La dipendente del centro sportivo di Verona dice alla stampa che, “come donna”, non si sente “per niente a disagio” per la “bella trovata”: l’immagine di cui parla va in giro sui camion pubblicitari mostrando un fondoschiena mezzo nudo con un timbro su una natica che recita “100% palestra” – il resto della donna non c’è, tanto non serve. La scritta che la illustra è ancora meglio: “Vi facciamo un culo così”. E inoltre, aggiunge l’entusiasta Consuelo, a) se aprite una rivista vedrete “tanti ragazzi a petto nudo” (che però non è un equivalente) e b) la palestra si adegua “a quelli che sono gli standard che si vedono in televisione”.
Non pubblico la foto in questione, che potete ammirare sui quotidiani online e che invece di essere una spiritosa novità è semplicemente la trita e noiosissima ripetizione di centinaia di pubblicità simili, in cui il “culo così” è usato per vendere di tutto – dai lubrificanti alle serate in discoteca. Vi dirò solo che somiglia a questa qui sotto del 2016, che pure pubblicizza una palestra e dice anche al pubblico che ci sono “cose migliori dietro cui essere bloccati che l’auto di fronte”.
Sarà evidente, non solo a Consuelo, che i reali destinatari del messaggio-fondoschiena sono gli uomini. Alle donne serve ottenerlo nel suo cosiddetto “centro sportivo” solo per soddisfare le esigenze altrui: non hanno bisogno di quel culo se non per mostrarlo agli uomini e riceverne approvazione. Gli sport non si fanno con le natiche (per quanto sicuramente influenzino tutti i muscoli) e avere quel determinato tipo di natiche non favorirà nessuna grande prestazione atletica – a meno che non si voglia considerare tale il numero di pratiche onanistiche maschili correlate.
La “per niente a disagio” di Verona, però, ha perfettamente ragione quando menziona gli standard televisivi: anche questi con lo sport non hanno una mazza a che fare, ma ormai è chiaro che le donne in palestra ci devono andare per cercare di raggiungerli e non per sfrecciare su una pista o salire poi su un podio.
L’anno scorso (Karsay, Knoll & Matthes) furono resi pubblici i risultati di una meta-analisi di 50 studi che hanno esaminato la relazione fra l’oggettivazione di se stesse delle donne e l’uso regolare di mass media sessualizzati inclusi televisione, riviste, social networks e video games. Le donne ne sono uscite come prodotti / oggetti diretti allo sguardo e alla valutazione maschile (di appeal sessuale), condiscendenti, sottomesse, servili, ridotte in pezzi da mettere in mostra.
Le bambine interiorizzano ideali corporei; le giovani donne sviluppano bassa autostima, disordini alimentari e insoddisfazione rispetto alla propria immagine; le adulte vedono ridursi la loro soddisfazione rispetto alle relazioni e al sesso. Non mi sembra un prezzo equo da pagare per il “culo così”, ma vedete voi.
L’esposizione ai contenuti sessualizzati e stereotipati – dalle pubblicità suddette alla pornografia – non ha però solo influenza su come le donne vedono se stesse, dice il rapporto, ma su come le donne sono percepite dagli altri: “(…) dà forma a credenze e attitudini sulla violenza contro le donne, inclusa la percezione che le donne siano responsabili per detta violenza” e “(…) gli uomini esposti a immagini oggettivate di donne in una varietà di media sono più tolleranti sulle molestie sessuali e la violenza interpersonale, e tendono a reiterare i miti sullo stupro”, nonché più propensi “ad agire in maniera aggressiva nei riguardi di una donna che pensano li abbia respinti”. Non occorre che li rigetti davvero, notate, basta che loro ne siano convinti.
Messaggi di chiusura: a Consuelo convinta che non ci sia “niente di sessista” nei manifesti della palestra per cui lavora – senza offesa, potrebbe e dovrebbe informarsi meglio; agli indignati che non capiscono “cosa ci sia da protestare”: leggete, ve l’ho appena detto.
Maria G. Di Rienzo