(“In Brazil, one woman challenges a system ‘made by men for men’ “, di Gabriel Leão per Women’s Media Center, 19 ottobre 2017, trad. Maria G. Di Rienzo)

Quando in agosto la scrittrice e attivista femminista brasiliana Clara Averbuck – ndt.: in immagine – respinse le avance di un guidatore Uber (ndt.: servizio di trasporto automobilistico privato), lui la gettò fisicamente fuori dall’auto, provocandole lividi e un occhio nero. Poi la aggredì sessualmente mentre si trovava ancora a terra.
Averbuck ha scritto dell’assalto su Facebook e ha lanciato una campagna su Twitter affinché le donne parlino delle loro esperienze con guidatori violenti. Parlandone apertamente, Averbuck ha esposto una realtà che le donne in Brasile sopportano ogni giorno.
Nel mentre il paese è noto per i suoi festeggiamenti del Carnevale e per la squadra di calcio di fama mondiale, è anche un luogo in cui – secondo i dati del 2016 forniti dal Ministero della Salute – c’è uno stupro di gruppo ogni due ore e mezza. La dilagante violenza di genere nel paese è balzata alla ribalta più rapidamente quest’anno, quando in agosto un giudice ha ordinato il rilascio di un uomo che, con 17 denunce di aggressione sessuale alle spalle, aveva eiaculato in autobus addosso a una donna durante una corsa attraverso San Paolo.
Ho contattato il quartier generale di Uber in Brasile, dove una portavoce ha detto che la compagnia ripudia la violenza contro ogni individuo, indipendentemente dal genere, dall’orientamento sessuale, dal colore della pelle o dalla religione. Il guidatore di Averbuck è stato licenziato, ha detto, e la compagnia si è resa disponibile per un’indagine da parte della polizia. “Non tolleriamo che le nostre passeggere siano o si sentano minacciate.”, ha aggiunto Uber in una dichiarazione via e-mail.
Prima dell’incidente con Averbuck, la compagnia era già entrata in un accordo con il magazine brasiliano “Claudia” per una campagna sostenuta dall’Agenzia Donne delle Nazioni Unite mirata a prevenire le molestie dirette alle donne. La compagnia ha anche distribuito opuscoli e video agli autisti e ha offerto seminari sul sessismo.
Ho parlato con Averbuck di quel che le è accaduto, così come in generale della violenza sessualizzata contro le donne in Brasile e di quel che deve cambiare.
Gabriel Leão: Quali sono state le ripercussioni dei tuoi articoli online sull’aggressione?
Clara Averbuck: Non appena ho deciso di rendere pubblica la mia disavventura, la mia vita personale è diventata un inferno. La vicenda è stata riportata sui quotidiani e sui siti web, e mi sono state offerte interviste all’interno di tutti i programmi televisivi che riesci a immaginare. Le ho rifiutate tutte, perché so che avrebbero il solo effetto di esacerbare il sensazionalismo nel periodo furioso che stiamo vivendo in Brasile.
Data che ho una rubrica fissa sulla rivista “Donna” e sono una collaboratrice di “Claudia”, è più facile per me controllare la narrazione il che, ovviamente, mi ha resa più sicura nel dire la verità. Con la creazione dell’hashtag #MeuMotoristaAbusador (#Il mio autista abusante) l’istanza ha cominciato a essere discussa online e subito altri casi sono venuti alla luce. Il problema è grande e presente dappertutto.
GL: Uber dovrebbe prestare maggiore attenzione ai suoi guidatori?
CA: Ho sentito lamentele da quando la compagnia è arrivata in Brasile. Uber si promuove come un “lavoretto”, qualcosa che chiunque può fare. Ma io credo che dovrebbero stare più attenti. Non esiste status da lavoratore a tempo pieno e non ci sono limiti all’orario, il che può condurre all’abuso, all’esaurimento e alla disperazione di un autista che sta tentando di far quadrare i conti. Ho sentito molte storie simili, così come quelle di violenze e stupri. La mia storia è stata molto visibile perché sono una scrittrice e una femminista attiva – oltre all’essere una donna bianca. Dobbiamo riconoscere queste intersezioni quando parliamo di violenza sessualizzata in Brasile.
GL: Quali difficoltà incontrano le donne brasiliane quando denunciano tali crimini alle autorità?
CA: Di tutti i tipi! La cultura machista in Brasile già ci fa sentire vergognose nel parlare di un assalto, che si tratti di un’aggressione sessuale o di violenza domestica. Andiamo alla “stazione di polizia per le donne”, che si occupa dei crimini contro le donne, e siamo maneggiate da persone impreparate, in un luogo privo di risorse e pieno di burocrazia. Spesso dobbiamo narrare la vicenda di fronte ad altra gente, il che può essere imbarazzante.
Questa struttura ha bisogno di essere riconsiderata. L’idea in se stessa è meravigliosa – l’avere una centrale di polizia solo per i crimini contro le donne – ma è inefficace se poi è uguale o persino peggiore delle altre centrali. La questione sta nel sistema in sé, che dev’essere ripensato.
GL: Pensi che non essendo andata alla polizia hai permesso che questa persona restasse impunita e perciò in una posizione in cui continuerà a mettere a rischio altre donne?
CA: Per farlo arrestare avevo bisogno di prove. Per avere prove, avrei dovuto sottopormi a un esame fisico che sarebbe finito in nulla, perché avevo solo una ferita in faccia dovuta al fatto che mi aveva gettato fuori dall’auto ed ero caduta a terra. Quel che raccontavo sull’accaduto sarebbe stato messo in dubbio dal fatto che avevo bevuto e mi sarebbe stato chiesto perché non avevo fatto niente: il solito gioco della merda del biasimo buttata addosso alla vittima.
Credimi, ho visto come ti trattano alla stazione di polizia e io non volevo e non voglio tuttora nulla di ciò. Ho ancora sei mesi per decidere se presentare denuncia oppure no, ma lo ripeto: non credo nel sistema. La sentenza per stupro è inferiore a quella che prendi per aver venduto steroidi anabolizzanti (in alcuni casi). La storia della misoginia nelle decisioni dei giudici scoraggia molto le donne dal denunciare questi casi.
Io non sto scoraggiando le altre donne dal denunciare le aggressioni subite, ma credo che il sistema cambierà solo tramite la pressione popolare. Nel mio caso, io credo che senza prove e testimonianze si sarebbe trattato della sua parola contro la mia. Più di tutto, mi sarebbe toccato vederlo di nuovo e lui sa dove vivo. Tali circostanze non mi permettono di sentirmi al sicuro.
Dal momento dell’assalto, uso un’applicazione in cui posso scegliere autiste donne, perché ora quando esco da sola sono più paranoica di quanto lo sia mai stata. Ogni donna si guarda dietro le spalle quando è fuori sulla strada.
GL: Quando hai scritto dell’aggressione, alcune persone l’hanno messa in dubbio. Tu credi che questa sia un’altra forma di violenza?
CA: Persino nel 2017 la mia attitudine sconcerta questa società conservatrice, perciò non è sorprendente che mettano in dubbio la mia esperienza. Me lo aspettavo. Li disturbo già solo scrivendo, quindi questo incidente è stato il massimo per loro. E io non mi comporto come ci si aspetta che le vittime si comportino.
Ciò che mi ha meravigliato è il numero di donne che non sanno come il sistema funziona e hanno pensato fosse legittimo dubitare di me se non volevo fare denuncia. Io non ho nemmeno reso noto il nome del perpetratore e della gente ha detto che stavo formulando false accuse contro di lui. Una parata di ignoranza. Io spero che nessuna di quelle donne sarà mai aggredita e nessuna debba camminare nelle mie scarpe per sapere quanto il sistema è corrotto. Gruppi organizzati, della destra o conservatori, mi sono stati addosso per anni ma questa volta non si è trattato solo di loro. Il femminismo in Brasile è ancora incomprensibile e rigettato da un vasto numero di persone che non comprendono l’idea di eguaglianza. Negli ultimi anni la nostra parte si è rinforzata, ma siamo ancora poche e c’è ancora molta disinformazione.
GL: Certamente sai della decisione recente di un giudice di lasciar libero un uomo che aveva eiaculato addosso a una donna durante una corsa in autobus. Cosa ne pensi?
CA: Penso che viviamo in un sistema fatto dagli uomini per gli uomini, e che questo dev’essere urgentemente messo in discussione. Io non sono una giurista che può interpretare la legge, ma vedendo quante denunce aveva quell’uomo al minimo avrebbe dovuto essere preso in carico da un’istituzione. Il problema è che tanti sono svelti a puntare il dito e a definire ogni manifestazione di misoginia “mostruosa” o “malata”, ma non prendono in conto la cultura che promuove tale misoginia. Chi non vuole affrontare tali temi e i cambiamenti è responsabile per questi scenari.
GL: La società brasiliana è considerata assai conservatrice. In che modi i suoi schemi di comportamento e i suoi valori si collegano alla cultura dello stupro?
CA: Il Brasile vive in questa falsa democrazia razziale che conduce all’iper-sessualizzazione delle donne nere, al genocidio della popolazione nera nelle favelas e alla violenza contro le donne. Chi lo vede dall’esterno crede che il Brasile quotidiano sia un paradiso tropicale con Carnevale, donne, libertà, calcio e samba, ma non è niente di tutto ciò. Noi abbiamo più problemi di quelli che si vedono.
GL: La stampa brasiliana come maneggia lo stupro?
CA: Di base nel modo solito. Ciò di cui si dovrebbe discutere non sono i vestiti della vittima, il suo comportamento, se aveva bevuto o no, o dove si trovava. Il Brasile è il quinto paese al mondo più violento contro le donne e per certi versi è persino il peggiore, perché è il primo per omicidi di persone transgender. C’è anche la violenza specifica contro le donne nere. Ciò che dovrebbe essere dibattuto è la struttura sessista e non le storie individuali. Al cuore del problema c’è una mascolinità tossica e disgustosa che vede le donne come oggetti e ha le sue fondamenta nella violenza e nel dominio. Questo ci sta uccidendo e sino a che è tenuto fuori dalla conversazione pubblica noi continueremo a essere vittimizzate.
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