poco a che fare con il piacere femminile e tutto a che fare con l’eseguire performance per lo sguardo maschile.

C’è qualcosa, nel voyeurismo che feticizza i corpi delle donne, di profondamente ingranato nella nostra psiche. Al punto che, collettivamente, non riusciamo neppure a concepire una sessualità femminile che non ruoti attorno all’oggettivazione. La sessualità femminile è così profondamente intrecciata con il nostro sfruttamento che spesso le due cose sono difese come una cosa sola.

A me non sorprende che così tante ragazze facciano di colpo esperienza di problemi relativi a salute mentale e immagine corporea mentre raggiungono la maturità sessuale, considerando l’ammontare di dissonanza cognitiva che dobbiamo sopportare vivendo in un mondo dove rappresentare la sottomissione è descritto come la nostra unica strada verso la maturità o l’esplorazione sessuali.”

Laura McNally, psicologa con dottorato di ricerca, 10 febbraio 2020. Ha scritto – fra gli altri – per The ABC, The Guardian, The Australian, The Ethics Centre. Trad. Maria G. Di Rienzo.

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(tratto da: “All it takes for a woman to be reduced to an object is too much eyeliner”, di Arwa Mahdawi per The Guardian, 1° febbraio 2020, trad. Maria G. Di Rienzo.)

warpaint

Più trucco hai addosso, meno umana sembri. E’ la piuttosto deprimente conclusione di un nuovo studio pubblicato sulla rivista “Sex Roles”, che ha indagato su come i cosmetici influenzino il modo in cui percepiamo le donne. I ricercatori hanno chiesto a 1.000 persone (in maggioranza britannici e statunitensi) di valutare le facce delle donne con e senza pesante makeup. Hanno scoperto che i partecipanti, sia maschi sia femmine, hanno classificato le donne con molto trucco meno umane e dotate di meno calore e meno moralità. Non si può non amare questa misoginia interiorizzata!

I risultato dello studio sono persino peggiori per chi preferisce una marcata ombreggiatura all’occhio a uno sgargiante rossetto: “alle facce con gli occhi truccati sono state attribuite le quantità minori di calore e competenza”.

“Può essere che le facce con trucco pesante siano percepite come aventi meno tratti umani perché sono esaminate visivamente in un modo che richiama quello in cui sono esaminati la maggior parte degli oggetti.” ha spiegato Philippe Bernard, il principale autore dello studio. Bernard, ricercatore alla Libera Università di Bruxelles, ha notato inoltre che mentre c’è un crescente corpus di ricerche che dimostrano come le immagini sessualizzate promuovano la disumanizzazione delle donne, meno attenzione è prestata a “come forme più sottili di sessualizzazione, tipo il trucco” influenzino l’oggettivazione. Da quel che ne esce, tutto ciò che ci vuole a una donna per essere ridotta a oggetto è un tocco in più di eyeliner.

Ad ogni modo, non buttate ancora via i vostri cosmetici. Secondo uno studio del 2011, compiuto da ricercatori dell’Università di Boston e della Scuola di Medicina di Harvard, le donne che indossano un ammontare “professionale” di trucco in ufficio sono viste come più competenti, capaci, affidabili e amabili delle donne con la faccia spoglia (val la pena notare che lo studio è stato finanziato da Procter & Gamble, che possiede marchi di prodotti cosmetici come Olay e SK-II: perciò prendetelo con un pizzico di sali da bagno).

Ma se indossare livelli “professionali” di trucco può aiutarvi al lavoro, dovete fare attenzione a non apparire troppo carine. Uno studio del 2019 attesta che “le donne d’affari attraenti sono giudicate come meno sincere di quelle meno attraenti”. E in ogni caso, un altro studio ancora dice che gli individui attraenti guadagnano di più dei loro pari più semplici. (…)

Non abbiamo neppure cominciato sul come il vostro taglio di capelli influenzi ciò che fate nella vita. Ci sono numerose ricerche che suggeriscono come le donne con capelli lunghi siano giudicate “assai ben tenute” e dall’alto “potenziale riproduttivo”. Tuttavia i capelli lunghi possono anche segnalare “potenza in declino” ed essere visti come meno professionali (può essere per questo che Ivanka Trump si è fatta il caschetto di recente). La capigliatura è ancora più complicata per le donne di colore, ovviamente, che sono spesso costrette a conformarsi agli standard di bellezza bianchi per essere percepite come professionali.

Essere una donna significa camminare costantemente su un filo da acrobata teso fra l’essere invisibile e l’essere oggettivata. Devi essere carina, ma non troppo carina! Devi essere attraente, ma non troppo attraente! Devi truccarti, ma non troppo!

Forse è arrivato il momento di spalmarci in faccia i colori di guerra e di stabilire le nostre proprie regole.

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Quasi sette milioni: è il numero delle donne italiane che hanno fatto esperienza di violenza fisica / sessuale inflitta loro da uno o più uomini. L’ampiezza del numero fa sì che è molto probabile per ciascuno di noi conoscerne qualcuna, anche senza sapere quel che le è accaduto.

La violenza di genere nasce e si sviluppa all’interno di un contesto sociale: la rappresentazione ipersessualizzata e degradata delle donne è uno degli elementi principali di tale contesto. Per essere messa in atto, la violenza ha bisogno di ridurre l’umanità di una persona a un singolo fattore (la cosiddetta “visione tunnel” o “visione da caccia”): nel caso delle donne, possiamo semplificare con un singolo termine plurivalente – troia. La “troia” può essere tale perché attiva sessualmente, perché la si ritiene colpevole di infedeltà o tradimento anche non sessuale, perché non ha osservato qualcuna delle regole imposte al suo genere dall’ambiente socio-culturale di riferimento o dagli uomini (compagni o parenti) con cui ha relazioni… o solo perché è femmina: sono tutte troie, a prescindere.

La classificazione, come si è detto, azzera ogni altra sua peculiarità: chi è, quel che fa, come si muove nel mondo, come si definisce, aspirazioni e speranze, pregi e difetti, storia personale. Ridurla a “troia” permette e legittima ogni tipo di violenza nei suoi confronti. Se vogliamo parlare di “mostrificazione” questo quadro la esemplifica e non è assolutamente paragonabile al criticare o rifiutare prodotti di intrattenimento, a chiedere rispetto negli spazi pubblici o a contestare una presenza televisiva.

In questi giorni ci hanno fatto sapere che il “cantante mascherato” al centro delle polemiche su Sanremo, il grande artista di “Gioia fa la troia”, è stato molto malato, da bambino era infelice e vedeva i fantasmi in ospedale: perciò, “non gridate al mostro senza prima conoscerlo”.

Ma conoscere la troia a costoro non interessa per niente. Cos’ha passato da bambina, quanto è stata infelice in passato o quanto lo è ora, se è stata molto malata o no, come le hanno tarpato le ali in famiglia, a scuola, sul lavoro (tutti ambiti in cui le statistiche sfavorevoli alle donne sono consistenti come macigni), quante volte è stata assalita, insultata, molestata, disprezzata.

La troia è un fantoccio intercambiabile, ben più senza volto e senza storia di chi l’ha resa tale – ed è ben vero che non si tratta solo del tizio in questione, come ci ricordano gli avvocati e le avvocate di cui sopra: “Ehi troia! Vieni in camera con la tua amica porca”, “(…) ‘ste puttane da backstage sono luride. Che simpaticone! Vogliono un c… che non ride, sono scorcia-troie”, eccetera. Il consiglio di costoro al proposito è: “Forse sarebbe meglio interrogarsi su una generazione lasciata sola nella pornografia, non solo dei corpi ma anche dei sentimenti.” E quando ci siamo interrogati che succede? Il fatto è che tutti i nostri tentativi di mettere in discussione quella pornografia, di corpi e sentimenti, gli stessi difensori del giovane “artista” (contesto che i parti suddetti, suoi e altrui, siano arte) li respingono continuamente come censura, come livore invidioso, come bigottismo, come vecchiume vetero-qualcosa, come attentato alla bellezza, e chi più ne ha più ne metta. E allora facciano un piacere, prima di dare consigli diano il buon esempio e si interroghino loro per primi.

Più che generazionale, tra l’altro, il problema sembra epocale (della nostra epoca). Questo qui sotto non è un rapper, anche se la scarsa conoscenza della lingua italiana è equiparabile: “A proposito mi vergogno di quel cantante che paragona Donne come troie, violentate, sequestrate, stuprate e usate come oggetti. Lo fai a casa tua, non in diretta sulla Rai e a nome della musica italiana”.

salvini ormea

Vedete, come sta ripetendo nella sua delirante campagna elettorale lui ha dei valori: “La mamma, il papà, la famiglia e il parmigiano”. E la denuncia delle troie che ne hanno di diversi.

Maria G. Di Rienzo

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Non sarebbe bello se, una volta ogni tanto, lo schema cambiasse? Se l’omofobo, il razzista, il misogino o sessista di turno, fosse indotto a riflettere dalle rimostranze che seguono le sue esternazioni e invece della solita manfrina – sono stato frainteso, ho un sacco di amici stranieri e gay e amo le donne, state creando polemiche per avere visibilità – dicesse solo, per esempio, “Va bene, vi ascolto, parliamone.”? Vedete bene che non gli sto chiedendo di scusarsi immediatamente e di cambiare di colpo atteggiamento: considerato quanto le sue attitudini sono avallate e rinforzate a livello sociale e persino politico una repentina sincera “conversione” è per forza di cose “più rara di un corvo bianco” (Giovenale). E a chi riveste ruoli pubblici, a chi vive di denaro pubblico, a chi è esposto sui media e quindi si rivolge a un gran numero di persone, non sto proponendo l’ascolto come cortesia perché lo ritengo un suo dovere.

“16 gennaio 2020: Sanremo, polemica sulle donne “molto belle” di Amadeus. – Con l’hashtag #boycottSanremo i social si scatenano contro Amadeus, il suo Sanremo e la conferenza stampa di due giorni fa in cui, presentando cinque delle dieci donne che saliranno sul palco dell’Ariston ha detto: “Ovviamente sono tutte molto belle“. Poi, riferito alla modella Francesca Sofia Novello: “(…) ero curioso… questa ragazza molto bella, ovviamente sapevamo essere la fidanzata di un grande Valentino Rossi, ma è stata scelta da me perché vedevo… intanto la bellezza, ma la capacità di stare vicino a un grande uomo stando un passo indietro malgrado la sua giovane età.”

Al sig. Amedeo Sebastiani, in arte Amadeus, diverse donne hanno spiegato diffusamente e con precisione cosa trovano inaccettabile:

1) la narrazione per cui la “bellezza” – e cioè il gradimento allo sguardo maschile – è indispensabile all’esistenza stessa di una donna.

“Sia mai che qualche ragazza che vi guarda con occhi sognatori dalla provincia di Varese pensi che una donna nel 2020 possa fare l’imprenditrice senza passare per Temptation Island o che possa fare la giornalista di successo senza sfoderare il suo davanzale ai quattro venti in prima visione. (…) Continuiamo pure a raccontare alle donne che per fare carriera devono prima pensare a farsi belle, magari trovarsi un fidanzato ricco e famoso.” Imen Boulahrajane, economista.

2) la lode al “ruolo di servizio” e all’invisibilità sacrificale delle donne.

“Sanremo? Il prossimo anno facciamo fare ad Amadeus un passo indietro e mettiamo a condurre una donna!”, Paola De Micheli, ministra delle Infrastrutture.

“Ci meritiamo Amadeus noi donne? Che non esistiamo con il nostro Nome e Cognome, ma brilliamo di luce riflessa in quanto: fidanzate di, mogli di, compagne di… E apprezzate perché buone buone stiamo un passo indietro rispetto al Maschio per non eclissarlo: ovvio.” Gabriella Rocco, giornalista.

Hanno spiegato che pagare il canone Rai per ricevere tale trattamento non è ammissibile. Hanno contestato la formula “uomo (anziano) al centro della scena circondato da giovani donne”. Hanno chiesto un diverso tipo di rappresentazione, più rispettoso della dignità e soprattutto della realtà delle donne. Purtroppo, il sig. Sebastiani sembra non aver capito nulla – ed è partita la consueta solfa autoassolutoria:

Un bel po’ di donne si sono risentite? Be’, l’offeso sono io!

“Questa polemica mi offende. Io ho enorme rispetto per le donne. L’appellativo di sessista non lo accetto. È un’accusa senza senso.” Non sento, non vedo, però parlo.

La mia sensibilità e la mia attenzione per i temi femminili sono dati acclarati!

… “come possono testimoniare mia moglie, mia madre e mia figlia”. Ehm. Se poi chiedete alla suorina che si prendeva cura di lui all’asilo o alla maestra delle elementari riceverete altre conferme. Anche una prozia paterna aveva un’ottima opinione di lui, ma purtroppo è molto avanti con l’età e non si ricorda più chi diamine è ‘sto tizio. Io ho invece una domanda: quale moglie? La prima – madre della figlia – o la seconda “showgirl e ballerina” di quindici anni più giovane di lui, che su Canale 5 ha dato dimostrazione di incredibili capacità attoriali interpretando il personaggio di “Giovanna, la moglie di Amadeus”?

Sono stato malevolmente frainteso, alla fidanzata di Valentino Rossi (e a tutte le altre) ho fatto solo complimenti e lei mi ha ringraziato.

“L’ho detto male? Forse dovevo dire ‘un passo di lato’ invece di ‘un passo indietro’? Ok. Ma da qui all’insulto sessista ce ne passa.”

Se alla modella Francesca il quadro in cui è stata inserita piace va benissimo, nessuna glielo sta rimproverando: quel che in molte stanno dicendo è che il quadro è una crosta, che sono stanche di essere “apprezzate” perché sono BELLE e perché stanno IN DISPARTE o ZITTE. E’ questo a essere sessista, signor conduttore.

Diversità? Ma ce n’è a palate! Parleremo persino di violenza, mannaggia, che altro volete???

“Di presenze femminili al festival ce ne saranno di diversissime, (…) ognuna di loro porterà sul palco la sua sensibilità, ci saranno momenti di svago, di divertimento, di musica, di leggerezza, ma anche spunti di riflessione sui temi sociali. (…) Ci sarà spazio anche per testimonianze di persone comuni: ho invitato Gessica Notaro (la showgirl riminese sfregiata dall’acido nel 2017 dall’ex fidanzato Edson Tavares) e ci sono buone probabilità che venga.”

Mi permetto di dissentire: a) perché pare proprio che per avere accesso al palco sia necessario essere conformi agli standard relativi ai complimenti suddetti (solo BELLE, e se sono tali lo giudicano gli uomini); b) perché ciò è confermato dalla scelta di Notaro, che “persona comune” non è.

Intendiamoci, la sua storia è terribile e la sua sofferenza merita solo rispetto. Ma per portare qualcuna a testimoniare la violenza sulle donne il sig. Sebastiani ha dovuto farla prima passare per le forche caudine dell’appeal : una Laura Rossi qualsiasi, magari cinquantenne, non sarebbe andata bene, ma l’ex Miss Romagna, cantante e modella e ballerina che “dalle sue piattaforme social ha fatto sapere di aver ritrovato la fiducia negli uomini e la voglia di amare” è perfetta. La sua presenza non porrà alcuna critica alla narrazione dominante che vuole la violenza di genere un problema relativo a singoli uomini (lasciati, depressi, disoccupati, immaturi, prede di raptus, ecc.) anziché strutturale quale esso è. Non che mi aspettassi altre scelte. Dopotutto, Sanremo ce lo offre il “servizio pubblico” televisivo italiano che ha una lunga e disgraziata storia di lottizzazioni, per cui l’intelligenza e la profondità devono sgomitare parecchio per fare capolino.

Una domanda, per chiudere, ai giornalisti che hanno coperto la vicenda: infilare in pezzi sul sessismo il fatto che Amadeus è “tra l’altro testimonial per la lotta contro la sclerosi multipla”, cosa diamine c’entra? E’ una cosa positiva, ma purtroppo non lo rende un campione dell’eguaglianza di genere.

Maria G. Di Rienzo

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Ieri su alcuni quotidiani:

“Quali sono le dosi giuste di alcol per la donna? La risposta è nell’immagine: un semibusto femminile con due abbondanti coppe di vino che rappresentano il seno.

senza fine

Non è l’etichetta di una nuova cantina, ma la campagna di sensibilizzazione dell’assessorato regionale alla Salute (della Sicilia) contro l’abuso di alcol fra le donne, comparsa due giorni fa sul sito istituzionale “Costruire Salute” e rimossa dopo appena 24 ore per la sollevazione di cittadini, associazioni di donne e medici sui social.”

Non sono riuscita a sapere se il benintenzionato consiglio fosse rivolto anche agli uomini. In caso, la figurina doveva arrivare almeno alle ginocchia, perché le abbondanti coppe erano di sicuro tre e posizionate sul basso ventre, giusto?

Maria G. Di Rienzo

P.S. Per sapere quanto salutari sono tali immagini e come perfettamente “sensibilizzano” le donne, l’assessore può leggere (o farsi leggere, se non conosce l’inglese)

https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/00224499.2016.1142496

e cioè il resoconto di 130 studi compiuti negli ultimi vent’anni che ribadiscono i danni provocati dall’oggettivazione sessuale.

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Riccione, uscita dell’autostrada, 2020:

escrementi pubblicitari

Questa geniale, innovativa, creativa pensata dei pubblicitari (il sesso fa vendere, l’umiliazione delle donne anche – che novità!) fa obiettivamente schifo. In termini più educati del mio, ciò è stato detto abbastanza volte da indurre il proprietario della macelleria Ugolini a dichiarare: “Chiedo scusa. Rimuoverò al più presto il manifesto. Non volevo offendere la sensibilità di nessuno e tanto meno quella delle donne.”

Desidero qui ribadire a lui (quale simbolo odierno di una tendenza sociale) e agli incompetenti misogini a cui ha commissionato il cartellone che la nostra sensibilità è l’ultimo dei problemi in ballo. La lotta contro la pubblicità sessista e oggettivante negli spazi pubblici non ha nulla a che fare con puritani sentimenti di disagio per la nudità dei corpi, con la “decenza” o il moralismo: si tratta del contrasto a un sistema patriarcale che costantemente rinforza le diseguaglianze fra i generi e della conseguente normalizzazione della violenza di genere in tutte le sue forme – per tipologia e posizionamento, per esempio, gli annunci pubblicitari hanno un deciso effetto di sdoganamento e normalizzazione delle molestie sessuali.

Negli spazi pubblici è impossibile evitarli: consapevolmente e inconsciamente ricordano alle donne che sono vulnerabili e imperfette e che è loro dovere conformarsi a un’idea precisa di femminilità, mentre conferiscono agli uomini i privilegi del giudizio e del controllo.

“E’ un’affermazione di potere. E’ un modo per farmi sapere che un uomo ha diritto al mio corpo, ha diritto a discuterlo, analizzarlo, valutarlo e a far sapere a me o a chiunque altro nelle vicinanze il suo verdetto, che a me piaccia o no.” Laura Bates, Everyday Sexism Project.

Inoltre, gli effetti devastanti della pubblicità sessista sulla nostra psiche e quindi sulla nostra salute (un altro tipo di violenza di genere) sono scientificamente dimostrati da decenni: 2002, meta-analisi di 25 studi riporta che la maggioranza delle adolescenti si sente significativamente peggio rispetto al proprio corpo dopo aver visto le immagini di donne proposte dai media; 2008, meta-analisi di 77 studi riporta che l’esposizione ai media è fortemente legata ai problemi di immagine corporea nelle donne – per capirci meglio, i “problemi” si concretizzano in anoressia, autolesionismo, depressione, stress e persino suicidio, eccetera eccetera. Un solo dato: dal 1970 i disturbi alimentari nelle donne sono aumentati del 400%.

“Le donne e le bambine si paragonano a queste immagini ogni singolo giorno. E il fallimento di assomigliare ad esse è inevitabile, poiché sono basate su una perfezione che non esiste.” Jean Kilbourne, ricercatrice universitaria, documentarista, conferenziera, scrittrice.

Infatti le foto dei corpicini senza testa e senza volto – culi, i culi sono sufficienti a definire le donne – sono abbondantemente ritoccate per rimuovere da esse ogni traccia di umanità (i pubblicitari considerano queste tracce “difetti”) e dar loro girovita impossibilmente stretti e pelle luminosa da incontri ravvicinati del terzo tipo. Spesso sono pure “candeggiate”, per così dire, perché il modello proposto è stato pensato come ideale per i (ricchi) consumatori occidentali, ma si è rapidamente diffuso a livello globale: creando un proficuo mercato di creme sbiancanti e tinture ossigenanti che succhia via autostima e soldi a donne di tutto il mondo.

Quindi, signor committente e signori pubblicitari, la mia sensibilità è perfettamente a posto: sono le mie ovaie che girano a paletta.

Maria G. Di Rienzo

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leghista detto tutto

“Galeotto fu Facebook e chi lo scrisse,

quel giorno cancellai post e carriera”

Se la lingua italiana non gli risultasse un po’ ostica, così potrebbe parafrasare Dante il cremonese Pietro Burgazzi, consigliere leghista e ora non più segretario locale del partito.

La sua stimata e venerabile “opinione” è che le “sardine nere per difendere i diritti di clandestini e immigrati” sono puttane. Non simpatiche e liberate e trasgressive “sex worker”, badate bene, proprio troie e basta, che è visione condivisa nella Lega sulle donne in genere – in particolar modo su quelle disobbedienti ai dettami patriarcali, quelle che si situano in schieramenti politici avversari e naturalmente quelle di carnagione più scura.

Com’è consueto in questi casi, anche Burgazzi non ha capito perché così tante persone abbiano trovato rivoltante la sua esternazione. Dopotutto, quando si trova fra simili, il sentimento di disprezzo verso le donne è concorde. Citando dai giornali, ha subito pubblicato “lo screenshot di un commento sessista contro le donne di destra di un utente social” con il commento: “Questa è l’intelligenza della sinistra, poi cercano nei nostri post postille per attaccare la destra”.

Secondo la stampa la sua pagina social è “infarcita di post simili” a quello sulle giovani in manifestazione, il che rende quello in discussione semplicemente uno dei tanti e non proprio una “postilla” – la quale è una breve annotazione a un testo, messa ai margini o fra le righe a mo’ di chiarimento, e non descrive quanto pubblicato da Burgazzi.

Tuttavia, se vogliamo scandagliare le pagine FB di cittadini qualsiasi, come ha fatto il signore suddetto, vedremo che il sessismo e l’odio per le donne sono ampiamente trasversali agli schieramenti politici. Per questo prima dicevo “tra simili”, intendendo una vastissima porzione dei possessori della coppia di cromosomi XY. Ciò non gli consente comunque di giustificarsi dicendo più o meno che “la sinistra fa le stesse cose”, giacché: a) la responsabilità è personale; b) un aderente a un partito di sinistra o una persona che si dice di sinistra non equivalgono, come “peso” mediatico e relativa ricaduta sociale, a qualcuno che rivesta cariche di partito; c) storicamente, rispetto alle lotte femministe, la sinistra ha spesso manifestato ritardi e incomprensioni, ma è anche vero che solo la sinistra ha appoggiato molte di tali lotte.

Però voglio venire incontro a Burgazzi dimostrandogli che può trovare affinità anche con persone da cui si sente distantissimo. Dia per esempio un’occhiata a quel che fa il sig. Bello FiGo, un giovane di colore dalla profondità di pensiero e dalla modestia davvero uniche. I quotidiani riportano la sua prodezza più recente con questo titolo: “L’ultima provocazione di Bello FiGo: video hot nell’Università di Pisa”. Il video lo ho girato senza autorizzazione nelle aule di Economia all’Università di Pisa e lo ha chiamato “Trombo a facoltà” – geniale, eh? Che novità, che provocazione! E’ la solita pagliacciata con modelle seminude sculettanti attorno a un uomo, la solita sceneggiata sessista, la solita fiera dell’oggettivazione femminile che abbiamo visto (e che continuiamo nostro malgrado a vedere) migliaia di volte su ogni media a disposizione.

Il razzismo non dovrebbe tenere distanti questi due. Dovrebbero invece trovarsi al bar, a ribadire davanti a una birra che le donne sono tutte zoccole e mera carne da trombare, restando completamente ignari – proprio come gli allegri redattori con il loro entusiasta hot! hot! hot! – di come questo alimenti la violenza contro le donne.

Maria G. Di Rienzo

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