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Posts Tagged ‘madri’

(“unhaunted” – minuscolo nell’originale, come per i versi che seguiranno – di Jody Chan, poeta, scrittrice, attivista e organizzatrice contemporanea che vive a Toronto in Canada. E’ anche membro delle Raging Asian Womxn Taiko Drummers (RAW): “taiko” è una forma di percussione giapponese, tradizionalmente maschile, che usa grandi tamburi; il gruppo di Jody è un collettivo di donne che “esiste come responso critico e sfida all’oppressione sia sistemica sia interiorizzata”. Nel febbraio di quest’anno, “unhaunted” ha vinto il primo premio per la poesia al concorso “Writing in the Margins – Scrivere nei margini”. Trad. Maria G. Di Rienzo.)

RAW in action

NON TORMENTATA

dillo alla neve.

dillo alla pallottola ancora calda. dillo

al tunnel della metropolitana quando pensi

di saltare verso la luce in avvicinamento.

il futuro puzza di ripetizione e tu hai paura

di impegnarti. prima di dormire, dillo al ventre vuoto della tua stanza da letto.

quando non riesci a leggere il linguaggio sulla tomba di tua madre

dillo. nei flashback lui picchietta in te, una baionetta attraverso la pietra

ma ti ha lasciato le tue ossa, un amo a cui appendere ogni

frastagliata memoria. il tuo trono calloso. la tua prima

e ultima casa. per anni ti sei cancellata

dalle fotografie, quanto ti ricordano

di lui e di ciò che lui voleva e di ciò che lui ha rubato

e del corpo di lei e il corpo di lei e il corpo di lei

che lascia sul pavimento del corridoio venature di capelli e sangue.

dì che il tuo lignaggio è una lunga treccia di donne, che si scioglie

dalla sua mano, dalla mano di suo padre, di suo nonno.

sradicare un alberello. lucidare il fucile.

strappare la pelle di cotone di un vestito.

tu porti i loro nomi come pesanti vesti cerimoniali. dillo.

legati attorno alla vita un nastro bianco. i rammendi

e gli squarci della storia. hai appreso la violenza come il più dolce degli amori

ma hai appreso dalle persone sbagliate.

lasci cadere la tua voce nell’oceano e lei continua

a precipitare. un ruggito rosso, un rumore di battaglia, la processione di volti

che memorizzi di notte come se la perdita fosse sufficiente a farteli amare

e lo è. una volta, tu e tua madre avete giaciuto da sole, a due piani d’ospedale

di distanza mentre lei smetteva di respirare. una volta, hai cucito il silenzio

nella tua pelle, ma ora la stoffa si sta disfacendo all’indietro.

ti stai piegando lungo il lento arco del battito di un tamburo

largo generazioni. un giorno alla volta. una singola stella, che ruota.

le tue dita, le dita di tua madre, di tua nonna.

sigillare l’impasto. togliere a colpetti il dentifricio dallo specchio.

strattonare una canzone fuori dal polso di un amante.

dì il secreto. dillo al cielo che non ti tormenta.

dì il tuo desiderio più affamato dì oggi

mi arrendo al vivere. dì grazia.

dì rabbia. dì acqua ed elegia.

Io ricordo. Io ricordo. Io ricordo te.

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creepy

Ieri è salito alla ribalta il titolo sul “dramma dei papà separati” con cui Il Mattino dava notizia dell’omicidio per strangolamento di due dodicenni da parte del proprio padre, poi suicidatosi (per inciso, l’uomo non era neppure ancora un “papà separato”: il procedimento legale per la separazione dalla moglie era appena iniziato). Sicuramente ne avete letto abbastanza, con questi tormentoni a fare di tutti gli articoli lo stesso articolo: “lui non aveva accettato la separazione ormai alle porte”, “non risultano tensioni precedenti nella coppia”, “una famiglia tranquilla e normale”, “chi avrebbe mai potuto pensare a una cosa del genere”, “tragedia” – e meglio ancora i carabinieri che cercano di capire “se la tragedia è stata programmata oppure no”.

E’ molto importante, pensano i sedicenti giornalisti italiani, presentare il tutto come un fulmine a ciel sereno (raptus), un’inspiegabile disgrazia che manda in pezzi uno scenario fiabesco: “Fino al giorno della tragedia, – scrive Repubblica – nella famiglia Bressi si ritraevano solo sorrisi. Come nelle tantissime foto che postava il padre con Elena e Diego in montagna, e poi al mare in Liguria, e ancora sui pattini a rotelle, come la mamma, istruttrice. Questa vacanza a Margno con i due figli Mario Bressi l’aveva voluta per cercare di trascorrere del tempo da solo con loro. Sapeva che la moglie voleva separarsi da lui.” Sapeva! Lo aveva scoperto chissà come – pensate forse che la moglie gliene abbia parlato? Certo che no, ha continuato a sorridere mentre complottava con l’avvocato! – e quest’evento inaspettato e sconvolgente e incredibile ha mandato in pezzi una vita fatta tutta di felici selfie su Facebook.

Perché vedete, chi ha scritto ‘sta manfrina pensa che gli assassini siano quelli che vede al cinema o su Netflix. Devono avere una storia morbosa e torbida alle spalle. I loro post sono pieni di oscuri simbolismi e citazioni religiose e gli eventuali sorrisi presenti sono ghigni agghiaccianti. Vestono di nero, con cappucci e cappelli tirati sugli occhi oppure indossano maschere horror o si truccano grottescamente da personaggi dei fumetti. Non basta loro uccidere: smembrano le vittime, le tatuano, gli infilano corna d’alce nel cranio, ne cucinano pezzi alla brace o in salmì.

Gli assassini virtuali sono iscritti così confortevolmente in un’alterità palese che quelli che ammazzano mogli, compagne, figlie e figli nella realtà non possono aver ucciso sul serio. Erano persone normali, tranquille, educate – sorridenti. Mario Bressi sui social sorrideva a tutto spiano, perdinci, quindi nel suo caso “cosa sia successo in questi ultimi giorni da solo con i figli in montagna resta un mistero”.

Il mistero è svelato sullo stesso quotidiano nel medesimo giorno (28 giugno 2020): “Tre i messaggi whatsapp che Mario Bressi, l’uomo che ha ucciso i suoi due gemelli di 12 anni nella loro casa di villeggiatura in Valsassina e poi si è tolto la vita, ha inviato tra le 2 e le 3 di ieri alla moglie, Daniela Fumagalli. L’ultimo dei messaggi, da quanto emerge dalle indagini, sarebbe in realtà una lunga lettera in cui l’uomo, 45 anni, lancia pesanti accuse alla moglie ritenendola colpevole di aver rovinato la loro famiglia, si dice in crisi e disperato, e lancia accuse pesanti: “E’ tutta colpa tua”.” Pare che rispetto ai figli le avesse anche comunicato “Non li rivedrai mai più”. Li amava tanto da strozzarli per vendicarsi della moglie “colpevole”.

Ora, vorrei solo dire agli autori degli articoli di guardare meno American Horror Story e di più la quotidianità, dove un gran numero di uomini con concezioni proprietarie e patriarcali della famiglia dicono cose orrende e sorridono, fanno cose abominevoli e sorridono, vanno sorridendo a votare i peggiori misogini sul mercato, si tolgono il cappello per salutare il vicino di casa – sorridendo – mentre nell’altra mano reggono la borsa in cui sta un martello, un’ascia, una pistola.

Norman Bates e Arthur Fleck mi fanno meno paura.

Maria G. Di Rienzo

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Toni Truesdale

“Storia e Mitologia hanno bisogno di includere senza restrizioni le storie di tutte le donne.

La prospettiva femminile dovrebbe riflettersi nell’estetica, nei valori, nella spiritualità e nella moralità.

Io sviluppo arte figurativa che mostra la naturale bellezza e intelligenza negli aspetti della vita multiculturale di sorelle, madri, figli, zie e nonne tutte: e celebro la nostra comunanza attraverso il tempo, la cultura comune delle donne che io chiamo il nocciolo invisibile.

Toni Truesdale (in immagine sopra), insegnante d’arte, disegnatrice e pittrice di murales, illustratrice contemporanea statunitense (trad. Maria G. Di Rienzo).

Tutto quel che vedete qui è opera sua.

eve out of africa

(Eva)

Harvest

(Il Raccolto)

toni murales

(Murale)

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(tratto da: “The stranded babies of Kyiv and the women who give birth for money”, un lungo e dettagliato servizio di Oksana Grytsenko per The Guardian, 15 giugno 2020, trad. Maria G. Di Rienzo. Ndt: Kyiv è la capitale dell’Ucraina che siamo soliti chiamare Kiev, con la sua pronuncia russa.)

hotel venice

(Neonati partoriti da madri surrogate ucraine all’Hotel Venice a Kyiv. Particolare di una foto di Sergei Supinsky/AFP.)

Alcuni stanno piangendo nelle loro culle; altri sono cullati o nutriti con il biberon dalle bambinaie. Questi neonati non sono nella nursery di un reparto maternità: stanno in fila fianco a fianco in due grandi sale da ricevimento di un albergo dall’improbabile nome “Hotel Venezia” situato alla periferia di Kyiv e protetto da mura esterne e filo spinato.

Sono bambini di coppie straniere nati da madri surrogate ucraine nel Centro per la riproduzione umana della BioTexCom che ha base a Kyiv ed è la più grande clinica di questo tipo al mondo. Sono arenati nell’albergo perché i loro genitori biologici non sono stati in grado di viaggiare fuori o dentro l’Ucraina da quando, in marzo, i confini sono stati chiusi a causa della pandemia Covid-19. (…)

La BioTexCom ha rilasciato materiale video dall’hotel a metà maggio per sottolineare il doloroso dilemma dei genitori e per fare pressione affinché la chiusura dei confini sia mitigata. La situazione critica dei neonati ha fatto scalpore in tutto il mondo ma, a distanza di un mese, circa 50 bambini restano nell’albergo e la saga sta gettando una dura luce sull’etica e sulle dimensioni della crescente industria commerciale delle gravidanze in Ucraina.

Mykola Kuleba, il difensore civico dei bambini per l’Ucraina, dice ora che riformare il sistema da lui descritto come una violazione dei diritti dei minori non è stato sufficiente e che i servizi di maternità surrogata per le coppie straniere in Ucraina dovrebbero essere banditi.

Tuttavia, in un’economia impoverita, dove lo stipendio medio è di trecento sterline al mese e la guerra con la Russia e i suoi sostenitori continua, molte donne indigenti – in special modo nelle piccole città e nelle zone rurali – si stanno ancora mettendo in fila per restare incinte per denaro, anche se stanno pagando, come gli attivisti credono, un alto prezzo psicologico e in termini di salute.

A Vinnytsia, una città a sudovest di Kyiv, Liudmyla sta ancora aspettando il saldo della sua parcella per aver partorito una bimba a febbraio per conto di una coppia tedesca. Manda regolarmente messaggi all’agenzia (non la BioTexCom) che, sostiene, le deve 6.000 euro: “Continuano a rispondermi che non possono mandarmi l’intera somma a causa del lockdown.”

Sebbene Liudmyla, 39enne, abbia ricevuto il trasferimento di embrione a Kyiv e abbia passato la maggior parte della sua gravidanza a Vinnytsia, l’agenzia le ha chiesto di partorire in Polonia, di modo che la neonata fosse registrata là. Il personale ospedaliero non sapeva che Liudmyla era una madre surrogata, perché la maternità surrogata è bandita in Polonia, come nella maggioranza degli stati europei.

“Non volevo darla via, piangevo.”, ricorda Liudmyla. Dice che dopo essersi presa cura di lei per due giorni nel reparto maternità, lasciarla andare è stato uno strazio. Commessa e madre single, Liudmyla ha faticato per anni per trovare una casa per se stessa e i suoi tre figli che fosse migliore della singola stanza in cui vivevano in un ostello. Perciò nel 2017 andò a una clinica per la maternità surrogata e con il denaro ricevuto fu in grado di accendere un mutuo per un appartamento. Anche se finì in terapia intensiva a causa delle complicazioni relative alla gravidanza, Liudmyla decise di avere un secondo bambino surrogato per poter pagare la maggior parte del mutuo.

Non esistono statistiche ufficiali, ma si stima che diverse migliaia di bambini nascano ogni anno in Ucraina da madri surrogate. L’80% di questi bambini sono per coppie straniere, le quali scelgono l’Ucraina perché il procedimento è legale e a buon mercato.

Il prezzo di un pacchetto per la maternità surrogata in Ucraina parte da 25.000 sterline, con la madre surrogata che ne riceve minimo 10.000. Ai genitori promessi è generalmente richiesto di essere coppie eterosessuali sposate e di documentare la propria diagnosi di sterilità. Le cliniche e le agenzie mettono i loro annunci sui giornali, sui trasporti pubblici e sui social media.

Tetiana Shulzhynska, 38enne, scrive a questi ultimi tentando di persuadere le donne a stare distanti dalla maternità surrogata, poiché pensa che alcune di loro finiranno per pagarla con la propria salute o persino con le loro vite. “Nei contratti proteggono solo i bambini, non si curano di noi.”, dice seduta sul letto nella sua piccola casa di legno a Chernihiv, nel nord dell’Ucraina.

tetiana

(Tetiana Shulzhynska sfoglia i suoi referti medici nella sua casa di Chernihiv, nell’Ucraina del nord. Foto di Anastasia Vlasova.)

Shulzhynska, una madre di due figli che lavorava come autista di filobus, andò a una clinica per la maternità surrogata nel 2013, perché aveva disperato bisogno di ripagare un prestito bancario. Era così in bolletta che la clinica le mandò i soldi per pagarsi il biglietto fino a Kyiv.

Si accordò per restare incinta a beneficio di una coppia italiana e dopo due mesi si trovò ad avere quattro embrioni vivi in grembo. La famiglia biologica decise di tenerne solo uno e il resto fu rimosso chirurgicamente. Nel maggio 2014, Shulzhynska partorì una bimba che diede ai genitori. Ricevette un compenso di 9.000 euro.

Sette mesi più tardi andò all’ospedale con terribili dolori di stomaco. I medici le diagnosticarono il cancro cervicale. Le ci è voluto quasi un anno per raccogliere i soldi necessari all’intervento chirurgico. Shulzhynska sospetta che il cancro sia stato causato dalla sua maternità surrogata, anche se non ha prove. Di recente ha ordinato le stampelle perché i suoi medici hanno in programma di amputarle la gamba sinistra, ora affetta dal cancro che si propaga. Nel 2015, Shulzhynska ha denunciato la BioTexCom per i danni causati alla sua salute, il che ha dato avvio a indagini penali ancora in corso.

Yuriy Kovalchuk, un ex pubblico ministero il cui ufficio ha trattato una serie di indagini penali sulla

BioTexCom nel 2018 nel 2019, dice che almeno tre donne si presentarono alla polizia per aver subito la rimozione dell’utero subito dopo aver condotto gravidanze surrogate organizzate dalla compagnia commerciale. Racconta che altre indagini riguardavano accuse di frode e persino, nel 2016, di traffico di esseri umani dopo che una coppia italiana aveva scoperto nel 2011 che i bambini che si erano portati a casa non avevano con loro relazione genetica. Kovalchuk è stato rimosso dal suo incarico l’anno scorso e crede che ciò abbia avuto il risultato di arrestare le indagini sulla BioTexCom. In maggio ha scritto all’ufficio del difensore civico dettagliando le sue preoccupazioni sulla clinica.

All’ “Hotel Venezia” Albert Tochilovsky, il proprietario della BioTexCom, non nega che ci siano stati scambi negli embrioni durante le procedure attuate nel 2011 che hanno condotto all’indagine per traffico di esseri umani. Dà la colpa dell’errore alla mancanza di esperienza, giacché la clinica allora aveva solo un anno. “Non penso che solo noi si abbia commesso errori in questo campo. Se qualcuno cominciasse a controllare i DNA ci sarebbero un bel po’ di scandali.”

Tochilovsky sostiene che in almeno tre casi i genitori hanno rifiutato i bambini surrogati perché erano nati con problemi di salute. Il caso più noto è quello di Bridget, la figlia di una coppia americana che è nata nel 2016 e ora vive in un orfanotrofio a Zaporizhia, nell’Ucraina orientale. (…)

Le madri surrogate si stanno organizzando sui social media, dove condividono consigli e avvisi sulle agenzie. Svitlana Sokolova, ex madre surrogata e ora attivista dell’ong “Forza delle Madri”, che aiuta le madri surrogate, dice che ha cominciato a ricevere più lamentele su supposti maltrattamenti durante la quarantena per il Covid. Un gruppo di donne ha raccontato che il loro contratto le obbliga all’impianto di embrioni per un anno sino a che restano incinte. “Tramite questo contratto le donne diventano una sorta di proprietà privata.”, dice Sokolova.

Maryna Lehenka, avvocata de “La Strada – Ucraina”, dice che l’organizzazione di beneficenza riceve circa 100 chiamate l’anno da madri surrogate che lamentano lo stress di cui fanno esperienza dopo aver consegnato i bambini, o i problemi causati dagli ormoni che assumono per aumentare le probabilità di restare incinte. Lehenka menziona il caso di una donna che entrò in clandestinità in un villaggio, perché non voleva dar via il neonato surrogato.

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rainbow cake

Come dice la torta (sì, questo posto è talmente magico che le torte parlano) siamo entrate/i nel mese del Pride. Poiché a causa della pandemia sarà impossibile organizzare le consuete manifestazioni, numerose organizzazioni stanno proponendo ovunque iniziative online di vario tipo. La chiave del Pride, comunque, è sempre la testimonianza. Vi offro perciò quella della britannica Beatrix Campbell – in immagine in calce – tratta da un suo più lungo articolo scritto per Woman’s Place UK il 22 aprile 2020, in occasione della “Settimana della visibilità lesbica”. Beatrix è giornalista, scrittrice, conduttrice radiofonica, commediografa e femminista. Di lei potete leggere anche:

https://lunanuvola.wordpress.com/2014/05/10/oggi-lo-sappiamo/

Ma tu non sembri una lesbica! Questo mi è stato spesso detto come gentilezza. Non sembro neppure una giornalista, o una giardiniera, o una ciclista, o una ricamatrice o una prozia… in effetti reputo di non somigliare a nulla – eccetto che a una donna.

Quando sono venuta allo scoperto come gay (un termine che prediligo), lesbica e donna potevano essere termini disagevoli ma difficilmente erano controversi. Non più. Perciò, voglio affermare il mio coming out per entrambi.

Venire allo scoperto come gay richiede sempre coraggio, e lo richiede di continuo, ma ci sono solo tre scuse per non farlo che hanno senso: vivi in luogo in cui potresti essere uccisa, o potresti essere licenziata o non sopporti l’idea di dirlo a tua madre.

Dirlo ai miei genitori fu peggio del dovergli dire che mi avevano beccata per taccheggio, peggio del dire loro che i miei voti a scuola non erano più i migliori (a me importava) e peggio dell’informarli che mi sarei sposata (con un uomo – nessun uomo andava abbastanza bene per loro).

E’ peggio perché le persone gay devono fare qualcosa a cui nessuna persona eterosessuale è costretta: attirare l’attenzione su qualcosa che tu non vuoi altri abbiano in mente, cioè la tua sessualità e la tua vita sessuale.

Nei primi anni ’70 dissi a mia madre che mi ero innamorata di una donna. Ero 23enne, sposata e inebriata dal Movimento di Liberazione delle Donne. Lei fu in gamba, come sapevo sarebbe stata. Ogni qualvolta qualcosa di omofobico era pronunciato in casa nostra – solo da mio padre – lei lo rimproverava: era un’infermiera, lavorava con persone gay ed esse erano parte del suo universo. Ciò con cui lottava era l’esistenza di un’altra persona amata nella mia vita che non era lei. (…)

La reazione a cui non ero preparata fu quella dei parenti comprensivi che si congratulavano con me perché non sembravo una lesbica e perché non ero zelante al proposito. Oh, ma io lo sono, pensavo – a rovinarmi era il fatto di essere beneducata. (…)

Alcune delle mie amiche lesbiche sono venute allo scoperto con chiunque – persino con i capi al lavoro – eccetto che con le loro madri. Una di loro è sopravvissuta a una crudele battaglia per la custodia dei figli nei giorni in cui le lesbiche perdevano sempre i loro bambini. E’ sopravvissuta a umiliazioni grottesche, è stata coraggiosa, perché amava e desiderava una donna. Ma non usò mai la parola “elle” con sua madre. Perché? Non poteva sopportare l’idea di perderla.

Adesso quella donna deve confrontarsi con un altro incubo: perdere il proprio linguaggio, la propria lingua madre, lesbica e donna. Ogni uomo o donna gay che conosco ha una storia di terrore e di coraggio che deriva non dall’essere figlio o figlia, ma dal desiderio – o meglio, dai corpi di chi desideriamo. (…) Gay è una relazione: non esiste senza il soggetto del tuo desiderio.

Perciò, sentiamo come questo si definisce per la visibilità lesbica: donne che amano donne.”

beatrix

Maria G. Di Rienzo

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Due notizie in cronaca ieri 30 aprile:

– Revenge porn, denunciati amministratori di tre canali Telegram. Tra le vittime anche personaggi dello spettacolo.

– Abusa della figlia della compagna, arrestato 42enne a Catania. L’aveva già fatto con la figlia avuta dall’ex moglie.

La prima tratta dell’operazione della polizia postale “Drop the revenge”, che “(…) è riuscita a bloccare tre canali Telegram denigratori e violenti sin dal titolo: La Bibbia 5.0, Il Vangelo del Pelo e uno dei canali denominati Stupro tua sorella 2.0. L’applicazione di chat istantanea tra le più diffuse al mondo veniva utilizzata per vendicarsi di persone, prevalentemente donne, con temi a carattere sessuale. Basti pensare che il canale «madre» Stupro tua sorella 2.0, annoverava quasi 45 mila iscritti con un volume di circa 30 mila messaggi al giorno.

Migliaia le foto e i video di ragazze, anche minorenni, con pressanti istigazioni alla pedopornografia e al femminicidio. Il tutto corredato da commenti che incitavano all’aggressione fisica e alla violenza.

Gli account degli amministratori, un 35enne di Nuoro e un 17enne, sono stati sequestrati. Il diciassettenne, amministratore di Il Vangelo del Pelo, ha creato una sorta di mercatino di immagini private (anche di natura pedopornografica), grazie al quale è riuscito a guadagnare finora 5.000 euro. Le foto erano in vendita a 3 euro l’una, per i video la cifra era superiore.

C’è una terza persona indagata, un 29 enne bergamasco, che ha utilizzato quei gruppi per vendetta nei confronti della ex compagna, pubblicandone foto e video privati. Come detto, i tre sono stati denunciati. Rischiano da 1 a 6 anni di carcere e fino a 15 mila euro di multa. Ma l’indagine va avanti: sono in corso le identificazioni sia delle vittime, sia degli utenti. Chi, infatti, si è iscritto ai canali e ha pubblicato, ricevuto o diffuso foto private, rischia la stessa pena. I gruppi di Telegram, però, sono ancora accessibili.

Solo con una querela di parte di una vittima si può procedere per il reato di revenge porn, che punisce chi diffonde illecitamente immagini o video sessualmente espliciti a scopo di vendetta.”

La seconda vicenda riguarda una bambina che comincia a essere molestata dal compagno della propria madre a 9 anni:

L’uomo l’ha costretta a toccarlo nelle parti intime: «Così impari», le aveva detto per giustificare quel comportamento. Gli abusi sono andati avanti per anni, l’uomo la portava con sé in campagna con la scusa di raccogliere la frutta e ne abusava; la costringeva a vedere immagini del suo telefonino in cui c’erano rapporti sessuali della madre, con lui o con altri uomini; si faceva trovare nudo e la costringeva a toccarlo. (…) Un giorno però la vittima è riuscita a confidarsi con la figlia maggiore di quell’orco che, in lacrime, a sua volta ha confidato alla bambina di avere in passato subito dal padre le stesse turpi attenzioni. Dopo qualche tempo, è ancora la ricostruzione dei pm, la bambina è riuscita a parlarne con la propria madre e con l’anziana madre dell’uomo. Le due donne si sarebbero limitate a rimproverare l’uomo che, scusandosi, avrebbe promesso di non farlo più.

Ma l’incubo non è ancora finito perché la bambina a questo punto subisce da quell’uomo continue vessazioni che la convincono a trasferirsi in casa del padre naturale. Poi, è ancora la ricostruzione della procura, durante un incontro di famiglia quell’uomo ha nuovamente «abbracciato» la bambina che, a quel punto, decide di raccontare tutto alla nuova compagna del padre e alla nonna paterna, le quali vanno subito a denunciarlo, facendo partire l’inchiesta. (…) Il calvario della bambina ora sembra davvero finito. A 12 anni. Dopo tre anni di violenze e abusi.

L’articolo, come avrete notato, definisce “orco” l’uomo in questione e sembra ignorare che “Così impari” non è qualificabile come “giustificazione” – a meno che non siano largamente accettate a livello sociale un paio di cose: 1) Le persone di sesso femminile, qualsiasi sia la loro età, sono mero materiale da scopata; 2) Il loro ruolo al mondo è tentare di diventare il miglior materiale da scopata possibile e pertanto l’addestramento precoce è un vantaggio.

Il fatto che uno solo dei canali pornografici menzionati nella prima notizia annoverasse “quasi 45 mila iscritti con un volume di circa 30 mila messaggi al giorno” sembra dimostrare proprio questa vasta accettazione dei suddetti assunti: inoltre, toglie l’etichetta di “orco” dalle spalle dello stupratore di bambine della seconda notizia, perché se su un unico canale Telegram ci sono 45.000 persone che gli somigliano, be’, lui è del tutto “normale”.

Com’è diventato “normale” chiedetelo in primo luogo al clima culturale italiano, fatto per le donne e per le bambine di sessualizzazione coatta e altamente invasiva spacciata per “ricerca della bellezza” e ai media che sparano in un ciclo continuo influencer, modelle, tette-cosce-culi, consigli prescrittivi su come essere sexy-hot-da urlo eccetera. Poi potete chiederlo ai conniventi farabutti che si arrampicano sugli specchi per negare che tutto ciò abbia collegamento diretto con la violenza.

Maria G. Di Rienzo

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child eyes

Vedere il mondo attraverso gli occhi di un bambino è la gioia più pura di cui chiunque può fare esperienza. – Constance Zimmer (nata nel 1970), attrice.

(tratto da “India rape: Six-year-old victim’s eyes damaged in attack”, BBC News, 23 aprile 2020):

“La polizia in India ha lanciato una caccia all’uomo dopo che una bimba di sei anni è stata rapita fuori dalla propria casa nello stato di Madhya Pradesh e stuprata. E’ in condizioni critiche all’ospedale di Jabalpur, ha detto la polizia alla BBC.

L’assalitore ha inflitto gravi ferite agli occhi della bambina, in un probabile tentativo di impedirle di identificarlo. La polizia riporta che la bambina stava giocando con gli amici accanto alla propria casa la sera di mercoledì quando è stata rapita. E’ stata ritrovata giovedì mattina, priva di sensi e con le mani legate, in un edificio abbandonato del villaggio.”

(tratto da: “Man released from Turkish prison on coronavirus amnesty beats daughter to death”, 7NEWS, 23 aprile 2020):

“Muslum Aslan, 33enne turco che era stato condannato alla prigione nel 2019 per aver accoltellato la moglie, ma che è stato rilasciato a causa della crisi coronavirus, è stato di nuovo arrestato per aver assassinato la propria figlia di 9 anni.

I media locali riportano che dopo il rilascio è andato alla casa della moglie a Gaziantep, dove durante un litigio con la stessa ha picchiato la figlia Ceylan. La moglie ha chiamato la polizia e l’uomo è fuggito prima di essere arrestato in un parco.

Ceylan è stata portata all’ospedale, ma è morta poco più tardi nonostante gli sforzi dei medici. Sua madre Rukiye, che aveva già chiesto il divorzio, ha dichiarato: “Lui usava la violenza contro i miei figli continuamente. Appendeva la mia figlia maggiore al muro, legata per le braccia, e la picchiava con una canna di gomma. Ha lasciato Ceylan in una pozza di sangue sul pavimento ed è scappato. Mia figlia è morta. Voglio che questo assassino paghi duramente per ciò che ha fatto.”

Non è chiaro se il sospettato sia stato ufficialmente indiziato.

Se una persona continua a vedere solo giganti, significa che sta ancora guardando il mondo con gli occhi di un bambino. Ho la sensazione che la paura dell’uomo verso la donna venga dall’averla vista in primo luogo come la madre, la creatrice degli uomini. – Anaïs Nin (1903-1977), scrittrice.

Maria G. Di Rienzo

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Scadenze

(tratto da: “Coronavirus: The woman behind India’s first testing kit”, di Geeta Pandey per BBC News, 28 marzo 2020. Trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)

minal

Giovedì scorso, i primi test per coronavirus prodotti in India hanno raggiunto il mercato, ravvivando le speranze di un aumento nello screening dei pazienti con sintomi influenzali, per confermare o smentire l’infezione da Covid-19.

Mylab Discovery, nella città occidentale di Pune, è diventata la prima azienda indiana ad ottenere piena approvazione per la produzione e la vendita dei test. (…)

“Il nostro kit fornisce la diagnosi in due ore e mezza, mentre quelli importati ci mettono sei-sette ore.”, dice la virologa Minal Dakhave Bhosale (in immagine sopra), direttrice per la ricerca e lo sviluppo a Mylab.

Bhosale, che ha guidato la squadra creatrice del kit per l’esame del coronavirus, chiamato “Patho Detect”, specifica che è il lavoro stato fatto “in tempo record”- sei settimane invece di tre o quattro mesi. E la scienziata stava lottando anche con le proprie scadenze. La scorsa settimana ha dato alla luce una bambina e ha cominciato a lavorare al programma in febbraio, pochi giorni dopo aver lasciato l’ospedale in cui era ricoverata per complicazioni relative alla gravidanza.

“Era un’emergenza, per cui l’ho presa di petto come una sfida. Devo servire la mia nazione.”, ha detto, aggiungendo che la sua squadra di 10 persone si è impegnata duramente per fare del progetto un successo.

Alla fine, ha sottoposto il kit all’Istituto nazionale di virologia, per la valutazione, il 18 marzo e cioè giusto un giorno prima di partorire sua figlia. Quella stessa sera, un’ora prima di essere trasportata in ospedale per il cesareo, ha inviato la proposta all’Autorità indiana per il controllo alimentare e medicinale e a quella per l’approvazione commerciale.

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“Accetto qualunque critica, ma non da donne che non hanno figli. C’è chi parla e non è nemmeno madre, forse prima di parlare dovrebbe passare per quel sacro vincolo. Sono arrabbiata con chi non capisce che non strumentalizzo i bambini e che il mio interesse è tutelarli: lo faccio per mio figlio e per tutti i bambini. Perché i figli sono dei genitori e non dello Stato, al contrario di quanto credono alcune parti politiche. Con il disegno di legge ‘Allontanamenti zero’ stiamo toccando interessi per quasi 60 milioni – è questo il valore annuale del sistema infanzia in Piemonte – capisco che ci sia chi si preoccupa. Spostiamo i fondi per darli alle famiglie, è questo che preoccupa.”

Chiara Caucino, leghista, assessora della Regione Piemonte a (come da sito ufficiale) “politiche della Famiglia, dei Bambini e della Casa, Sociale, Pari Opportunità”;

vanta autoscatto con Salvini e striscione a sostegno del suo disegno di legge con l’hashtag “prima i bambini”;

assurta in precedenza agli onori della cronaca: a) per i tagli di bilancio nel sostegno alle persone non autosufficienti e b) per un addetto stampa solito pregare in ginocchio davanti alla tomba di Benito Mussolini e pubblicare “aforismi” di costui su FB (assieme ai doverosi selfies con Salvini, va da sé).

Molte/i hanno già spiegato quanto inutile e dannoso sia un provvedimento che considera i figli proprietà dei genitori (non sono nemmeno una risorsa statale, sono cittadini minorenni che appartengono a se stessi), che alle “famiglie in difficoltà” non darà quegli strombazzati 60 milioni perché li sposta su non ben specificati interventi del servizio sociale a favore del “nucleo” (sempre come da sito ufficiale della Regione), che considera l’allontanamento praticabile “solo in casi estremi, come quelli legati alla violenza e agli abusi conclamati”, mentre le leggi al proposito (184/1983 e 149/2001) prendono in considerazione uno spettro di situazioni estremamente disagevoli per un minore considerando comunque l’affido familiare una misura temporanea (e riconoscendo i diritti all’informazione e al coinvolgimento di minore, famiglia d’origine e famiglia affidataria).

Quel che vorrei invece discutere io è l’impianto ideologico e strutturale delle dichiarazioni della signora Caucino, che ha un incarico politico in un’istituzione laica: quindi, in primis, del sacro vincolo della maternità può discutere in parrocchia, in casa, al bar e persino con zia Pillon (1) durante le riunioni di partito, ma non nel suo ruolo di assessora per difendere un provvedimento contestato sul merito. Agitare rosari sui palchi dei comizi politici (come esporvi bambini, usare i propri figli ecc.) è solo squallida ricerca di consenso tramite strumentalizzazione, perché fra una carica legislativa e Suor Chiara (e Fra’ Matteo) passa una differenza fondamentale e costituzionale.

In secondo luogo, struttura logica: per esempio, se per parlare di bambini bisogna averli messi al mondo, la delega alla Casa della signora Caucino su cosa basa? Ha mai preparato la malta e piazzato mattoni? No? Allora revocatele questo incarico, non accettiamo critiche da chi non ha mai messo in funzione una betoniera. Se lei è autosufficiente, perché ha legiferato su quelli che non lo sono? Eccetera.

Peraltro, il sig. Salvini con cui si fa fotografare commenta (a capocchia) qualsiasi cosa senza mostrare le credenziali relative: accettiamo critiche sulle politiche di accoglienza da qualcuno che non solo non è mai stato soccorso in mare, ma che ha fatto al proposito tutti i danni che l’ignoranza e la malizia possono fare? Può parlare di lavoro uno che non ha mai lavorato? O di musica uno che ha cantato solo cori del tipo “Senti che puzza, scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani”? O di fede e cuori di madonne uno che ha mandato in tribunale un prete ultraottantenne reo di aver detto: “Ero straniero e mi avete accolto. O siete cristiani o seguite Salvini.”?

Ecco, è la solita storia delle pagliuzze e delle travi (Luca 6,41).

Maria G. Di Rienzo

(1) è quel signore con il farfallino che ride facendo “hi hi hi” ed è ossessionato dall’omosessualità.

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(“Mother says there are locked rooms inside all women”, poesia e prosa di Nebila Abdulmelik – in immagine – trad. Maria G. Di Rienzo. Nebila, etiope, si definisce una “cantastorie femminista che usa creatività e arte per parlare di pace, affrontare diseguaglianza e oppressione, archiviare le storie del vivere quotidiano a beneficio delle generazioni a venire”. Oltre a essere scrittrice, poeta, editrice e fotografa, Nebila è assai nota ed efficace come attivista: solo per fare un esempio, la sua campagna #JusticeForLiz, relativa all’ottenere giustizia per una donna vittima di stupro, raggiunse quasi 2 milioni di firme.)

nebila

Ero solita pensare fosse l’oscurità

a darti gli incubi

Solo ora arrivo a capire

come le luci che inondano la tua esistenza

sembrino perseguitarti

Non appena arrivano

tu cerchi i punti che la luce non raggiunge

per poterci strisciare dentro, coperta dal calore e dal rifugio del buio

Nel mentre quasi tutti bramano movimento e suono,

tu sei saziata dal vuoto e dalla pienezza dei silenzi

Da sola, negozi fra le differenti donne che ti compongono

Indisturbata,

filtri l’orchestra di pensieri

in mutevoli ottave

permettendo a ciascuna di esse di cantare la propria canzone

*****

Mia madre dice che ci sono stanze chiuse all’interno di tutte le donne. Che le donne diverse che le abitano sono le sole a poter schiudere quelle porte. Tu devi essere paziente. Devi sederti con ognuna di esse, una alla volta. Parlare le loro lingue. Ascoltare le loro storie. Intrecciare i loro capelli. Percepire il loro tipo di pelle – ruvida, liscia, grezza. Fasciare le loro ferite. Ridere con loro. Capire le loro lacrime. Massaggiare i loro piedi. Conversare con loro. Dar loro riconoscimento. Essere presente per le loro paure. Essere presente per loro. Stare con loro.

Mia madre dice che alcune le evochi tu e altre evocano te. Che una porta con sé la propria rabbia, un’altra il delirio. Che non devi mai ignorare la più silenziosa, quella che non bussa mai. Lei è la più potente. Devi cercarla, persuaderla a uscire dalla stanza con gentilezza.

Mia madre dice che non devi pensare a come soddisfare quella che bussa sino a che le sanguinano le nocche e le mani le dolgono. Lei non è una di cui dovresti preoccuparti perché indossa tutte le proprie emozioni e tu saprai subito se ci sono guai in arrivo.

Una ha buttato giù la porta l’altro giorno – mamma dice che è perché era soffocata dalla propria angoscia – e si è succhiata via tutta l’aria nella stanza, lasciandola annaspare in cerca d’aria che non poteva fabbricare. Lei è quella a cui non sottoponi problemi. Lei li nutrirà sino a farli crescere come erbacce, senza lasciare spazio alcuno alla bellezza. O al respiro.

Ognuna ha il suo posto e il suo scopo. Tutte creano te. Senza di esse, saresti vuota. Un guscio. Loro ti danno colore, carattere, stile. Persino quella furibonda ti dà acume. Lascia che siano.

Mia madre dice che è solo quando ti danno le chiavi, solo allora sarai in grado di aprire tutte le porte e fare pace, di riunirle insieme così che possano cantare i loro sogni e narrare i loro ricordi l’una all’altra. E a te.

Solo allora, quando le loro sofferenze saranno intessute nelle storie che raccontano, i sogni che osano e i segreti che sussurrano saranno liberati e libereranno il tuo respiro.

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