(tratto da: “Building a Feminist Internet” una più ampia intervista a Jac sm Kee per Global Fund for Women, intervistatrice non segnalata, trad. Maria G. Di Rienzo. Jac è un’attivista femminista, una poeta e una scrittrice. E’ anche la responsabile del Programma per i Diritti delle Donne dell’Association for Progressive Communications – http://www.apc.org – nonché la fondatrice di Kryss, associazione che lavora con i giovani su sessualità e diritti in Malesia e la co-direttrice del Centro malese per il giornalismo indipendente.)

Tu sei stata profondamente coinvolta in varie iniziative, in Malesia e in tutto il mondo, che trattavano delle intersezioni fra diritti umani, media, tecnologia e identità, specialmente riguardo a genere, sessualità, etnia e religione. Cosa ti ha spinto ad iniziare questo tipo di lavoro?
Vedo la crescente prevalenza ed enfasi di Internet in ogni aspetto delle nostre vite. Dall’innamorarsi al chiedere trasparenza ai nostri governi, sta diventando parte del tessuto della nostra vita quotidiana sociale, politica, economica e culturale. Non è solo un attrezzo inerte che usiamo quando abbiamo accesso ad esso, ma uno spazio dove cose accadono, dove identità sono costruite, norme reificate o distrutte, intraprese azioni e attività. Come tale, non può che essere uno spazio intersezionale, dove molte cose collidono o si connettono.
Genere, sessualità, etnia e religione sono alcuni dei più importanti marchi di potere e identità, soprattutto per me che sono una femminista malese. Io vedo il potenziale trasformativo che Internet ha nell’abilitare più persone, in special modo quelle che hanno scarso accesso ad altri tipi di spazi “pubblici” a causa della diseguaglianza e della discriminazione, ad impegnarsi nella negoziazione di tali marchi: che senso hanno, a che valori sono collegati, quali sono le relazioni di potere ad essi correlate.
Attualmente sei la responsabile del Programma Diritti delle Donne dell’Association for Progressive Communications (APC). Cosa fa l’APC? E cos’è il Programma per i Diritti delle Donne?
L’APC è stata una delle prime organizzazione a guardare alle connessioni fra accesso ad Internet e giustizia sociale. Lavoriamo con gruppi e partner in diverse parti del mondo per promuovere l’accesso semplice e sostenibile ad un Internet libero e aperto a tutte le persone per il miglioramento delle loro vite e la creazione di un mondo più giusto.
Il Programma per i Diritti delle Donne cominciò nel 1993 come rete di donne, provenienti da diverse parti del mondo, impegnate nell’uso dell’informazione e delle tecnologie di comunicazione (ICT) per l’avanzamento delle donne. Ebbe inizio come gruppo di 175 donne, esperte informatiche, attiviste su questioni di genere ed ICT, da 35 differenti paesi, ed è oggi una delle due aree chiave di programma all’interno dell’Associazione.
Costruiamo la capacità di usare Internet in modo strategico e sicuro per movimenti delle donne, attiviste e organizzazioni, nel loro lavoro pro diritti delle donne facendo nel contempo di Internet uno spazio femminista e politico. Miriamo ad informare le aspettative e le conversazioni su genere e tecnologia tramite la ricerca, la creazione di contenuti e politiche specifiche: riconosciamo come la tecnologia possa riflettere, aumentare o amplificare le relazioni di potere. Lavoriamo per usare quest’enorme capacità trasformativa a vantaggio del rafforzamento dei movimenti femministi e per l’avanzamento dei diritti delle donne.
A che punto nella tua carriera hai visto la relazione fra genere e tecnologia?
E’ stato ad uno dei primissimi seminari a cui ho partecipato (che per inciso era stato organizzato dal Programma per i Diritti delle Donne dell’APC) sull’uso strategico delle ICT da parte dei gruppi per i diritti delle donne. Una delle trainer, Pi Villanueva, ci fornì una presentazione sullo sviluppo storico di Internet e dei computer. Parlò delle donne iniziatrici in questo campo e dimenticate, come Ada Lovelace e Grace Hopper, e io capii per la prima volta che Internet non era neutro, che era politico e segnato dal genere come ogni altra dimensione della nostra vita. Fu una folgorazione. E da allora, ho fatto di ciò una delle aree chiave del mio attivismo.
Come sarebbe un “internet femminista”, secondo te?
Non c’è una risposta breve, ma per cominciare è quello spazio aperto e trasformativo dove ognuna di noi ha universale, eguale e significativo accesso per l’esercizio dei propri diritti, per giocare, per creare, per formare comunità, per organizzarsi per il cambiamento, in piena libertà e piacere.
Ci sono stati di recente dei casi clamorosi di molestie e violenze online contro le donne, come la faccenda di GamerGate e le minacce ad Anita Sarkeesian. Il tuo lavoro con l’APC è direttamente collegato alla privacy digitale e alla sicurezza contro la violenza di genere online. Che tipo di lavoro pensi sia necessario per creare spazi migliori per le donne, in cui possano davvero creare, trasformare ed esprimersi online?
Proprio come per l’impegno globale a mettere fine alla violenza contro le donne in senso più ampio, la questione richiede strategie multiple e agite di concerto da più parti differenti. Inizia con l’aumentare l’accesso consapevole e le capacità di donne e ragazze nell’usare Internet, di modo che non si sentano diffidenti al proposito o si vedano come meno capaci a livello tecnico o “naturalmente” non appartenenti a questo campo: che è il retroscena di sostegno alla violenza online contro le donne.
Dobbiamo anche rafforzare le capacità delle organizzazioni per i diritti delle donne – che fanno un così splendido lavoro nel contrastare la violenza – ad analizzare e integrare il modo in cui Internet ha un impatto sul loro lavoro e sulle loro strategie. I governi devono includere la violenza online contro le donne nei loro piani per mettere fine alla violenza di genere nel suo complesso, e vedere questo problema come una barriera posta fra donne e ragazze ed il pieno esercizio dei loro diritti umani.
Le compagnie dei social media, dove la maggior parte delle violenze accadano, devono intraprendere passi pro-attivi per assicurarsi che i loro spazi non abilitino tali azioni. Ciò significa anche prendere una posizione chiara e forte sui diritti umani, essere trasparenti sulle loro politiche e sul modo in cui sono portate avanti, provvedere addestramento adeguato al loro staff sulla questione e, importantissimo, coinvolgere i movimenti delle donne e le attiviste dalle varie parti del mondo nella discussione.
La parte più dura è cambiare la cultura della tecnologia: la violenza online contro le donne è un’aperta espressione della discriminazione di genere e della diseguaglianza che esistono offline. Online, diventano amplificate. Il modo più importante di spostare questo è abilitare donne e ragazze al maneggio di Internet ad ogni livello: uso, creazione, sviluppo, immaginazione su come dovrebbe e potrebbe essere.
Cosa c’è nel futuro per l’APC, il tuo lavoro e l’Internet femminista? Se le donne e le ragazze potessero esprimere liberamente se stesse e far richieste per se stesse online, senza danno, in che modo il mondo sarebbe diverso?
Una delle cose eccitanti che abbiamo sviluppato quest’anno sono i Principi Femministi di Internet – http://www.genderit.org/node/4097/
Assieme ad attiviste, scrittrici e pensatrici dai movimenti per i diritti su Internet, i movimenti queer e per i diritti delle donne, siamo state in grado di articolare una serie di principi e idee che dovrebbero far da cornice ad un Internet femminista. Intendiamo usarlo come documento “vivente”, per interagire con movimenti delle donne su larga scala.
I movimenti delle donne sono di solito assai abili nel dire cosa non vogliamo; questo documento è di speciale valore perché dice con chiarezza cosa vogliamo. Invece di iniziare dalla prospettiva del rischio e del pericolo, ci piacerebbe cominciare a lavorare dal punto fermo del rafforzamento della resistenza dei movimenti delle donne. Vogliamo ottenere controllo su come possiamo usare, modellare e definire il significato della tecnologia nelle nostre vite e su come la tecnologia possa creare spazi per la trasformazione e la figurazione di un mondo “radicale” dove genere, sessualità e identità non siano cause di discriminazione e violenza, ma di celebrazione, eguaglianza e potere collettivo condiviso.
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