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(tratto da: “Women stage ‘mass scream’ in Switzerland over domestic violence and gender pay gap”, Reuters, 15 giugno 2020, trad. Maria G. Di Rienzo.)

mass scream

Donne in tutta la Svizzera hanno scatenato le loro grida durante una protesta nazionale che chiede eguale trattamento e la fine della violenza per mano degli uomini.

L’anno scorso, mezzo milione di persone marciò per evidenziare lo scarso risultato della nazione rispetto ai diritti delle donne. La versione di quest’anno di quello che le organizzatrici chiamano lo Sciopero delle Donne è stata più contenuta, domenica scorsa, a causa delle restrizioni relative al coronavirus.

“Per me è emozione. Perché io grido per me, ma grido anche per le mie sorelle e i miei fratelli, grido per tutti gli altri bambini che hanno perso una madre o un padre, e grido anche per mia madre che avrebbe gridato lei pure, se fosse ancora qui.”, ha detto Roxanne Errico, una studente 19enne che racconta come sua madre fu uccisa dal partner violento.

Un’altra residente di Ginevra, Rose-Angela Gramoni, dice di aver partecipato a tutti gli scioperi delle donne sin dal 1991. “Ora posso morire in pace, la prossima generazione è qui per subentrare. Ma per un po’ sono stata molto triste. Pensavo che avevamo lottato per molte cose ma non avevamo finito il lavoro e non c’era nessuna che l’avrebbe fatto.”, dice Gramoni, che è sulla settantina.

La Svizzera ha un’alta qualità della vita ma resta indietro rispetto ad altre economie sviluppate nei salari delle donne e nell’eguaglianza sul posto di lavoro. Le donne guadagnano circa un quinto in meno degli uomini, meglio di trent’anni quando guadagnavano un terzo ma in peggioramento dal 2000, secondo i dati forniti dal governo.

Migliaia di marciatrici a Ginevra e in altre città svizzere hanno gridato per un minuto a partire dalle 15.24 – l’ora del giorno in cui le donne, tecnicamente, cominciano a lavorare gratis a causa del divario nelle paghe. Hanno anche inscenato un flash mob e tenuto un minuto di silenzio per le donne uccise da mariti e compagni. Le dimostranti hanno condannato la violenza contro le donne e contro la comunità Lgbt, e chiesto riconoscimento per il lavoro di cura non pagato in famiglia e a favore di parenti.

swiss women - mass scream

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Ginevra 2019

“Governi, datori di lavoro e maestranze si stanno incontrando a Ginevra (…) per negoziare una nuova convenzione globale che metta fine alla violenza e alle molestie nel mondo del lavoro.

Chiediamo loro con urgenza di ricordare i 235 milioni di donne nel mondo che lavorano senza avere alcuna protezione legale, perché una nazione su tre non ha leggi contro le molestie sessuali sul lavoro. Sono le donne più povere a essere le più vulnerabili – domestiche, operaie, quelle donne che vivono alla giornata e non possono permettersi il rischio di perdere il lavoro difendendo se stesse e le altre. C’è bisogno urgente di una legislazione internazionale.”

Questo è il passo centrale di una lettera aperta diretta al governo britannico e pubblicata dal Guardian il 9 giugno scorso. E’ corredata da oltre quaranta firme “eccellenti” (attiviste/i e personalità politiche prominenti, artiste/i ecc. – dal sindaco di Londra Sadiq Khan a Annie Lennox passando per una considerevole serie di rappresentati di ong umanitarie e femministe) e fa riferimento alla 108^ sessione della Conferenza internazionale sul Lavoro – promossa dall’Organizzazione internazionale del Lavoro delle Nazioni Unite – che si sta tenendo in Svizzera, a Ginevra, dal 10 al 21 giugno. La richiesta delle firmatarie e dei firmatari è che la compagine governativa inglese “usi saggiamente la propria influenza” per contribuire a metter fine alla violenza e alle molestie subite dalle donne nei luoghi di lavoro.

Nei cinque giorni trascorsi da che l’ho letta, ho cercato invano notizie relative alla Conferenza sui quotidiani nostrani. Ho scaricato dal sito dell’Organizzazione i documenti pubblici disponibili e rilevato la consistenza (nutrita) e la composizione della delegazione italiana: anche volendo confermare la completa indifferenza dell’attuale giornalismo italiano per il mondo del lavoro in generale e per le lavoratrici che non appartengono al settore dell’intrattenimento in particolare – la maggioranza – si poteva imbastire un trafiletto con le dichiarazioni dei partecipanti “famosi” (Di Maio è nella lista, per esempio). Per quanto vuote e banali potessero poi risultare tali dichiarazioni, almeno un settore maggiore dell’opinione pubblica avrebbe saputo di che si discute a Ginevra in questi giorni. Meglio ancora, si poteva prestare attenzione ai sindacati (gli unici al momento a pubblicizzare la Conferenza), chiedere qualcosa ai loro delegati e confrontare le loro risposte con quelle dei rappresentanti di Confindustria e Confcommercio che sono pure là.

Ma probabilmente non c’era spazio per articoli che trattino della violenza che le donne subiscono al lavoro. Nemmeno nelle rubriche a loro esplicitamente dedicate, giacché tale spazio è occupato da pezzi importantissimi che hanno questi titoli:

* Trend – Tutte in posa da fenicottero (articolo corredato da foto di fenicottero e foto di una modella scheletrica infagottata in velo rosa – ma la copertura è solo a “filo vagina” – in bilico su una gamba);

* In barca a vela con i cosmetici giusti, perché la bellezza non va in vacanza (vuoi mai che qualcuna pensi di tirare il fiato per cinque minuti);

* Sesso: i luoghi pubblici dove statisticamente le donne adorano farlo (i gusti sono gusti, ma quale che sia la percentuale delle esibizioniste non può essere fatta passare per “le donne” tout court);

* Jennifer Lopez in abito di Gucci: lo spacco rivela il calzoncino contenitivo (ORRORE!)

No, queste non sono le “cose che interessano alle donne”. Sono le cose di cui voi volete le donne si interessino, sia perché pensate che con quei cervellini da oche non possono certo desiderare / cercare / vivere altro, sia perché non vi comoda per niente quando mettono bocca in materie come politica, economia, lavoro – in altre parole, quando discutono del potere e lo reclamano.

Molestie sul lavoro? Nessuna o scarsa protezione legale? Suvvia, fate i fenicotteri e non rompete le scatole.

Maria G. Di Rienzo

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ilo conference

L’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) sta tenendo la sua conferenza internazionale n. 107 – dal 28 maggio all’ 8 giugno 2018 – a Ginevra, in Svizzera. Oltre cinquemila funzionari di governo, rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, provenienti dai 187 paesi membri dell’Organizzazione hanno come tema portante di cui discutere, durante questa sessione, il lavoro delle donne e le molestie sul lavoro.

Nel suo intervento d’apertura il direttore generale Guy Rider – in immagine sopra, assieme ad alcune rappresentanti delle lavoratrici – ha presentato il suo nuovo rapporto “L’iniziativa donne al lavoro: la spinta per l’eguaglianza” e ha citato la campagna #MeToo (Anch’io) in questi termini: “La nostra risposta a ogni chiamata all’azione, fatta a voce ancora più alta, dev’essere Anche noi.” e ha invitato i presenti a stabilire negoziati che aprano la strada a posti di lavoro “completamente liberi da violenza e molestie”.

Il rapporto di Rider ha sottolineato in un passaggio particolarmente importante la situazione delle lavoratrici palestinesi: schiacciate da una crisi “umanitaria e dagli uomini creata” che ha quasi totalmente distrutto economia e mercato del lavoro, non trovano impieghi decenti e sono soggette a discriminazione di genere.

“Le donne continuano a essere lasciate indietro nel mondo del lavoro. E di recente le cose sono peggiorate, non migliorate, specialmente in alcune regioni del mondo.”, ha detto Catelene Passchier, delegata dei lavoratori / delle lavoratrici.

Attualmente, 235 milioni di donne in più di un terzo delle nazioni non hanno leggi a cui appellarsi contro le molestie sessuali sul lavoro e, come tutte le violenze, ciò ha un costo: solo nell’industria dell’abbigliamento esso ammonta a 89 milioni di dollari l’anno. Perciò, gli organizzatori della conferenza sperano di far arrivare ai datori di lavoro l’idea che contrastare la violenza non è solo un imperativo etico, ma anche semplice buon senso se si vogliono avere maggiori guadagni. Maria G. Di Rienzo

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malala wef

“Non intendiamo chiedere agli uomini di cambiare il mondo. Intendiamo farlo da noi stesse. Intendiamo prendere posizione per noi stesse. Alzeremo le nostre voci e cambieremo il mondo.”

Malala Yousafzai, Premio Nobel per la Pace, al World Economic Forum di Davos, Svizzera, 25 gennaio 2018 (trad. Maria G. Di Rienzo).

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(foto di Christina Andersen)

La mattina del 4 ottobre u.s. gli abitanti di Zurigo (Svizzera) hanno avuto una sorpresa: uscendo di casa hanno scoperto che l’acqua delle fontane della città era diventata rossa.

Le attiviste femministe di “Aktivistin.ch” hanno infatti usato colorante alimentare su 13 fontane come parte della protesta (con manifestazione di piazza) sulla tassa sui tamponi nel loro paese: hanno chiamato l’azione #happytobleed – felice di sanguinare. Intendono aprire una conversazione nazionale sulla percezione dei corpi delle donne e la tassa sui tamponi è solo l’inizio.

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(foto di Christina Andersen, il cartello dice: “Avere le mestruazioni è sano”)

Molte persone vedono le mestruazioni come qualcosa di vergognoso. – ha detto alla stampa la loro portavoce Carmen Schoder – I tamponi sono trattati come prodotti di lusso e questo è uno svantaggio finanziario per le donne.” I tamponi e gli assorbenti sono tassati all’8%, mentre i beni di consumo quotidiano sono tassati al 2,5%. L’otto per cento è la tassa per le merci di lusso.

Il gruppo femminista ha fatto notare che, approssimativamente, una donna ha le mestruazioni 444 volte nella sua vita: ma il prezzo dei tamponi sanitari non è l’unico a essere sperequato. Lo chiamano “gender pricing” – lo stabilire un prezzo a seconda del genere – o “tassa rosa” e consiste nel rendere degli articoli più costosi per le femmine rispetto agli articoli equivalenti rivolti ai maschi. Entrano nella categoria i rasoi, le creme idratanti, i giocattoli; le donne pagano per i prodotti a loro rivolti, in media, il 13% in più degli uomini. Le ditte produttrici giustificano la cosa dicendo che le donne “sono più disposte a pagare”, ma confesso di non aver compreso bene la loro affermazione: stanno dicendo che se qualcuno preferisce aprire il borsellino piuttosto che infilarsi le merci in tasca e scappare è bene frodarlo? Maria G. Di Rienzo

zurigo

(foto di Moni Z., il cartello dice: “Se sanguini e lo sai batti le mani!”)

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gamag

Lo so, avrei dovuto stare più attenta. A forza di ripetere che i media rappresentano male le donne e nel farlo danneggiano le loro vite e non solo le loro, mentre tutti sanno che ciò non ha poi quella grande influenza, ecco cos’ho combinato:

dal 7 al 10 dicembre 2015 l’Unesco e l’Alleanza globale su media e genere (GAMAG) si incontreranno a Ginevra, in Svizzera, per discutere su “Eguaglianza di genere nei media”. E non basta: eventi correlati, patrocinati dai governi di Libano e Grecia, si terranno simultaneamente il 10 dicembre – che è il giorno internazionale per i diritti umani.

Davvero, non avevo idea di essere arrivata così lontano! Oppure… chiediamocelo sottovoce… forse non sono la sola acida femminista bruttissima ecc. che la pensa così? Che sia possibile?!?

Perché sentite come presentano questa cosa:

La partecipazione delle donne, la loro leadership e la loro giusta rappresentazione nei media e nella tecnologia sono ben più in basso rispetto alle loro controparti maschili. Dopo quattro decenni di ricerca e di azioni di sviluppo, pochissimi cambiamenti possono essere celebrati. (…)

Le diseguaglianze di genere nei media e nella tecnologia sono radicate nelle culture, nelle tradizioni, negli stereotipi, nelle credenze e nella mancanza di consapevolezza degli impatti negativi di tali diseguaglianze sullo sviluppo economico sostenibile. Queste pratiche sociali non sono più separate da remoti confini geografici. Il dialogo diventa quindi cruciale per raggiungere una conoscenza più profonda e un accordo su un comune cammino di cambiamento.”

Perciò, si metteranno a discutere di genere e media agenzie delle Nazioni Unite, organizzazioni nazionali e regionali che lavorano sullo sviluppo, governi, ministri, ambasciatori, membri della società civile e così via.

Se qualcuno degli “esperti” dei miei stivali che continuano a girare il web urlando “Non è vero!” volesse partecipare, può registrarsi tramite il link sottostante. L’invito è ovviamente esteso anche a coloro che hanno perso contatto con la realtà e si dedicano alle crociate “anti-gender”.

http://www.unesco.org/new/en/communication-and-information/crosscutting-priorities/gender-and-media/global-alliance-on-media-and-gender/homepage

Maria G. Di Rienzo

american apparel shit

Magari dopo comincerebbero a rigettare questa cacca. Spes ultima dea…

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