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Posts Tagged ‘violenza domestica’

(tratto da: “It is ‘all men’, to varying degrees: men’s violence against women is a systemic crisis”, di Brad Chilcott, nuovo direttore esecutivo di “White Ribbon”, per The Guardian, 7 luglio 2020. Trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo. Il “Nastro Bianco” cominciò come campagna contro la violenza di genere nel 1991, invitando gli uomini a prendere pubblicamente posizione. Oggi è un’associazione che lavora con individui e gruppi in tutto il mondo per prevenire la violenza contro le donne e ispirare cambiamento, con lo scopo di “creare un mondo equo e sicuro e una nuova visione della mascolinità”.)

White Ribbon

La diseguaglianza di genere è violenza strutturale. Crea lo spazio per atti di violenza di genere normalizzando la mancanza di rispetto nel mentre socializza l’idea che un genere ha più valore o è più capace di un altro.

La violenza di genere comincia con l’idea che tu sia titolato all’obbedienza, al sesso, all’autorità o a una differente serie di libertà perché sei un uomo; che hai l’intrinseco diritto di trattare qualcun altro in un modo in cui tu non vuoi essere trattato.

Ci è stato insegnato – sia sottilmente sia apertamente – che a causa del nostro genere meritiamo un tipo speciale di rispetto. Siamo stati cresciuti con determinate aspettative sul potere maschile e istruiti per avere controllo sulle nostre case, compagne, figli, comunità di fede, club sportivi e luoghi di lavoro. Istruiti a credere che gli uomini hanno diritto di decidere cosa accade ai corpi delle donne.

Molti di noi sono stati modellati in prospettiva su questo ruolo e abbiamo di certo visto la violenza – che fosse fisica, manipolazione emotiva, sfruttamento sessuale o abuso spirituale – che gli uomini hanno usato per dominare, controllare e ferire le donne. Abbiamo visto uomini che volevano disperatamente attaccarsi al loro potere nel mentre diventavano insicuri in una società che cambia.

Potremmo dire che non tutta la misoginia conduce alla violenza, ma tutta la violenza comincia con la misoginia.

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(tratto da: “Women stage ‘mass scream’ in Switzerland over domestic violence and gender pay gap”, Reuters, 15 giugno 2020, trad. Maria G. Di Rienzo.)

mass scream

Donne in tutta la Svizzera hanno scatenato le loro grida durante una protesta nazionale che chiede eguale trattamento e la fine della violenza per mano degli uomini.

L’anno scorso, mezzo milione di persone marciò per evidenziare lo scarso risultato della nazione rispetto ai diritti delle donne. La versione di quest’anno di quello che le organizzatrici chiamano lo Sciopero delle Donne è stata più contenuta, domenica scorsa, a causa delle restrizioni relative al coronavirus.

“Per me è emozione. Perché io grido per me, ma grido anche per le mie sorelle e i miei fratelli, grido per tutti gli altri bambini che hanno perso una madre o un padre, e grido anche per mia madre che avrebbe gridato lei pure, se fosse ancora qui.”, ha detto Roxanne Errico, una studente 19enne che racconta come sua madre fu uccisa dal partner violento.

Un’altra residente di Ginevra, Rose-Angela Gramoni, dice di aver partecipato a tutti gli scioperi delle donne sin dal 1991. “Ora posso morire in pace, la prossima generazione è qui per subentrare. Ma per un po’ sono stata molto triste. Pensavo che avevamo lottato per molte cose ma non avevamo finito il lavoro e non c’era nessuna che l’avrebbe fatto.”, dice Gramoni, che è sulla settantina.

La Svizzera ha un’alta qualità della vita ma resta indietro rispetto ad altre economie sviluppate nei salari delle donne e nell’eguaglianza sul posto di lavoro. Le donne guadagnano circa un quinto in meno degli uomini, meglio di trent’anni quando guadagnavano un terzo ma in peggioramento dal 2000, secondo i dati forniti dal governo.

Migliaia di marciatrici a Ginevra e in altre città svizzere hanno gridato per un minuto a partire dalle 15.24 – l’ora del giorno in cui le donne, tecnicamente, cominciano a lavorare gratis a causa del divario nelle paghe. Hanno anche inscenato un flash mob e tenuto un minuto di silenzio per le donne uccise da mariti e compagni. Le dimostranti hanno condannato la violenza contro le donne e contro la comunità Lgbt, e chiesto riconoscimento per il lavoro di cura non pagato in famiglia e a favore di parenti.

swiss women - mass scream

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unfinished puzzle

1. DI COSA SI DISCUTE (tratto da: “What Is Autogynephilia? An Interview with Dr Ray Blanchard”, di Louise Perry, novembre 2019, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo):

Ray Blanchard è professore aggiunto di psichiatria all’Università di Toronto, specializzato nello studio della sessualità umana con particolare focus sull’orientamento sessuale, le parafilie e i disturbi relativi all’identità di genere. Fra gli anni ’80 e ’90 ha elaborato una teoria sulle cause della disforia di genere che classifica le donne transessuali (nati maschi che si identificano come donne) in due gruppi separati.

Il primo gruppo è composto da donne transessuali “androfiliache”, che sono attratte esclusivamente da uomini e hanno comportamento e apparenza marcatamente femminili sin da giovane età. Tipicamente, costoro iniziano il processo di transizione medico da maschi a femmine prima dei trent’anni.

Il secondo gruppo è motivato alla transizione come risultato di ciò che Blanchard chiama “autoginefilia”: un orientamento sessuale definito dall’eccitazione sessuale al pensiero di essere donna. Gli autoginefili sono tipicamente attratti da donne, anche se possono identificarsi come bisessuali o asessuali. E’ più probabile che attuino la transizione più tardi e che sino a quel punto siano stati convenzionalmente mascolini nella presentazione di se stessi.

Sebbene la tipologia di Blanchard sia sostenuta da un vasto numero di sessuologi e altri ricercatori, è rigettata in modo veemente da attivisti trans che negano l’esistenza dell’autoginefilia. La storica della medicina Alice Dreger, il cui libro del 2015 “Galileo’s Middle Finger” includeva il dar conto della controversia sull’autoginefilia, riassumeva il conflitto così:

“C’è una differenza cruciale fra l’autoginefilia e la maggior parte degli altri orientamenti sessuali: questi ultimi non sono eroticamente bloccati dal semplice avere un’etichetta. Quando dici al comune uomo gay che è omosessuale, non stai disturbando le sue speranze e i suoi desideri sessuali. Per contro l’autoginefilia si comprende forse meglio come “un amore che vorrebbe davvero tu non dicessi il suo nome”. Il massimo erotismo dell’autoginefilia sta nell’idea di diventare realmente una donna o di essere realmente una donna, non nell’essere un nato maschio che desidera essere una donna.”

Ray Blanchard (dall’intervista che segue la presentazione tradotta sopra):

“Paradossalmente, gli sforzi degli attivisti transessuali per sopprimere completamente ogni menzione dell’autoginefilia nel dibattito pubblico hanno avuto come risultato un’aumentata consapevolezza al riguardo. Penso che questo comportamento controproducente sia persistito perché l’idea dell’autoginefilia è troppo vicina alla verità. Se non avesse nessuna risonanza con loro l’avrebbero semplicemente ignorata e l’autoginefilia sarebbe diventata una delle ipotesi dimenticate, fra le tante, sui disturbi relativi all’identità di genere.

Attualmente, molte persone eterosessuali M-F (nella loro descrizione, donne transessuali lesbiche) presidiano militarmente e incessantemente i forum in cerca di ogni menzione dell’autoginefilia. Se un nuovo arrivato pensa che essa descriva la sua esperienza, gli viene immediatamente detto che il suo pensiero è sbagliato e che l’autoginefilia non esiste. (…)

So che è possibile discutere dell’autoginefilia in modi onesti e spassionati – o persino compassionevoli – perché l’ho visto accadere sul mio account Twitter. In alcune occasioni alcuni autoginefili (anonimi) hanno pubblicato serie organizzate e ben articolate di spiegazioni su come ci si sente ad essere eccitati sessualmente al pensiero o all’immagine di se stessi come donne, su come queste emozioni sessuali si colleghino all’emergere dell’avversione per i loro corpi maschili e al loro desiderio di avere un corpo femminile, sugli effetti deleteri dell’autoginefilia e della disforia di genere sulle loro relazioni personali e il loro umore e stato in generale. Questi spunti di discussione hanno sempre stimolato alcuni altri a scrivere messaggi in cui apprezzavano l’onestà e il coraggio, assieme a dichiarazioni di simpatia. Nessuno ha mai detto: “Adesso che conosco meglio la tua tipologia mi disgusti ancora di più”, sebbene gli utenti di Twitter non siano noti per autocontrollo o generosità. Non so se sia possibile discorrere della questione in arene più pubbliche, probabilmente non al momento a causa dell’attuale politicizzazione del termine autoginefilia.

Anne A. Lawrence, medico, che ha scritto la più esauriente monografia accademica sull’autoginefilia, “Men Trapped in Men’s Bodies”, transessuale M-F che si è sottoposta a transizione medico-chirurgica, era un autoginefilo lei stessa.”

2. CHI DISCUTE (tratto da: “Forced Teaming, Feminism, LGB and ‘Trans Rights’, di Dr. Em, 25 maggio 2020, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo):

Le femministe sostengono che il genere è un meccanismo di un sistema di oppressione, costituito da stereotipi sessisti costruiti ad arte e poi usati per sfruttare le donne: per esempio la nozione che poiché sei femmina vuoi naturalmente aver cura e pulire o quella per cui per natura il sesso femminile è sottomesso e gentile.

I diritti delle persone LGB si basano sull’idea che l’attrazione fra membri dello stesso sesso è reale e normale e ad essa dovrebbero essere garantiti gli stessi diritti e lo stesso rispetto di cui gode l’eterosessualità. Il transgenderismo / transessualismo, per contro, afferma che il genere – l’oppressione delle donne e gli stereotipi sessisti – sia innato, o qualcosa a cui conformarsi alterando il corpo a causa dell’opprimente sconforto dovuto a questo disturbo. La disforia di genere dichiara che è la persona a essere sbagliata, non il sessismo culturale, lo sfruttamento o l’oppressione. Il motto è: “Cambia la persona, non il sistema!”

Il transgenderismo / transessualismo ha cominciato a negare l’esistenza e l’importanza del sesso binario, il che nega a ruota la realtà dell’attrazione fra persone dello stesso sesso, manipolata come “attrazione per lo stesso genere”. Se le lesbiche possono avere peni, la sessualità diventa l’attrazione per gli stereotipi sessisti, per i manierismi e per le scelte di moda. (…)

L’oppressa non può costruire critiche e sfide quando l’oppressore siede alla stessa scrivania e guarda quel che fa da dietro la sua spalla. La presenza dell’oppressore, inoltre, eviscera gli argomenti rendendoli situazionali (basati su circostanze) anziché concreti: “Ma questo è carino”, “A volte le persone nascono sbagliate”, “Lui dice di essere una lesbica ma in realtà sa che non è così, tu sii gentile”. Ciò apre la porta alla trattativa sui diritti e sulle linee di confine delle donne e alla negoziazione sulla realtà stessa dell’attrazione fra persone dello sesso sesso.

La violazione del limite è la chiave. Essendo il primo limite la definizione della donna, poi della femmina, il successivo è la percezione di sé, poi sono violati spazi fisici e risorse.

De Becker (Gavin De Becker, autore di “The Gift of Fear”) dice che se qualcuno ignora la parola “no”, ciò è il segnale più significativo a livello universale del fatto che non ci si dovrebbe fidare di quella persona. I maschi hanno chiesto di continuo di essere inclusi nella definizione di “femmina” e di continuo non hanno ascoltato il “no” delle donne, hanno continuato a usare spazi per sole donne dopo i ripetuti “no” di diverse di noi. I maschi stanno dicendo alla comunità LGB che l’attrazione per lo stesso sesso è bigotta e stanno rifiutando di ascoltare il “no” che ricevono in risposta.

Ignorare un singolo “no” è un segnale d’allarme, ma ignorarne un mucchio è una sirena e l’idea che ci voglia di più di questi no per capire è manipolazione.

3. COME SI DISCUTE (tratto da: “Facebook Community Standards Allow The Promotion Of Violence Against Women”, di Roger Dubar, 28 maggio 2020, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo):

“Va perfettamente bene, secondo i Facebook Community Standards, pubblicare articoli sul prendere a pugni le donne. Prenderle a pugni sulla gola sembra essere particolarmente popolare.

Questa è una battuta, ovvio. Non puoi pubblicare sul prendere a pugni una donna qualsiasi o tutte le donne: devi assicurarti che il tuo post tratti dell’incoraggiare violenza verso donne che hanno opinioni sbagliate sull’ideologia di genere.

Molti anni fa, lavoravo nell’ambito del diritto di famiglia. C’era uno scherzo famoso fra gli avvocati che si occupavano di violenza domestica e faceva più o meno così:

“Cos’hanno in comune un migliaio di mogli pestate? Semplicemente non ascoltano.” Se lo scherzo vi sconvolge, sappiate che non dovrebbe. E’ la precisa giustificazione usata dagli uomini che picchiano le loro mogli e le loro compagne.

Su Facebook, tu puoi pubblicare sul prendere a pugni (o a pugni sulla gola) le donne finché ti pare. Devi solo chiamare prima queste donne “TERF”. Quest’ultimo era l’acronimo per “femminista radicale trans-escludente”, ma non si deve “escludere le persone transessuali” o essere una “femminista radicale” per diventare “TERF”. Tutto quello di cui si ha bisogno è avere un’opinione leggermente differente dalla persona che ti chiama “TERF”.

Pensi che dovrebbe esserci una discussione sull’accesso di maschi biologici che si identificano come donne agli sport femminili e alle prigioni femminili? Sei una TERF.

Pensi che le donne transessuali meritino amore e rispetto, ma che non in tutti i casi siano effettivamente di sesso femminile? Sei una TERF.

Pensi che chiunque dovrebbe poter indossare quel che vuole ed esprimersi come vuole, ma che nessuno dovrebbe essere forzato a pensare o a fingere di aver davvero cambiato sesso? Sei una TERF.

E sei una persona transessuale come Debbie Hayton, frustrata dall’attivismo trans intollerante e iperbolico? Non sei meglio di una collaborazionista nazista.

E promuovere odio e violenza contro le TERF è ok. Dicono così i Facebook Community Standards.

Ma un momento, direte voi: Facebook non permette la promozione della violenza contro le donne in sé – è solo per le donne che hanno opinioni sbagliate.

Queste donne se la sono voluta. Come sempre, semplicemente non ascoltano.

Io venivo regolarmente bullizzato perché giudicato “non conforme” in materia di genere mentre crescevo. Ora, tuttavia, gli stessi bulli che mi dicevano che non ero abbastanza maschio, o che sembravo una femmina, stanno dicendo alle donne che meritano violenza se dicono che il sesso biologico è reale o che gli uomini non dovrebbero identificarsi come donne negli spazi delle donne.

Non penso che Facebook, la corporazione multimiliardaria fondata da Mark Zuckerberg, creda vada bene promuovere violenza contro le donne che non si adeguano: penso che i diritti delle donne non significhino molto per la maggioranza delle persone. Penso che, proprio come diceva sempre mia madre, le donne siano invisibili.

Ad ogni modo, i Facebook Community Standards permettono comunque la promozione della violenza contro le donne non accondiscendenti.”

4. DI COSA NON SI DISCUTE:

18 maggio 2020 – Londra, Regno Unito:

Il Ministero della Giustizia britannico ha rivelato che prigionieri maschi che si identificano come donne sono responsabili di una quota di aggressioni sessuali esponenzialmente più alta della loro proporzione nella popolazione delle carceri femminili. Il Ministero ha riconosciuto che, nel mentre la percentuale dei detenuti maschi che si identificano come transgender ammonta all’1% delle 3.600 persone detenute nelle carceri femminili, essi hanno commesso il 5,6% degli assalti sessuali denunciati. Le donne stuprate da questi individui sono a rischio di gravidanza, di malattie sessualmente trasmissibili e lesioni ai genitali e possono essere di nuovo traumatizzate se erano state vittime di precedenti abusi.

19 maggio 2020 – Bridgend, Galles, Regno Unito:

Un venticinquenne condannato per violenze sessuali, che si identifica come donna, è stato di recente di nuovo incarcerato per aver infranto due volte l’ordine di restrizione relativo agli assalti sessuali, cosa che ha ammesso.

Leah Harvey, in precedenza noto come Joshua, era finito in galera nel 2018 per aver incitato una bambina a compiere atti sessuali dopo averle inviato foto e video pornografici di se stesso. (Uso il maschile perché il corpo con cui ha fatto questo lo è) Dopo due sole settimane dal rilascio, nell’ottobre dello scorso anno, ha molestato due ragazzini di fronte ad agenti di polizia, vantandosi con loro di essere pedofilo. Successivamente, in novembre, è andato a molestare due ragazze adolescenti che lavorano alla cassa di un negozio di cibo da asporto. Quando la prima ragazzina lo ha ignorato, il sedicente pedofilo le ha gettato addosso del cibo; quando sempre costei gli ha detto di non toccarla, ha tentato di infilarsi dietro al bancone dicendo di avere “una sorpresa per lei”. Mandato via, è tornato tre giorni dopo, ha trovato un’altra adolescente alla cassa, le ha chiesto il nome e poi l’ha chiamata a voce alta 15 volte, le ha domandato se era abbastanza grande per avere una relazione sessuale e si è offerto di portarla fuori.

2 giugno 2020 – Manukau City, Auckland, Nuova Zelanda:

Il 47enne Kylie So, che si identifica come donna, è stato posto in carcere con l’accusa di aver ucciso un 71enne, Robert Dickie, in casa del quale si era trasferito. Dopo quattro giorni di coabitazione l’anziano è scomparso e sebbene il corpo non sia ancora stato ritrovato, le analisi della polizia scientifica nella sua casa hanno rilevato “un’ingente quantità di sangue versato”.

Inizialmente, l’accusato era stato incarcerato in una prigione maschile e non aveva eccepito al proposito (come la legge neozelandese gli permette di fare), ma convinto da zelanti attivisti transgender ha poi cambiato idea ed è stato trasferito nella prigione femminile a Wiri.

Attualmente ci sono 33 persone che come lui si identificano donne nelle carceri neozelandesi, 18 delle quali sono dentro per crimini violenti, inclusa l’aggressione sessuale. Dal gennaio 2017, sei assalti sessuali sono stati perpetrati da individui che dicono di essere donne transessuali contro donne prigioniere.

5 giugno 2020 – Melbourne, Victoria, Australia:

Al momento dell’arresto per stalking a danno di una donna, l’ex giocatore di football australiano Dean Laidley, 53enne, indossava un abito e biancheria femminili, trucco, una parrucca bionda e 0,43 grammi di metamfetamina nel reggiseno. L’arresto è avvenuto in flagrante: Laidley si trovava fuori dalla porta di casa della sua vittima. A costei ha mandato oltre 100 messaggi di minacce usando telefono e e-mail, l’ha fotografata per ogni dove, ha richiesto i video delle telecamere di sorveglianza che la riguardano al complesso residenziale, perché la ritiene una troia e una puttana.

Secondo il suo avvocato bisogna compatirlo, perché soffre di disforia di genere. Tra l’altro, quando ha cominciato a perseguitare la donna era fuori dal carcere su cauzione – e al carcere era stato condannato per violenza domestica.

7 giugno – Khon Kaen, Thailandia:

La polizia sta chiedendo aiuto all’opinione pubblica per rintracciare il 28enne Thanphicha Rodnongkheng, che si identifica come donna e che è sospettato dell’omicidio del suo compagno convivente. La vittima è il 27enne Manop Amthao, il cui cadavere è stato ritrovato – con due ferite mortali da coltello al petto – nella casa in affitto in cui i due vivevano. L’arma del delitto è stata abbandonata nel lavandino della cucina. Una videocamera ha registrato Rodnongkheng il giorno precedente il ritrovamento, mentre si allontana dall’area con una borsa a tracolla e due borse di plastica a mano.

7 giugno 2020 – Brisbane, Queensland, Australia:

Uno stupratore recidivo di bambini, 34enne, è stato rilasciato dalla prigione il 4 giugno scorso, dopo aver dichiarato che gli ormoni che ha cominciato ad assumere in carcere, per la transizione sessuale, hanno diminuito la sua possibilità di violare bambini in futuro.

Jeffrey Terrence Anderson è stato condannato nel 2008 per lo stupro di un dodicenne e di due bambini di sei anni a cui faceva da babysitter. In prigione il sig. Anderson ha cominciato a identificarsi come donna e ha mutato il suo nome in Rose. Tuttavia, le guardie carcerarie hanno continuato a trovare immagini di bambini e persino una storia da lui scritta in cui dettaglia la fantasia di stuprare un bambino di tre anni almeno sino al 2017. Adesso è libera, sottoposta a supervisione per dieci anni e ha la proibizione di incontrare minorenni. L’attrezzatura con cui stuprava, comunque, è ancora al suo posto.

PRECISAZIONI:

a) J.K. Rowlings non mi piace, ne’ come persona ne’ come scrittrice. Che siano le donne ad avere le mestruazioni, però, resta vero anche se lo dice lei.

b) Sono qui che aspetto la ripetizione ad libitum del mantra “Gli uomini transessuali sono uomini” e che qualcuno cominci a pretendere la dicitura “persone che donano sperma” al posto di “donatori”, anche se possono farlo solo gli uomini, esattamente come mestruare possono farlo solo le donne.

Ma non succede, perché?

c) Aspetto anche le “vagine-vulve da uomo”, equivalenti dei “peni da donna” e l’accusa di bigottismo e fobia e discriminazione al maschio gay che non voglia andare a letto con il “maschio che ha la vagina” perché semplicemente preferisce altro.

d) Con questo pezzo – davvero troppo lungo – mi prendo un intervallo. Au revoir.

Maria G. Di Rienzo

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Brujas

In Messico, le misure di quarantena per il coronavirus hanno avuto lo stesso impatto sulle donne che si è verificato ovunque: aumento dei casi di violenza domestica (le denunce alla polizia registrano il 25% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), aumento del carico di responsabilità familiari, perdita del lavoro (giacché la maggioranza di coloro che operano nel settore “informale” dell’economia sono donne), eccetera. Lo stato di Veracruz, lockdown o meno, è quello con la più alta percentuale di femicidi / femminicidi: e in tale stato, sempre come sta accadendo altrove, a sostenere le donne in difficoltà sono le femministe.

Qui si chiamano Brujas del Mar (Streghe del Mare), hanno alle spalle l’organizzazione degli scioperi dell’8 marzo, durante la quarantena hanno creato una linea telefonica di soccorso per la violenza domestica, gestiscono un efficace sistema di aiuti alimentari per le donne e stanno mettendo insieme una rete per la consulenza legale gratuita alle vittime di violenza. Le Streghe sono giustamente famose in Messico e ricevono richieste di assistenza – soprattutto per trovare rifugi o denunciare perpetratori – non solo dalla loro regione.

Brujas del Mar ha avuto inizio come gruppo ristretto di quindici femministe su Facebook, per diventare nel giro di un anno una delle organizzazioni chiave per la mobilitazione, l’informazione e l’azione diretta delle donne messicane. Le Streghe si autofinanziano e raccolgono fondi vendendo bandane e portachiavi. Non devono niente a nessuno e stanno facendo un lavoro straordinario.

arussi unda

“E’ come la storia di Cenerentola. – ha detto in marzo la portavoce 32enne del gruppo, Arussi Unda (in immagine sopra) alla stampa – Tutto parte dal villaggio sperduto, dal minuscolo collettivo, dalle donne-nessuno… ma prima o poi doveva accadere. Le donne in Messico non ne possono più. Non si tratta solo dell’ovvia crisi dei femicidi, ma di tutto quel che accade ogni giorno nelle case, nelle scuole, al lavoro. Non esiste un posto sicuro per noi donne.”

Maria G. Di Rienzo

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“Italian centers for abused women lose state funding as lockdown fuels demand”, di Elaine Allaby per Thomson Reuters Foundation, 28 maggio 2020, trad. Maria G. Di Rienzo.

female anger

Quando l’Italia annunciò la sua chiusura per coronavirus all’inizio di marzo Anna Levrero, che gestisce un rifugio per donne maltrattate nella regione maggiormente colpita, la Lombardia, sapeva che ciò avrebbe portato a un picco nelle chiamate. Ma stava già facendo i conti con un’altra difficoltà.

Ai centri per le vittime di violenza domestica in Lombardia, nell’Italia del nord, è richiesto sin dall’anno scorso di fornire alle autorità regionali le identità delle donne che stanno aiutando per esseri qualificati a ricevere i fondi statali. Molti hanno rifiutato definendola un’invasione della privacy e come risultato, dicono, devono maneggiare una significativa riduzione dei finanziamenti, proprio mentre dei loro servizi c’è più bisogno.

Le autorità regionali hanno detto che i dati sono necessari per formulare le politiche. Prima che la richiesta di fornire i codici fiscali delle donne fosse fatta, sostengono, c’era il rischio di duplicazione dei dati quando qualcuna visitava più di un centro. “Dal nostro punto di vista è un’assurdità, perché se una donna ha sofferto abusi non è che se la spassa a girare da un centro a un altro.”, ha dichiarato Levrero a Thomson Reuters Foundation.

Numerosi paesi hanno riportato aumenti nelle chiamate telefoniche relativa alla violenza domestica, nonostante la quarantena renda più difficile per servizi e organizzazioni di volontariato raggiungere le donne isolate nelle loro case. Tre mesi di chiusura potrebbero risultare in 15 milioni di casi di abuso domestico in più di quelli previsti, secondo le ricerche delle Nazioni Unite.

DiRe, la rete nazionale italiana dei centro anti-violenza, ha detto che le chiamate alle sue linee d’aiuto fra il 2 marzo e il 5 aprile sono aumentate del 75% rispetto allo stesso periodo del 2018, la serie più recente di dati comparabili.

La sua direttrice per la Lombardia Cristina Carelli, che è anche coordinatrice del centro anti-violenza CADMI di Milano, ha detto che alcuni centri hanno perso una larga porzione dei loro finanziamenti dopo essersi rifiutati di soddisfare le nuove richieste ufficiali.

“Per noi è una perdita enorme, perché i centri anti-violenza stanno già avendo difficoltà a ottenere tutti i fondi di cui hanno bisogno. – ha detto Carelli – Perché facciamo davvero un mucchio di lavoro, accogliamo moltissime donne, e questo impegno ha necessità di essere sostenuto con finanziamenti adeguati.”

Due rifugi alla periferia di Milano, che si appoggiavano interamente al finanziamento regionale, sono stati costretti a chiudere a causa di tale decisione, ha aggiunto. Carelli ha spiegato che la Lombardia è stata l’unica regione italiana sino ad ora a richiedere il codice fiscale, sebbene anche Umbria e Calabria abbiano considerato la possibilità di farlo.

Un gruppo di esperti su donne e violenza domestica del Consiglio d’Europa ha espresso preoccupazione rispetto alla pratica in un rapporto di gennaio, dicendo che avrebbe “minato la relazione di fiducia fra le vittime e chi provvede i servizi”. In precedenza, i centri lombardi assegnavano un codice alfanumerico casuale, condividendo i dati resi anonimi con le autorità.

Silvia Piani, assessora lombarda alle Politiche per la famiglia, genitorialità e pari opportunità, ha detto che la regione sta sperimentando il nuovo sistema sin dal 2014 e che il 90% dei centri ha acconsentito alle misure. Ha dichiarato che le autorità regionali considerano solo i dati aggregati, il che non violerebbe la privacy individuale. “Prima, una donna andava in uno dei centri, i centri riempivano un modulo e il modulo restava in un cassetto di scrivania.” ha detto, aggiungendo che il nuovo sistema ha fornito dati sull’età delle vittime, il loro status occupazionale e la loro situazione familiare.

Quando il governo centrale ha ordinato il lockdown in Lombardia l’8 marzo, il Centro Aiuto Donne Maltrattate (CADOM) di Monza, che Levrero gestisce, ha dovuto chiudere le porte, ma ha tenuto aperta la linea telefonica. “Per le prime due settimane non abbiamo sentito quasi nulla. – ha detto – Poi, poco a poco, sono cominciate ad arrivare chiamate in gran numero, non tanto perché ci fossero emergenze ma per sostegno, per sentire una voce amica, per accertarsi che quando ciò fosse finito sarebbero state in grado di tornare da noi.” CADOM opera con diversi rifugi in Lombardia, ma ha dovuto cedere la gestione di tre dei suoi centri d’aiuto ad altri operatori che hanno siglato l’accordo.

Carelli ha detto che DiRe sta parlando con la Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, per tentare di trovare una via d’uscita.

Bonetti ha dichiarato a Thomson Reuters Foundation di star cercando soluzioni che possano conciliare la necessità dell’amministrazione di acquisire dati su come vengono usati i fondi pubblici al diritto all’anonimato delle vittime.

“Non vogliamo dire alle donne ‘ti aiuteremo solo se ci dai il tuo codice fiscale’. – ha concluso Carelli – E’ un modo di agire assai presente nella violenza, no? E’ un tipo di ricatto.”

P.S. della traduttrice: L’amministrazione regionale lombarda pensa a tutelarsi dalle “furbette” della violenza che altrimenti sperperano i soldi pubblici. Stiamo parlando del virtuoso governo regionale della Lombardia, quello di Fontana e Gallera: le facce come le terga.

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(“In Fiji, lesbian feminist activist Noelene Nabulivou strives for world ‘liberated and free’”, di Hugo Greenhalgh per Thomson Reuters Foundation, 13 maggio 2020. Trad. Maria G. Di Rienzo.)

Noelene

Crescere essendo lesbica nelle Fiji, stato insulare dell’Oceania, durante gli anni ’70 sembrava abbastanza impossibile, dice la femminista e attivista “climatica” Noelene Nabulivou.

Una cultura machista, basata sulla chiesa, ha significato per Nabulivou – lei stessa figlia di un pastore metodista – non dichiararsi sino al compimento dei 35 anni, non molto dopo l’inizio del nuovo millennio.

“L’ho chiamato il mio obiettivo di sviluppo del millennio.”, dice ridendo su Skype, riferendosi alla lista di ambiziosi obiettivi delle Nazioni Unite, che includevano il dimezzare la povertà estrema e il mettere fine alla diffusione dell’Hiv/Aids entro il 2015.

Ora 52enne, Nabulivou ha una moglie e una figlia di due anni ed è conosciuta in tutto il mondo come attivista contro il cambiamento climatico e come attivista per l’eguaglianza di genere e i diritti delle persone LGBT+ nel suo Paese.

Tuttavia, fa ancora esperienza di discriminazione e abusi, e ha ricordi dolorosi di come è cresciuta in una piccola città vicina a Suva, la capitale dell’arcipelago che conta circa 900.000 abitanti.

“Semplicemente sentivi che (essere apertamente gay) non era una possibilità alla tua portata. Non c’erano modelli di riferimento, in particolare per la mia generazione.”, ha detto a Thomson Reuters Foundation dalla sua casa di Suva.

Le Fiji sono una delle sole otto nazioni che menzionano esplicitamente l’orientamento sessuale e l’identità di genere nelle loro Costituzione, ma in pratica i diritti degli individui LGBT+ sono limitati. I matrimoni fra persone dello stesso sesso e l’adozione da parte di coppie gay restano illegali – Nabulivou e sua moglie si sono sposate a New York – e l’attitudine omofoba persiste.

“Mi hanno sputato addosso; mia moglie ed io siamo state molestate in pubblico; ci hanno tirato pietre sul tetto di notte. Ci sono stati molti episodi durante gli anni. Un quotidiano mi ha fatto l’outing. Ho dovuto lottare contro la chiesa metodista alla radio e in televisione, il che è stato davvero duro per me, che sono una persona molto riservata.”, racconta Nabulivou.

Le Fiji sono state colpite il mese scorso dal forte ciclone tropicale Harold, che ha ucciso due persone e ha distrutto più di 3.000 abitazioni. Il ciclone ha esacerbato l’impatto economico dell’epidemia di coronavirus e le due crisi hanno ulteriormente aggravato la difficile situazione che le persone LGBT+ vivono, dice l’attivista.

Nel mentre il tasso di disoccupazione nelle Fiji, relativo al 2019, si attestava più o meno al 4,5%, secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, Nabulivou dice che circa il 62% di lesbiche, bisessuali e transgender o non hanno un lavoro o ce l’hanno precario.

E’ questo tipo di diseguaglianza che Nabulivou combatte nel suo ruolo di consigliera politica e addetta a progetti speciali dell’organizzazione figiana per i diritti umani “Diverse Voices and Action (DIVA) for Equality”, che lei stessa ha contribuito a fondare nel 2011: “E’ cominciato con un gruppo di giovani che sono venuti da me e dalla mia partner e hanno detto: Okay, ci discriminano. Cosa possiamo fare insieme?

Un decennio più tardi, il gruppo sostiene il lavoro di nove sezioni in tutto il Paese, affrontando questioni come visibilità e povertà nonché omofobia e transfobia, ha detto Nabulivou. La parte chiave del suo lavoro, ha aggiunto, è tentare di contrastare le “proporzioni epidemiche” della violenza contro le donne – siano esse lesbiche, bisessuali, transessuali o eterosessuali – nelle Fiji e in altre nazioni del Pacifico: “L’84% delle donne LBT e delle persone “non conformi” al genere (che non assumono i ruoli tradizionali ascritti a maschi o femmine) hanno denunciato violenze da parte dei propri partner, contro i due terzi delle donne eterosessuali.”

Oltre che sui diritti delle persone omosessuali e sulla violenza domestica, Nabulivou organizza campagne su istanze climatiche ed ecologiche, dicendo che molte di queste sfide sono collegate.

“Noi siamo donne che devono lottare contro la povertà, ma vogliamo anche parlare del bullismo nelle scuole o delle esperienze di sviluppo ecologico nel Pacifico. Come esseri umani abbiamo tante cose diverse a cui teniamo. – spiega Nabulivou, che si definisce maniaca del lavoro e dice di aver ottenuto nuova ispirazione dalla sua bambina – Voglio per lei un mondo meraviglioso, in cui possa essere emancipata e libera.”

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a b c

Wikipedia:

1. Il termine analfabetismo funzionale, o illetteratismo, indica l’incapacità di usare in modo efficace le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana – si traduce quindi in pratica nell’incapacità di comprendere, valutare e usare le informazioni (…).

2. L’analfabetismo di ritorno è quel fenomeno attraverso il quale un individuo che abbia assimilato nel normale percorso scolastico di alfabetizzazione le conoscenze necessarie alla scrittura e alla lettura, perde nel tempo quelle stesse competenze a causa del mancato esercizio di quanto imparato.

Un plauso alla redazione de “La Repubblica”: lo sta facendo senza mettersi in mostra e vantarsi ma con fiducia, costanza e grandi aspettative per il futuro continua a offrire opportunità di “fare esercizio” a varie tipologie di diversamente letterati.

Ieri è toccato a Carlotta e Ivan. Questi nell’ordine i loro prodotti:

Titolo: “Cuneo: uccide la convivente sul piazzale del supermercato, poi chiama la polizia per costituirsi”

Occhiello: L’omicidio alla periferia della città: la vittima aveva 44 anni, nata a Bucarest in Italia da 7 anni

Incipit svolgimento:

“Le ha sparato a bruciapelo almeno quattro colpi di pistola, non tutti sono andati a segno. E’ morta sul sedile del passeggero di una Fiat Panda parcheggiata nel piazzale dell’Auchan di Cuneo, alla periferia della città, sulla direttrice per Mondovì, Mihaela Apostolides, 44 anni, romena. L’uomo che l’ha uccisa, Francesco Borgheresi, 41 anni, si è costituito alla polizia e ha aspettato la pattuglia delle volanti vicino all’auto. E’ un militare dell’esercito, ha prestato servizio alla caserma di Pinerolo ma dal almeno due anni era tornato a Firenze di dove era originario.”

Carlotta cara, grammatica a parte (dal almeno ecc.) non ti sembra che la prima frase evidenziata sia un po’ “affollata”? Sul sedile del passeggero, nella Fiat parcheggiata al supermercato, che sta alla periferia della città, sulla strada per un’altra città… ombreggiata da platani e ingentilita da siepi di mortella e gelsomino, riasfaltata da poco, dotata di sistema informativo per il controllo della velocità detto anche Safety Tutor e al n. 97, in una villetta ristrutturata, ci abita mia zia. Non va.

Consiglio per te: non farti influenzare da Salvini che sciorina elenchi senza senso in televisione.

Secondo articolo, titolo: “Picchia e maltratta le tre figliolette, giovane mamma in manette nel Palermitano”

Svolgimento: “Picchia e maltratta le tre figlie, ventiseienne di Alia, in provincia di Palermo, finisce in manette. Una triste e squallida vicenda di violenza tra le mura domestiche finita sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti e dei servizi sociali dopo alcune segnalazioni. Stamani sono scattate le manette ai polsi per la donna che maltrattava e picchiava le figlie la più grande di appena 4 anni. (…) I militari hanno potuto accertare come la giovane donna sottoponeva le bimbe a continue vessazioni, picchiando e minacciando di morte la più piccola, alla presenza delle altre due figlie.

La donna è stata tratta in arresto e condotta al carcere Pagliarelli di Palermo. Le tre bimbe sono state accompagnate dai servizi sociali in una struttura protetta dove sicuramente ritroveranno quell’amore perso di una mamma violenta.

Caro Ivan, ce l’hai un dizionario sinonimi/contrari? Se la risposta è no compralo, se la risposta è sì usalo. Ce l’hai una grammatica italiana? Stesso discorso: ti insegnerà che la punteggiatura non è un optional. Adesso esamina l’ultima frase evidenziata. Tu stai in pratica dicendo che nella struttura protetta… andrà tutto come prima, perché le bambine “ritroveranno l’amore di una mamma violenta”.

Consiglio per te: non farti influenzare da Salvini che ripete gli stessi termini a oltranza (e ad minchiam) in televisione.

Maria G. Di Rienzo

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Otley Chevin Leeds

Pavoni con la coda a ventaglio,

elefanti dipinti.

Copriletti ricamati

di prati e siepi.

Foreste di bambù

e picchi con cappelli di neve.

Cascate, ruscelli,

i geroglifici delle gru dalle grandi ali

e il fiore di loto luccicante dopo la pioggia.

L’aria

trasparente in modo ipnotico

rarefatta.

Il viaggio è un faticoso uno alla volta

lungo e lento

ma necessariamente tale.

Potete ascoltate il testo intero qui:

https://www.youtube.com/watch?v=k0bWqq8sQiE

Si tratta di “Lockdown”, poesia che Simon Armitage ha scritto in marzo e che recita con l’attrice Florence Pugh nel video indicato sopra. Il testo è stato messo in musica e in vendita per raccogliere fondi a beneficio di Refuge, un’organizzazione che si occupa di violenza domestica.

La “poesia della quarantena”, pubblicata per la prima volta da The Guardian, si muove dall’esplosione della peste bubbonica a Eyam, nel 17° secolo, al poema epico in sanscrito “Meghaduta” dell’indiano Kalidasa (4°-5° secolo d.C.).

Il video merita attenzione per la magia della musica, le immagini che incorporano speranza e sogno nella quotidianità e lo scopo per cui è stato creato.

A me è piaciuta particolarmente l’armonia delle voci recitanti, in cui maschile e femminile si alternano: voci vicine senza prevaricazione, alleate in passione e rispetto. Maria G. Di Rienzo

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Dalla stampa italiana:

“I comitati per la ripartenza dopo l’emergenza Coronavirus vengono implementati con le competenze femminili. Cinque donne nella task force di Colao e altre sei in quella della Protezione civile. Nella commissione per la fase 2 ci saranno Enrica Amaturo, Marina Calloni, Linda Laura Sabbadini, Donatella Bianchi e Maurizia Iachino.”

Da The Associated Press, “Women demand voice in Italy virus response dominated by men”, di Frances D’Emilio:

“Ogni sera, quando gli esperti della sanità aggiornavano gli italiani ansiosi in conferenze televisive sul devastante scoppio del coronavirus nella loro nazione, la composizione delle autorevoli figure includeva solo una donna: l’interprete per il linguaggio dei segni.

E non una singola donna era presente nella commissione di venti membri nominata per consigliare il governo su come e quando l’Italia potesse riaprire in sicurezza le sue fabbriche, i suoi negozi, le sue scuole e i suoi parchi – una disparità tanto più clamorosa giacché più di metà dei medici del paese e tre quarti dei suoi infermieri sono donne, molte delle quali in eroica prima linea contro la pandemia. Per non menzionare il fatto che i tre ricercatori che hanno isolato il coronavirus nei primi giorni di epidemia in Italia erano donne.

L’indignazione per la diseguaglianza di genere è ora esplosa apertamente, con circa 70 ricercatrici e scienziate che hanno firmato una petizione in cui si chiede al governo di includere le donne negli organismi decisionali sul virus quale questione di “democrazia e civiltà”. A spalleggiarle c’è un movimento di base sui social media chiamato “Dateci voce”, un richiamo alla presenza simbolica dell’interprete per il linguaggio dei segni durante le conferenze. E’ stata anche depositata in Senato da 16 deputate Una mozione che chiede al governo di rimediare allo sbilanciamento. (…)

Questa settimana il premier Giuseppe Conte ha dato riconoscimento agli appelli, chiamando la dirigenza della commissione di esperti di scienza e tecnica che consigliano il governo sulla riapertura a reclutare donne nei suoi ranghi. Ha fatto urgenza al suo gabinetto di ministri di “tenere a mente l’equilibrio di genere” nell’assemblare le task force. (…)

Ma le preoccupazioni delle donne italiane vanno oltre i comitati per la pandemia. Le donne temono che la chiusura delle scuole sino a settembre, accoppiata alle attitudini culturali che favoriscono gli uomini, le farà arretrare ancora di più nella forza lavoro. Secondo le stime dell’Unione Europea del 2018, il 53% delle donne italiane era presente nella forza lavoro a fronte del 73% degli uomini. Solo la Grecia si situava più in basso fra le nazioni europee: 49% di donne e 70% di uomini.

La scarsità di aiuto domestico economicamente accessibile e il rigetto degli uomini dei ruoli domestici, inclusi i lavori di casa, sono fattori che sono stati biasimati per anni per l’impossibilità o la riluttanza delle donne di unirsi alla forza lavoro. (…)

“Sono tristemente sicura che a breve termine ci saranno danni” al lento progresso delle donne nel mercato del lavoro, ha detto Valeria Poli, biologa molecolare all’Università di Torino (che ha firmato la petizione di cui sopra). Ha espresso sgomento per il fatto che in 25 anni la presenza femminile nella forza lavoro italiana è cresciuta solo dell’8%. (…)”

E poi c’è questo: “Le 117 vittime di violenza in quarantena, 90% sono donne”.

Maria G. Di Rienzo

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child eyes

Vedere il mondo attraverso gli occhi di un bambino è la gioia più pura di cui chiunque può fare esperienza. – Constance Zimmer (nata nel 1970), attrice.

(tratto da “India rape: Six-year-old victim’s eyes damaged in attack”, BBC News, 23 aprile 2020):

“La polizia in India ha lanciato una caccia all’uomo dopo che una bimba di sei anni è stata rapita fuori dalla propria casa nello stato di Madhya Pradesh e stuprata. E’ in condizioni critiche all’ospedale di Jabalpur, ha detto la polizia alla BBC.

L’assalitore ha inflitto gravi ferite agli occhi della bambina, in un probabile tentativo di impedirle di identificarlo. La polizia riporta che la bambina stava giocando con gli amici accanto alla propria casa la sera di mercoledì quando è stata rapita. E’ stata ritrovata giovedì mattina, priva di sensi e con le mani legate, in un edificio abbandonato del villaggio.”

(tratto da: “Man released from Turkish prison on coronavirus amnesty beats daughter to death”, 7NEWS, 23 aprile 2020):

“Muslum Aslan, 33enne turco che era stato condannato alla prigione nel 2019 per aver accoltellato la moglie, ma che è stato rilasciato a causa della crisi coronavirus, è stato di nuovo arrestato per aver assassinato la propria figlia di 9 anni.

I media locali riportano che dopo il rilascio è andato alla casa della moglie a Gaziantep, dove durante un litigio con la stessa ha picchiato la figlia Ceylan. La moglie ha chiamato la polizia e l’uomo è fuggito prima di essere arrestato in un parco.

Ceylan è stata portata all’ospedale, ma è morta poco più tardi nonostante gli sforzi dei medici. Sua madre Rukiye, che aveva già chiesto il divorzio, ha dichiarato: “Lui usava la violenza contro i miei figli continuamente. Appendeva la mia figlia maggiore al muro, legata per le braccia, e la picchiava con una canna di gomma. Ha lasciato Ceylan in una pozza di sangue sul pavimento ed è scappato. Mia figlia è morta. Voglio che questo assassino paghi duramente per ciò che ha fatto.”

Non è chiaro se il sospettato sia stato ufficialmente indiziato.

Se una persona continua a vedere solo giganti, significa che sta ancora guardando il mondo con gli occhi di un bambino. Ho la sensazione che la paura dell’uomo verso la donna venga dall’averla vista in primo luogo come la madre, la creatrice degli uomini. – Anaïs Nin (1903-1977), scrittrice.

Maria G. Di Rienzo

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