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Il giovane Marco Rossi, giocatore del Monregale calcio, ha avuto qualche difficoltà “stradale” il mese scorso e ha ritenuto di doverne dare pubblicamente conto con un video. La trascrizione della sua testimonianza è questa:

In poche parole c’è una negra di merda che pensa di avere dei diritti, e tra l’altro ‘sta negra è pure donna, quindi già “donna” e “diritti” non dovrebbero stare nella stessa frase, in più se aggiungi un “negra”… quindi fa già ridere così, no? Però, in poche parole sto orangotango del cazzo ha avuto la brillante idea di denunciarmi per falsa testimonianza. Che però forse è vero, un po’ di falso l’ho dichiarato perché ero fuso e ubriaco, ci sta. Però per principio non mi devi rompere il cazzo anche perché you are black, diocan, negra di merda! E niente, bon, in poche parole io adesso dovrei pagare la macchina a una solo perché sa fare il cous cous: ma baciami il cazzo va’, puttana! Puttana! Troia! Poi ho preso la macchina di mia madre, ho preso l’autovelox, non ho pagato una lira e devo pagare la macchina a te diocan, sempre se si può chiamare macchina quella merda di triciclo che c’hai. Troia, lavami i pavimenti.”

Nelson Mandela la pensava così:

“Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di ispirare, ha il potere di unire le persone in un modo che poche altre cose sanno fare. Parla ai giovani in un linguaggio che loro capiscono. Lo sport può creare speranza dove prima vi era solo disperazione. E’ più potente dei governi nell’abbattere le barriere razziali. Ride in faccia a ogni tipo di discriminazione.”

Vero, in teoria e in linea di massima. Poi nella pratica c’è qualche dissonanza come Marco Rossi. Perché gli strumenti – dallo sport ai video – sono in essenza l’uso che ne fai.

C’è un po’ di gente che sta chiedendo alla dirigenza del Monregale di buttare fuori il suo giocatore. Io dilazionerei la proposta. Tenetelo in squadra, per il momento, e fate un po’ di “rieducational channel” per tutti.

Cominciate con lo studio di questi tre testi: Costituzione della Repubblica Italiana, Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, CEDAW – Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne. Fase due: invitate Aboubakar Soumahoro e Leaticia Ouedraogo a tenere una lezione ai vostri calciatori sugli effetti del razzismo e del sessismo nelle loro vite.

Poi portate Rossi e compagnia in tour al campo di sterminio di Auschwitz.

Infine informateli: “Adesso non avete più scuse, non potete dire che non sapevate e che non avevate capito e che stavate scherzando eccetera. Vi abbiamo dato la possibilità di smettere di essere stupidi e crudeli. Il prossimo che fa/dice una stronzata razzista, sessista, omofoba eccetera se ne va a calci nel didietro.”

Maria G. Di Rienzo

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Otley Chevin Leeds

Pavoni con la coda a ventaglio,

elefanti dipinti.

Copriletti ricamati

di prati e siepi.

Foreste di bambù

e picchi con cappelli di neve.

Cascate, ruscelli,

i geroglifici delle gru dalle grandi ali

e il fiore di loto luccicante dopo la pioggia.

L’aria

trasparente in modo ipnotico

rarefatta.

Il viaggio è un faticoso uno alla volta

lungo e lento

ma necessariamente tale.

Potete ascoltate il testo intero qui:

https://www.youtube.com/watch?v=k0bWqq8sQiE

Si tratta di “Lockdown”, poesia che Simon Armitage ha scritto in marzo e che recita con l’attrice Florence Pugh nel video indicato sopra. Il testo è stato messo in musica e in vendita per raccogliere fondi a beneficio di Refuge, un’organizzazione che si occupa di violenza domestica.

La “poesia della quarantena”, pubblicata per la prima volta da The Guardian, si muove dall’esplosione della peste bubbonica a Eyam, nel 17° secolo, al poema epico in sanscrito “Meghaduta” dell’indiano Kalidasa (4°-5° secolo d.C.).

Il video merita attenzione per la magia della musica, le immagini che incorporano speranza e sogno nella quotidianità e lo scopo per cui è stato creato.

A me è piaciuta particolarmente l’armonia delle voci recitanti, in cui maschile e femminile si alternano: voci vicine senza prevaricazione, alleate in passione e rispetto. Maria G. Di Rienzo

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(“The Pandemic Is a Portal” video di Arundhati Roy per “Yes! Magazine”, aprile 2020, trad. Maria G. Di Rienzo.)

arundhati roy

Cos’è questa cosa che ci è capitata?

E’ un virus, sì.

E in se stesso e per se stesso non ha obiettivi morali.

Ma è definitivamente più di un virus.

Alcuni credono sia la maniera di dio di farci rinsavire.

Altri che sia un complotto cinese per conquistare il mondo.

Comunque sia, il coronavirus ha fatto inginocchiare i potenti e ha portato il mondo a un arresto come null’altro ha fatto prima.

Le nostre menti stanno ancora sfrecciando avanti e indietro, desiderando un ritorno alla “normalità”, tentando di cucire il nostro futuro al nostro passato e rifiutando di riconoscere la rottura.

Ma la rottura esiste.

E nel mezzo di questa terribile disperazione, ci offre la possibilità di ripensare la macchina della fine del mondo che abbiamo costruito per noi stessi.

Nulla potrebbe essere peggiore di un ritorno alla normalità.

Storicamente, le pandemie hanno costretto gli umani a rompere con il passato e a immaginare di nuovo il loro mondo.

Questa non è diversa.

E’ un portale, un cancello fra un mondo e il successivo.

Possiamo scegliere di camminare attraverso di esso trascinandoci dietro le carcasse dei nostri pregiudizi e del nostro odio, la nostra cupidigia, le nostre banche dati e le nostre idee morte, i nostri morti fiumi e i cieli pieni di fumo dietro di noi.

O possiamo attraversarlo con leggerezza, con poco bagaglio, pronti a immaginare un altro mondo.

E pronti a combattere per esso.

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Prendiamo Ciro Grillo: un 19enne da serate al Billionaire e ville in Costa Smeralda, feste e selfie circondato da coetanee, viaggi in giro per il mondo (“Cazzi durissimi in Nuova Zelanda” è il suo entusiastico commento a uno di essi), kick boxing e palestra (e gli esercizi sembrano avere uno scopo quantomeno bizzarro: sotto la sua foto mentre dondola appeso a una sbarra, Ciro avverte: “Ti stupro bella bambina attenta” – senza neppure una virgola, nonostante la maturità conseguita).

Prendiamo i suoi amici Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria: tutti fra i 18 e i 20 anni e figli di imprenditori, medici e professionisti della Genova bene, con retroscena similari.

Secondo la loro versione conoscono due ragazze nel locale summenzionato, le invitano a “una spaghettata” in un residence del papà di Ciro (un signore molto noto) e mentre una dorme ubriaca quella ancora sveglia, per quanto alticcia, è consenziente ad avere rapporti sessuali con tutti loro e persino a essere filmata durante uno di essi: il video prova “che ci stava”, sostengono i quattro moschettieri.

Purtroppo non si capisce perché la ragazza, anch’ella 19enne, li abbia denunciati per stupro di gruppo. Se era così felice di avere addosso a turno machissimi vitelloni palestrati e che dell’impresa restasse traccia, cos’è successo? La performance del quartetto è stata scadente? Il filmato non è venuto proprio bene? Gli spaghetti facevano pena?

Naturalmente di lei si dubita: è stata visitata al centro Soccorso Violenza Sessuale della clinica milanese Mangiagalli e ha sporto denuncia nella stessa Milano, dove abita, dieci giorni dopo l’accaduto, non ha interrotto immediatamente le vacanze e ha taciuto – e se la sua storia è vera (lasciamo pure il beneficio del dubbio, per quanto esile) io so perché.

1. Provava vergogna, come tutte le donne vittime di aggressioni sessuali, poiché la narrazione pornografica in auge della sessualità le ha insegnato – e insegna a tutti gli stupratori – che la violenza sessuale è voluta e provocata dalle femmine di ogni età e condizione e che una donna sessualmente attiva è una troia e un uomo sessualmente attivo è un figo.

2. Si sentiva colpevole per aver accettato l’invito – e difatti la maggioranza dei resoconti giornalistici sulla vicenda la definiscono “imprudente” – ma sentite un po’, cosa avrebbe dovuto fare in quest’epoca terribile in cui “l’ossessione per l’eguaglianza di genere” e il “#Metoo” uccidono il romanticismo? Le avrebbero dato della femminazista, della bacchettona, della “fica-di-legno”? Sarebbero diventati violenti e incontrollabili di fronte a un rifiuto? La narrazione pornografica di cui sopra assicura che un uomo con un’erezione è peggio che tarantolato e decisamente “inraptussito”, guai se la lascia sgonfiare o se la maneggia in solitario sotto la doccia, ha bisogno di genitali femminili, subito e senza condizioni.

3. Ha tentato di cancellare quel che era successo, di non pensarci, di lasciarselo alle spalle. Fini intellettuali ambosessi (italiani e non) assicurano che dopo un bidet e ridendoci sopra e sdrammatizzando va tutto a posto. Però, come dimostrano le conseguenze psicofisiche degli stupri, che possono affliggere una persona per l’intero resto della sua vita (e persino metter fine a essa tramite suicidio), si sbagliano.

Sì, puoi metterci dieci giorni a prendere la decisione di rendere pubblica la tua sofferenza, e anche di più: puoi persino, mentre il disgusto e la rabbia ti consumano in silenzio, non prenderla mai. Sei stata “imprudente”, come già detto – quindi non sei una vittima ma una corresponsabile; temi o sai per certo di non ottenere sostegno o solidarietà sufficienti a darti coraggio e legittimazione; “loro” diranno che eri d’accordo; se parli la tua vita precedente sarà scandagliata in ogni dettaglio e qualunque cosa suggerisca che in altre circostanze il sesso possa piacerti (com’è normale) sarà usato per reiterare che non poteva trattarsi di violenza: se una donna l’ha fatto con uno vuole e deve farlo con tutti gli altri… eccetera.

E guardate: persino se i quattro giovanotti stessero dicendo la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità, la loro visione del sesso mi provoca una nausea insormontabile. E’ solo spettacolo pornografico da orchestrare in gruppo, per vantarsi l’uno con l’altro e con eventuali altri amici grazie ai filmati, non ha nulla di erotico, nulla di appetibile, nulla che indichi un briciolo di interesse e rispetto per l’attrezzo umano con cui si soddisfano. Attenta che con questi addominali sono assai adatto a stuprare, bella bambina. Ma visto che le “belle bambine” a volte si ribellano, non sarebbe meglio – parlo a Ciro e compagnia – usare meloni, angurie, carne trita con uovo crudo (come diceva Bukowski) e evitare i tribunali? Così, tanto per dire.

Maria G. Di Rienzo

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Hai acceso una fiamma che non si spegnerà mai.

Sei stata la voce per molti che non la avevano.

Mi hai aiutato ad accettare me stessa e per questo ti sarò sempre grata.

Sei una pioniera e hai cambiato la mia vita e quella di mia figlia.

Ci hai fatto ridere, ci hai fatto indignare, ci hai fatto pensare.

La tua mancanza di paura, la tua tenacia e il tuo umorismo mi hanno resa capace di ruggire come una leonessa.

Coraggiosa lottatrice, non sarai mai dimenticata.

Magdalen Berns

Sono una serie di messaggi indirizzati in questi giorni a Magdalen Berns (in immagine qui sopra), 35enne scozzese a cui è stato diagnosticato un tumore cerebrale incurabile lo scorso anno. Attualmente Magdalen è all’ospedale ove sta ricevendo “cure palliative” per il glioblastoma: in altre parole, i medici hanno gettato la spugna.

Femminista lesbica, Magdalen ha creato attorno ai suoi video su YouTube in cui discute di politica, genere, sessualità e molto altro una “comunità” di oltre 30.000 persone. Questa giovane donna sta affrontando la morte con lo stesso spirito con cui ha affrontato ogni altra cosa nella sua vita: con un coraggio enorme e non comune. Poco prima di perdere la possibilità di parlare così ha detto in una delle ultime registrazioni ai suoi followers: “Vi amo e amo la comunità che ho creato qui, e spero che essa continuerà ad esistere: per altre persone, affinché facciano la stessa cosa e lottino per ciò in cui credono. Perché, come ho sempre detto, ci sono cose molto più importanti di cui preoccuparsi che l’essere apostrofate con appellativi stupidi.”

Scrive di lei Madeleine Kearns il 4 settembre scorso: “Per molti aspetti ha condotto una vita del tutto ordinaria. Come molte di noi, si è innamorata e si è disamorata (di donne, nel suo caso); ha studiato con impegno e con più impegno ancora si è divertita; si è lanciata in diversi lavori, si è immersa profondamente nella politica e ha denunciato la crudeltà e l’ipocrisia esistenti nei suoi stessi referenti politici (la sinistra).”

Per questa vita “ordinaria”, che per molti aspetti assomiglia alla mia, ti ringrazio, sorella.

Maria G. Di Rienzo

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Oggi tutti i quotidiani aprono con la crisi di governo, ove Salvini getta la maschera di Zorro e si candida a “salvatore” della patria (forse voi non ricordate di averla già sentita, questa idiozia, io purtroppo sì), ma ci sarà tempo per parlarne nei prossimi giorni.

Quel che volevo invece esaminare qui è un altro tipo di notizie che infestano i giornali, soprattutto le loro versioni online:

1. Si riferiscono a persone evidentemente assai note di cui io non ho mai sentito parlare e quando ricevo le informazioni relative (non apro i click-bait, chiedo direttamente a amici – conoscenti o a google) scopro che i mestieri – si fa per dire – di queste persone sono youtuber, influencer o al massimo rapper o modella. L’unico caso diverso ha riguardato, per me, un economista la cui soluzione per i problemi italiani è che le donne facciano più figli: non riuscivo assolutamente a ricordare chi diamine era questo personaggio lungimirante che chiede alle italiane di perdere il lavoro, di essere penalizzate su di esso o di non trovarlo proprio più; di maneggiare in allegria il sostegno zero dato dalla società alla loro condizione prima di partorienti e poi di madri (scarso o nullo rispetto in sala parto, niente nidi – asili o prezzi esorbitanti per essi, ecc.); di guardare a un futuro disastrato a livello ambientale per il pianeta in generale e a livello sociale-politico in particolare per l’Italia e dire “Ok, adesso ci butto dentro un altro essere umano, lo faccio per il bene del Paese”. Massima solidarietà e infinite benedizioni per le madri, ma quelle che non vogliono diventarlo hanno ragioni razionali e consistenti che un economista dovrebbe essere in grado di leggere (e al di là delle proprie specializzazioni, dovrebbe comunque portare rispetto alle scelte riproduttive delle donne, le quali sono esseri umani a 360° e non uteri ambulanti).

2. Hanno frasi-chiave ripetute ossessivamente del tipo “Tizio lancia una scarpa e il gesto scatena i social”, “Il video / l’immagine di Caia in mutande è virale”, “Migliaia, milioni (se facciamo più figli presto miliardi) di followers” e titoli surreali: “Sono sanissima e fino ai 13 anni ho dormito con i miei” (suppongo i genitori, ma dormirci regolarmente insieme sino all’adolescenza non mi sembra poi sanissimo), “Mi accusano di parlare di sesso per fare clic, in realtà sono un romantico” (e – chi – se – ne – frega), e via così. In questi giorni in lizza c’è anche un video in cui appare Luciana Castellina, ma solo perché era “la comunista più bella” – adesso è anziana, ovviamente, per cui il suo preparatissimo intervistatore le ricorda che “Lei era bella, come questo ha influito ecc.”: voglio dire, è una donna con una storia politica lunghissima e appassionante a cui potevano essere poste domande molto interessanti e pertinenti, ma no, lei era bella (sottinteso: lei ha potuto fare questo e quello perché era bella, ma adesso è un rottame di vecchia che nessuno scoperebbe più, come si sente al proposito?)

Ai due criteri esplicitati sopra appartengono anche i recenti “articoli” – scusatemi, le virgolette in questi casi sono un obbligo – relativi a tal Gianluca Vacchi, definito da essi “imprenditore con oltre 11 milioni di followers” e “figlio del fondatore dell’IMA, azienda che si occupa di progettazione e produzione di macchine per realizzazione e confezionamento di cosmetici, farmaci e prodotti alimentari”. Non so se siano questi i titoli per cui è ospitato in televisione, ma ho letto della sua spassosissima battuta rivolta in tono sprezzante a Luciana Litizzetto, per cui se la stessa si “fosse messa a novanta si sarebbe potuto anche fare”. Che un simile signore si degni di ipotizzare la concessione del suo sublime apparato così generosamente, purché l’indegna recipiente dello stesso non gli mostri la faccia, è davvero lodevole.

Le immagini di Vacchi ricordano l’uomo illustrato di Bradbury, con la differenza che questo figlio d’arte e di cospicui conti bancari sembra passare il suo tempo fra palestre e spiagge e centri estetici e non ha alcuna storia da raccontare sulla propria pelle.

E’ invece solito pubblicare online video in cui balla. Nell’ultimo piazza una serie di modelle in bikini a culo all’aria su uno yacht e “suona” le loro natiche come tamburi. Ancora una volta, le facce delle donne lui proprio non le sopporta. Gli bastano i pezzi. I volti costringono a ricordare che si ha a che fare con persone, non con attrezzi da masturbazione.

Molti che hanno preso visione dell’opera suddetta ne sono rimasti schifati a sufficienza per chiedere a Vacchi di cominciare a rispettare le donne.

“Io le rispetto molto, – ha risposto lui – imparate a scherzare se volete rispettare la vita.”

E’ vero: la vita per le donne, in Italia e ovunque, consiste per lo più nel sopportare il continuo lancio di secchiate di escrementi che prendono a bersaglio forma e aspetto dei loro corpi, la loro posizione sociale, i loro compiti e doveri (figli e cucina), il loro intelletto, le loro professioni, le loro capacità in ogni campo dello scibile umano. Non si capisce proprio perché non riescano a riderne 24 ore su 24 – ma se c’è qualcuna che lo fa si trova probabilmente in un istituto specializzato per le malattie mentali e chi ce l’ha mandata sono le azioni di questi “rispettosi” individui.

Maria G. Di Rienzo

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La storia è una di quelle che è facile rubricare come insignificante: 1) notte del 26 giugno scorso, proteste al porto di Civitavecchia per il ritardo sull’orario di imbarco per Tunisi; 2) un viaggiatore in attesa, tunisino, si oppone alla richiesta della polizia di spostare la propria automobile in fila per far passare un camion; 3) spinte, strattoni, scambio di insulti fra più persone; 4) tre tunisini arrestati e poi condannati per direttissima per resistenza a pubblico ufficiale.

Il video che riprende l’accaduto parte dal punto 3. Si vede un poliziotto spingere violentemente un uomo contro la fiancata di un’auto e costui rispondere a sua volta con una spinta. Nella confusione seguente, è possibile scorgere un poliziotto che schiaffeggia un uomo e poi estrae la pistola minacciando di sparare, ma a causa del movimento di altri corpi nella finestra del video non è chiaro se si tratti dei primi due.

Secondo le forze dell’ordine gli agenti sarebbero stati aggrediti per primi, la “sproporzione numerica” li avrebbe costretti a chiedere rinforzi e la pistola è stata estratta solo per “evitare ulteriori sopraffazioni”.

Tuttavia, sbandierare una pistola urlando “Guarda che ti sparo” non sembra proprio in linea con quanto previsto dall’art. 53 del Codice Penale sull’uso legittimo delle armi. Come detto, dalle immagini riprese non è possibile evincere l’intero svolgersi degli eventi, ma il protocollo per l’azione degli agenti prevede:

dialogo, ove “Signore per cortesia si sposti, in caso contrario viola il tal articolo di legge e siamo costretti ad arrestarla”, è senz’altro più corretto di un eventuale “Cavati dalle palle stronzo”;

allontanamento del sospetto, tramite persuasione, da luogo o posizione di pericolo che potrebbero recare danno all’agente o a terzi;

controllo meccanico, e cioè l’uso delle mani e della forza fisica per conseguire il punto succitato: in breve, il portare via qualcuno di peso, che però non è prenderlo a spintoni e a ceffoni;

impiego di strumenti difensivi (tipo il manganello) per l’applicazione di una forza contenuta;

impiego della forza letale, e quindi delle armi.

“Una vicenda ancora poco chiara, – dice un articolo al proposito – ma che sta già dividendo l’Italia. Sul web, infatti, ci si divide tra chi sostiene che sia stato un utilizzo eccessivo della forza da parte del poliziotto e chi chiede pene più dure per chi resiste agli agenti.”

Il vero fulcro della questione, dei dibattiti e delle divisioni sta in questa parola: tunisini. Se ad essa sostituissimo, per esempio, “trasteverini” gli schieramenti diverrebbero già meno granitici, ma poiché di tunisini si tratta questi sono i commenti più comuni:

“Preziose risorse che mostrano tutto il rispetto per l’autorita’ dello stato che li ha accolti. Al paesello suo l’agente buttava in mare la macchina con tutto il conducente. Ed era gia’ fortunato.”

(L’autore di quanto sopra, che tra l’altro non conosce l’esistenza della “a accentata” e non la scorge sulla sua tastiera, invece che preziosa risorsa per lo stato di cui è nativo, potrebbe essere definito nocumento culturale.)

“I carabinieri e i poliziotti dovrebbero essere dotati di teaser.”

(Okay, magari anche di trailer, così sappiamo meglio se nella seconda puntata usano gas lacrimogeno o fanno intervenire squadre antisommossa. Taser, la pistola elettrica si chiama taser!!!)

“Agli ordini della polizia si obbedisce, ma siccome il tunisino ha visto come la comandante Carola ha disobbedito alla GdF, ha pensato che fosse possibile pure per lui.”

(L’impulso a far da tappetino ai potenti sembra qui irresistibile: forse, se questa clamorosa idiozia arriva a conoscenza del ministro giusto, l’autore della stessa vincerà una telefonata o un caffè con il suo idolo. Però resta una clamorosa idiozia, beninteso.)

“L’America di Trump ci vorrebbe! Come sempre alcuni italioti pronti a difendere ad oltranza soggetti indifendibili!”

(Nella serie di commenti in cui quest’invocazione con relativo insulto – italioti – è inserita non ce n’era uno, dicasi uno, che difendesse i tunisini coinvolti nella vicenda. Se fosse possibile appellarsi agli Usa da questo blog, avrei già chiesto la concessione della green card per il suo sostenitore: se l’unica idea di futuro che ha è Trump, meglio che emigri.)

Per chiudere, a me non sta bene la continua richiesta di schieramento con contrapposizione frontale: la gestione dell’ordine pubblico è cosa molto seria che tocca i diritti umani delle persone coinvolte e non questione di tifoseria (“Io sto con la polizia!”, come squittisce di continuo un noto personaggio politico). La violenza la rifiuto per principio, per cui come non mi sta bene che sia usata da semplici cittadini, non mi sta nemmeno bene che alcuni elementi delle forze dell’ordine la usino a sproposito valicando i limiti prescritti dalle leggi. Esultare quando ciò accade in relazione a stranieri, migranti ecc. è indice di vista corta, perché una volta sdoganata questa tendenza non risparmia nessuno ed è veleno per la democrazia. Pur di godere dando addosso ai tunisini di turno, vi starà bene nel futuro prossimo avere paura, per principio, nel momento in cui un individuo in divisa si avvicina a voi per qualsiasi motivo? Vi starà bene sapere che anche se abusa di voi sarà giustificato, protetto e non risponderà delle sue azioni?

Maria G. Di Rienzo

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rasha

L’organizzazione della società civile turca “Kish Malek” ha così reso graficamente l’ultimo istante dell’esistenza di Rasha Bseis, il cui omicidio da parte del fratello Bashar è stato filmato dal vivo e condiviso migliaia di volte sul web.

Rasha è morta perché un tizio qualsiasi ha postato sue foto su Facebook. Il fratello ne ha dedotto che era un’adultera. Il suo onore di maschio e proprietario di Rasha era “macchiato” da ciò. L’unica soluzione per “ripulirlo” era uccidere.

L’uomo è membro dell’Esercito libero siriano (Els), che è finanziato dalla Turchia, ha la sua propria polizia e i suoi propri tribunali: disturbati da un paio di settimane di proteste, gli alti ufficiali hanno assicurato che un’indagine è in corso ed emesso un mandato d’arresto, ma nel frattempo l’assassino è stato in grado di tornare alla sua casa natale in una zona che l’Els non controlla. Per i giudici in loco, secondo la “sharia”, a Bashar Bseis basterà trovare quattro testimoni pronti a confermare che sua sorella era un’adultera e il suo omicidio sarà giustificato.

Quella che segue è la descrizione del video fatta da The Guardian (Shawn Carrie e Asmaa Alomar) il 12 novembre scorso:

“Kalashnikov in mano, l’uomo guarda diritto in camera. Si erge su una ragazza terrorizzata, che sta implorando le si salvi la vita.

“Assicurati che si vedano entrambe le vostre facce.”, ordina una voce fuori campo.

Dietro la traballante camera da presa, una seconda voce incita l’uomo armato: “Va’ avanti, Bashar, purifica il tuo onore.”

Senza che un’altra parola sia pronunciata, una raffica di pallottole è sparata nel corpo di Rasha Bseis. Le ci vogliono nove strazianti secondi per morire.”

E’ cultura, tradizione, costume locale, religione? No, è uno dei prodotti più ributtanti del patriarcato: femminicidio.

Maria G. Di Rienzo

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Lo dico io, prima che qualche benaltrista solo lo pensi: ci sono un milione di argomenti e fatti più gravi e più urgenti di quello che sto per trattare. Ma non è un caso se l’ho scelto – è l’esempio perfetto di come ormai si discute in Italia di qualsiasi cosa, mai affrontando il merito delle questioni e concentrandosi piuttosto sull’umiliare gli oppositori o i dissenzienti (se costoro sono donne il primo bersaglio è il loro aspetto, poi vengono la loro vita privata e la loro rispondenza a stereotipi di genere vecchi almeno di qualche secolo). Tale metodo con cui si affrontano le questioni e si svolgono i dibattiti relativi influisce inevitabilmente sui risultati: rende molto più probabile non risolvere nulla.

Seconda doverosa premessa: non ho simpatia personale per entrambe le protagoniste della vicenda e per le sfere politiche a cui fanno riferimento. La vicenda è questa: Cristina Parodi, giornalista della Rai, parla a Radio 2 dell’ascesa politica di Salvini, sostenendo che essa è stata favorita da “una componente di rabbia, ma anche di paura e ignoranza”. Per inciso, è un’analisi condivisa da numerosi commentatori politici esteri.

Immediatamente, alcuni parlamentari leghisti chiedono alla Rai di licenziare la giornalista. La signora Sonia Avolio di Fratelli d’Italia ritiene invece di doverle rispondere con un proprio video su Facebook. I giornali assicurano che costei, assessore al Commercio e alla Produttività del Comune di Cascina, ha la delega alle Pari Opportunità, sebbene il sito del Comune non la riporti nella lista che la riguarda (ci sono Commercio e Produttività, Merito e Sussidiarietà, Disabilità, Artigianato, Rapporti con Associazioni di Categoria, Tutela dei Consumatori, Politiche di Sviluppo delle Piccole e Medie imprese). Sempre dalla stampa rilevo la sua qualifica di “omeopata”.

En passant, mi lamento da tempo del vedere come le “pari opportunità” finiscano sovente in mano a persone completamente ignare degli intenti e del processo che hanno creato il concetto e pertanto incapaci di utilizzarlo in modo corretto.

Tornando al video, la sua autrice ha questo da dire: Cristina Parodi è la vera ignorante, perché ignora di essere cornuta – “(…) non sa più quante corna ha. E allora glielo dico io. Una per ogni lentiggine, se riesce a contarsele.” – e farebbe meglio ad andarsene fra i “tegami” con la sorella (Benedetta, che conduce programmi culinari).

Immagini chiave: una donna tradita è colpevole – evidentemente non è abbastanza “bella e brava” per meritare la fedeltà del marito; una donna è presuntuosa se ha opinioni politiche – è meglio che stia al suo posto, in cucina – ma allora la signora Avolio cosa ci fa in Fratelli d’Italia e al Comune di Cascina?

Le reazioni sui social media non sono state quelle entusiastiche che probabilmente Avolio aspettava.

E’ dovuta passare dal definirsi una “dura” (“Mai stata delicata: sono nata a Livorno!”) all’appellarsi alla libertà di parola (“Il mio parere è libero.”), che però purtroppo non è libertà di insulto.

Nel frattempo, la sua sindaca Susanna Ceccardi – nominata da Salvini consigliera per il programma di governo – la scarica: “Ha fatto tutto da sola.”, e alla fine decide per le scuse (riportate in modo letterale): “Chiedocscusa se qualcuno si è sentito offeso dal mio video : volevo fare ironia e non mi è riuscito .Sono greve , non cattiva .”

E questa è la parte conclusiva del metodo di discussione che citavo all’inizio: indicare come responsabili del trambusto quelli che hanno reagito… perché non hanno capito, perché sono ipersensibili, perché non hanno il senso dell’umorismo! Era ironia, anche se riuscita male. Se qualcuno si è sentito offeso (a essere offesa, citata con nome e cognome, è stata in verità una persona precisa, a cui le scuse non sono rivolte) mi dispiace di aver urtato i suoi delicati sentimenti e chiudiamola qui. Comodo.

Riesco a immaginare lo sconcerto dell’ironica, probabilmente riflesso nella fretta con cui sono state digitate le “scuse”. Com’è potuto accadere? Dopotutto si era comportata bene, proprio come “uno dei ragazzi”, gliele aveva cantate chiare alla femmina che aveva osato passare i limiti.

Io le credo, quando assicura di non essere cattiva. Vorrei che lei credesse a me se le dico che usare il sessismo contro altre donne non la rende più degna o più “tosta” agli occhi di nessuno, o meno donna lei stessa.

Maria G. Di Rienzo

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zere

Zere Asylbek (in primo piano nell’immagine) è una diciannovenne del Kirghizistan che in luglio ha rilasciato il suo primo singolo in qualità di cantante. Il video relativo è uscito a metà settembre – https://www.youtube.com/watch?v=ivlRPb75-VU – e le ha già fruttato una valanga di insulti sessisti, soprattutto a sfondo religioso, e minacce di morte. Non sorprendente, visto che il suo paese ha un problema serio di violenza di genere, per il quale le donne “soffrono gravi e sistematiche violazioni dei loro diritti umani a causa di una cultura di rapimento, stupro e matrimonio forzato” (comunicato delle Nazioni Unite, 18.9.2018).

Naturalmente Zere sta anche ricevendo il sostegno e l’incoraggiamento da parte di molte sue connazionali e da comunità femministe in tutto il mondo. La sua canzone si chiama “Kyz” (“Ragazza”):

Vorrei che il tempo passasse, vorrei che arrivasse un tempo nuovo

in cui non mi fanno prediche su come devo vivere la mia vita

in cui nessuno mi dice “Fai questo”, “Non fare quello”

Perché dovrei essere quello che vuoi tu, o quel che la maggioranza vuole,

io sono una persona e ho la mia libertà di parola.

Dov’è il vostro rispetto per me?

Io rispetto te. Tu rispetti me.

Tu e io, insieme,

ehi cara, unisciti a me,

creeremo la nostra libertà.

Come se questo non fosse già abbastanza (è oltraggioso: una giovane donna che chiede rispetto!) Zere Asylbek nel video indossa una giacca aperta su un reggiseno viola e una gonna corta e perciò secondo i suoi aggressori deve cancellare il video, scusarsi con l’intera nazione e merita di aver la testa tagliata.

In un’intervista del 19 settembre per “Freemuse”, Zere ha parlato di un recente femminicidio in Kirghizistan; una ragazza di nome Burulai è stata rapita per costringerla al matrimonio – un’antica tradizione patriarcale, sapete, e perciò non discutibile – ed è morta mentre la polizia l’aveva in custodia: è stata lasciata sola con il suo rapitore, che ormai era un po’ troppo scocciato da tutta la faccenda e l’ha uccisa. Questo è stato uno dei motivi per cui Zere ha creato canzone e video e non intende cedere alle minacce:

“Sicuramente continuerò a cercare di avere un impatto nel mio paese e nel mondo in generale, perché sono una persona creativa e amo impegnarmi in progetti creativi. Ci sono un sacco di ragioni che hanno generato nella mia testa l’idea di creare un grosso impatto e di usare per esso cose che suscitassero reazioni.

Ci sono state molte ragazze come Burulai nel nostro paese e mi piacerebbe che non avessimo più casi del genere. (…) La situazione nel nostro paese e penso in genere nell’Asia Centrale non è così buona in termini di diritti delle donne ed eguaglianza di genere, perché ogni singolo giorno ci sono casi di discriminazione, casi in cui viene applicato il doppio standard. Posso affermare che in pratica ogni ragazza del nostro paese ha subito almeno un tipo di violazione, o molestia, o discriminazione. Questo a me appare terribile.

Le ragazze stesse non vedono alternative. Parecchie di esse credono sia giusto essere trattate in quel modo e ciò è quel che a mio parere limita le loro potenzialità. Limita i loro sogni e le loro idee, perché non vedono alternative. E gli si dice che il loro scopo nella vita è sposarsi e avere una famiglia, dei figli e roba del genere.”

Per quel che riguarda la sua, di famiglia, il padre docente universitario ha dichiarato pubblicamente la “non approvazione” da parte sua e della moglie, ma pure che non intende interferire con le attività della figlia, che lui riconosce come persona titolare del diritto di esprimersi. Non è da ieri che Zere lo fa: è stata una determinata “bambina prodigio” a livello intellettuale, ammessa a frequentare l’università quando di anni ne aveva solo 14.

In un’altra intervista per Radio Free Europe / Radio Liberty, Zere ha sottolineato: “Molta gente dice che la nostra società non è pronta per questo. Quando lo sarà? Cosa deve accadere? Si deve accendere di verde un semaforo? No. Qualcuno deve cominciare.”

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