Waaswaaganing, di Selene G. Phillips – in immagine, particolare di una foto di Cultural Survival, settembre 2018 – trad. Maria G. Di Rienzo
un’
aquila si solleva in volo
grilli si accoppiano
cicale friniscono
rami di pino oscillano
del legname galleggia, qualche volta
i
gufi vanno in picchiata
libellule indugiano
ali di farfalle si chiudono
onde lambiscono la riva ancora, ancora
lucciole danzano su una nuvola di mezzanotte
qualche
orso vacilla
tartarughe traballano
linci rosse ringhiano
lupi vagano
un cervo balza e corre
tramonti e albe fanno un giro completo
procioni rubano con i loro occhi da bandito
mentre
ogni cosa scintilla
rospi e rane fanno cra cra
onde gentili levigano pietre di lago
la roccia medicina è giusto sopra il pelo dell’acqua
l’isola delle fragole e betulle si ergono e
spiagge di sabbia si spremono fra le mie dita dei piedi mentre io affondo
nel
brusio
di
casa
Nella traduzione “l’albero” creato dall’Autrice risulta meno perfetto, ma vi assicuro che nell’originale quel che si vede a colpo d’occhio è un pino. Selene Phillips fa parte del popolo nativo americano Ojibwe e vive a Waswaganing, una riserva indiana nel Wisconsin che ha lo stesso nome (inglesizzato) della sua poesia: “luce di torcia” o anche, per estensione, “il luogo in cui si pesca con la luce delle torce”. Lavora come assistente universitaria di Comunicazione e vanta svariati riconoscimenti nei campi del giornalismo, degli studi sui popoli nativi e del teatro. Perché scrive versi l’ha spiegato proprio in versi:
“La poesia è”
Del tutto semplicemente
la poesia è
un esercizio di ascolto
di ciò che non viene detto