Riccione, uscita dell’autostrada, 2020:
Questa geniale, innovativa, creativa pensata dei pubblicitari (il sesso fa vendere, l’umiliazione delle donne anche – che novità!) fa obiettivamente schifo. In termini più educati del mio, ciò è stato detto abbastanza volte da indurre il proprietario della macelleria Ugolini a dichiarare: “Chiedo scusa. Rimuoverò al più presto il manifesto. Non volevo offendere la sensibilità di nessuno e tanto meno quella delle donne.”
Desidero qui ribadire a lui (quale simbolo odierno di una tendenza sociale) e agli incompetenti misogini a cui ha commissionato il cartellone che la nostra sensibilità è l’ultimo dei problemi in ballo. La lotta contro la pubblicità sessista e oggettivante negli spazi pubblici non ha nulla a che fare con puritani sentimenti di disagio per la nudità dei corpi, con la “decenza” o il moralismo: si tratta del contrasto a un sistema patriarcale che costantemente rinforza le diseguaglianze fra i generi e della conseguente normalizzazione della violenza di genere in tutte le sue forme – per tipologia e posizionamento, per esempio, gli annunci pubblicitari hanno un deciso effetto di sdoganamento e normalizzazione delle molestie sessuali.
Negli spazi pubblici è impossibile evitarli: consapevolmente e inconsciamente ricordano alle donne che sono vulnerabili e imperfette e che è loro dovere conformarsi a un’idea precisa di femminilità, mentre conferiscono agli uomini i privilegi del giudizio e del controllo.
“E’ un’affermazione di potere. E’ un modo per farmi sapere che un uomo ha diritto al mio corpo, ha diritto a discuterlo, analizzarlo, valutarlo e a far sapere a me o a chiunque altro nelle vicinanze il suo verdetto, che a me piaccia o no.” Laura Bates, Everyday Sexism Project.
Inoltre, gli effetti devastanti della pubblicità sessista sulla nostra psiche e quindi sulla nostra salute (un altro tipo di violenza di genere) sono scientificamente dimostrati da decenni: 2002, meta-analisi di 25 studi riporta che la maggioranza delle adolescenti si sente significativamente peggio rispetto al proprio corpo dopo aver visto le immagini di donne proposte dai media; 2008, meta-analisi di 77 studi riporta che l’esposizione ai media è fortemente legata ai problemi di immagine corporea nelle donne – per capirci meglio, i “problemi” si concretizzano in anoressia, autolesionismo, depressione, stress e persino suicidio, eccetera eccetera. Un solo dato: dal 1970 i disturbi alimentari nelle donne sono aumentati del 400%.
“Le donne e le bambine si paragonano a queste immagini ogni singolo giorno. E il fallimento di assomigliare ad esse è inevitabile, poiché sono basate su una perfezione che non esiste.” Jean Kilbourne, ricercatrice universitaria, documentarista, conferenziera, scrittrice.
Infatti le foto dei corpicini senza testa e senza volto – culi, i culi sono sufficienti a definire le donne – sono abbondantemente ritoccate per rimuovere da esse ogni traccia di umanità (i pubblicitari considerano queste tracce “difetti”) e dar loro girovita impossibilmente stretti e pelle luminosa da incontri ravvicinati del terzo tipo. Spesso sono pure “candeggiate”, per così dire, perché il modello proposto è stato pensato come ideale per i (ricchi) consumatori occidentali, ma si è rapidamente diffuso a livello globale: creando un proficuo mercato di creme sbiancanti e tinture ossigenanti che succhia via autostima e soldi a donne di tutto il mondo.
Quindi, signor committente e signori pubblicitari, la mia sensibilità è perfettamente a posto: sono le mie ovaie che girano a paletta.
Maria G. Di Rienzo