Piegherò in due, per il mezzo,
questa lunga notte d’inverno
La ripiegherò per metterla
sotto la tiepida trapunta della brezza primaverile
e tutta la dispiegherò quella sera
in cui il mio amato giungerà
Questa poesia è un “sijo”, un antico tipo di componimento poetico coreano in tre parti (e con 14/16 sillabe per verso, per un totale di 44/46). Il primo verso introduce la situazione, il secondo dà ad essa uno sviluppo o una svolta, ed il terzo conclude con una sorpresa che scioglie la tensione dei versi precedenti e risponde alle domande da essi suscitate. L’autrice del sijo è Hwang Jin Yi, vissuta nel 1500 (chi dice dal 1506 al 1544, chi dal 1520 al 1560).
Cortigiana, poeta, danzatrice, cantante – i sijo erano pensati per essere cantati, non recitati – il suo nome “d’arte” era Myeongwol che significa Luna Splendente. Hwang Jin Yi era una gisaeng o ginyeo, e cioè un’intrattenitrice di proprietà del governo. Oltre a mezza dozzina delle sue poesie, le sono sopravvissute alcune descrizioni da lei fatte delle sue danze, probabilmente destinate ad istruire le gisaeng più giovani.
“I versi delle gisaeng (…) erano rivoluzionari e creativi, sia nei temi sia nei contenuti. Ignoravano la formalità e l’ipocrisia etica del confucianesimo, e lasciavano correre libere le loro nude emozioni. Il linguaggio da esse usato nei poemi era dolce, appassionato, pure grandemente rifinito. In esso vi era una scelta di fresche immagini, di punzecchiature umoristiche e di metafore finemente velate.” Kim Un-song, “100 Classical Korean Poems”, marzo 1986
Rispettabile Byuk Kye-Soo, non vantatevi della vostra prematura partenza
Quando si va per mare, diventa difficile tornare
La Splendente Luna piena sta sopra il vuoto monte
perciò, perché non restate qui a riposare?
(un altro sijo di Hwang Jin Yi, mi sembra evidente che la Luna Splendente è lei stessa)
La storiografia ufficiale coreana non pone molta attenzione alle gisaeng, che pure non hanno nulla di inventato e che furono determinanti in parecchie questioni politiche (giacché il governo le usava anche come “agenti segreti”). La cultura popolare, invece, è zeppa di riferimenti alle loro storie ed ai loro talenti, che comprendevano anche la medicina, la pittura, l’uso di strumenti musicali e il ricamo. La fama di Hwang Jin Yi, una donna di basso status in un’epoca rigidamente gerarchica e brutalmente patriarcale, è qualcosa che non ha paragoni. Era lodata per la straordinaria intelligenza e per un’arguzia affascinante non meno che per la bellezza, e veniva ricercata dai più potenti aristocratici, dagli artisti e dagli intellettuali.
Dalla fine del secolo scorso, la sua storia ha cominciato ad attrarre nuova attenzione in entrambe le Coree. La sua vita è stata descritta in romanzi, film e persino in un’opera lirica. Fra i libri vanno citati quello scritto da Hong Sok-chung nel 2002, il primo romanzo nord-coreano ad ottenere un premio dalla Corea del Sud, e quello sud-coreano scritto da Jeon Gyeong-rin, un bestseller del 2004.
Nel 2006, la stazione televisiva KBS mandò in onda uno sceneggiato su Hwang Jin Yi in 24 puntate, mentre l’anno successivo uscì un film per il grande schermo. Li ho visti entrambi, e anche se è difficile paragonare uno sceneggiato ad un film ho preferito il primo, soprattutto per la straordinaria maestria dell’attrice protagonista, Ha Ji-won, e per la sua tenacia (in duri mesi di training ha imparato a danzare e persino a camminare sulla corda per meglio calarsi nel personaggio).
Ad un video che raccoglie le bellissime performance di danza di Ha Ji-won sono stati accoppiati questi versi, secondo me assai appropriati:
Spero che non perderai mai il senso di meraviglia
Sentiti sazia mangiando, ma non perdere mai quella fame
Possa tu non dare mai per scontato neppure un singolo respiro
E dio non voglia, amore, che io ti lasci mai a mani vuote
Spero che tu ti senta ancora piccola, quando stai di fronte all’oceano
Quando una porta si chiude, io spero che un’altra si apra
Promettimi che darai a ciò in cui credi una possibilità di lottare.
E quando ti si presenterà la scelta di star seduta in disparte, o di danzare,
io spero che danzerai, spero che danzerai.
Spero che non avrai mai paura delle montagne che vedi in distanza
Non prendere mai il sentiero più facile
Vivere può voler dire fare scelte, ma vale la pena di farle
Amare può rivelarsi un errore, ma vale la pena di farlo
Non lasciare che qualche inferno ti pieghi il cuore,
ti lasci amareggiata.
Quando ti senti vicina a mollare tutto, riconsidera,
dai ai cieli sopra di te qualcosa di più di uno sguardo fuggevole.
E quando ti si presenterà la scelta di star seduta in disparte, o di danzare,
io spero che danzerai, spero che danzerai, spero che danzerai.
Spero che tu ti senta ancora piccola, quando stai di fronte all’oceano
Quando una porta si chiude, io spero che un’altra si apra
Promettimi che darai a ciò in cui credi una possibilità di lottare.
E quando ti si presenterà la scelta di star seduta in disparte, o di danzare,
danza.
Io spero che danzerai, spero che danzerai, spero che danzerai, spero che danzerai.
Ignoro di cosa esattamente la Hwang Jin Yi storica sia morta; alcuni indizi puntano verso il suicidio ma può essere che quando la donna reale è diventata leggenda sia stato “più romantico” accoppiare alla sua vita straordinaria una fine tragica e terribile.
Mi auguro, poiché altre sue poesie accennano al dolore di un amore perduto, che in vita abbia avuto amiche ed amici oltre che ammiratori, almeno del tipo che in un altro sijo suggeriva un poeta a lei di poco successivo, Yun Sun-do (1587-1671):
Quanti amici ho? Contali: acqua e roccia, pino e bambù
E la luna crescente sulla montagna ad oriente
Sono così felice quando do il benvenuto ai miei cinque compagni!
Di cos’altro ho bisogno, quando ho ben cinque amici?