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Posts Tagged ‘ecofemminismo’

(“In Fiji, lesbian feminist activist Noelene Nabulivou strives for world ‘liberated and free’”, di Hugo Greenhalgh per Thomson Reuters Foundation, 13 maggio 2020. Trad. Maria G. Di Rienzo.)

Noelene

Crescere essendo lesbica nelle Fiji, stato insulare dell’Oceania, durante gli anni ’70 sembrava abbastanza impossibile, dice la femminista e attivista “climatica” Noelene Nabulivou.

Una cultura machista, basata sulla chiesa, ha significato per Nabulivou – lei stessa figlia di un pastore metodista – non dichiararsi sino al compimento dei 35 anni, non molto dopo l’inizio del nuovo millennio.

“L’ho chiamato il mio obiettivo di sviluppo del millennio.”, dice ridendo su Skype, riferendosi alla lista di ambiziosi obiettivi delle Nazioni Unite, che includevano il dimezzare la povertà estrema e il mettere fine alla diffusione dell’Hiv/Aids entro il 2015.

Ora 52enne, Nabulivou ha una moglie e una figlia di due anni ed è conosciuta in tutto il mondo come attivista contro il cambiamento climatico e come attivista per l’eguaglianza di genere e i diritti delle persone LGBT+ nel suo Paese.

Tuttavia, fa ancora esperienza di discriminazione e abusi, e ha ricordi dolorosi di come è cresciuta in una piccola città vicina a Suva, la capitale dell’arcipelago che conta circa 900.000 abitanti.

“Semplicemente sentivi che (essere apertamente gay) non era una possibilità alla tua portata. Non c’erano modelli di riferimento, in particolare per la mia generazione.”, ha detto a Thomson Reuters Foundation dalla sua casa di Suva.

Le Fiji sono una delle sole otto nazioni che menzionano esplicitamente l’orientamento sessuale e l’identità di genere nelle loro Costituzione, ma in pratica i diritti degli individui LGBT+ sono limitati. I matrimoni fra persone dello stesso sesso e l’adozione da parte di coppie gay restano illegali – Nabulivou e sua moglie si sono sposate a New York – e l’attitudine omofoba persiste.

“Mi hanno sputato addosso; mia moglie ed io siamo state molestate in pubblico; ci hanno tirato pietre sul tetto di notte. Ci sono stati molti episodi durante gli anni. Un quotidiano mi ha fatto l’outing. Ho dovuto lottare contro la chiesa metodista alla radio e in televisione, il che è stato davvero duro per me, che sono una persona molto riservata.”, racconta Nabulivou.

Le Fiji sono state colpite il mese scorso dal forte ciclone tropicale Harold, che ha ucciso due persone e ha distrutto più di 3.000 abitazioni. Il ciclone ha esacerbato l’impatto economico dell’epidemia di coronavirus e le due crisi hanno ulteriormente aggravato la difficile situazione che le persone LGBT+ vivono, dice l’attivista.

Nel mentre il tasso di disoccupazione nelle Fiji, relativo al 2019, si attestava più o meno al 4,5%, secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, Nabulivou dice che circa il 62% di lesbiche, bisessuali e transgender o non hanno un lavoro o ce l’hanno precario.

E’ questo tipo di diseguaglianza che Nabulivou combatte nel suo ruolo di consigliera politica e addetta a progetti speciali dell’organizzazione figiana per i diritti umani “Diverse Voices and Action (DIVA) for Equality”, che lei stessa ha contribuito a fondare nel 2011: “E’ cominciato con un gruppo di giovani che sono venuti da me e dalla mia partner e hanno detto: Okay, ci discriminano. Cosa possiamo fare insieme?

Un decennio più tardi, il gruppo sostiene il lavoro di nove sezioni in tutto il Paese, affrontando questioni come visibilità e povertà nonché omofobia e transfobia, ha detto Nabulivou. La parte chiave del suo lavoro, ha aggiunto, è tentare di contrastare le “proporzioni epidemiche” della violenza contro le donne – siano esse lesbiche, bisessuali, transessuali o eterosessuali – nelle Fiji e in altre nazioni del Pacifico: “L’84% delle donne LBT e delle persone “non conformi” al genere (che non assumono i ruoli tradizionali ascritti a maschi o femmine) hanno denunciato violenze da parte dei propri partner, contro i due terzi delle donne eterosessuali.”

Oltre che sui diritti delle persone omosessuali e sulla violenza domestica, Nabulivou organizza campagne su istanze climatiche ed ecologiche, dicendo che molte di queste sfide sono collegate.

“Noi siamo donne che devono lottare contro la povertà, ma vogliamo anche parlare del bullismo nelle scuole o delle esperienze di sviluppo ecologico nel Pacifico. Come esseri umani abbiamo tante cose diverse a cui teniamo. – spiega Nabulivou, che si definisce maniaca del lavoro e dice di aver ottenuto nuova ispirazione dalla sua bambina – Voglio per lei un mondo meraviglioso, in cui possa essere emancipata e libera.”

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sororidad transparencia

“La capacità di una donna di essere libera è collegata alla sua capacità di amare un’altra donna.”

Susan Griffin (nata nel 1943), attivista ecofemminista, filosofa, saggista e commediografa.

sororidad

“Pensavo di poterlo aggiustare da sola, ma con voi è stato molto più facile.”

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Galina Angarova

“Come in molte altre culture indigene, il sacro femminino gioca un ruolo centrale nella visione cosmologica della mia gente, i Buryat (Buriati – Russia), ed è espresso tramite le nostre relazioni, le nostre storie e i nostri modi di vivere. Io provengo da quella che originariamente era conosciuta come società matrilineare. Eravamo le famose guerriere della foresta, riverite come eccezionali cacciatrici e combattenti. Molti di questi tratti sono ancora visibili oggi nelle donne del mio clan. Forti, indipendenti, determinate, indefesse lavoratrici – e anche, a volte, cocciute e chiassose.

Io sono cresciuta con le storie di mia nonna, che nella nostra lingua incapsulavano la saggezza dei nostri antenati. Ognuna insegnava un aspetto della vita: relazioni con le entità naturali come le piante, i fiumi e le montagne, o con esseri come animali, spiriti, antenati, o come maneggiare la condizione umana.

Oggi, viviamo in un mondo in cui maschile e femminile sono sbilanciati. Questo sbilanciamento si manifesta nel modo in cui ci rapportiamo l’un l’altra, nel modo in cui governiamo, nel modo in cui cresciamo i bambini, nel modo in cui facciamo affari. Poiché il sacro femminino è stato disprezzato, assalito e violato, stiamo fronteggiando le conseguenze dello sbilanciamento: ingiustizie, diseguaglianza di genere e etnica, povertà, cambiamento climatico.

Dobbiamo restaurare l’equilibrio fra il mascolino e il femminino. Nella visione del mondo dei Buryat il nostro pianeta, i nostri terreni e il nostro ambiente sono la manifestazione definitiva del sacro femminino. Senza un cambiamento nella nostra consapevolezza continueremo a ripetere gli stessi errori, a sfruttare e distruggere la Madre Terra senza capire che ne siamo parte. Tutti veniamo dal suo grembo, tutti veniamo dal sacro femminino ed è nostro dovere rispettarlo e proteggerlo.”

Galina Angarova (in immagine), direttrice esecutiva di Cultural Survival, organizzazione non profit che lavora per i diritti dei popoli indigeni (trad. Maria G. Di Rienzo), gennaio 2020.

Sempre suoi i seguenti brani tratti dal podcast “Why Preserving Cultural and Language Diversity is Vital to Protecting Biodiversity: An Interview with Galina Angarova”, di Kamea Chayne per Green Dreamer, 23 marzo 2020.

“La diversità di linguaggio è estremamente importante per la protezione della biodiversità, perché quei termini esistono nelle lingue native. La sapienza tradizionale sulla protezione della biodiversità esiste in quelle lingue. Se le perdiamo, la conoscenza scompare con esse.”

“La semplificazione del concetto di ricchezza ha condotto al convincimento che il danaro sia l’unica soluzione, ma vi sono molteplici soluzioni per mantenere il nostro spazio su questo pianeta essendo in relazione e in equilibrio con esso. Noi diamo valore all’avere una moltitudine di relazioni.

Questo è il motivo per cui quando preghiamo, preghiamo per tutte le nostre connessioni e relazioni nel mondo. Preghiamo non solo con gli esseri umani ma con il mondo naturale. Noi non oggettiviamo la natura: animali, pietre, uccelli e fiumi sono partecipanti in questa vita e hanno un’indiretta relazione con noi.”

“Abbiate cura di voi stessi. Ascoltate il vostro corpo e il vostro cuore. Noi, come persone, tendiamo a vivere nelle nostre teste, ma è importante affondare dalla testa al cuore e lasciare che sia il cuore a dirigere: è così che accadono i miracoli.

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8 marzo 2020, lettera aperta (trad. Maria G. Di Rienzo):

Ai capi di stato e di governo di tutto il mondo.

Noi siamo Hilda e Leonie, donne che stanno lottando in prima linea contro la crisi climatica e l’ingiustizia di genere.

Hilda e Leonie

(Hilda Flavia Nakabuye di “Fridays for Future Uganda” e Leonie Bremer di “Fridays for Future Germany”, particolare di un’immagine di Thomas Reuters Foundation.)

Hilda:

Io sono cresciuta in tre differenti luoghi dell’Uganda. Da mia zia, da mia mamma e da mio papà – e tutto quel che mi importava era andare a scuola, cosa che mi è sempre piaciuta. Tuttavia, è arrivato un momento in cui la mia famiglia non poteva più pagare le tasse scolastiche. Come risultato, ho saltato la scuola per tre mesi. La crisi climatica ha cominciato a reclamare il nostro orto, con forti piogge che lavavano via le sementi, costanti periodi di siccità che prosciugavano i torrenti e forti venti che hanno portato alla massiccia diffusione di insetti nocivi, così anche i soldi sono andati a finire. In modo ingiusto, i paesi che hanno contribuito di meno alla crisi del clima sono quelli colpiti più duramente.

Ho visto molta gente morire a causa della crisi climatica e ci sono persone che ne muoiono ogni giorno mentre la situazione continua a peggiorare. Tuttavia, nulla è stato fatto da chi è al potere per combattere o risolvere questa crisi. L’impatto della crisi climatica mi ricorda lo sfrenato razzismo e l’apartheid che i miei antenati hanno subito. Io sto costantemente soffrendo a causa dei gravi effetti che hanno su di me le azioni, le parole e l’avidità di chi è al potere, con poco aiuto o niente aiuto del tutto da parte dei paesi sviluppati. Invece, stanno contribuendo incondizionatamente all’aumentare delle emissioni grazie alle quali milioni di vite innocenti sono già state perdute nel Sud globale. In effetti, questo dovrebbe essere il momento in cui questi paesi rispondono al loro dovere morale e ripuliscono il loro caos.

Leonie:

Nel mentre Hilda è diventata un’attivista di Fridays for Future per l’impatto diretto del cambiamento climatico sulla sua vita, io avrei potuto non averne mai idea, giacché vivo in Germania dove la gente può ancora permettersi il lusso di ignorare l’attuale tremendo impatto della crisi climatica. Questo paese è abbastanza ricco da poter semplicemente compensare i danni fatti dalla siccità ai raccolti importando prodotti. La mia vita sino ad ora è stata senza problemi e non ho mai dovuto saltare la scuola, i pasti o le vacanze.

Sul treno verso la conferenza mondiale sul clima, Hilda si è confrontata con me con la sua storia e il fatto che il paese da cui provengo non sta agendo in base alle sue responsabilità. La Germania è spesso chiamata la pioniera della protezione del clima, il che è contraddittorio rispetto al fatto che è ha il quarto posto al mondo pro capite per emissioni di CO2 (CO2-Bericht des Joint Research Center).

E’ spaventoso che il più grande obiettivo della Germania sia un’economia funzionante al costo, al peggio, della vita delle persone. La crisi climatica è il risultato del sistema economico industrializzato diretto da una società patriarcale. Al contrario, nei gruppi di attivisti per il clima le donne sono predominanti, poiché sono quelle che soffrono di più per la crisi climatica.

Le donne devono essere in prima linea nella lotta contro la crisi climatica. Secondo le Nazioni Unite, l’80% delle persone disperse da questa crisi sono donne.

Hilda:

La crisi climatica ha un volto femminile.

Nel mio vicinato, la maggioranza delle coltivazioni sono maneggiate da piccole agricoltrici. La crisi climatica ha immediato impatto sulle condizioni di vita delle donne, causa fame e rischi per la salute e ha un effetto terribile sulle nostre famiglie. Siccità e inondazioni causano perdita di raccolti, ma i proprietari terrieri hanno la possibilità di ricevere compensazioni dallo stato. Alle donne, tuttavia, è tradizionalmente negata la proprietà della terra, il che conduce a una minaccia diretta per i nostri minimi mezzi di sussistenza.

Come donna africana, io sono spesso oppressa dal razzismo, dal sessismo, dalla cultura, dal classismo e ora la crisi climatica si aggiunge come cappello.

Questo è il motivo per cui noi, Leonie e Hilda, abbiamo fatto squadra. Dobbiamo tutti ascoltare l’uno il dolore dell’altro, la paura, la sofferenza e altre emozioni causate dalla crisi climatica.

Noi abbiamo capito che essa è il pericolo più grave per gli esseri umani e in special modo per le donne.

Dobbiamo unirci e lottare contro la crisi climatica oltrepassando i confini continentali. Dobbiamo lottare per la protezione del clima senza sessismo, razzismo e oppressione e costringere i governi a fare altrettanto.

Fridays for NOW! – Hilda & Leonie”

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(tratto da: “Meet Priscilla Achakpa, Nigeria”, profilo e intervista a cura di Nobel Women’s Initiative, ottobre 2019, trad. Maria G. Di Rienzo.)

Priscilla Achakpa

L’insigne attivista ambientalista nigeriana Priscilla Achakpa è diventata moglie a 16 anni, madre e poi giovane vedova. Diseredata dalla famiglia del marito e dalla propria è tornata a scuola e ha conseguito lauree specialistiche in gestione d’impresa, amministrazione e sviluppo. Aveva iniziato una carriera come impiegata di banca, poi ha cambiato bruscamente direzione.

Oggi, dirige il Women Environmental Programme (WEP – Programma ambientalista delle donne), un’organizzazione nonprofit, apolitica e non religiosa che affronta le istanze ambientali che hanno impatto sulle vite delle donne stesse. Su tutte: il cambiamento climatico.

Come sei passata dalla banca all’attivismo ecologista?

Avevo la sensazione che qualcosa mancasse – sentivo il bisogno di trovare un lavoro che fosse più stimolante e che mi permettesse di tornare qualcosa alla comunità. Questa sensazione mi spinse ad avventurarmi all’esterno e cominciai a seguire corsi di studio sull’ambiente. Era una cosa completamente diversa, più complessa, più scientifica. Ma volevo una sfida. Volevo un lavoro che ispirasse la mia passione.

Nel 1997, due giornaliste ed io scoprimmo che le industrie tessili nello stato di Kaduna scaricavano rifiuti direttamente nell’ambiente. La maggior parte di essi finiva nel fiume Kaduna, sulle cui rive agricoltori poveri, in grande misura donne, stavano coltivando ortaggi. Cominciavano ad avere malattie della pelle e ne davano colpa alla stregoneria. Coinvolgemmo scienziati che presero campioni, effettuarono esami e scoprirono che tutto nell’area era diventato tossico. Alla fine portammo le industrie in tribunale – per me, fu l’inizio dell’attivismo. Nel 1998 diventammo il Women Environmental Programme, la prima organizzazione femminile nel nord del paese ad entrare nell’ambito dell’ambientalismo.

Perché hai scelto di concentrarti sul cambiamento climatico?

Il nostro programma è attivo in cinque aree tematiche: ambiente, amministrazione, cambiamento climatico, pace e trasformazione del conflitto. Le istanze di genere sono al centro di ogni cosa che facciamo. Includerle è cruciale se i programmi di sviluppo vogliono essere rilevanti e sostenibili.

Il cambiamento climatico è una delle istanze più urgenti della nostra epoca e ha già avuto impatto sulla Nigeria. Lo sconfinamento dei deserti cresce a un tasso sorprendente, il che ha generato crescenti tensioni sulla proprietà terriera, incluse lotte fra gli agricoltori e i pastori nomadi. Questi scontri hanno anche peggiorato le divisioni etniche. Siccità prolungate, ondate di calore e vento hanno interessato il nord, la nostra regione che produce cibo. Il lago Chad, uno dei laghi più grandi del mondo, che in passato forniva acqua e sosteneva le comunità di pescatori, si è ridotto del 95%. Le persone, specialmente le donne, sono state costrette a migrare, il che comporta ulteriori difficoltà. Nei campi per le persone sfollate le donne sono frequentemente molestate e persino stuprate. I fiumi si sono seccati e ciò significa che le donne devono viaggiare per chilometri cercando acqua.

I cambiamenti climatici sono duri di per sé, ma amplificano anche problemi e diseguaglianze che già esistono – inclusa la diseguaglianza di genere. Storicamente le donne hanno avuto minor accesso alle risorse, minor potere nella sfera decisionale: questo ci rende maggiormente vulnerabili ai rischi di estremi eventi climatici. E’ importante rendere il genere centrale nelle strategia di adattamento al clima nel mentre si lavora per migliorare la resilienza ai suoi impatti.

Come si concretizza questo nel lavoro di WEP?

Nella regione in cui lavoriamo, le agricoltrici non avevano la capacità di conservare grandi quantità di raccolti deperibili come i pomodori, i peperoni e altri vegetali. Circa tre mesi fa, siamo state in grado di installare una tenda essiccatrice solare, con tutti i materiali relativi ottenuti localmente. Abbiamo anche lavorato con la comunità, di modo che le donne fossero in grado di effettuare l’essiccazione da loro stesse, il che ha reso l’operazione sostenibile.

Nella comunità si sono formate cooperative per dare turnazione al lavoro. Risultati e testimonianze sono stati straordinari. Meno cibo va sprecato, le sostanze nutritive sono preservate e le agricoltrici possono vendere i prodotti essiccati, il che migliora le loro entrate. Noi abbiamo finanziato questo progetto da sole, come esperimento, ma ovviamente una sola tenda non è sufficiente. Stiamo cercando modi di ampliare la scala dell’intervento, non solo all’interno di questa comunità: abbiamo richieste da moltissime altre.

I ministri dell’agricoltura ne sono rimasti impressionati, ma si sa quanto i governi possano essere lenti ad agire. Stiamo cercando partner che sostengano più interventi di questo tipo.

Tu hai scritto saggi di alto livello accademico sul tuo lavoro e hai partecipato a incontri internazionali sul cambiamento climatico. Ma hai anche detto “il mio vero lavoro è sul campo”. Cosa intendevi?

Quando agiamo globalmente, dobbiamo tradurre quel che facciamo nel contesto locale. Noi lo stiamo facendo – e non solo in Nigeria. Abbiamo uffici Burkina Faso, Togo, Tunisia. Quando ascolto le voci delle donne locali, le donne comuni, donne che sono toccate ogni giorno dal cambiamento climatico e dal come prendersi cura delle proprie famiglie, ne sono ispirata.

Proprio in questo momento, WEP sta lavorando con organizzazioni locali che non avevano mai visto un finanziamento di 1.000 dollari (Ndt. 890 euro) in vita loro. Quando le sostieni, i risultati in quel che fanno sono eccezionali. Non si può sottolineare abbastanza la felicità e l’impegno che questi gruppi a livello di base portano a bordo. Quando ascolto le loro storie, sono spinta a fare di più.

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Oggi siamo in piazza con Fridays For Future in 160 città italiane. Il cambiamento climatico dev’essere affrontato ora o in tempi assai brevi non avremo proprio l’occasione di affrontare nient’altro.

water

L’immagine che vedete è dell’artista e reporter Aïda Muluneh. Fa parte della sua ultima serie “Water Life”, attualmente in mostra a Londra e realizzata su richiesta dell’ong WaterAid.

L’acqua è il primo elemento tramite cui possiamo avvertire gli effetti del cambiamento climatico. Le temperature più alte e le conseguenti condizioni meteorologiche insolite e imprevedibili sono causa di siccità, alluvioni, scioglimento dei ghiacciai, deterioramento o scomparsa delle fonti d’acqua potabile e così via.

Per quelli che “il clima no perché viene prima la lotta di classe”: a soffrire principalmente di questa situazione sono le comunità più povere. A livello globale una persona su dieci non ha accesso ad acqua pulita e indovinate pure di che classe sociale fa parte.

Per quelli che “non c’è nesso fra migrazione e clima”: da queste comunità senz’acqua, impossibilitate a lavorare e vivere, le persone fuggono. O pretendiamo che restino a morire di sete e di malattia in silenzio, così non ci disturbano?

Per quelli che “cosa c’entra il femminismo”: l’accesso all’acqua potabile pesa sulle spalle delle donne in tutte le regioni devastate e impoverite del mondo. Il cambiamento climatico le costringe a percorrere distanze incredibilmente lunghe per trovare acqua, tragitti durante i quali sono spesso vittime di violenze sessuali. Le bambine non vanno a scuola per aiutare le madri a raccogliere acqua, le ragazze vieppiù non ci vanno quando hanno le mestruazioni. Vi basta?

In Etiopia, che è il paese di origine di Aïda Muluneh, ogni fottuta ora muoiono quattro bambini per malattie collegate alla scarsità e all’inquinamento dell’acqua. E poi la gioventù nostrana che manifesta oggi starebbe inscenando “una bigiata di massa”? Sig. Salvini, non ci sono bambini solo sui suoi palcoscenici, sa.

Maria G. Di Rienzo

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“State per leggere le voci inascoltate e le potenti prospettive che servono a dare luogo a vera sicurezza globale. Quando così tanta della popolazione mondiale non può realizzare il proprio potenziale a causa della violenza, della povertà, della cattiva salute e dell’esclusione dal potere e dal processo decisionale, non ci sarà mai vera pace ne’ sicurezza duratura. La soluzione può essere trovata solo ascoltando coloro che portano il peso di queste minacce e agendo secondo le loro raccomandazioni. Le seguenti intuizioni vengono da donne di oltre sessanta paesi. Alcune di loro, come quelle che si trovano in Camerun, sono nel mezzo di un conflitto attivo. Altre, come quelle che si trovano nelle Filippine, stanno facendo esperienza delle minacce immediate del cambiamento climatico. Ancora di più, come in India, Nepal, Nigeria e Stati Uniti ecc., sono quelle che affrontano le minacce giornaliere delle molestie, delle aggressioni e delle limitazioni loro poste in sola ragione del loro genere. I loro messaggi sono urgenti; le loro raccomandazioni inestimabili. Prese insieme, queste orgogliose e competenti voci chiedono niente di meno che una ridefinizione fondamentale della sicurezza globale, nazionale e umana. Propongono inoltre passi pratici per risolvere il complesso e interconnesso intreccio che compromette detta sicurezza. La riformulazione non è idealistica. E’ realistica. Non è inattuabile, ma ragionevole e certa.” Jensine Larsen, fondatrice di World Pulse, così presenta il rapporto su Donne, Pace e Sicurezza 2019, dal titolo “Il futuro della sicurezza sono le donne”.

report

Il rapporto è stato realizzato assieme ad altre due organizzazioni, Our Secure Future e Women’s Alliance for Security Leadership – ICAN, ha raccolto 350 testimonianze in tutto il mondo e utilizzato le narrazioni di 150 socie di World Pulse. Per avere il documento in pdf potete andare qui:

https://www.worldpulse.com/explore/peace-and-security/women-peace-and-security-report-2019

I punti chiave che emergono dallo studio:

* A vent’anni dalla Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che dava mandato per l’inclusione delle donne nei processi di pace, le donne restano fuori dai processi decisionali su pace e sicurezza.

* Le donne vogliono una ridefinizione del termine “sicurezza”. Nel rapporto la definiscono in modo olistico e inclusivo. Non si tratta solo dell’assenza di paura, minacce e violenza, ma della presenza stabile di solidità finanziaria, accesso alle necessità basilari, legame comunitario, ambiente ecologicamente sano, giustizia, e molto altro.

* Le donne hanno espresso il forte desiderio di essere libere dal persistente timore della violenza di genere nelle loro vite: in casa, per strada, sui trasporti pubblici, nei luoghi di lavoro, ovunque.

* La sicurezza delle famiglie e di altri soggetti vulnerabili è una priorità situata molto in alto nell’agenda. Le donne sono preoccupate per i bambini e per coloro che sono più direttamente colpiti dalla violenza in relazione alla loro sessualità, al loro gruppo etnico, alla loro classe sociale, alla loro nazionalità, alla loro età e alla loro abilità fisica.

* Le donne vogliono il rispetto dei diritti umani, loro e altrui. La loro percezione di insicurezza è risultata legata a esperienze di discriminazione e diseguaglianza a scuola e al lavoro, così come al poter esercitare o meno libera espressione nelle loro vite.

* Grave la preoccupazione per l’ambiente. Le donne hanno citato il cambiamento climatico, la degradazione degli ecosistemi, la perdita di risorse naturali, i disastri ambientali come contributi fondamentali all’insicurezza.

* Le donne dicono che istituzioni politiche corrotte e inaffidabili minano proprio la sicurezza che affermano di voler conseguire. Politiche che danno priorità a violenza e potere ed escludono le donne e le loro istanze non portano beneficio alcuno.

Maria G. Di Rienzo

“Sogno un tempo

in cui il suono

del mio piede che cala

su una strada buia

non porterà più con sé

l’eco del panico,

ma il risonante battito

della libertà”

Daydri, socia di World Pulse, sudafricana che vive in Romania.

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Tempi duri? Le bussole politiche sono tutte impazzite e vi sembra che l’Italia vada alla deriva? Più che battere moneta con i “minibot” vorreste battere la testa di qualcuno o la vostra sul muro? Vi capisco, ma non c’è bisogno di disperarsi, ne’ di ferire o ferirsi.

Possiamo ripartire anche subito, con tre piccoli passi iniziali e rispettando i nostri tempi e le nostre necessità: assemblate le vostre analisi, figuratevi un orizzonte, caricatevi di quel che vi rende felici. La strada è lunga, faticosa e bellissima come voi. Buona giornata, “complici” miei, Maria G. Di Rienzo

ANALISI

“C’è una relazione intrinseca fra il modo in cui trattiamo il mondo naturale e il modo in ci trattiamo gli uni con gli altri. Dualismo e gerarchia sono i tratti del patriarcato, che implica l’oppressione delle donne e la distruzione dei sistemi naturali. Colonialismo, razzismo, disparità economica sono gli altri tragici risultati della gerarchia patriarcale. Razzismo e povertà servono a mantenere in essere il sistema patriarcale politicamente, economicamente e psicologicamente – nonché per giustificare e amplificare la distruzione dei sistemi naturali.” – Madronna Holden

ORIZZONTE

Tutte le specie, i popoli e le culture hanno valore connaturato.

La comunità della Terra è una democrazia di tutto ciò che vive.

Le culture, in una democrazia della Terra, nutrono la vita.

La democrazia della Terra globalizza pace, cura e compassione. – Vandana Shiva (“Earth democracy” / “Il bene comune della Terra”)

GIOIA

totoro

“A più di trent’anni dalla sua uscita, “Il mio vicino Totoro” è uno dei film più amati e celebrati di Miyazaki. Totoro entra in risonanza con noi perché trasforma situazioni paurose in situazioni leggere. Rappresenta lo spirito che possiamo evocare per sollevarci e uscire dai periodi bui.

Il suggerimento del film è che essere coraggiosi non significa avere la faccia dura, ma canalizzare l’immaginazione, l’umorismo e la speranza di uno spirito della foresta (molto buffo, peloso e adorabile). Totoro incoraggia le bambine protagoniste del film a parlare a voce alta e a rendere palesi i propri sentimenti.

Come spirito della foresta Totoro rappresenta anche la magia della natura. Insegna alle bambine che possono appoggiarsi alla natura per avere conforto. Abbiamo bisogno della natura per avere rifugio e protezione, ma non possiamo dare la relazione con la natura per scontata: è come un’amicizia da tesoreggiare e di cui avere cura.” – Brano tratto da: “My Neighbor Totoro: Why We Need Totoro”, di Susannah e Debra, youtubers.

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want you to panic

L’installazione che vedete sopra è dell’artista Sophie Thomas. Su ambo i pannelli campeggia in rosso la frase di Greta Thunberg “Voglio che andiate in panico” e sullo sfondo si intrecciano i commenti sul cambiamento climatico di “scettici” famosi.

“Facendo le mie ricerche per creare il pezzo – ha detto Sophie alla stampa – ho esaminato alcune delle voci che durante il passato decennio abbiamo udito negare il cambiamento climatico in modo assai chiassoso: sono molto maschili.”

Attualmente l’opera fa parte della mostra organizzata a Londra presso Protein Studios dal gruppo ambientalista “Do The Green Thing” (“Fai la cosa verde”) ed è costruita sulla loro convinzione che “il cambiamento climatico sia una crisi creata dall’uomo in ogni senso, con la cultura dominata dagli uomini che alimenta i comportamenti dannosi mentre donne e bambine ne pagano sproporzionatamente il prezzo”.

“Il cambiamento climatico è sessista: colpisce molto di più le donne e le bambine proprio perché esse sono già marginalizzate nelle nostre società. – ha spiegato Ashley Johnson, membro di “Do The Green Thing” – Ci sono conseguenze di genere, ci sono cause di genere e ci sono soluzioni di genere. Volevamo esplorare questa idea e offrire all’arte una possibilità di rispondervi.”

Perché è presto detto:

* Le Nazioni Unite hanno calcolato che l’80% degli sfollati durante disastri climatici sono donne, tuttavia le donne sono una minoranza in ogni commissione del maggior gruppo decisionale NU sul clima, la Framework Convention on Climate Change. “Le donne spesso non sono affatto coinvolte nelle decisioni sulle risposte al cambiamento climatico, – ha detto alla BBC la scienziata ambientalista Diana Liverman – così il denaro relativo arriva agli uomini piuttosto che alle donne.”

E in effetti le iniziative guidate dalle donne su base comunitaria di frequente non ottengono finanziamenti perché i loro progetti sono considerati non abbastanza “grandi”: nonostante le piccole coltivatrici abbiano dimostrato che quando è garantito loro l’accesso allo stesso credito e alla stessa attrezzatura forniti agli uomini sono in grado di coltivare il 20/30% in più di cibo sullo stesso ammontare di terreno e di tagliare le emissioni di due milioni di tonnellate entro il 2050.

* Le donne muoiono in disastri “naturali” 14 volte di più degli uomini per una serie di cause legate al sessismo: ad esempio non ricevono gli avvisi e gli allarmi, giacché le informazioni sono sovente trasmesse da uomini ad altri uomini in spazi pubblici, mentre le donne sono a casa (dove la “cultura” e le “tradizioni” le vogliono), oppure non hanno imparato a nuotare non per propria volontà, ma perché sarebbe stato indecoroso per una femmina il farlo.

* Mano a mano che siccità e stagioni secche aumentano e fonti di acqua potabile scompaiono o si esauriscono, sono le donne delle comunità rurali che sono costrette a percorrere lunghe distanze per fornire acqua alle loro famiglie, mettendo a rischio la loro incolumità e la loro salute.

* Poiché le donne sono anche la maggioranza dei poveri al mondo, è per esse più difficile riprendersi dopo un disastro: sono quelle che hanno più possibilità di non riavere i propri impieghi, sono sovraccariche di responsabilità domestiche e la situazione le rende maggiormente vulnerabili a forme di schiavitù sessuale e sfruttamento.

“In un mondo patriarcale – dicono le donne di “Do The Green Thing” – il cambiamento climatico semplicemente ingigantisce le diseguaglianze esistenti nella nostra società.”

Maria G. Di Rienzo

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(“In rural Paraguay, women are on the frontlines of a ‘race against time’ to save native seeds”, di Maria Sanz Dominguez – che ha anche scattato la foto di Ceferina Guerrero riprodotta qui – per Awid e Open Democracy 50.50, 11.9.2018, trad. Maria G. Di Rienzo.)

ceferina guerrero - immagine di maria sanz dominguez

A Chacore, a circa 200 chilometri di distanza dalla capitale del Paraguay Asunción, la 68enne Ceferina Guerrero cammina accanto a scaffali pieni di bottiglie di plastica e lattine accuratamente etichettate. Ognuna di esse contiene una varietà nativa di semi essenziali per la dieta delle comunità rurali.

Le etichette riportano i nomi in guarani, lingua indigena e seconda lingua ufficiale del Paraguay, così come in spagnolo. Guerrero presenta i semi con calore, come farebbe una madre con i propri figli: questo è un fagiolo, questa è una nocciolina, questo è mais.

Conosciuta come Ña Cefe nella sua comunità, Guerrero dice che il suo cognome (“guerriero” in spagnolo) le calza come un guanto. E’ una delle fondatrici del Coordinamento delle donne rurali e indigene in Paraguay (Conamuri).

Conamuri ha avuto inizio negli anni ’90 come piccolo gruppo. Oggi i suoi membri includono donne da più di 200 comunità rurali in Paraguay e l’associazione è anche collegata ai propri alleati in tutto il mondo come parte del movimento internazionale contadino La Via Campesina.

Pure, dice Guerrero, “non dobbiamo dimenticare il nostro principale obiettivo”: raccogliere e preservare semi nativi nell’intero paese. Lei descrive ciò come una corsa contro il tempo – e contro l’espansione dell’agricoltura industriale su larga scala.

“Attualmente abbiamo perso almeno il 60% delle varietà native. – mi ha detto – Ci sono persino comunità che non ne hanno affatto.”

Secondo l’organizzazione per il cibo e l’agricoltura delle Nazioni Unite (FAO), a livello globale il 60-80% del cibo nella maggioranza dei paesi in via di sviluppo, e metà del rifornimento mondiale di cibo, è piantato dalle donne.

Nel frattempo, il mondo ha perso il 75% del suo differente campionario di semi durante il ventesimo secolo. Ora, nove sole colture comprendono il 66% della produzione agricola globale. Unicamente tre di queste – grano, riso e mais – rappresentano circa la metà delle calorie giornaliere della popolazione mondiale.

Queste tendenze hanno allarmato ong, organizzazioni rurali e istituzioni internazionali. Mantenere la biodiversità, insiste la FAO, è “fondamentale” per la sicurezza alimentare e la capacità di adattarsi alla crescita della popolazione e al cambiamento climatico.

La perdita di biodiversità ha anche un “impatto specifico” sulle donne che “sono state per tradizione le custodi di una profonda conoscenza su piante, animali e processi ecologici”, hanno aggiunto nel 2016 gli esperti del comitato internazionale dell’IPES sui sistemi alimentari sostenibili.

In Paraguay, il mero 5% della popolazione possiede il 90% della terra. La maggioranza di quest’ultima è usata da grossi agribusiness per coltivare solo una manciata di varietà (incluse la soia, il grano, il riso e il mais) su vaste piantagioni a scopo di esporto internazionale.

L’anno scorso, il paese ha importato almeno 24.000 tonnellate di semi. La maggior parte era diretta a queste coltivazioni da esporto. Meno dell’1% erano semi di frutta o vegetali, per lo più patate. Il resto includeva il frutto nazionale del Paraguay: mburucuya (maracuja o frutto della passione).

Intanto, 28 coltivazioni geneticamente modificate (in gran parte varietà di soia, mais e cotone) sono state approvate dal governo dal 2001 in poi, quando la Monsanto ha cominciato a produrre qui la sua sua soia resistente al pesticida Roundup. Nel mezzo della pressione esercitata dalle corporazioni sull’agricoltura e la produzione di cibo, le donne che preservano le varietà native, come Guerrero a Chacore, sono “rare, come aghi nel pagliaio” dice Inés Franceschelli, una ricercatrice per l’ong Heñoi (‘germinare’). “E se il Paraguay è cosi dipendente (dalle compagnie straniere) per una faccenda così di base come il cibo – ha aggiunto – significa che questo è un paese subordinato.”

A seguito di un’intensa campagna di mega-fusioni partita nel 2016, un piccolo gruppo composto di tre corporazioni giganti (Bayer-Monsanto, DowDuPont e Chemchina-Syngenta) ora controlla più della metà del mercato mondiale dei semi. Questi semi e i giganti dell’agrochimica sono attivi anche in Paraguay, dove è stato loro permesso di piantare mais, cotone e soia transgenici.

Guerrero mi ha detto che i semi nativi crescono senza insetticidi, mentre alcuni semi transgenici possono “produrre una bella pianta, con bei frutti, ma se tu raccogli i semi e li pianti di nuovo, non germineranno. Non puoi riusare i loro semi e sei costretta a comprarli ancora e ancora.” Ciò che lei descrive suona come l’effetto di una controversa modifica genetica che produce semi sterili una volta che la pianta abbia dato i suoi frutti.

Alcuni li chiamano i “semi terminator”, alcune ong e organizzazioni rurali mettono in guardia sul fatto che l’uso delle Genetic Use Restriction Technologies (GURT) può rimpiazzare le varietà native e minacciare la sicurezza alimentare locale. Il Paraguay è anche uno dei paesi firmatari della Convenzione sulla diversità biologica delle Nazioni Unite, che nel 2000 raccomandava una moratoria de facto dei test sui campi e della vendita dei semi “terminator”.

Si crede che le maggiori compagnie mondiali abbiano brevetti per tali tecnologie, sebbene esse neghino di usarli. La Monsanto, per esempio, ha detto di “non aver mai commercializzato una biotecnologia che risultasse in semi sterili – o terminator” per i raccolti di cibo e di “non avere piani o ricerche che violerebbero questo impegno.”

In questo momento si sta anche facendo pressione affinché il Paraguay adotti il controverso accordo sui semi “UPOV 91”, come parte del trattato sul libero commercio che viene negoziato fra l’Unione Europea e il blocco commerciale sudamericano Mercosur.

Le organizzazioni rurali temono che questo renderebbe possibili azioni legali contro i contadini per la condivisione e lo scambio di semi nativi, poiché essi non sarebbero in grado di soddisfare i requisiti richiesti per la registrazione all’interno dell’accordo.

Durante l’ultimo decennio, Conamuri ha sviluppato le sue proprie proposte di legge per proteggere i semi nativi e “creoli” (che non sono nativi, ma si sono adattati nei secoli alle condizioni locali). Queste proposte sono state respinte nel 2012, dopo l’impeachment del Presidente Fernando Lugo (visto come qualcuno disponibile ad accettarle). “Abbiamo capito allora che il potere politico era instabile e che perciò dare al governo il controllo sui nostri semi non era una garanzia per la sovranità e la sicurezza alimentare.” – mi ha detto Perla Álvarez di Conamuri – I semi devono stare nelle mani della gente di campagna.”

“La gente di campagna ha potere nel proprio stile di vita tradizionale.”, aggiunge Franceschelli dell’ong Heñoi, dal potere di un’alimentazione sana e di una gestione sostenibile della terra a quello di “vivere senza essere dipendenti dalla corporazioni. La resistenza è situata nelle comunità rurali e indigene in tutto il mondo. E questa resistenza è più forte nelle donne.” In Paraguay, nel mezzo del diffondersi dell’agricoltura industriale, delle coltivazioni transgeniche e dei brevetti sui semi, donne come Guerrero sono in prima linea nella battaglia per salvare le varietà native, prima che sia troppo tardi.

Queste donne stanno producendo “fertilizzanti verdi” che aiutano la terra coltivabile a rinvigorirsi per la prossima stagione e insegnano ad altre persone la coltivazione agro-ecologica che tiene conto degli ecosistemi naturali e incoraggia a piantare una varietà di semi. Stanno accuratamente etichettando recipienti in cui immagazzinano le stesse varietà di mais che le loro nonne usavano per cucinare, molto tempo fa. Stanno anche riscoprendo e preservando i semi nativi che non sono stati usati per molti anni.

A Chacore, la Semilla Róga (la casa dei semi) è un progetto di Conamuri che ospita ogni mese contadini provenienti da tutto il Paraguay per lo scambio dei semi e per l’apprendimento alla preservazione di varietà native e creole. Qui, Guerrero insegna come far crescere cibo senza pesticidi o insetticidi. Ha anche il suo magazzino di semi a casa, in cui preserva 60 varietà di semi e li condivide con i suoi vicini. “Sin dall’inizio dell’agricoltura – dice – i semi nativi sono stati collegati alle donne, che sono state le prime a raccogliere, conservare e piantare semi.”

Il progetto Semilla Róga mira pure a preservare la conoscenza e le tradizioni delle comunità che usano i semi nativi. “Ciascuna varietà di mais è adatta a diversi tipi di cibo e appartiene a differenti gruppi di persone. – ha spiegato Álvarez – Per esempio, le genti indigene come gli avá gli mbya guaraní usano il mais colorato per i rituali, perciò questa pianta ha anche valore culturale.”

Le medicine naturali derivate dai semi crudi sono pure popolari in Paraguay, dove sono spesso usate come alternative meno costose alle medicine convenzionali. Il seme di coriandolo, per esempio, è usato per aumentare le difese naturali dopo una malattia.

“Se perdiamo il kuratu (coriandolo), se perdiamo l’andai (varietà locale di zucca), noi stiamo perdendo la medicina e stiamo perdendo il nostro cibo, una parte delle nostre tradizioni come gente di campagna e una parte della nostra cultura e della nostra identità.”, mi ha detto Guerrero. Tenendo in mano una grande foglia di mais rosso nativo, Guerrero spiega che dovrebbe essere raccolto durante la luna piena, quando l’atmosfera è meno umida. Mi mostra come raccogliere i piccoli semi da ambo le estremità per il cibo: quelli nel mezzo saranno immagazzinati per la semina della prossima stagione.

“Alcuni mi chiedono quanti dollari spendo al giorno. Io non capisco la domanda, perché produco quel di cui ho bisogno e per settimane intere non spendo un dollaro. – dice – Quando hai semi in casa, non avrai mai fame.”

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