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Posts Tagged ‘ascolto’

(lettera e testamento: devo essere a breve operata agli occhi e sto scrivendo con gran fatica – mi scuso per gli eventuali errori dovuti a ciò.)

Capisco. La comunicazione “social media style” in voga è così veloce-effimera che ascoltare, riflettere, acquisire informazioni ed elaborarle è difficile. Di più: lo si stima noioso e sorpassato.

Quindi, per incapacità o per volontà, un numero enorme di persone battibecca e non discute, fa battute e passa oltre (l’argomento del giorno scade talmente in fretta da suscitare il legittimo sospetto che sia adulterato a priori), riduce a tifoseria da stadio ogni platea e taglia con l’accetta del noi/loro qualsivoglia argomento.

Ripeto, questo lo capisco: ma oltre a non aver intenzione di adeguarmi ciò che davvero non comprendo è perché agiscano in tal modo quelli e quelle che da tale modalità non guadagnano niente. La notizia stupirà qualcuno, tuttavia fatevi forza e accettate il fatto che la maggioranza degli esseri umani non lavora nell’ambito marketing yourself / shaming others – definibile con il neologismo “itagliese” payed rincoglioned autoincensing.

Meno comprensibili ancora sono coloro che apparentemente riconoscono la situazione (Bufale.net) e però si rivolgono agli altri così:

“Analizza la situazione, anziché fare l’ultras: Fedez c’ha il cu*o al caldo ed è vero: influencer, marito della Ferragni, imprenditore, rapper. Non vive come me e te in un bilocale (anzi, nemmeno quello), non conta i centesimi a fine mese e non posta da uno smartphone riadattato, è verissimo. Però tutto questo se lo è costruito, non è che lo ha ottenuto ieri e ha lottato per ottenerlo, fra lavoro e amore. E ora può far sentire la sua voce gestendo le conseguenze di esse.” (era “essa”, presumo).”

Vedi, miserabile stronzo, tu non sei riuscito a costruire niente, lavoro e amore ti sono andati a rotoli perché non hai lottato abbastanza o non hai lottato “bene” – e nemmeno ti sei procurato gli amici “giusti” che ha lui: finanziatori, banchieri, azionisti e cialtroncelli disposti a dar spettacolo per costoro a mo’ di giullari di corte. Come se si potesse arrivare ad essere ricchi sfondati con la lotta, il lavoro e l’amore, che al massimo costituiscono il cv e il saldo del conto corrente di innumerevoli attivisti / attiviste per il cambiamento sociale su tutto il pianeta. E come se arrivare ad essere ricchi sfondati giustificasse la piramide sociale dell’esclusione.

Ora, lo so che la prossima citazione è stata strombazzata dalla destra per screditare quanto il rapper ha detto sul palco del Concertone, su cui non ho nulla da eccepire, ma non resta per questo meno problematica:

“Mi interessa che Tiziano Ferro abbia fatto outing / Ora so che ha mangiato più würstel che crauti / Si era presentato in modo strano con Cristicchi / Ciao sono Tiziano, non è che me lo ficchi?”. Le spiegazioni dell’autore sono ugualmente motivo di perplessità: 1) il pezzo si chiama “Tutto il contrario” ed esprime quindi il contrario di quel che lui pensa; 2) ha cambiato idea, proprio come Salvini (che le cambia velocissimamente); 3) era giovane.

Converrete che convivono male: rivendico, abiuro, non mi assumo responsabilità perché ho scritto ‘sta roba quando ero innocente e ignorante. Trovo inadeguato conferire a costui la palma di paladino dei diritti umani: domani potrebbe cambiare di nuovo idea. Io scrivevo anche da adolescente proprio come lui, ma non ho mai partorito stronzate del genere. L’idea per cui non esistono inferiori da sbertucciare non l’ho cambiata mai e me vanto.

Inoltre, per la milionesima volta: l’outing te lo fanno gli altri (Tizio è una checca, gne gne gne!) – quando esci tu (Sono Tizio e sono gay, e allora?) si chiama coming out. E questa è la spia del perché trovo inadeguato anche porgli in capo la corona d’alloro di difensore della comunità lgbt: conoscerà individui che ne fanno parte, ma sembra ignorare storia e istanze relative ad essa. Preferisco, gusti personali, che il pavimento me lo aggiusti un piastrellista piuttosto di uno che dice: “Sì dai, lo faccio io, ho visto online un video sul reparto piastrelle di Leroy Merlin! Poi te lo racconto su Instagram! Solidarietà al gres porcellanato! Click, like, money money money!!!”

Poi, mi ripeto ancora a beneficio degli estrapolatori di parole che faticano troppo a seguire un discorso intero, tutto quel che ha detto il 1° maggio era vero – non concordo sulle modalità espressive, ma questa è di nuovo questione di gusti – ed era stato detto da parecchie persone prima di lui e persino meglio di lui: sono quelle di cui sopra, con lotta – lavoro – amore in attivo, prive però dell’amplificatore mediatico a disposizione del rapper influencer imprenditore e quant’altro.

Una seconda vicenda che ha (per certi versi incredibilmente) sofferto della mancanza di ascolto e della comunicazione frammentata – vacua – fulminea da web è stata quella relativa a Rula Jebreal e al suo annuncio via social che avrebbe annullato la partecipazione già concordata a “Propaganda Live”, per correttezza e fedeltà ai suoi principi che non prevedono l’essere l’unica donna in un parterre di ospiti composto da uomini (sebbene le fosse già capitato, come hanno notato in molti/e). Diego Bianchi e compagnia sono cascati dalle nuvole, si sono arrampicati sugli specchi (ci sono due giornaliste fisse in studio, cerchiamo le persone per le loro competenze al di là del loro sesso, abbiamo preso il Diversity Media Award ecc.) e io credo che tutti i protagonisti di questa vicenda fossero in buona fede, una buona fede che ha però come fondamenta una notevole superficialità.

E’ possibile che Jebreal durante la conversazione telefonica di ingaggio, per così dire, non abbia chiesto chi altri era presente quella sera? Io sono la Signora Nessuno, di solito chiamata a tener conferenze e incontri a titolo gratuito, però lo faccio – e se la compagnia non mi piace spiego direttamente agli organizzatori perché non potranno contare su di me. Sono femminista da oltre 45 anni. Cerco di comportarmi come un civile essere umano da quando ne ho memoria e con chiunque: peccato che tale attitudine mi torni sempre meno indietro… anche e soprattutto da molte persone che considero “alleate” o “vicine”. Con costoro mi sembra di essere passata da The times, they are a’changin a The times have changed for the worst.

Comunque, come probabilmente saprete io non ho la tv: spesso però vedo “Propaganda Live” online la mattina successiva alla sua messa in onda. Venerdì prossimo questa sua stagione si chiude, perciò mi permetto di chiedere a chi crea e gestisce il programma se nella prossima qualcosa può davvero cambiare nell’attitudine diretta alle donne. Numeri a parte, che come vi hanno ribadito sono pure importanti (chi non c’è non si vede e non si sente), vi illustro dei piccoli esempi. Mi piacerebbe:

1. che Marco Damilano – dopo aver puntualmente ricordato come qua e là ci fossero donne, quando ha incontrato Tizia, cosa ricorda di Caia – non scendesse dal palco dopo un’ultima frase a effetto del tipo “Il mondo degli uomini”. Sono una outsider, lo so, ma questo mondo è anche mio e non sono un uomo. Ogni tanto mi piacerebbe fare brevemente esperienza dell’inclusione;

2. che Marco D’Ambrosio Makkox facesse una ricerca su quante bambine / ragazze / donne si tolgono la vita dopo aver sperimentato innumerevoli aggressioni dirette ai loro corpi non conformi; dopo, decida lui se per prendere in giro Meloni una frase del genere è accettabile: “Ricordo che da bambina a scuola tutti mi bullavano perché ero cicciona… compresi quindi la sofferenza dei discriminati perché diversi… e fu allora che decisi di diventare fascista!”.

Gli altri paragoni usati nel fumetto (pubblicato da L’Espresso) mettono a confronto situazioni che oggettivamente non sono paragonabili per magnitudo – per dirne una, dar fuoco per sbaglio alla casa e capire “chi fugge dopo aver perso tutto”: l’effetto comico sta proprio in questo. Però le “ciccione bullate” come Beatrice Inguì

https://lunanuvola.wordpress.com/2018/04/06/senza-tregua/ – si buttano sotto il treno a 15 anni e a me non fa ridere;

3. che l’ospite fisso Memo Remigi riflettesse sul rispondere con icone di applausi e pollici alzati al genio che gli scrive su Twitter: “Per incrementare le vaccinazioni suggerirei, per il periodo estivo, alle infermiere che se lo possono permettere, di indossare mascherina e grembiule trasparenti sopra un bikini”. Perché chi decide cosa io mi posso o non posso permettere, in base a quali parametri e in forza di quale investitura da mio giudice?

Il corpo di una donna NON è un luogo pubblico, non è arena di dibattito per gli uomini quali esseri superiori – consumatori – acquirenti e le donne costituiscono comunque la metà della gente che deve vaccinarsi: e guardate che suggerire un trattamento simile (con l’infermiere “figo” a torso nudo e slippini ripieni) non solo non guarisce alcuna ferita ma è impossibile. Le posizioni di potere e di legittimazione da cui donne e uomini partono sono troppo diseguali. Persino Benni rinunciò, a suo tempo, dopo aver ipotizzato di sbottonare gli abiti delle infermiere per far entrare i pazienti in sala operatoria in ottime condizioni di spirito (“Elianto”): “Era allo studio un analogo trattamento per le degenti donne”. E allo studio è rimasto e rimarrà ancora a lungo, giacché la portata dell’oggettivazione dei corpi delle donne è così enorme e pervasiva, così intessuta di discriminazione e violenza, da non permettere paragoni.

Come ho detto all’inizio l’ascolto prende tempo, può essere faticoso e persino doloroso, ma se vogliamo capirci, vivere insieme e fare di questo mondo il “mondo degli uomini e delle donne”, qualcosa che valga la pena lasciare alle future generazioni, credetemi: non abbiamo altra scelta.

Maria G. Di Rienzo

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Non sarebbe bello se, una volta ogni tanto, lo schema cambiasse? Se l’omofobo, il razzista, il misogino o sessista di turno, fosse indotto a riflettere dalle rimostranze che seguono le sue esternazioni e invece della solita manfrina – sono stato frainteso, ho un sacco di amici stranieri e gay e amo le donne, state creando polemiche per avere visibilità – dicesse solo, per esempio, “Va bene, vi ascolto, parliamone.”? Vedete bene che non gli sto chiedendo di scusarsi immediatamente e di cambiare di colpo atteggiamento: considerato quanto le sue attitudini sono avallate e rinforzate a livello sociale e persino politico una repentina sincera “conversione” è per forza di cose “più rara di un corvo bianco” (Giovenale). E a chi riveste ruoli pubblici, a chi vive di denaro pubblico, a chi è esposto sui media e quindi si rivolge a un gran numero di persone, non sto proponendo l’ascolto come cortesia perché lo ritengo un suo dovere.

“16 gennaio 2020: Sanremo, polemica sulle donne “molto belle” di Amadeus. – Con l’hashtag #boycottSanremo i social si scatenano contro Amadeus, il suo Sanremo e la conferenza stampa di due giorni fa in cui, presentando cinque delle dieci donne che saliranno sul palco dell’Ariston ha detto: “Ovviamente sono tutte molto belle“. Poi, riferito alla modella Francesca Sofia Novello: “(…) ero curioso… questa ragazza molto bella, ovviamente sapevamo essere la fidanzata di un grande Valentino Rossi, ma è stata scelta da me perché vedevo… intanto la bellezza, ma la capacità di stare vicino a un grande uomo stando un passo indietro malgrado la sua giovane età.”

Al sig. Amedeo Sebastiani, in arte Amadeus, diverse donne hanno spiegato diffusamente e con precisione cosa trovano inaccettabile:

1) la narrazione per cui la “bellezza” – e cioè il gradimento allo sguardo maschile – è indispensabile all’esistenza stessa di una donna.

“Sia mai che qualche ragazza che vi guarda con occhi sognatori dalla provincia di Varese pensi che una donna nel 2020 possa fare l’imprenditrice senza passare per Temptation Island o che possa fare la giornalista di successo senza sfoderare il suo davanzale ai quattro venti in prima visione. (…) Continuiamo pure a raccontare alle donne che per fare carriera devono prima pensare a farsi belle, magari trovarsi un fidanzato ricco e famoso.” Imen Boulahrajane, economista.

2) la lode al “ruolo di servizio” e all’invisibilità sacrificale delle donne.

“Sanremo? Il prossimo anno facciamo fare ad Amadeus un passo indietro e mettiamo a condurre una donna!”, Paola De Micheli, ministra delle Infrastrutture.

“Ci meritiamo Amadeus noi donne? Che non esistiamo con il nostro Nome e Cognome, ma brilliamo di luce riflessa in quanto: fidanzate di, mogli di, compagne di… E apprezzate perché buone buone stiamo un passo indietro rispetto al Maschio per non eclissarlo: ovvio.” Gabriella Rocco, giornalista.

Hanno spiegato che pagare il canone Rai per ricevere tale trattamento non è ammissibile. Hanno contestato la formula “uomo (anziano) al centro della scena circondato da giovani donne”. Hanno chiesto un diverso tipo di rappresentazione, più rispettoso della dignità e soprattutto della realtà delle donne. Purtroppo, il sig. Sebastiani sembra non aver capito nulla – ed è partita la consueta solfa autoassolutoria:

Un bel po’ di donne si sono risentite? Be’, l’offeso sono io!

“Questa polemica mi offende. Io ho enorme rispetto per le donne. L’appellativo di sessista non lo accetto. È un’accusa senza senso.” Non sento, non vedo, però parlo.

La mia sensibilità e la mia attenzione per i temi femminili sono dati acclarati!

… “come possono testimoniare mia moglie, mia madre e mia figlia”. Ehm. Se poi chiedete alla suorina che si prendeva cura di lui all’asilo o alla maestra delle elementari riceverete altre conferme. Anche una prozia paterna aveva un’ottima opinione di lui, ma purtroppo è molto avanti con l’età e non si ricorda più chi diamine è ‘sto tizio. Io ho invece una domanda: quale moglie? La prima – madre della figlia – o la seconda “showgirl e ballerina” di quindici anni più giovane di lui, che su Canale 5 ha dato dimostrazione di incredibili capacità attoriali interpretando il personaggio di “Giovanna, la moglie di Amadeus”?

Sono stato malevolmente frainteso, alla fidanzata di Valentino Rossi (e a tutte le altre) ho fatto solo complimenti e lei mi ha ringraziato.

“L’ho detto male? Forse dovevo dire ‘un passo di lato’ invece di ‘un passo indietro’? Ok. Ma da qui all’insulto sessista ce ne passa.”

Se alla modella Francesca il quadro in cui è stata inserita piace va benissimo, nessuna glielo sta rimproverando: quel che in molte stanno dicendo è che il quadro è una crosta, che sono stanche di essere “apprezzate” perché sono BELLE e perché stanno IN DISPARTE o ZITTE. E’ questo a essere sessista, signor conduttore.

Diversità? Ma ce n’è a palate! Parleremo persino di violenza, mannaggia, che altro volete???

“Di presenze femminili al festival ce ne saranno di diversissime, (…) ognuna di loro porterà sul palco la sua sensibilità, ci saranno momenti di svago, di divertimento, di musica, di leggerezza, ma anche spunti di riflessione sui temi sociali. (…) Ci sarà spazio anche per testimonianze di persone comuni: ho invitato Gessica Notaro (la showgirl riminese sfregiata dall’acido nel 2017 dall’ex fidanzato Edson Tavares) e ci sono buone probabilità che venga.”

Mi permetto di dissentire: a) perché pare proprio che per avere accesso al palco sia necessario essere conformi agli standard relativi ai complimenti suddetti (solo BELLE, e se sono tali lo giudicano gli uomini); b) perché ciò è confermato dalla scelta di Notaro, che “persona comune” non è.

Intendiamoci, la sua storia è terribile e la sua sofferenza merita solo rispetto. Ma per portare qualcuna a testimoniare la violenza sulle donne il sig. Sebastiani ha dovuto farla prima passare per le forche caudine dell’appeal : una Laura Rossi qualsiasi, magari cinquantenne, non sarebbe andata bene, ma l’ex Miss Romagna, cantante e modella e ballerina che “dalle sue piattaforme social ha fatto sapere di aver ritrovato la fiducia negli uomini e la voglia di amare” è perfetta. La sua presenza non porrà alcuna critica alla narrazione dominante che vuole la violenza di genere un problema relativo a singoli uomini (lasciati, depressi, disoccupati, immaturi, prede di raptus, ecc.) anziché strutturale quale esso è. Non che mi aspettassi altre scelte. Dopotutto, Sanremo ce lo offre il “servizio pubblico” televisivo italiano che ha una lunga e disgraziata storia di lottizzazioni, per cui l’intelligenza e la profondità devono sgomitare parecchio per fare capolino.

Una domanda, per chiudere, ai giornalisti che hanno coperto la vicenda: infilare in pezzi sul sessismo il fatto che Amadeus è “tra l’altro testimonial per la lotta contro la sclerosi multipla”, cosa diamine c’entra? E’ una cosa positiva, ma purtroppo non lo rende un campione dell’eguaglianza di genere.

Maria G. Di Rienzo

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Ascoltami davvero

(“Trouble is not my middle name” di Liz Lochhead, poeta – drammaturga – traduttrice scozzese contemporanea nata nel 1947. Liz è stata la Makar, o Poeta Nazionale, della Scozia dal 2011 al 2016; è indipendentista, sostenitrice della causa palestinese e femminista: “Il femminismo è come passare l’aspirapolvere, devi semplicemente continuare a farlo”.)

Liz Lochhead

Guaio non è il mio secondo nome.

Non è quel che io sono.

Non sono nata per questo.

Guaio non è un luogo

sebbene io ci sia dentro più profondamente che nel più fitto dei boschi

e ne uscirei (chi non lo farebbe?) se potessi.

La speranza è ciò che non ho all’inferno –

non senza del buon aiuto, ora. Potresti

ascoltare, ascoltare intensamente e bene

quel che non posso dire se non tramite quel che faccio?

E quando dici che lo faccio per cattiveria

è vero sino a questo punto:

lo faccio per la cattiveria agita contro di me prima

di ogni cattiveria che io rivolgo a te.

Difficile dipanare ciò.

Ma tu puoi aiutarmi. Allenta

tutti questi nodi e ascolta davvero.

Non posso dirtelo chiaramente ma, se ti importa,

allora – al di là di tutto il male e il dolore –

la vera speranza c’è.

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Si alzi il cielo.

Dobbiamo volare sopra la terra, sopra il mare.

Il destino si rivela e se moriamo, si ergono le anime.

Dio, per favore non cogliermi, fino alla vittoria.

(“Till Victory” – Patti Smith)

Nella mia rassegna stampa (internazionale) oggi è spuntato di nuovo questo filo rosso: pornografia / abusi e stupri di bambine.

In Malesia un dodicenne aveva preso l’abitudine di assorbire un po’ di video pornografici su internet e poi mettere in pratica quel vedeva su una bimba di quattro anni, a cui sua madre faceva da babysitter: l’ha stuprata tre volte prima che se ne accorgessero, nonostante la bambina si lamentasse del dolore ai genitali.

In Gran Bretagna, un 48enne similmente aficionado dei video pornografici online deriva da essi l’idea di una “sfida”: filmare segretamente ragazzine (minorenni) sotto la doccia e farla franca. Diciamo che ha raggiunto questo nuovo traguardo per la virilità parzialmente, visto che l’hanno beccato con un bel po’ di filmati sul cellulare.

Insomma, non c’è dubbio che la pornografia sia divertente, innocua e sano svago per tutti: basta con il perbenismo! Avete idea di che danni fa all’industria del sesso? (Sì, purtroppo nessuno.)

E poi c’è l’Italia: “Roma, militare accusato di abusi sulla figlia di 9 anni in caserma: in macchina conservava le mutandine da bambina”. Non solo, aveva in auto anche due dvd molto particolari: un cartone animato dai contenuti pedopornografici, “Il parco delle sevizie”, e un filmato dal titolo “Violenza paterna”.

La figlia di costui – maresciallo 38enne dell’esercito – ha oggi 14 anni ed è ospite di una casa famiglia assieme ai due fratelli. I bambini sono infatti stati allontanati anni fa dai genitori, entrambi militari, perché non accuditi e testimoni di continua violenza. Adesso, la ragazzina ha raccontato il resto e il processo a carico di suo padre è in corso. Come da copione, l’uomo la accusa di raccontare balle: “Sono solo fantasie, ritorsioni di mia figlia perché la sgridavo”.

Ma il tizio che vorrei scuotere come uno shaker (in maniera pacifica e nonviolenta, ovviamente), nella speranza che le sue sinapsi tornino a funzionare, è lo psicologo della struttura in cui la fanciulla si trova.

“Prima di raccontare il dramma vissuto la bambina viveva di camuffamenti. – ha detto costui – Sosteneva che non voleva stare dal padre perché in caserma la lasciava troppe ore davanti alla tv. Perché si annoiava. In quel periodo, essendo all’oscuro di tutto, l’ho anche spronata ad avvicinarsi al padre, per ricucire il rapporto.”

La ragazzina non ce l’ha comunque fatta a DIRE. Spesso, lo psicologo dovrebbe saperlo, per le vittime va così. Ha dovuto usare disegni e lettere per spiegare la situazione. Perché l’uomo che le ha fatto del male, un male la cui cicatrice resterà comunque con lei per sempre, è quello di cui si fidava di più, quello che amava di più, quello a cui doveva la vita. Perché quando da bambina subisci abusi da parte dei tuoi genitori ti senti in torto, sbagliata e cattiva. Taci sia per non sbandierare la tua colpevolezza e vergognarti ancora di più, sia perché se osi aprire solo di un millimetro la bocca al proposito sei a rischio di ritorsioni e immediatamente etichettata come bugiarda.

Adesso che non è più “all’oscuro di tutto”, all’esimio specialista è sorto qualche dubbio sul suo operato? Immagina come si è sentita la sua paziente mentre lui la “spronava” ad accettare un uomo violento, a “riavvicinarsi” al suo carnefice? Era preoccupato che la ragazzina urtasse i delicati sentimenti paterni di un genitore incapace e pericoloso a cui era già stata sottratta?

Prima di raccontare il dramma vissuto la bambina viveva di camuffamenti – Id est, raccontava menzogne, giusto? Dopotutto una femmina è difficile da prendere sul serio, sin dalla più tenera età.

Ma vedete, è strano. Se dici “mio padre mi ha fatto questo” sei una fantasiosa stronzetta che al massimo cerca di vendicarsi per la giusta disciplina imposta dal farabutto con potestà genitoriale, non ti ascolta nessuno e niente niente è colpa di tua madre che ti ha fatto venire la PAS (ciò è a discrezione di psicologi – giudici serenamente ignoranti, visto che dal punto di vista scientifico la cosiddetta “sindrome” in questione ha credibilità ZERO). Se dici “non voglio vederlo perché… mi annoio” – e, ripetiamo, sei stata tutelata con l’allontanamento da tale individuo – inganni immediatamente il terapeuta maschio che ti ascolta: sei sempre una stronzetta, intendiamoci, ma solo superficiale e bisognosa di incoraggiamento a ricucire rapporti.

Poiché ho subito da bambina questo stesso trattamento, e sono passati molti molti anni, il vederlo ancora all’opera è per me insopportabile. E’ il momento in cui mi chiedo se tutto quel che è stato fatto, in decenni di attivismo femminista, per cancellare questa infamia è stato inutile. Mi chiedo persino se io stessa sono inutile. E’ come tentare di risalire un abisso aggrappandosi a una corda fatta di filo spinato. FA MALE. Ma non è stato inutile, non lo è tuttora, e io non mollo la presa, non mollo, scordatevelo. Fino alla vittoria.

Maria G. Di Rienzo

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Luce di torcia

Selene

Waaswaaganing, di Selene G. Phillips – in immagine, particolare di una foto di Cultural Survival, settembre 2018 – trad. Maria G. Di Rienzo

un’

aquila si solleva in volo

grilli si accoppiano

cicale friniscono

rami di pino oscillano

del legname galleggia, qualche volta

i

gufi vanno in picchiata

libellule indugiano

ali di farfalle si chiudono

onde lambiscono la riva ancora, ancora

lucciole danzano su una nuvola di mezzanotte

qualche

orso vacilla

tartarughe traballano

linci rosse ringhiano

lupi vagano

un cervo balza e corre

tramonti e albe fanno un giro completo

procioni rubano con i loro occhi da bandito

mentre

ogni cosa scintilla

rospi e rane fanno cra cra

onde gentili levigano pietre di lago

la roccia medicina è giusto sopra il pelo dell’acqua

l’isola delle fragole e betulle si ergono e

spiagge di sabbia si spremono fra le mie dita dei piedi mentre io affondo

nel

brusio

di

casa

Nella traduzione “l’albero” creato dall’Autrice risulta meno perfetto, ma vi assicuro che nell’originale quel che si vede a colpo d’occhio è un pino. Selene Phillips fa parte del popolo nativo americano Ojibwe e vive a Waswaganing, una riserva indiana nel Wisconsin che ha lo stesso nome (inglesizzato) della sua poesia: “luce di torcia” o anche, per estensione, “il luogo in cui si pesca con la luce delle torce”. Lavora come assistente universitaria di Comunicazione e vanta svariati riconoscimenti nei campi del giornalismo, degli studi sui popoli nativi e del teatro. Perché scrive versi l’ha spiegato proprio in versi:

“La poesia è”

Del tutto semplicemente

la poesia è

un esercizio di ascolto

di ciò che non viene detto

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Voce

rasha

(“Voce”, di Rasha Omran, trad. Maria G. Di Rienzo. Rasha è una delle poete, intellettuali e attiviste per il cambiamento sociale e politico più note in Siria. La poesia è stata scritta in modo da formare la parola “sawt”, che significa “voce” o “rumore”. La calligrafia usata si chiama “diwani jali”, è un tipo di corsivo per la lingua araba che fu in auge durante il 15°/16° secolo nell’Impero Ottomano.)

rasha voce

Lui non ha detto nulla. Sono stata io, che ho scelto di ascoltarlo.

ascoltare

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(“Gender mainstreaming should be implemented all over Serbia”, intervista a Aneta Dukic di Ida Svedlund per Kvinna till Kvinna, 21 novembre 2013, trad. Maria G. Di Rienzo.)

Aneta

Perché hai cominciato a lavorare per i diritti delle donne?

Nel 2005, una mia collega diede inizio ad un gruppo di studio femminile a Kraljevo. Portò documenti da Belgrado e da Novi Sad che parlavano di femminismo e della posizione delle donne nella società. La cosa mi interessò moltissimo. Alla fine del corso, riempimmo un questionario relativo alle azioni future che avremmo intrapreso a Kraljevo per i diritti delle donne. Molte di noi erano interessate a continuare, e così fondammo Fenomena nel 2006.

Di cosa vi state occupando in questo momento?

Fenomena coopera con le autorità locali per migliorare le condizioni delle donne e per aumentare la loro influenza a Kraljevo e in tutta la Serbia. Al momento siamo concentrare principalmente sul mainstreaming di genere e sull’attivismo per la protezione sociale delle donne che sono esposte alla violenza domestica. Nel passato recente abbiamo lavorato anche sui diritti economici delle donne, ma attualmente non ne abbiamo la capacità. Un grosso problema per noi è ottenere che donne giovani si uniscano all’organizzazione: Kraljevo è una città piccola, senza università, perciò i giovani di solito non restano qui.

Quali sono le tue speranze per il futuro?

Come organizzazione abbiamo bisogno di vedere qualche risultato, di modo da sapere che il nostro piano strategico sta funzionando e che il nostro lavoro sul mainstreaming di genere ha successo. Quest’ultimo è un metodo che dovrebbe essere implementato non solo nella nostra città, ma nell’intero paese.

Cosa ti ispira a portare avanti il lavoro per i diritti delle donne?

La parola chiave, per me, è sostegno. Ne ho bisogno per il mio lavoro e lo sto ottenendo dalla mia famiglia, e sono anche in grado di darlo ad altre donne. Le storie delle donne devono essere ascoltate. Provare empatia l’una per l’altra è la mia visione a questo punto della mia vita.

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