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leghista detto tutto

“Galeotto fu Facebook e chi lo scrisse,

quel giorno cancellai post e carriera”

Se la lingua italiana non gli risultasse un po’ ostica, così potrebbe parafrasare Dante il cremonese Pietro Burgazzi, consigliere leghista e ora non più segretario locale del partito.

La sua stimata e venerabile “opinione” è che le “sardine nere per difendere i diritti di clandestini e immigrati” sono puttane. Non simpatiche e liberate e trasgressive “sex worker”, badate bene, proprio troie e basta, che è visione condivisa nella Lega sulle donne in genere – in particolar modo su quelle disobbedienti ai dettami patriarcali, quelle che si situano in schieramenti politici avversari e naturalmente quelle di carnagione più scura.

Com’è consueto in questi casi, anche Burgazzi non ha capito perché così tante persone abbiano trovato rivoltante la sua esternazione. Dopotutto, quando si trova fra simili, il sentimento di disprezzo verso le donne è concorde. Citando dai giornali, ha subito pubblicato “lo screenshot di un commento sessista contro le donne di destra di un utente social” con il commento: “Questa è l’intelligenza della sinistra, poi cercano nei nostri post postille per attaccare la destra”.

Secondo la stampa la sua pagina social è “infarcita di post simili” a quello sulle giovani in manifestazione, il che rende quello in discussione semplicemente uno dei tanti e non proprio una “postilla” – la quale è una breve annotazione a un testo, messa ai margini o fra le righe a mo’ di chiarimento, e non descrive quanto pubblicato da Burgazzi.

Tuttavia, se vogliamo scandagliare le pagine FB di cittadini qualsiasi, come ha fatto il signore suddetto, vedremo che il sessismo e l’odio per le donne sono ampiamente trasversali agli schieramenti politici. Per questo prima dicevo “tra simili”, intendendo una vastissima porzione dei possessori della coppia di cromosomi XY. Ciò non gli consente comunque di giustificarsi dicendo più o meno che “la sinistra fa le stesse cose”, giacché: a) la responsabilità è personale; b) un aderente a un partito di sinistra o una persona che si dice di sinistra non equivalgono, come “peso” mediatico e relativa ricaduta sociale, a qualcuno che rivesta cariche di partito; c) storicamente, rispetto alle lotte femministe, la sinistra ha spesso manifestato ritardi e incomprensioni, ma è anche vero che solo la sinistra ha appoggiato molte di tali lotte.

Però voglio venire incontro a Burgazzi dimostrandogli che può trovare affinità anche con persone da cui si sente distantissimo. Dia per esempio un’occhiata a quel che fa il sig. Bello FiGo, un giovane di colore dalla profondità di pensiero e dalla modestia davvero uniche. I quotidiani riportano la sua prodezza più recente con questo titolo: “L’ultima provocazione di Bello FiGo: video hot nell’Università di Pisa”. Il video lo ho girato senza autorizzazione nelle aule di Economia all’Università di Pisa e lo ha chiamato “Trombo a facoltà” – geniale, eh? Che novità, che provocazione! E’ la solita pagliacciata con modelle seminude sculettanti attorno a un uomo, la solita sceneggiata sessista, la solita fiera dell’oggettivazione femminile che abbiamo visto (e che continuiamo nostro malgrado a vedere) migliaia di volte su ogni media a disposizione.

Il razzismo non dovrebbe tenere distanti questi due. Dovrebbero invece trovarsi al bar, a ribadire davanti a una birra che le donne sono tutte zoccole e mera carne da trombare, restando completamente ignari – proprio come gli allegri redattori con il loro entusiasta hot! hot! hot! – di come questo alimenti la violenza contro le donne.

Maria G. Di Rienzo

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1° settembre 2019 – “Milano, uccide la moglie a coltellate dopo anni di violenze: l’aveva già aggredita con la benzina”.

La copertura di Repubblica è breve – e scritta male, ma questo ormai è scontato – la riporto integralmente: “L’omicidio di Adriana Signorelli, 59 anni, trovata uccisa a coltellate nella sua casa all’ottavo piano di un palazzo popolare in via San Giacono, alla periferia di Milano, per il cui omicidio è stato fermato il marito, Aurelio Galluccio, 65 anni, è arrivato dopo una serie inenarrabile di violenze subite da lei e dai suoi famigliari durata anni. Galluccio è stato subito arrestato per tentato omicidio per aver cercato di investire gli agenti della Volante che erano intervenuti sul posto, ma gli investigatori della Squadra Mobile hanno lavorato per acquisire elementi che lo riconducessero con certezza al femminicidio.”

Si tratta di uno solo degli episodi di violenza contro le donne in cronaca ieri e si può commentarlo a partire da svariate angolature, ma sicuramente non così:

“Per un po’ non voglio sentire parlare di matrimonio eterosessuale, famiglia tradizionale e individui di sesso maschile.”

Perché? Perché sebbene i tre soggetti menzionati abbiano a livello concettuale e pratico legami innegabili con la violenza di genere, non sono predestinati a produrla. Avere una relazione con un uomo non significa automaticamente subire pestaggi o perdere la vita; essere un uomo non significa automaticamente esercitare violenza e uccidere.

E neppure, avendo rivestito ruoli istituzionali, è lecito commentare così:

“Solidarietà ai parenti / amici della vittima e a tutte le donne. Sono orgoglioso di aver inasprito le pene per chi attacca le donne e per aver fermato la violenza di genere in Italia. Se il Pd vuole riportarci indietro e ha nostalgia del “delitto d’onore” lo dica chiaramente agli italiani.”

Perché? Perché la violenza di genere in Italia è viva e vegeta e per quanto si inaspriscano le pene se le sue radici non sono affrontate e recise è solo destinata a continuare; inoltre il Pd (e nessun altro partito) non ha a che fare direttamente con il femicidio in questione e usare l’accaduto in questo senso è solo sciacallaggio.

In cronaca, il 1° settembre, c’era anche questo: “Torino, rivolta nel centro di permanenza, ferito un poliziotto. Arrestato un marocchino: ha precedenti per violenza e resistenza a pubblico ufficiale.” Il poliziotto ha lesioni gravi a una mano – trenta giorni di prognosi – e forse dovrà essere operato: è ovvio che la sua sofferenza umana ha la nostra solidarietà e il nostro rispetto. Ma i pezzi sono costruiti attorno a ciò che lui stesso ha pubblicato in merito sulla sua pagina Facebook e in essi nulla è dettagliato sulla rivolta stessa (i giornalisti non ci spiegano come, quando e perché è accaduta).

“Per un po’ non voglio sentire parlare di comprensione, integrazione e accoglienza”, scrive il membro delle forze dell’ordine. E per quanto comprensibilmente, sbaglia. La sua frattura scomposta alla mano non è il segno che chiunque parli di comprensione, integrazione e accoglienza non sa di cosa parla ne’ è il risultato inevitabile dell’interazione con stranieri: l’agire violenza non è un tratto ascrivibile in modo generalizzato alla condizione di migrante.

“(…) mentre i ‘signori’ della politica fanno il gioco delle poltrone, – continua il post – facendo a gara a chi di loro si rivela essere il più capriccioso, in questi Centri di Permanenza e Rimpatrio ad ogni turno si sfiora la tragedia e prima o poi – credetemi – qualcuno si farà male sul serio”. A me risulta che in passato migranti ambosessi si siano già fatti male molto sul serio in tali centri: in effetti ci sono morti. Tuttavia il rilievo del poliziotto è importante, poiché conferma “dal campo” che agenti, personale, volontari e ospiti dei centri sono messi seriamente a rischio dalle condizioni in cui tali strutture esistono e operano. Nell’ultimo anno, la questione immigrazione in Italia l’ha gestita (in modo ignobile) il signore che immediatamente ci regala il suo commento alla vicenda:

“Solidarietà al poliziotto e a tutte le forze dell’ordine. Sono orgoglioso di aver inasprito le pene per chi attacca le donne e gli uomini in divisa e per aver fermato l’immigrazione clandestina. Se il Pd vuole riportarci indietro e ha nostalgia del business dell’invasione, lo dica chiaramente agli italiani.”

Un’aggregazione di menzogne, autoincensamento e propaganda che il sig. Salvini poteva ampiamente risparmiarsi.

Maria G. Di Rienzo

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E’ uscito il mese scorso il rapporto “Peoples under Threat 2019: The role of social media in exacerbating violence” – “Popoli minacciati 2019: il ruolo dei social media nell’esacerbare la violenza”, a cura di due organizzazioni pro diritti umani britanniche: Ceasefire – Centre for Civilian Rights e Minority Rights Group International.

report 2019

https://reliefweb.int/sites/reliefweb.int/files/resources/PUT-2019-Briefing-with-spread.pdf

Di seguito, un brano tratto dalla presentazione del lavoro (trad. Maria G. Di Rienzo).

“In molte parti del mondo, atrocità a vasto spettro e altri abusi dei diritti umani continuano a minacciare le popolazioni, in special modo quelle che appartengono a gruppi minoritari e genti indigene. Mentre il raggio dei social media si espande sempre più dilagando globalmente, così fa il suo impatto in contesti ove genocidio, omicidi di massa o violenta repressione sistemica accadono o sono a rischio di accadere.

La situazione delle nazioni in cima all’indice di “Peoples under Threat 2019” illustra come, caso per caso, i social media giochino un ruolo importante nell’incoraggiare l’assassinio. Le piattaforme social ora occupano un posto centrale nel stigmatizzare i gruppi indicati come bersaglio, nel legittimare la violenza e nel reclutare gli assassini.

La disinformazione deliberata, false accuse e disumanizzazione dei gruppi presi di mira comprese, è stata nei secoli una caratteristica durevole del conflitto. Ma nell’era dei social media, il processo è accelerato a un livello senza precedenti.

Il facile accesso ai social media ha dato a ogni razzista violento una potenziale piattaforma pubblica, e l’anonimato dei social media ha dato agli Stati la capacità di incubare e incitare odio attraverso i confini. Narrative di conflitto, teorie di cospirazione e visioni estremiste trovano velocemente una casa sulle piattaforme dove ogni voce compete per avere attenzione e le voci moderate e il linguaggio misurato necessari per la costruzione di pace sono sovrastate.

Leader politici, gruppi ribelli, attivisti e comuni cittadini hanno tutti usato i social media come attrezzo comunicativo. Persino nelle società più fragili e divise ove l’accesso a internet resta minimo, come il Sudan del Sud, il ruolo dei social media sta crescendo, mentre gli scenari mediatici tradizionali si trasformano rapidamente. Il devastante conflitto in Siria, d’altra parte, in cui le piattaforme social sono usate da tutte le parti in causa e video caricati su YouTube hanno ricevuto milioni di visualizzazioni, è stato ripetutamente descritto come “guerra di social media”.

I social media promettono di influenzare sempre di più come il conflitto e gli episodi di violenza sono percepiti, le loro traiettorie e i modi in cui si risponde a essi. Nessuna società divisa o contesto di conflitto può essere compreso senza considerare come i social media sono usati da una gamma di attori statali e non statali. In effetti, i critici hanno accusato le ditte proprietarie dei social media di accettare scarsa responsabilità quando l’uso delle loro tecnologie serve a fomentare divisione e violenza in società instabili o interessate da conflitti.

Molti indicano il Myanmar – dove le Nazioni Unite hanno chiesto alle autorità di rispondere alle accuse di genocidio – come l’esempio più crudo del collegamento fra i social media e il commettere atrocità. Là il linguaggio disumanizzante e l’aperto incitamento all’omicidio di massa furono amplificati via Facebook e Twitter, contribuendo alla vasta presa di mira della comunità musulmana Rohingya. Nello scorso novembre. Facebook rilasciò un rapporto che aveva commissionato in relazione all’uccisione dei Rohingya, il quale concludeva che “Facebook è diventato un attrezzo per coloro che cercano di diffondere odio e causare danni.” Ma mentre la compagnia riconosceva che “possiamo e dovremmo fare di più”, Facebook e altre corporazioni proprietarie di social media continuano a fare affidamento sull’auto-regolamentazione, basandosi quasi del tutto sulla moderazione in linea con “gli standard comunitari” – un approccio che si è dimostrato miseramente inefficace quando ha dovuto confrontarsi con campagne organizzate, e a volte sancite ufficialmente, di odio violento.

“Peoples under Threat” attira la dovuta attenzione su numerosi altri casi in cui, nel contesto di spaccature sociali, instabilità politica e insicurezza, i social media rischiano di esacerbare o di pavimentare la via a violenta repressione sistemica e omicidi di massa. In molti dei paesi ove il rischio di atrocità di massa è più pronunciato, la gioventù che ci fare con internet supera il resto della popolazione. Dove infuriano mortali conflitti armati, dalla Libia all’Afghanistan, i combattenti spesso hanno un fucile in una mano e un cellulare nell’altra: gli obiettivi fotografici di quest’ultimo sono trasformati in armi nella guerra di propaganda che unisce i campi di battaglia e il cyberspazio.

(…)

Ma i social media possono anche giocare un ruolo positivo. Nel far circolare informazioni di valore, possono fornire un servizio pubblico. Molte piattaforme sorvegliano i movimenti di eserciti e insorgenti, come il gruppo FB libanese “Sentiero Sicuro” che indirizza chi lo usa a evitare determinate strade su cui si danno combattimenti. In questo stesso modo i civili possono essere guidati verso località in cui ricevere aiuto umanitario.

Il dialogo che oltrepassa le divisioni sociali può essere facilitato dai social media, che possono spostare attitudini, promuovere la comprensione fra gruppi che non hanno altro modo di comunicare, effettuare un’operazione di ingegneria inversa sulle condizioni di ostilità e violenza.

Fornendo l’opportunità a basso costo per l’acquisizione, la confezione e la circolazione delle informazioni, i social media sono cruciali per portare e condividere testimonianza, per dare documentazione delle violazioni delle leggi umanitarie internazionali e diffondere ampiamente contenuti che incitano all’azione gruppi per i diritti umani e organizzazioni internazionali. I social media possono giocare un ruolo nel mettere fine alla passività e all’impunità, assicurando responsabilità e riparazione per le violazioni. (…)

Il sostegno di lunga data alla libertà di espressione è stato sovvertito in un’estesa accettazione sociale delle espressioni dell’estremismo violento. I governi si sono dimostrati universalmente non all’altezza dei loro obblighi di proteggere non solo la libertà di espressione ma anche di proibire ogni “patrocinio dell’odio nazionale, razziale o religioso che costituisca incitamento alla discriminazione, all’ostilità o alla violenza”, come richiesto dalla Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici (Articolo 20(2)).”

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Ultima ora

Vi informo che ho presentato formale lamentela alla sezione legale di Facebook, il mio caso è stato registrato (n. 2488242) e attendo sviluppi. Questa è la traduzione di quel che ho scritto loro in inglese:

“Gentili Signori,

il mio nome è Maria G. Di Rienzo, sono una scrittrice, formatrice alla nonviolenza, attivista antiviolenza e giornalista italiana che il vostro settore gestionale nel mio Paese continua a molestare con il bando del mio blog su WordPress.

Non ho mai avuto un account FB ed è assai probabile che non lo avrò mai. Non c’è nulla di cui possiate lamentarvi rispetto ai vostri “standard” nel mio blog, nulla che li contravvenga, nulla di osceno o di volgare, nulla di contrario alla legge.

Voglio perciò che Facebook smetta di infangare il mio nome e la mia attività. So di non essere nessuno e so di non avere qualsivoglia influenza sul web perciò, per piacere, capitelo anche voi e mettete fine alle pagliacciate dei vostri colleghi italiani.

Con i migliori saluti, Maria G. Di Rienzo”

Sarà un caso, ma il bando è già stato revocato. Spero di non dover più scrivere niente in materia.

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Piantatela

Gentili signori / signore che in quel di Facebook maneggiate le richieste di “blocco” di pagine appartenenti ad altre piattaforme: mi sto stancando.

https://lunanuvola.wordpress.com/2019/02/09/un-milligrammo-di-differenza/

Credevo che il mese scorso vi foste presi la briga di controllare questo blog e aveste visto l’ovvio, cioè che non vi è in esso alcuna violazione dei vostri “standard” – tra l’altro molte vostre pagine li violano in lungo e in largo nella vostra completa indifferenza.

Adesso, è evidente che qualcuno trova “offensivo” non quel che scrivo, ma chi io sono (una femminista, una giornalista, una scrittrice, una storica, un’attivista antiviolenza, una trainer alla nonviolenza): dovreste però sapere che questi sono meramente fatti suoi, non vostri ne’ miei, e agire di conseguenza.

In questa situazione, in cui impedite ad altri di condividere i miei articoli a me, di fatto, non è data alcuna possibilità di controbattere, e voi non vi sforzate neppure di dare un’occhiata ai miei contenuti: basta il primo che passa e storce il naso e correte a cercare di soffocare la mia voce.

Devo informarvi che sto trovando altamente offensivo il vostro comportamento. Voglio sapere quali articoli sono segnalati, per quale motivo, perché un mese fa avete deciso di esservi sbagliati e avete tolto il blocco e perché ripetete l’errore senza aver fatto tesoro dell’esperienza precedente.

Voglio sapere se questa manfrina si ripeterà ogni mese nel tentativo di farmi gettare la spugna.

Voglio sapere se alberga in voi il minimo di civiltà necessario a chiedermi scusa per questo insulto continuato e a impegnarvi a non ripeterlo, giacché io non ho NIENTE di cui vergognarmi. E voi, come chi vi ha segnalato il suo falso turbamento, lo sapete benissimo.

Maria G. Di Rienzo

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Ci siete tutte/i

Ehilà sodali, sembra che in quel di Facebook si siano resi conto che questo blog non è una succursale dell’inferno (meglio tardi che mai), per cui vi è di nuovo permesso condividerne i contenuti.

So che in molti vi siete mobilitati a mio favore – non ne dubitavo – e vorrei ringraziarvi: in particolare Chiara, Alessandra, Nicoletta, Giovanni e Gianluca (voi sapete chi siete) – persone splendide che mi sono care da tempo e per un’infinità di motivi.

Ma ognuno/a di voi ormai sa di avere un posto nel mio cuore: lo rammendate quando si strappa un po’, lo fate respirare quando sta soffocando e lo riempite di idee e di storie grazie alle quali continua ostinatamente a pulsare.

Lo vedete qui sotto? Ci siete tutte/i. Ancora grazie.

Maria G. Di Rienzo

flower heart

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Mie care e miei cari, oggi ho scoperto – grazie all’uomo di casa – che siete state/i tutti “puniti” da Facebook per aver condiviso tramite le vostre pagine articoli di questo blog. Non potete più farlo, infatti: se ci provate vi sarà detto che il mio spazio qui non risponde agli standard di FB.

Ho dato un’occhiata agli “standard” per precauzione (io non ho un account e non lo avrò mai), ma sapevo già che non avrei trovato NIENTE nei miei scritti o nelle mie traduzioni che potesse contravvenirli e infatti NIENTE c’è.

So anche, dalle esperienze altrui, che basta avere un amico fra i “controllori” di un social media o organizzare un po’ di segnalazioni farlocche per ottenere il bando: Facebook, sebbene abbia detto in passato che l’andazzo sarebbe cambiato, non verifica se le segnalazioni abbiano fondamento o no.

La cosa è vieppiù ridicola se si considerano il volume di traffico di questo blog, che registra di media sui 150/200 contatti al giorno, e il numero di condivisioni: ho un unico post che superava le 10K prima del bando e parla di un’ecologista polacca scomparsa nel 2007. In pratica, sono la Signora Nessuno, ma evidentemente c’è chi vuole la sparizione persino del milligrammo di differenza che opero sul web.

Ora, a me di Facebook non può importare di meno, ma voi (credo in stragrande maggioranza) le pagine FB le avete, assieme al diritto di condividere i miei articoli se volete farlo, giacché qui non c’è nulla che inciti all’odio o che esalti o propaghi violenza, ne’ una sola immagine che possa essere classificata come disturbante / violenta / pornografica ecc.

Perciò, vi sarei molto grata se diceste a Facebook che non accettate questa censura nei vostri confronti.

Maria G. Di Rienzo

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Violenza contro le donne? I giornali, in ordine cronologico, dicono…

Futili motivi e raptus – 20 settembre 2014: donna muore per numerose coltellate all’addome sferrate dal marito, che aggredisce anche il figlio 28enne di lei.”

(…) l’uomo è scappato, ma poco dopo si è costituito presentandosi al commissariato di polizia e dicendo di aver avuto un raptus durante una discussione nata per futili motivi.”

“Sembra che i due litigassero perché lui non accettava che lei volesse lasciarlo.”

21 settembre 2014: donna in prognosi riservata per le martellate in testa ricevute dal convivente a Giugliano, nel napoletano.

“L’aggressione al culmine di una lite per futili motivi. (…) Ha tentato la fuga dopo aver colpito alla testa la convivente con un martello mentre in casa erano presenti i due figli minori della coppia, una 15enne ed un bambino di 6 anni.”

23 settembre 2014: donna uccisa a coltellate, a Palazzolo sull’Oglio in provincia di Brescia, presumibilmente dall’irreperibile marito, che ha anche prosciugato il conto corrente ed acquistato un biglietto aereo prima di scomparire. Due figli di 7 e 5 anni.

“(…) avrebbe voluto lasciare il marito con il quale da tempo non andava più d’accordo. I vicini riferiscono di continue liti, di un rapporto burrascoso.”

“Sarebbe stato il marito, al termine di un violento diverbio a colpire la moglie.”

I futili motivi si accumulano sino a che un uomo non può che impugnare una lama o un martello, devastato dal raptus. Figuriamoci se le motivazioni dei litigi fossero state “serie”. In più, acclarato in due dei casi su tre, lei voleva lasciarlo: e lui l’ha fatta a pezzi, chissà come mai questa sciagurata non voleva più stare con un uomo del genere???

Errare è umano – 23 settembre 2014: donna uccisa a coltellate dal convivente a Canino, nel viterbese.

“(…) è stata colpita più volte al torace dal convivente che credeva avesse una relazione extraconiugale. Dopo l’omicidio ha ammesso di essersi sbagliato.”

“Era convinto che la sua compagna avesse un altro. Ma (…) si era sbagliato. Purtroppo se n’è accorto lunedì sera soltanto dopo aver massacrato a coltellate la fidanzata, (…) morta alle 23 sull’ambulanza che la stava portando d’urgenza all’ospedale.”

Purtroppo si è accorto tardi dell’errore, che sfortuna eh? Se invece la convivente avesse avuto un’altra relazione, massacrarla a coltellate era del tutto normale…

Inoltre, extraconiugale si riferisce ad una relazione esterna ad un matrimonio: qui il matrimonio non c’è.

Cuore di babbo – 25 settembre 2014: donna uccisa a coltellate dal marito, pregiudicato e alcolista, a Casella nel genovese. Due figli di quattro e tre anni, presenti in casa durante l’omicidio.

“È stato lui stesso a chiamare i carabinieri. A cui ha detto: ‘Mi raccomando il biberon e i biscotti per i bambini’.”

“Avevo paura che lei mi lasciasse ma soprattutto che mi togliessero i miei bambini come mi era già successo una volta”, ha confessato ai carabinieri.”

“Ho già una figlia da un precedente matrimonio che mi è stata tolta a nove anni dopo il divorzio. Avevo paura che in caso di separazione da mia moglie, anche questa volta mi venissero tolti i bambini per i piccoli problemi che ho avuto con la giustizia. Non sarei riuscito a vivere senza di loro.”

Per questo gli ha scannato la madre, giusto? Perché li ama. Come avranno fatto a togliergli la figlia di nove anni, a un papà così affettuoso e affidabile?

“Per la moglie, invece, nemmeno una parola di pietà: ‘La sopportavo da vent’anni’.”

La moglie assassinata aveva 30 anni. Vi siete chiesti come mai la sopportava da 20?

Inoltre: “Ha ucciso la moglie con una coltellata al cuore durante una lite, poi ha chiamato i carabinieri e si è costituito.”

No, ha tentato di soffocarla e poi ha usato due coltelli con i quali ha sferrato sette colpi: uno dei quali al cuore, in cui una lama è rimasta infilzata. La verità fa un po’ meno “povero papà bistrattato e travolto dal raptus”, che ne dite?

Lei lo tradiva – 26 settembre 2014 (donna e uomo uccisi a coltellate in ascensore, a Roma, dal marito di lei. La coppia aveva cinque figli, di cui uno disabile.)

“Un uomo poco dopo le 18 ha accoltellato a morte la moglie e l’amante della donna.”

“Secondo le prime ricostruzioni, sarebbe stato lo stesso assassino a telefonare al 112 dicendo: “Ho ucciso mia moglie e il suo amante”.

“(…) avrebbe ucciso la moglie e l’amante perché ossessionato dalla loro relazione”.

Sull’esistenza di questa relazione non c’è che la parola dell’omicida.

Fondamentale – 2 ottobre 2014 (ritrovato cadavere – tagliato in due – di una donna “scomparsa” da tre mesi: nello scantinato della sua abitazione a Ivrea. Il marito che aveva denunciato la sparizione si è in seguito suicidato.)

“Fondamentale, per il ritrovamento del corpo, l’utilizzo di pastori tedeschi specializzati nella ricerca di resti umani e tracce ematiche. Si tratta di due cani del gruppo cinofilo di Malpensa.”

Bravi i pastori tedeschi, ma sapere che vengono da Malpensa non è per niente “fondamentale”, anzi: è inutile.

Se io fossi la vostra caporedattrice, cari “professionisti”, vi divertireste davvero: a rendicontare fiere paesane e tornei di calcetto. Maria G. Di Rienzo

intelligent life

Sono appena tornato dalla Terra e non c’era traccia di vita intelligente… però ammetto di aver ispezionato solo le redazioni dei quotidiani e facebook.

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L’idea che questo tipo di discorso d’odio sia del tutto normale deve finire ora. Internet è uno spazio pubblico, uno spazio reale; è sempre di più dove interagiamo socialmente, facciamo il nostro lavoro, organizziamo le nostre vite e ci impegniamo in politica, e la violenza online è violenza reale. L’odio delle donne negli spazi pubblici online sta raggiungendo livelli epidemici ed è ora di mettere fine alla pretesa che ciò sia accettabile o inevitabile.”

Laurie Penny, dal suo “Cybersexism: Sex, Gender and Power on the Internet” (e-book, si trova su Amazon)muro del rispetto per le donne - 1974

Prendete questa storia. Miri Mogilevsky è una femminista con un blog:

http://freethoughtblogs.com/brutereason

Nel corrente mese di ottobre 2013, appare una pagina Facebook – il cui autore resta coraggiosamente anonimo – con questo titolo: “Miri Mogilevsky dovrebbe essere uccisa?”

Spiegazione letterale delle motivazioni: la donna in questione “non permette post sulla sua pagina se non li vuole. Ciò è suo diritto: si tratta di una pagina privata e tale pratica non viola i diritti altrui alla libera espressione. Questa pagina, tuttavia, non è controllata da Miri Mogilevsky, che essendo però una sostenitrice della libertà di parola, sicuramente sosterrà il diritto ad esistere di questa pagina.” (le ripetizioni sono dell’autore)

I contenuti/commenti più “leggeri” sono di questo genere: “Non dovremmo infrangere la legge. Invece, dovremmo far campagna, tramite i legali metodi costituzionali affinché la legge cambi e diventi legale uccidere Miri Mogilevsky. Alternativamente, dovremmo rendere legale la richiesta che Miri Mogilevsky si ammazzi da sé.”

Altre femministe, fra cui Rebecca Watson ( http://skepchick.org/author/rebecca/ ) se ne accorgono prima della donna presa a bersaglio: “Abbiamo detto della pagina a Mogilevsky, per la sua sicurezza, e le abbiamo mandato gli screenshot perché li inoltri alla polizia, e abbiamo segnalato la pagina come molestia.” Ma Facebook fa sapere di non aver trovato nulla che “violi i loro standard”. Cioè: per Facebook, nell’ottobre che essi dichiarano essere il mese del contrasto al bullismo, una pagina che discute se uccidere o no una donna non è assolutamente una molestia o una minaccia.

Naturalmente le femministe e i loro alleati non si arrendono e parte la campagna: continuando a segnalare la pagina a FB, su Change.org, tramite Twitter, ecc. Infine, la pagina sparisce: senza una parola da parte di Facebook, per cui a tutt’oggi non si sa se la cancellazione sia stata volontaria o meno.

Ora: per quale motivo dobbiamo essere costrette a “vivere” online tenendo sempre (simbolicamente) il braccio alzato per parare i colpi? Vogliamo redigere l’ennesimo elenco di “cosa le donne non devono fare” e dare a loro la colpa e la responsabilità per la violenza che le investe? E’ chi apre pagine come quella summenzionata che deve piantarla, è chi inonda la rete di parole e immagini sessiste, degradanti, minacciose e violente che deve cambiare il proprio comportamento. Non Penny, non Miri, non Rebecca, e non io. Parola chiave su cui gli odiatori possono cominciare a riflettere: RISPETTO. Maria G. Di Rienzo

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(“An Open Letter to Facebook”, di Soraya Chemaly, Jaclyn Friedman e Laura Bates, 21 maggio 2013. Trad. Maria G. Di Rienzo. Ma come? Non eravamo solo Boldrini e io a dare i numeri?)

Noi firmatarie/firmatari della presente scriviamo per chiedere un’azione veloce, estesa ed efficace che maneggi la rappresentazione di stupro e violenza domestica su Facebook. Nello specifico chiediamo a voi, Facebook, di intraprendere tre azioni:

1. Riconoscere i discorsi che trivializzano o glorificano la violenza contro bambine e donne come discorsi di odio e impegnarvi a non tollerare tali contenuti

2. Addestrare efficacemente i moderatori a riconoscere e rimuovere i discorsi di odio basati sul genere.

3. Addestrare efficacemente i moderatori alla comprensione che le molestie online hanno un effetto diverso su donne e uomini, in parte dovuto alla pandemia della violenza contro le donne nel mondo reale.

A questo fine, stiamo chiedendo agli utenti di Facebook di contattare chi fa pubblicità su Facebook e i cui annunci appaiono accanto a contenuti che usano le donne come bersagli di violenza, affinché chiedano alle compagnie commerciali di ritirare i loro annunci pubblicitari su Facebook sino a che voi non intraprenderete le azioni succitate per bandire i discorsi di odio basati sul genere sul vostro sito.

Specificatamente, ci stiamo riferendo a gruppi, pagine ed immagini che esplicitamente condonano o incoraggiano stupro o violenza domestica, o suggeriscono di riderne o di vantarsi al proposito. Pagine che attualmente sono su Facebook includono “Fly Kicking Sluts in the Uterus”, “Kicking your Girlfriend in the Fanny because she won’t make you a Sandwich”, “Violently Raping Your Friend Just for Laughs”, “Raping your Girlfriend” e molti, molti altri. Immagini che appaiono su Facebook includono fotografie di donne picchiate, piene di lividi, legate, drogate e sanguinanti con didascalie del tipo: “Questa cagna non sapeva quando chiudere il becco” e “La prossima volta non restare incinta”.

Tali pagine ed immagini sono approvate dai vostri moderatori, mentre voi rimuovete regolarmente contenuti come fotografie di donne che allattano, di donne che hanno subito una mastectomia e le rappresentazioni artistiche di corpi di donne. Inoltre, il discorso politico delle donne, che comprende l’uso dei loro corpi in modi non sessualizzati per protesta, è regolarmente bandito come pornografico mentre i contenuti pornografici – banditi dalle vostre stesse linee guida – restano al loro posto. Sembra che Facebook consideri la violenza contro le donne meno offensiva delle immagini nonviolente dei corpi delle donne, e che le sole rappresentazioni accettabili della nudità femminile siano quelle in cui le donne appaiono come oggetti sessuali o come vittime di abusi. La vostra pratica usuale di permettere tali contenuti affiancandovi un avviso (umoristico) letteralmente tratta la violenza che ha per bersaglio le donne come una barzelletta.

La più recente stima globale – http://saynotoviolence.org/issue/facts-and-figures – dalla campagna delle Nazioni Unite “Say No UNITE” dice che la percentuale di donne e bambine che hanno fatto esperienza di violenze durante le loro vite è pari ora ad un intollerabile 70%. In un mondo in cui così tante bambine e donne saranno stuprate o picchiate durante le loro vite, permettere la condivisione di contenuti in cui ci si vanta e si scherza sullo stuprare e battere donne, contribuisce alla normalizzazione della violenza domestica e sessuale, crea un’atmosfera in cui i perpetratori sono più inclini a credere di farla franca, e comunica alla vittime che non saranno prese sul serio qualora denuncino.

Secondo una ricerca dell’Home Office in Gran Bretagna, una persona su cinque pensa sia accettabile che un uomo, in determinate circostanze, colpisca o schiaffeggi la moglie o la fidanzata come risposta al suo essere vestita in modo sexy o rivelatore in pubblico. E il 36% pensa che una donna dev’essere ritenuta totalmente o in parte responsabile se viene assalita o stuprata mentre è ubriaca. Tali attitudini sono formate, in parte, dall’enorme influenza delle piattaforme sociali come Facebook e contribuiscono a gettare il biasimo sulle vittime e a normalizzare la violenza contro le donne.

Nonostante quel che Facebook dichiara, e cioè di non essere coinvolto nello sfidare le norme e di non censurare ciò che le persone dicono, voi avete in funzione procedure, limiti e linee guida comunitarie che interpretate e applicate. Facebook proibisce i discorsi di odio e i vostri moderatori maneggiano ogni giorno contenuti che sono violentemente razzisti, omofobici, islamofobici, antisemitici, ogni giorno. Il vostro rifiuto di maneggiare allo stesso modo i discorsi di odio basati sul genere marginalizza ragazze e donne, mette da parte le nostre esperienze e le nostre preoccupazioni, e contribuisce alla violenza contro di noi. Facebook è un’enorme rete sociale con più di un miliardo di utenti al mondo, il che rende il vostro sito estremamente influente nel dar forma a norme e comportamenti sociali e culturali.

La risposta di Facebook alle molte migliaia di lamentele e di richieste di affrontare tali questioni è stata inadeguata. Non avete rilasciato una dichiarazione pubblica che affrontasse la faccenda, non avete risposto agli utenti preoccupati, ne’ implementato politiche che migliorino la situazione. Avete, anche, agito in modo incoerente in relazione alla vostra politica di bando delle immagini, rifiutando in molti casi di rimuovere immagini offensive di stupro e violenza domestica quando venivano riportate, ma cancellandole immediatamente non appena i giornalisti le menzionavano nei loro articoli, e ciò convoglia il forte messaggio che voi siete assai più preoccupati di agire sulla base di casi singoli e di proteggere la vostra reputazione, anziché dell’effettuare un cambiamento sistemico e di prendere una posizione chiara e pubblica contro la pericolosa tolleranza di stupro e violenza domestica.

In un mondo in cui centinaia di migliaia di donne sono assalite giornalmente e in cui la violenza da parte di un partner intimo resta una delle cause principali di morte per le donne al mondo, non è possibile stare alla finestra. Chiediamo a Facebook di prendere l’unica decisione responsabile e di intraprendere un’azione veloce, estesa ed efficace sulla questione, accordando la vostra linea di condotta su stupro e violenza domestica ai vostri stessi principi di moderazione e linee guida.

Distinti saluti,

Laura Bates, The Everyday Sexism Project http://www.everydaysexism.com/

Soraya Chemaly, scrittrice ed attivista

Jaclyn Friedman, Women, Action & the Media (WAM!) http://womenactionmedia.org/

Angel Band Project http://www.angelbandproject.org/

Anne Munch Consulting, Inc. http://www.annemunch.org/

Association for Progressive Communications Women’s Rights Programme

http://www.apc.org/en/about/programmes/womens-networking-support-programme-apc-wnsp

Black Feminists http://www.blackfeminists.org/

The Body is Not An Apology http://www.thebodyisnotanapology.com/

Breakthrough http://breakthrough.tv/

Catharsis Productions http://www.catharsisproductions.com/

Chicago Alliance Against Sexual Exploitation http://caase.org/

Collective Action for Safe Spaces http://www.collectiveactiondc.org/

Collective Administrators of Rapebook https://www.facebook.com/StopRapebook

CounterQuo http://counterquo.org/

End Violence Against Women Coalition http://www.endviolenceagainstwomen.org.uk/

The EQUALS Coalition http://www.weareequals.org/

Fem 2.0 http://www.fem2pt0.com/

Feminist Peace Network http://www.feministpeacenetwork.org/

The Feminist Wire http://www.thefeministwire.com/

FORCE: Upsetting Rape Culture http://upsettingrapeculture.com/

A Girl’s Guide to Taking Over the World http://www.agirlsguidetotakingovertheworld.co.uk/

Hollaback! http://www.ihollaback.org/

Illinois Coalition Against Sexual Assault http://www.icasa.org/

Jackson Katz Mentors in Violence Prevention http://www.jacksonkatz.com/aboutmvp.html

Lauren Wolfe http://www.womenundersiegeproject.org/

Media Equity Collaborative

MissRepresentation http://www.missrepresentation.org/

No More Page 3 http://nomorepage3.org/

Object http://www.object.org.uk/

The Pixel Project http://www.thepixelproject.net/

Rape Victim Advocates http://www.rapevictimadvocates.org/

Social Media Week http://socialmediaweek.org/

SPARK Movement http://www.sparksummit.com/

Stop Street Harassment http://www.stopstreetharassment.org/

Take Back the Tech! https://www.takebackthetech.net/

Tech LadyMafia http://www.techladymafia.com/

Time To Tell http://www.timetotell.org/

The Uprising of Women in the Arab World

V-Day http://www.vday.org/

The Voices and Faces Project http://www.voicesandfaces.org/

The Women’s Media Center http://www.womensmediacenter.com/

Women’s Networking Hub http://www.womensnetworkinghub.com/

The Women’s Room http://thewomensroom.org.uk/

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