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Posts Tagged ‘popoli indigeni’

Il 14 agosto scorso è stato pubblicato sul New York Times un pezzo dal titolo “‘We’ve Already Survived an Apocalypse’: Indigenous Writers Are Changing Sci-Fi”, a firma di Alexandra Alter.

L’articolo parla del modo in cui scrittori nativi americani stanno danno dando nuove forme alla fantascienza e alla fantasy, usando questi generi per parlare (anche) di degrado ambientale, discriminazioni, minaccia di cancellazione culturale – cioè di quel che vivono sulla loro pelle qui ed ora. Alcuni hanno detto che il fantastico permette loro di re-immaginare l’esperienza delle comunità indigene in modi che non sarebbero possibili tramite la fiction “realistica”: le narrazioni sul futuro e i mondi di fantasia forniscono alla scrittura libertà di sperimentare e innovare.

La maggioranza degli autori impegnati in questa avventura sono autrici. Eccone tre:

Cherie Dimaline

Cherie Dimaline (Métis, nata nel 1975, Canada):

“C’è un grande bisogno ora di raccontare storie indigene. L’unico modo per sapere chi sono, cos’è la mia comunità e i modi in cui sopravviviamo e ci adattiamo, è tramite le storie.”

Alcuni lavori di Cherie: Seven Gifts for Cedar (2010), Red Rooms (2011), The Girl Who Grew a Galaxy (2013), A Gentle Habit (2015), The Marrow Thieves (2017), Empire of Wild (2019).

Rebecca Roanhorse

Rebecca Roanhorse (Ohkay Owingeh Pueblo, nata nel 1971, USA, vincitrice dei Premi Hugo e Nebula per la fantascienza):

“Ho messo di proposito cultura, lingua e popoli indigeni nel futuro, nonostante gli sforzi di secoli per cancellarli, di modo che si possa dire “Ehi, i nativi americani esistono” – ed esisteremo in futuro. Siamo già sopravvissuti a un’apocalisse.”

Alcuni lavori di Rebecca: Star Wars: Resistance Reborn (2019), Race to the Sun (2020), Trail of Lightning (2018), Storm of Locusts (2019).

Darcie Little Badger

Darcie Little Badger (Apache Lipan, geoscienziata, nata nel 1987, USA):

“La maggior parte delle volte, quando nei libri il personaggio principale è Apache la storia si svolge nel 1800. E sembra una finzione, la gente pensa che non siamo sopravvissuti, ma lo siamo e stiamo ancora fiorendo.”

Il suo romanzo “Elatsoe” è uscito questo mese: ha per protagonista una ragazza Apache che può destare i fantasmi degli animali morti.

La lista degli altri lavori di Darcie, che scrive anche saggistica e fumetti e ha una particolare attenzione per le tematiche lgbt… è davvero troppo lunga!

Maria G. Di Rienzo

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“Se sei venuto qui per aiutarmi, stai perdendo il tuo tempo.

Ma se sei venuto perché la tua liberazione è legata alla mia, allora lavoriamo insieme.”

lilla watson

Lilla Watson, artista, attivista, femminista, accademica Murri (aborigena australiana) nata nel 1940. Sebbene la frase sia stata da lei pronunciata durante la Conferenza delle Nazioni Unite sulle Donne di Nairobi, nel 1985, Lilla preferisce ne sia data un’origine collettiva, che rimanda ai “gruppi di attivisti aborigeni durante gli anni ’70”.

Nothing about us

“Niente su di noi, senza di noi, è per noi”

Maria G. Di Rienzo

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robin kimmerer - foto di dale kakkak

Robin Wall Kimmerer (in immagine) insegna biologia ambientale alla State University di New York. Nel 2003 uscì il suo libro “Gathering Moss”, una raccolta di saggi in cui raccontava la trascurata storia dei vari tipi di muschi – le piante più antiche del pianeta – e suggeriva di apprendere le loro lezioni di vita, giacché sono sopravvissuti a ogni tipo di catastrofe e di cambiamento climatico e hanno attraversato milioni di anni “dando di più di quel prendono, lavorando in accordo alle leggi naturali, stando vicini e insieme”.

Sette anni fa ha dato alle stampe “Braiding Sweetgrass: Indigenous Wisdom, Scientific Knowledge, and the Teachings of Plants” che è diventato un bestseller grazie al solo passaparola fra lettori/lettrici: 400.000 copie nel nordamerica, mezzo milione di altre copie in giro per il mondo. Come dice il titolo saggezza indigena, conoscenza scientifica e gli insegnamenti delle piante si intersecano come se ne facessimo “trecce di erba dolce” (hierochloe odorata, pianta aromatica sacra per molti popoli nativi americani).

In questi giorni il testo è ristampato in Gran Bretagna, cosa che ha dato a James Yeh del Guardian l’occasione per intervistare l’Autrice. Ecco alcune delle cose che Kimmerer ha detto:

“La maggior parte della gente non vede davvero le piante ne’ capisce cosa ci danno. Perciò il mio atto di reciprocità è stato il mostrare le piante come doni, come intelligenze diverse dalla nostra, perché sono creature straordinarie e creative. Voglio contribuire a renderle visibili alla gente. Le persone non comprendono il mondo come un dono, sino a che qualcuno non mostra loro che è tale.

Quel che i lettori di “Braiding Sweetgrass” mi hanno rivelato è che avevano una profonda nostalgia della connessione con la natura. E’ come se gli individui ricordassero un antico, ancestrale luogo all’interno di loro stessi. Ricordano come potrebbe essere vivere in un luogo ove si prova un senso di affinità e compagnia per il mondo vivente, non di estraniamento.

Il coronavirus ci ha ricordato che siamo esseri biologici, soggetti alle leggi naturali. Questa da sola può essere una scossa. Ma mi domando: riusciamo a un certo punto a spostare l’attenzione sul fatto che la vulnerabilità di cui stiamo facendo esperienza ora è la stessa vulnerabilità che gli uccelli canori percepiscono ogni singolo giorno delle loro vite? Può questa percezione estendere il nostro senso di compassione ecologica al resto dei nostri parenti oltre-umani?

Io credo che quando cambiamo il nostro modo di pensare, all’improvviso cambia il modo in cui agiamo e quello in cui gli altri attorno a noi agiscono: ed è così che il mondo cambia, mutando cuori e mutando menti. E’ contagioso. Io sono diventata una scienziata ambientalista e una scrittrice per ciò di cui sono stata testimone crescendo all’interno di un mondo di gratitudine e di doni.

Un contagio di gratitudine. Sto pensando a come potrebbe essere. Agire in gratitudine, come in una pandemia. Sì, posso vederlo.”

Maria G. Di Rienzo

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(“Repression Against Mapuche Hortaliceras by Chilean Police Continues”, di Aljoscha Karg per Cultural Survival, 14 maggio 2020. Trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)

hortaliceras temuco

Il 4 maggio scorso le misure di isolamento per prevenire la diffusione del Covid-19 sono state tolte nella città cilena di Temuco, collocata nei territori ancestrali della gente Mapuche. Quella che, in effetti, doveva essere una facilitazione affinché segmenti della popolazione potessero giornalmente guadagnarsi da vivere, si è trasformata in una violenta repressione delle forze speciali della polizia cilena contro le hortaliceras (in immagine sopra). Le hortaliceras sono donne Mapuche che per tradizione, da molte generazioni, vendono frutta e vegetali coltivati in orti domestici nelle strade di Temuco. Come dice Rosa Martínez, presidente del gruppo di hortaliceras “Folil Mapu”: “Lavoriamo per tutta la nostra vita nel centro di Temuco, come le nostre madri e le nostre nonne.”

Non è stata la prima volta in cui la polizia cilena ha impiegato violenza contro le venditrici. “La repressione continua ormai da molto tempo – racconta Martínez – ed è il sindaco di Temuco Miguel Becker (del partito di centro-destra Chile Vamos) a darne mandato. Le forze speciali ci maltrattano e ci picchiano mentre gettano i nostri ortaggi nella spazzatura. Noi vogliamo mantenere la nostra cultura, la cultura Mapuche. Siamo piccole coltivatrici, che lavorano la terra seguendo la conoscenza ancestrale. Ora la violenza è peggiorata, le forze speciali ci hanno assalite anche la settimana scorsa.”

Nel mentre il sindaco Becker nega ogni opportunità di dialogo, alcune delle hortaliceras sono paradossalmente accusate di violenza contro la polizia cilena. Allo stesso tempo, non hanno le risorse economiche per assumere avvocati o denunciare gli agenti di polizia che usano forza eccessiva. Perciò, ricapitola Martínez, “Dobbiamo continuare a resistere con quel che abbiamo. Quel che vogliamo è che il nostro lavoro non vada perduto e che la nostra cultura continui a esistere, che si capisca la necessità di una forza lavoro come le hortaliceras o come i piccoli coltivatori che producono frutta e vegetali freschi e organici, e che l’opportunità di continuare a lavorare per noi non si sta avvicinando.”

rosa

(Rosa Martínez)

Alla domanda su cosa può essere fatto per aiutare la causa delle venditrici Martínez chiarisce che le hortaliceras chiedono “sostegno, sostegno morale, sostegno nel senso di comprensione di ciò che vogliamo, nel senso di non essere lasciate sole in questa lotta e che essa è una lotta mondiale.”

Gli atti repressivi della polizia cilena sono in netto contrasto con il fatto che il Cile è firmatario sia della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani sia della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni, in special modo perché quest’ultima asserisce i diritti dei popoli indigeni di proteggere sia le loro culture sia la loro autodeterminazione.

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(“Indigenous, Afro-Honduran communities join together to fight pandemic”, 11 maggio 2020, Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, trad. Maria G. Di Rienzo.)

garifuna - unfpa

Tegucigalpa, Honduras – Nel mentre le nazioni lottano con la pandemia del Covid-19, le comunità indigene e di discendenza africana sono fra le più vulnerabili con molte persone che fronteggiano povertà, scarso accesso alle cure sanitarie e informazioni limitate. In Honduras, membri di queste comunità si stanno unendo per assicurarsi che informazioni e risorse raggiungano i più esposti.

“Dobbiamo essere creativi di questi tempi.”, dice Yimene Calderón, a capo dell’Organizzazione per lo Sviluppo Etnico, che sta lavorando con la comunità Garífuna per aumentare la conoscenza delle misure di controllo dell’infezione e per fornire sostegno alle famiglie in stato di bisogno.

I Garífuna si stanno “mostrando resilienti, facendo affidamento sulla medicina e sul cibo tradizionali, e cercando aiuto e solidarietà per ricevere assistenza dal governo: non individualmente, ma collettivamente, operando come un network.”, lei dice.

Sino ad ora, più di 1.800 casi della malattia sono stati confermati in Honduras. L’esplosione è concentrata lungo la costa nord del paese, dove vive la maggioranza della popolazione Garífuna. Questa comunità ha le sue radici sia in gruppi indigeni sia in gruppi di origine africana. Molte famiglie hanno a capo donne e nonne, con uno o entrambi i genitori che lavorano all’estero per mandare soldi a casa. Come in ogni altra comunità afro-honduregna e indigena, in alcuni quartieri e case manca l’elettricità, l’accesso a internet e l’acqua corrente. L’insicurezza alimentare è comune e molti non sono in grado di accedere a cure sanitarie per la distanza o perché non se le possono permettere.

Molte fonti di reddito – incluse le rimesse, il turismo e il piccolo commercio – sono state gravemente ridimensionate. I più vulnerabili possono non essere in grado di osservare il distanziamento sociale o frequenti lavaggi delle mani e altre misure di prevenzione della malattia. Ma queste comunità si sono anche dimostrate forti e flessibili.

Comunità afro-honduregne e indigene hanno unito i loro sforzi per contenere la diffusione del Covid-19. Lavorando con il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione e con la Pan American Health Organization, hanno tradotto le informazioni sulla prevenzione dell’infezione nella lingua

Garífuna, così come nelle lingue Misquito, Tawahka e Chortí. Queste informazioni sono usate dai lavoratori della sanità, dalle reti delle radio comunitarie, da programmi televisivi e da attivisti per la gioventù al fine di promuovere comportamenti sicuri.

I membri della comunità si stanno anche facendo da soli le mascherine di stoffa. “Abbiamo coordinato numerosi gruppi di discussione con medici, infermieri e personale sanitario nella comunità.”, dice Suamy Bermúdez, un dottore Garífuna che sta lavorando con altri per sviluppare una campagna allo scopo di raggiungere case isolate con accesso limitato alle cure sanitarie.

La campagna fornirà informazioni sulla prevenzione del contagio e le medicine tradizionali, disseminate nelle chat, durante conferenze e con manuali. La campagna affronterà anche la questione dei diritti dei popoli indigeni.

“Storicamente, le popolazioni più vulnerabili dell’Honduras hanno subito segregazione e mancanza di investimento nella sanità. – dice Kenny Castillo, portavoce del Direttorato dei popoli indigeni e afro-honduregni del Ministero per lo Sviluppo e l’Inclusione Sociale – Abbiamo aperto canali per affrontare la situazione, includendovi il dialogo per affrontare non solo l’istanza Covid-19 ma lo scenario posteriore ad essa, dove le comunità dovrebbero avere una posizione forte nel richiedere investimenti su salute e istruzione.”

In aggiunta al suo sostegno all’azione comunitaria, il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione sta lavorando con altri per sostenere politiche che assicurino alle donne indigene e di discendenza africana i diritti a servizi e informazioni su salute sessuale e riproduttiva, all’empowerment e alla prevenzione della violenza.

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kindred spirits

(particolare di una fotografia di Ognyan Yosifov/Alamy)

Il monumento che vedete si trova a Midleton, in Irlanda. Si chiama “Kindred Spirits” (“Spiriti Affini”) e commemora un gesto di solidarietà compiuto dalla nazione nativa americana dei Choctaw nel 1847, durante la “grande carestia” irlandese (1845-1849).

Costoro erano i sopravvissuti del cosiddetto “sentiero delle lacrime”: avevano cioè sofferto nel 1831 la deportazione forzata dai loro territori, assieme a decine di migliaia di nativi di altre tribù, e circa 2.500 di loro erano morti di fame durante le marce forzate.

La notizia che oltre l’oceano un popolo stava soffrendo e veniva decimato dagli stenti allo stesso modo li raggiunse e li colpì al punto che raccolsero offerte per inviarle agli irlandesi: la somma fu di 170 dollari, l’equivalente di più di 5.000 dollari oggi.

Oggi, appunto, il coronavirus ha uno dei suoi peggiori focolai nelle riserve indiane degli Stati Uniti. I motivi sono ancora quelli di un tempo: la scarsità di acqua corrente e di presidi sanitari, con la conseguente presenza di malattie croniche, non sono fattori casuali o collegati in modo intrinseco all’appartenenza a un’etnia, sono i risultati di una politica di espropriazione e dominio – così come espropriazione e dominio (inglesi) inasprirono la carestia in Irlanda, che era cominciata con la distruzione dei raccolti di patate a causa della peronospora.

La nazione Navajo e quella Hopi sono fra i gruppi più duramente colpiti dalla pandemia. Ma gli irlandesi hanno buona memoria. La scorsa settimana la raccolta di fondi a favore dei nativi americani aveva oltrepassato 1 milione e ottocentomila dollari: molte migliaia di essi vengono dall’Irlanda, tanto che gli organizzatori hanno ringraziato pubblicamente il paese.

Lo ha fatto anche Gary Batton, capo della nazione Choctaw dell’Oklahoma: “La tribù è stata gratificata e forse non molto sorpresa nell’apprendere dell’assistenza che ci giunge dai nostri amici speciali, gli irlandesi. Noi siamo diventati spiriti affini con gli irlandesi sin dagli anni della grande carestia. Speriamo che i popoli d’Irlanda, Navajo e Hopi costruiscano la stessa durevole amicizia, come noi abbiamo fatto.”

Maria G. Di Rienzo

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margolyes

L’attrice Miriam Margolyes – in immagine – è nata nel 1941 in una famiglia ebraica. E’ dichiaratamente lesbica e ha una relazione con l’australiana Heather Sutherland dal 1967. E’ una sostenitrice della causa palestinese perché, dice, “Il nostro dovere come esseri umani è testimoniare la verità che vediamo”.

In questo momento Miriam si trova a Londra, nel mezzo della quarantena, ma l’anno scorso ha viaggiato per più di 10.000 chilometri e più di due mesi in Australia allo scopo di realizzare un nuovo documentario della rete televisiva ABC, “Almost Australian”.

I brani che seguono sono tratti da “Miriam Margolyes: ‘The government is utterly deplorable. The world is in chaos’ “, l’intervista che Brigid Delaney le ha fatto per The Guardian il 10 maggio 2020; la traduzione è mia.

“Quello che mi ha sbalordito è che per alcune persone l’economia è più importante della gente e dovremmo uscire dal lockdown e tornare alla normalità. – dice Margolyes – E sembrano perfettamente preparati a sacrificare gli anziani. Questi ultimi sono stati descritti come non importanti per l’economia e come se non dessero alcun contributo.

Una delle cose che devo impedire a me stessa di fare è il leggere i commenti sotto articoli di questo tipo. Quelli del Daily Telegraph sono terrificanti. (…) C’è troppo odio (in Gran Bretagna). Il paese è in uno stato terribile a causa della Brexit e poi del virus. E’ indegno. Non sono contenta dell’Inghilterra. Il governo è totalmente deplorevole.”

Nel documentario citato all’inizio, l’attrice ha parlato con persone affette dalla siccità, persone appartenenti a remote comunità indigene e richiedenti asilo. La giornalista le ha chiesto come ha fatto a entrare in relazione con individui che avevano ogni tipo di retroscena.

“Non mi presento come una celebrità: mi presento come un’amichevole anziana signora. – risponde Margolyes – Sono ancora in contatto con alcune delle persone che ho incontrato per il programma, ci scambiamo e-mail. Tutte le volte in cui faccio cose del genere, non sono oggettiva verso le persone con cui parlo. Devo interagire con loro in modo personale. Non sono una reporter, non ho quel tipo di abilità, ho solo la mia personalità da usare come ponte fra me e le altre persone. E tutto nello show è spontaneo. Non so in anticipo chi incontrerò.”

Prima di accettare l’incarico, Margolyes ha chiesto ai produttori di “Almost Australian” l’assicurazione che le comunità indigene sarebbero state nel programma:

“Ma mi sento ancora turbata dalla relazione fra gli australiani bianchi e le Prime Nazioni. Vorrei che fosse migliore.” Gli australiani possono risentirsi delle critiche, particolarmente di quelle provenienti dagli inglesi, dice l’attrice: “Dicono: Chi diavolo è questa, viene qua, si compra una casa e poi ci getta dentro immondizia? Ma io voglio che l’Australia diventi migliore.”

Maria G. Di Rienzo

Big Fat Adventure

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Poiché lei è la causa per cui pensiamo e creiamo.

Poiché lei è la causa per cui componiamo canzoni.

Poiché lei è la causa per cui i disegni appaiono mentre tessiamo.

Poiché lei è la causa per cui raccontiamo storie e ridiamo.

Noi crediamo in antichi valori e nuove idee.

da “This is how they were placed for us”, di Luci Tapahonso, poeta Navajo, docente universitaria di lingua e letteratura inglese.

La “lei” di cui parla vi è probabilmente già nota per averne letto qui o altrove, è “Changing Woman”, la “Donna Cangiante” che ha un posto assai elevato nel pantheon tribale.

Ne cantano anche

https://www.youtube.com/watch?v=e01OQWOeaVw

le Nizhóní Girls (“nizhóní” significa “belle”), gruppo rock femminile Navajo e Pueblo, composto da Becki Jones alla chitarra, Lisa Lorenzo alla batteria e Liz McKenzie al basso. Le tre trentenni chiamano il loro sound “desert surf”.

Nizhoni Girls

Sono attiviste per i diritti delle donne e dei popoli indigeni, nel 2018 hanno organizzato l’Asdzáá Warrior Fest – un festival per le donne a cui queste ultime hanno partecipato in massa non solo per ascoltare la band ma per discutere di istanze relative alle loro comunità, offrono seminari in cui insegnano gratuitamente musica a bambine/i e ragazze/i, tengono concerti nelle scuole della riserva. Altro? Hanno magliette strepitose (non solo quelle che vedete nell’immagine: la mia preferita è quella con su scritto “Femminista radicale indigena”) e sono indicate come “role models” dalle giovani Navajo e Pueblo.

Antichi valori, nuove idee. Belle, bellissime davvero.

Maria G. Di Rienzo

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Joan

“Nel posto dove vivo, la mia cittadina aveva una disputa relativa al confine con il villaggio adiacente. La decisione su cui ci siamo accordati è che non abbiamo bisogno di marcare un confine e che ambo i villaggi possono usare quell’area senza tracciare una linea. E’ più importante che entrambe le comunità coesistano pacificamente piuttosto che avere un conflitto. In fin dei conti, è più importante la protezione dei nostri territori a livello più ampio. Sino a che viviamo in accordo ai valori dei Popoli Indigeni quali la solidarietà, la cooperazione e il sostegno del bene comune, essi diventano la cornice per risolvere le questioni di confine in maniera pacifica.

E’ tempo che il mondo ascolti i Popoli Indigeni perché abbiamo davvero molto da offrire. Abbiamo continuato a proteggere il nostro pianeta e abbiamo valori positivi nel modo in cui governiamo noi stessi; tali valori sono ciò di cui c’è bisogno a questo punto. Abbiamo necessità di sostenere l’interesse comune. Abbiamo necessità di trasparenza. E dobbiamo aver cura l’uno dell’altro, in special modo di coloro che sono in difficoltà. Dobbiamo avere relazioni di reciprocità con il nostro ambiente di modo da non distruggerlo, ciò è necessario per le generazioni future. Questi sono i valori universali che devono guidare la via per l’ottenimento dello sviluppo sostenibile.”

Joan Carling (in immagine), Kankanaey delle Filippine, ambientalista e attivista per i diritti umani, marzo 2020, trad. Maria G. Di Rienzo.

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Galina Angarova

“Come in molte altre culture indigene, il sacro femminino gioca un ruolo centrale nella visione cosmologica della mia gente, i Buryat (Buriati – Russia), ed è espresso tramite le nostre relazioni, le nostre storie e i nostri modi di vivere. Io provengo da quella che originariamente era conosciuta come società matrilineare. Eravamo le famose guerriere della foresta, riverite come eccezionali cacciatrici e combattenti. Molti di questi tratti sono ancora visibili oggi nelle donne del mio clan. Forti, indipendenti, determinate, indefesse lavoratrici – e anche, a volte, cocciute e chiassose.

Io sono cresciuta con le storie di mia nonna, che nella nostra lingua incapsulavano la saggezza dei nostri antenati. Ognuna insegnava un aspetto della vita: relazioni con le entità naturali come le piante, i fiumi e le montagne, o con esseri come animali, spiriti, antenati, o come maneggiare la condizione umana.

Oggi, viviamo in un mondo in cui maschile e femminile sono sbilanciati. Questo sbilanciamento si manifesta nel modo in cui ci rapportiamo l’un l’altra, nel modo in cui governiamo, nel modo in cui cresciamo i bambini, nel modo in cui facciamo affari. Poiché il sacro femminino è stato disprezzato, assalito e violato, stiamo fronteggiando le conseguenze dello sbilanciamento: ingiustizie, diseguaglianza di genere e etnica, povertà, cambiamento climatico.

Dobbiamo restaurare l’equilibrio fra il mascolino e il femminino. Nella visione del mondo dei Buryat il nostro pianeta, i nostri terreni e il nostro ambiente sono la manifestazione definitiva del sacro femminino. Senza un cambiamento nella nostra consapevolezza continueremo a ripetere gli stessi errori, a sfruttare e distruggere la Madre Terra senza capire che ne siamo parte. Tutti veniamo dal suo grembo, tutti veniamo dal sacro femminino ed è nostro dovere rispettarlo e proteggerlo.”

Galina Angarova (in immagine), direttrice esecutiva di Cultural Survival, organizzazione non profit che lavora per i diritti dei popoli indigeni (trad. Maria G. Di Rienzo), gennaio 2020.

Sempre suoi i seguenti brani tratti dal podcast “Why Preserving Cultural and Language Diversity is Vital to Protecting Biodiversity: An Interview with Galina Angarova”, di Kamea Chayne per Green Dreamer, 23 marzo 2020.

“La diversità di linguaggio è estremamente importante per la protezione della biodiversità, perché quei termini esistono nelle lingue native. La sapienza tradizionale sulla protezione della biodiversità esiste in quelle lingue. Se le perdiamo, la conoscenza scompare con esse.”

“La semplificazione del concetto di ricchezza ha condotto al convincimento che il danaro sia l’unica soluzione, ma vi sono molteplici soluzioni per mantenere il nostro spazio su questo pianeta essendo in relazione e in equilibrio con esso. Noi diamo valore all’avere una moltitudine di relazioni.

Questo è il motivo per cui quando preghiamo, preghiamo per tutte le nostre connessioni e relazioni nel mondo. Preghiamo non solo con gli esseri umani ma con il mondo naturale. Noi non oggettiviamo la natura: animali, pietre, uccelli e fiumi sono partecipanti in questa vita e hanno un’indiretta relazione con noi.”

“Abbiate cura di voi stessi. Ascoltate il vostro corpo e il vostro cuore. Noi, come persone, tendiamo a vivere nelle nostre teste, ma è importante affondare dalla testa al cuore e lasciare che sia il cuore a dirigere: è così che accadono i miracoli.

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