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Dall’inizio del 2021, in Italia c’è stato un femminicidio ogni 5 giorni (3 sono stati perpetrati nelle 24 ore tra il 6 e il 7 febbraio). In questi giorni, sulla stampa:

“Il procuratore aggiunto di Palermo Laura Vaccaro (…) torna a lanciare un appello a tutte le donne: “Non abbiate paura di denunciare – dice – C’è sempre qualcuno disposto ad ascoltarvi. C’è soprattutto una rete di accoglienza per tutelare voi e i vostri figli“. “

“Soltanto due settimane fa Repubblica ha aperto l’Osservatorio Femminicidi e ci troviamo già qui a contare altre donne morte. (…) E quante volte dobbiamo registrare il dolore di parenti e amici che raccontano di segnali non colti. Non c’è più tempo però, non c’è per aspettare redenzioni, non c’è per dare seconde possibilità che spesso sono quarte o quinte. Denunciare, rivolgersi ai centri antiviolenza. Dare alle donne la certezza di essere ascoltate, e aiutate.” Oriana Liso

” (…) un mese fa aveva chiamato la polizia, ma poi non aveva voluto presentare denuncia contro il compagno violento.” (riferito a Piera Napoli, 32 anni, assassinata dal partner)

“Ventinovenne uccisa a coltellate nel Salento, fermato per omicidio il suo ex: era in fuga. In passato aveva già minacciato la vittima di femminicidio: “Una tragedia annunciata“. “

Il quadro postula come al solito due assunti falsi: primo, che la responsabilità di fermare la violenza ricada sulle vittime di quest’ultima; secondo, che esista una diffusa solidarietà nei confronti delle vittime stesse.

L’afflato verso le donne investite dalla violenza assume le seguenti forme se muoiono:

– Era una ragazza semplice e solare.

– Era una donna piena di vita.

– Inspiegabile e assurda tragedia.

– Perché nel 2021 ci sono ancora queste persone per cui le donne non sono niente?

– Dobbiamo fermare tutto questo! Basta violenza sulle donne.

(Più i consueti svarioni pseudo-lirici fatti di stelle, angeli, coretti e applausi.)

Per contro, se restano vive dopo l’assalto, lo stupro o anni di pestaggi, il loro comportamento è sottoposto al più severo degli esami non solo dagli stessi che cianciano a vanvera con le frasi di cui sopra, ma da poliziotti, medici, avvocati e giudici… i quali costituiscono la parte istituzionale della succitata “rete di accoglienza” che dovrebbe “tutelarle”: gli opinionisti da strapazzo, i commentatori seriali sui social media, la grande bagarre misogina dei media tutti fanno il resto.

I parametri dello scandaglio sono la fiera patriarcale dello stereotipo di genere: era bella, non era bella (solo le belle sono degne di violenza sessuale); era brava, non era brava (quelle brave sospettano di tutti, non vanno a feste, non escono da sole, denunciano – ma anche NON sospettano, per non offendere l’uomo di turno, vanno alle feste perché il suddetto deve mostrarle agli amici come trofei, escono da sole per andare ad incontrarlo, NON denunciano perché non sono certo schifose femministe…); eccetera eccetera. Non si tratta come vedete di punire l’autore delle violenze, ma di capire grazie a quale provocazione della vittima costui – stressato, abbandonato, colto da raptus, avvilito, depresso, geloso – sia stato costretto ad agirle.

In ambo i casi, non appare mai uno straccio di analisi su cosa effettivamente crei un clima adatto alla sopraffazione e all’omicidio. E quindi, giusto: Perché nel 2021 ci sono ancora queste persone per cui le donne non sono niente?

Mah. Forse perché avete passato l’estate del 2020 a discutere della modella di Gucci e di Santa Chiara Influencer? No, non sto scherzando. E naturalmente non si tratta solo dell’estate scorsa, perché sul culo di questa e le tette di quell’altra e sulle montagne di sterco relative a trucchi – acconciature – abiti – accessori – diete – fitness che dovrebbero dar forma alla “bambola scopabile” si blatera da anni ed anni.

L’oggettivazione ossessiva, coatta, asfissiante che investe le italiane di qualsiasi età 24 ore su 24 e che neppure la morte ferma (Era così bbbeeellla…) è l’ingrediente principale della violenza di genere: a una persona si deve, in linea di principio, rispetto – a del materiale da scopare no.

Questa narrazione a senso unico, vischiosa, mai messa davvero in discussione, si è insediata come una melassa a presa rapida in cervelli di ogni genere, origine e latitudine, vedasi le fotografe che mettono in posa giovani donne nude per i calendari o producono immagini di bambine in atteggiamenti da Lolite per vendere automobili e di fronte a un minimo di reazione civile strillano: “Io sono femminista!”… che è l’equivalente di “Non sono razzista, conosco tanti immigrati”, “Non sono omofobo, ho un sacco di amici gay” e via dicendo. Ma quando io contesto una tua azione, sorella, non ti sto in alcun modo etichettando e definendo: sto dicendo che quel che hai fatto (non quel che sei) porta acqua al mulino avverso alle donne. Tutto qua, non c’è bisogno di utilizzare ad minchiam il termine “femminista”, perché è evidente che se lo usi come scudo per pararti il didietro tu non sai cosa significa.

All’oggetto-femmina, il cui dovere dalla culla alla tomba è essere bbbeeella per soddisfare sguardo e interno mutanda maschili, non è riconosciuto spessore umano, dignità, legittimazione. Perciò i sedicenti giornalisti (e le sedicenti giornaliste, certo) che in Italia scrivono di violenza di genere non solo non hanno alcuna preparazione al proposito ma ritagliano la storia in modo adeguato affinché risponda ai loro pregiudizi e al sessismo che respirano quotidianamente quanto ogni altro/a.

Solo per fare un esempio, questa notizia l’ho letta due giorni fa:

“Getta in mare la ex, poi la risarcisce: condanna lieve, soltanto sei anni”.

Il (dei tenetemi le mani) professionista della carta stampata ci spiega perché:

“(il perpetratore del tentato omicidio) ha chiesto scusa, ha lanciato segnali di pentimento e ha risarcito la sua ex. Ha staccato un assegno, oltre a scrivere lettere nelle quali ha provato a rivisitare il recente vissuto, fino a quell’ultimo – drammatico – momento di coppia: lei che sta sul muretto, lui che la spinge; lei che cade in acque (sic), a mare, lui che scappa. Lei che rischia di morire e che viene salvata (…).

Sono tutti “momenti di coppia”, quindi: il primo bacio, la prima sberla, la richiesta di assomigliare a una diva all’esterno e a una pornostar a letto, il selfie dopo il pestaggio, il lancio in mare… Io credo che l’autore neppure si sia reso conto di quanto questo tipo di narrazione normalizzi e scusi la violenza contro le donne: lui ne scrive MA NON NE SA UNA BEATA MAZZA. I suoi capi non gli hanno offerto formazione, per due semplici motivi: 1) a loro non interessa fare giornalismo, ma click-bait; 2) ne sanno meno di lui.

In compenso, la reiterazione dell’oggettivazione femminile mascherata da reverente ossequio alla “bellezza” e le interminabili manfrine su stereotipi di genere prescrittivi (le donne sono così, gli uomini sono cosà, senza spazio ne’ per le differenze ne’ per l’individualità), i quali hanno l’unica funzione di presentare come naturale, santa e giusta la subordinazione delle donne, hanno formato generazioni di giovani stronzi – oltre a fornire ossigeno agli stronzi più anziani – che si beano della propria ignoranza, della propria crudeltà e del sessismo più becero a disposizione sul mercato.

Tre esempi dalla cronaca di gennaio/febbraio, il primo della lista ha 19 anni.

Gettata a diciassette anni in un burrone. Il fidanzato: “Roberta si è data fuoco da sola”

– “Il giudice per le indagini preliminari: “Quantomeno a livello gravemente indiziario può ritenersi in questa fase cautelare che Morreale Pietro, mosso da una fortissima gelosia e da un sentimento morboso maturato nei confronti di Roberta (Siragusa), la abbia uccisa (…) dopo aver comunque tentato un approccio sessuale e poi le abbia dato fuoco abbandonandola nella scarpata”.”

– “A Caccamo, raccontano che Morreale era sempre parecchio geloso nei confronti della fidanzata: “La scorsa estate era arrivato anche alle mani – sussurra un’amica della vittima – avevo visto Roberta con un occhio nero. I litigi erano proseguiti, poi di recente sembrava essere tornato il sereno”. Fino a sabato sera, quando sarebbe avvenuta un’altra scenata nel corso della festa a casa di amici.”

– “Risultati dell’autopsia: “Roberta stordita e poi bruciata dal suo assassino”. Secondo una ricostruzione emersa dai lavori dei periti la giovane sarebbe stata colpita, stordita e poi data alla fiamme, forse mentre era ancora viva.

Il secondo ne ha 24.

Rapper 1727 wrldstar arrestato, botte alla compagna con un bastone di ferro

– “Ha ferito gravemente la sua compagna con una mazza di ferro, al culmine di una lite. Per questo è stato arrestato con accuse di maltrattamenti, lesioni e droga Algero Corretini, 24 anni, che sul web è conosciuto anche come ‘1727wrldstar’ (…)”

– “(i carabinieri) hanno ricostruito una prolungata storia di maltrattamenti culminata nella mattinata di sabato in una violenta aggressione.”

Il terzo ne ha 17.

Revenge porn tra minori, la vittima ha solo 13 anni.

“Aveva solo 13 anni quando inviò al suo fidanzatino delle foto che la ritraevano senza veli. Lui, un 17enne, prima ha custodito gelosamente quegli scatti sul suo telefono poi, quando lei lo ha lasciato, li ha inoltrati sulle chat di tutti i loro amici svergognando pubblicamente la ragazzina che, presa dal panico, non voleva nemmeno più andare a scuola. Quella vendetta a luci rosse si è protratta per ben tre mesi poiché anche dopo la denuncia sporta dai genitori della 13enne, il ragazzo ha continuato a diffondere quelle immagini.”

Poi abbiamo il maestro (si fa per dire) Alberto Genovese, anni 43, esperto di festini a base di stupefacenti, serie di foto allucinanti in cui mima incontenibili entusiasmi con la bocca spalancata e bottiglie al vento. Due delle giovani donne che lo hanno denunciato per stupro hanno riportato oltre alle sue violenze i convincimenti da cui esse si originano:

“Mi diceva che la donna non deve andare all’università e non deve lavorare.”

“Faceva certi discorsi, che la donna è stupida e anche se è intelligente non si deve applicare e non deve lavorare. Mi diceva: ‘Tu a 24 anni ti trovi uno che ti mantiene, a 27 fai una famiglia, così hai il futuro garantito, perché una donna a 27 anni è da buttare.’ “

Genovese si è avvalso della facoltà di non rispondere alle domande del giudice per le indagini preliminari, ma ha avuto la faccia tosta di chiedergli di andare ai domiciliari a casa della madre e della compagna, aggiungendo che spera in una pena “rieducativa” che gli consenta di “guarire”: “Voglio disintossicarmi, da 4 anni sono tossicodipendente. Quando mi drogo perdo il controllo e non riconosco il confine tra legale e illegale.”

Perché è tutto lì, il problema. Ci sono ancora legislazioni, al mondo, che normano quanto si può picchiare una donna e in che circostanze sia ammesso violentarla, ma da noi comandano le femministe…

E le donne continuano a soffrire e a morire sia che denuncino sia che non denuncino, sia che rifiutino di aderire al modello imposto sia che lo accettino:

“La Procura di Milano ha chiuso le indagini, in vista della richiesta di processo, a carico di Mattia Colli, medico chirurgo del ‘Centro di chirurgia plastica ed estetica MC’ in centro a Milano, accusato di omicidio colposo per la morte di una donna di 36 anni deceduta in un hospice nel Bresciano l’11 aprile 2018 per complicanze seguite ad una grave infezione dopo un intervento di liposuzione a cui si era sottoposta il 5 luglio 2017.”

Se dopo i 27 anni una donna dovrebbe essere conferita in discarica, figuratevi a 36. Per questo gli utilizzatori, i fini conoscitori e gourmet di femmine producono notizie simili:

Bambina di 18 mesi morta nel Comasco, non è stato un incidente: arrestato il compagno della madre.

“Gli esiti della consulenza medico legale, rende noto la Procura di Como, inducono gli inquirenti a ritenere che la piccola sia stata picchiata non solo il giorno del suo decesso, (…) ma pure in altre circostanze, quando – sempre secondo gli accertamenti – la piccola sarebbe stata anche violentata.”

Era bella, suppongo.

Maria G. Di Rienzo

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Ok, questo è l’articolo che dovevo pubblicare stamattina. Il suo aspetto è il massimo che riesco a realizzare con il nuovo editor di WordPress: uno strumento così agile e facilmente accessibile e preciso (aggiungete lodi ironiche a vostro piacere) che non sono riuscita a fare quel che volevo. Probabilmente nei prossimi giorni non scriverò nulla qui.

Dati Eige – Istituto Europeo per l’eguaglianza di genere.

In Europa, dai quindici anni in poi:

1 donna su 3 subisce violenza fisica e/o violenza sessuale

1 donna su 2 subisce molestie sessuali

1 donna su 20 è stata stuprata

1 donna su 5 ha subito stalking

il 95% delle vittime di traffico a scopo di sfruttamento sessuale è composto da donne

La violenza di genere è un fenomeno composito che ha profonde radici nello sbilanciamento di potere fra uomini e donne, nelle aspettative relative ai ruoli di genere, nelle istituzioni e strutture sociali. Come tale, non può essere affrontato senza mettere in questione credenze e attitudini culturali che perpetuano la violenza contro le donne. Le più comuni di queste sono ormai note anche a chi non si interessa della questione (dopotutto, noi noiose femministe le ripetiamo da lunghissimo tempo): mascolinità intesa come espressione di potere in cui dagli uomini ci si aspetta che abbiano il dominio degli spazi pubblici, delle sedi decisionali e del maneggio delle risorse; femminilità intesa come servizio, in cui dalle donne ci si aspetta che assumano ruoli di cura e che stabiliscano relazioni sulla base dell’essere docili, sottomesse e obbedienti. In sintesi, i ruoli di genere sono categorie identitarie costruite le cui qualità e i cui attributi si escludono a vicenda.

Misurare la violenza di genere è complesso. Vittime e perpetratori possono non percepire le motivazioni dell’atto violento come radicate nei sistemi e nelle strutture sociali e persino non identificare la violenza come tale, il che produce e riproduce diseguaglianza, discriminazione e abuso attraverso molte dimensioni.

Una delle “nuove” attitudini culturali che alimenta la violenza di genere è la presentazione dell’ipersessualizzazione coatta di bambine, ragazze e donne come scelta, libertà, empowerment, intelligenza imprenditoriale, piccante ma innocuo intrattenimento (e fatevela una risata, e scopate qualche volta…)e ultima frontiera del femminismo: che grazie a ciò non avrebbe più ragione di esistere. I media hanno assunto un ruolo chiave in tale scenario. Da quelli per così dire tradizionali a quelli online, tendono purtroppo a perpetuare ossessivamente la diseguaglianza di genere.

La letteratura accademica (ricerche e studi) che si è finora concentrata sulla sessualizzazione di bambine, ragazze e donne ha attestato l’enorme influenza dei media sulla nostra percezione dei ruoli che costoro dovrebbero avere nella società e sulle loro stesse aspettative e aspirazioni.

Moda e pubblicità ripetono stereotipi che nella mente delle donne di qualsiasi età diventano scarsa autostima e vulnerabilità. Facebook, Instagram, Snapchat ecc. sono diventate vetrine in cui ragazze e adulte pubblicano immagini di se stesse chiedendo commenti sulla loro bellezza, sul loro trucco, sui loro vestiti, sul loro grado di appetibilità sessuale. I social media hanno amplificato la pressione già esistente a conformarsi a narrative sessualizzate che hanno diretto impatto negativo sulla salute mentale, emotiva e fisica delle donne su scala globale: ansia rispetto alla propria apparenza, sentimenti di vergogna, disturbi alimentari, depressione, autolesionismo, suicidio. Che dieci, cento o persino mille influencer, celebrità, show-girls stiano benone e facciano un sacco di soldi vendendo la tiritera dell’abito stretto e dell’immagine sexy o pornografica non diminuisce di un milligrammo il danno fatto da tale narrativa a milioni di altre donne. Perciò, quando qualcuno pensa che dimenando il culo in tv o su Youtube in un certo modo e con determinato abbigliamento una donna diventi una paladina della libertà femminile, sta in pratica accettando che scodinzolare allegre per la soddisfazione dello sguardo maschile e presentarsi virtualmente sempre pronte al servizio sessuale per i possessori di tale sguardo sia il massimo traguardo raggiungibile da una donna. Di più: è l’unico traguardo proposto / imposto, con una virulenza tale da far impallidire il Covid-19.

La sessualizzazione coatta è ovunque: nei programmi televisivi – persino in quelli per bambini, nei film, negli annunci pubblicitari, nei videogiochi, nei giocattoli, nelle campagne di marketing… E se le ragazze diventano ossessionate dal loro aspetto e da come renderlo più sessualmente attraente per i membri dell’altro sesso, i ragazzi imparano dal modo in cui i loro corpi sono rappresentati in relazione alle donne a interiorizzare la nozione che il loro successo è strettamente legato al potere, all’aggressività, al dominio sulle donne, alla violenza.

Quando i media rinforzano le dinamiche di potere che degradano e feriscono le donne e fanno apparire triviale la violenza di genere (e fatevela una risata, e scopate qualche volta…) oltre a favorirne la continuazione riducono la possibilità che gli atti di violenza contro bambine, ragazze e donne siano denunciati: in particolar modo aggressioni sessuali, molestie e stupri. Le donne devono essere carine (sexy), gli uomini potenti; le donne devono farsi notare (sexy), gli uomini devono farsi rispettare. Avete idea di che impatto ha questa manfrina non solo sullo sviluppo di una bambina, ma sulla nostra cultura in generale?

Esaminate questa vicenda, in cronaca ieri 2 settembre 2020. E’ squallida, ma le coperture offerte dai quotidiani non sono da meno:

Titolo: Festini con coca e baby prostitute a Bologna, sei indagati: ai domiciliari politico leghista

(Trattasi del 27enne Luca Cavazza, candidato per la Lega con Lucia Borgonzoni alle ultime elezioni regionali, estimatore di Mussolini, ora appunto agli arresti domiciliari.)

Dall’articolo: “Secondo quanto ricostruito l’ipotesi degli investigatori è di un giro di ragazzine arruolate e portate in un residence fuori città, per prestazioni sessuali in cambio di droga. Tutto è partito dalla denuncia di una madre che aveva intercettato dei video nel cellulare della figlia.”

Titolo: Villa Inferno: orge con minorenni e cocaina. Avvocati e politici, trema la Bologna bene

Occhiello: Tutti stimati professionisti gli otto uomini finiti nei guai per i festini con una 17enne. Le accuse: prostituzione minorile e spaccio.

Dall’articolo: “Una vita come quella dei film, anzi sembra proprio un telefilm di Netflix, ’Baby’, che racconta di ragazzine annoiate dei Parioli che entrano in un giro di prostituzione e droga ben più grande di loro. Invece, almeno secondo quanto ricostruito dagli inquirenti della Procura di Bologna (…) questa volta sarebbe accaduto per davvero. È la storia di una ragazzina di diciassette anni, il cui racconto ha permesso di svelare un presunto giro di festini a base di cocaina e prostituzione, anche minorile. E la principale location in cui tutto questo avveniva sarebbe la villa di un imprenditore bolognese, soprannominata non certo a caso ’Villa Inferno’. A finire nei guai, otto uomini (ecc.)”

Titolo: Orge con minorenni e cocaina: arresti nella Bologna ‘bene’

Occhiello: “In carcere un noto imprenditore edile e un capo-ultras con un passato da candidato politico. Nei guai anche un avvocato e un socio di un noto ristorante.”

Dall’articolo: “Secondo le carte dell’indagine (…) lo scenario dei festini a luci rosse è quello della villa fuori Bologna di un noto imprenditore 48enne, unico ora in carcere, dove da almeno ottobre 2019 a febbraio di quest’anno si sarebbero tenuti incontri riservati a base di sesso e cocaina, con la partecipazioni delle ragazzine, non ancora maggiorenni.”

La legge italiana ritiene illecito agevolare, favorire o indurre alla prostituzione le persone anche quando esse sono maggiorenni (chi si prostituisce non infrange la legge). Il reato di prostituzione minorile è previsto dal codice penale (art. 600 bis) e se ne macchia chi induce alla prostituzione minorenni o la favorisce, la gestisce, la organizza e la sfrutta; parimenti è reo chi compie atti sessuali con un/una minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di un corrispettivo in denaro o altra ricompensa. Il/la minore coinvolto/a non è colpevole di niente.

In altre parole, pagare le ragazzine in qualsiasi modo non rende quel che è accaduto loro qualcosa di differente da un atto di violenza subita: resta un reato contro la persona e definire “baby prostitute” le ragazze in questione è spostare scientemente su di loro il biasimo che dovrebbe andare a proprietario e frequentatori della villa… che invece, come spiega l’articolo n. 2, sono tutti “stimati professionisti” finiti “nei guai” (sono indagati, sotto indagine: dirlo è così difficile da necessitare parafrasi?). L’autrice del pezzo, non sapendo nulla delle minori reali, le inventa: sono ragazzine annoiate che volevano vivere come nei film. L’effetto di svergognamento è persino migliore di quello ottenuto dalle “baby prostitute”.

Poi c’è il terzo prodotto di fine giornalismo che, oltre a reiterare la compassione per i poveracci a cui è capitato un guaio (tipo fulmine giù per il caminetto o sbandata in auto su strada scivolosa: sono sfortunati incidenti, non vorrete mica dar loro qualche responsabilità?), ci informa che usare le frasi indurre alla prostituzione minorenni e abusare sessualmente di loro sarebbe metterla in maniera troppo grezza, meglio parlare di “incontri riservati”, qualcosa di piccante e molto elegante e trasgressivo e hot – hot – hot che i ricchi fanno quando (loro sì) si annoiano di andare a letto con mogli, fidanzate, amanti fisse, amanti occasionali, sex-workers nei resort o puttane sui viali.

Le dichiarazioni della minorenne che hanno portato alla luce la vicenda si inquadrano alla perfezione nello scenario che vi ho dettagliato sopra:

“Secondo quanto emerso, gli incontri non avvenivano solo in una villa nel Bolognese (ribattezzata “Villa Inferno”) di proprietà di uno degli indagati, Davide Bacci, ma in un caso anche in albergo o in altre abitazioni private. La 17enne racconta che una volta è rimasta tre giorni a casa di uno degli indagati, ora sottoposto alla misura dell’obbligo di firma alla polizia giudiziaria. Dopo aver consumato cocaina, spiega di “essersi prestata a fare giochi sessuali” con un’altra donna, per “il piacere visivo” dell’uomo che era con loro. (…)

Ascoltata nuovamente dai carabinieri, la minorenne racconta un altro episodio, stavolta nella villa, dove ha un rapporto sessuale con una ragazza di circa 29 anni. “Ad un certo punto – dice – Bacci seguito da alcuni amici si è avvicinato alla stanza e ricordo ha cominciato a filmarci”. Quella sera stessa, “a casa sua, dopo che mi aveva videofilmato, l’ho seguito insieme ad altri in sauna e lì ricordo di aver avuto un rapporto sessuale con lui che non sono riuscita a negare anche perché ero in casa sua dove avevo assunto gratuitamente parecchia coca.

La ragazzina spiega inoltre di aver in seguito “rallentato” i rapporti con Bacci perché lui aveva fatto “circolare il video” e aggiunge inoltre che “Bacci non mi ha mai dato completamente dei soldi per l’attività sessuale, ma ricordo di aver ricevuto da lui una somma di denaro a gennaio 2020, soldi che mi servivano per fare le unghie delle mani“.

La ragazza non potrebbe avere più chiaro qual è il suo ruolo in quanto femmina: il servizio. Si presta per il piacere altrui. Non può negarsi, è in casa del padrone maschio che le ha anche offerto droga. Dev’essere bella, dev’essere notata, deve essere gradevole – desiderabile – scopabile per gli uomini: e quindi ci sono le unghie da fare, i capelli da fare, la dieta da fare, i vestiti da comprare, le scarpe con il tacco da comprare, i cosmetici da comprare… fra qualche anno le tette da gonfiare, le cosce da “liposucchiare”, le rughe da stirare.

Il comandante dei carabinieri di Bologna che ha coordinato l’indagine si è appellato alle famiglie, a cui raccomanda di “avere sempre la guardia molto alta e non trascurare alcun segnale. È evidente che, in situazioni di questo tipo, la differenza la fa proprio famiglia e l’attenzione che la famiglia pone verso ogni comportamento sospetto dei propri figli.”

Purtroppo è prima che la famiglia ha difficoltà a fare qualcosa. Prima, quando tutti i canali televisivi, una valanga di prodotti cinematografici, i quotidiani e le riviste, i social media ecc. istruiscono la figlia a considerare una che pubblicizza online marchi appiccicati al suo corpo un modello di successo femminile (nonché “imprenditrice digitale”) e le ripetono 24 ore al giorno che o è BELLA o è NIENTE. O piace agli uomini e li soddisfa o è solo una “cessa” da prendere per i fondelli.

Prima, quando alle elementari dovrà fare i compitini sul “valore della bellezza” e leggere sui testi schifezze presentate come verità assolute, come normalità: “Rossella è così bella da sembrare un angelo, mentre sua sorella è talmente brutta che nessun ragazzo la degna di uno sguardo.”

( https://lunanuvola.wordpress.com/2020/05/18/elementare-fabbri/ )

Quando arriva ad avere “comportamenti sospetti” a diciassette anni il danno è già stato fatto. Fare uscire dalla storia del nostro paese le “ville infernali” richiede cambiamenti sistemici e sociali che i genitori, pur con tutta la loro buona volontà, non possono conseguire da soli. Sul piano generale, avere leggi che sanzionano la violenza diretta a bambine, ragazze e donne è sempre una buona cosa, avere più donne nelle sedi decisionali è sempre una buona cosa, chiedere una rappresentazione mediatica più realistica delle donne è sempre una buona cosa, ma concretamente e in ultima analisi la sessualizzazione coatta e lo sfruttamento sessuale e l’abuso smetteranno di esistere solo se scomparirà la domanda per essi. Terra terra: gli uomini che queste violenze desiderano, che le organizzano, che ne godono, che le impongono devono darci un taglio.

“Giù le mani dai bambini” scriveva su FB il 23 gennaio scorso, in occasione della manifestazione leghista a Bibbiano, il 27enne frequentatore di “incontri riservati con minorenni” Luca Cavazza. Per le bambine non vale?

Maria G. Di Rienzo

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centro stupidi

La settimana scorsa… “ragazzi friulani, per festeggiare il compleanno di uno di loro, prenotano un tavolo alla discoteca Kursaal di Lignano Sabbiadoro, a nome “Centro Stupri”. I ragazzi posano sorridenti per dei selfie con la targhetta posta sul tavolo e indossando la t-shirt con la medesima scritta. Qualche giorno prima avevano indossato le magliette al ristorante Jonny Luanie di San Daniele. I video, le foto della serata e alcuni post pubblicati sui canali social dal gruppo, accompagnati da commenti scritti di loro pugno inneggianti allo stupro e di stampo razzista, hanno fatto il giro del web suscitando un’ondata di proteste e indignazione.”

Ieri… “Vengono da famiglie bene del Friuli i nove ragazzi coinvolti nella vicenda “Centro stupri”. Sono otto, per ora, quelli iscritti sul registro degli indagati, nell’ambito di un’inchiesta che, al momento, ipotizza per tutti, indistintamente, i reati di istigazione a delinquere e propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa. Ma che potrebbe presto evolvere, coinvolgendo un numero più ampio di persone e precisando ruoli e responsabilità. Intanto la vicenda ha già prodotto la chiusura per 15 giorni del Kursaal di Lignano Sabbiadoro e del Jonny Luanie di San Daniele del Friuli, chiusura decisa dal questore del capoluogo friulano Manuela de Bernardin.”

L’avvocato di cinque membri dell’allegro gruppo dice ai giornali che stiamo montando la panna (è una mia parafrasi) perché in realtà le magliette sono ispirate da un film: “senza tuttavia rivelarne il titolo”. E insomma, mica vorrete tutto e subito, puttane comuniste di merdano, qua io non c’entro, è il gruppetto ad avere queste opinioni, come ricorda la ventenne Eva Margherita Del Monaco: “Stranamente, alcuni di loro sono gli stessi che, circa un anno fa, mi hanno mandato dei video su Instagram dandomi della puttana comunista di merda (cito testuali parole)”.

Uno degli ideatori delle magliette, Alberto Dall’Ava, è in procinto di aprire un nuovo locale. Pare che il sindaco di Udine Fontanini (Lega) sia intenzionato a concedergli un immobile del Comune a fianco del municipio. Qualcuno si domanda “se l’assessora alle pari opportunità Asia Elisa Battaglia (Lega) si opporrà o proporrà di chiamare il luogo CENTRO STUPRI UDIN” (senza la “e” finale perché in dialetto per i leghisti suona meglio, la transizione al nazional-popul-sovranismo non l’hanno ancora digerita tutti).

Io invece vorrei chiedere ai genitori delle “famiglie bene” da cui i giovanotti provengono: Quando vi siete accorti che il vostro rampollo trovava la violenza divertente, cosa gli avete detto? Siete stati zitti, pensando che tanto la vostra classe sociale lo avrebbe protetto da qualsiasi conseguenza, se avesse deciso di mettere la violenza in atto? Lo stupro fa ridere anche voi?

E ai ragazzi dico questo: se vi eccitate solo con la violenza, è ora di vedere un sessuologo. Suvvia, voi ve lo potete permettere.

Maria G. Di Rienzo

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creepy

Ieri è salito alla ribalta il titolo sul “dramma dei papà separati” con cui Il Mattino dava notizia dell’omicidio per strangolamento di due dodicenni da parte del proprio padre, poi suicidatosi (per inciso, l’uomo non era neppure ancora un “papà separato”: il procedimento legale per la separazione dalla moglie era appena iniziato). Sicuramente ne avete letto abbastanza, con questi tormentoni a fare di tutti gli articoli lo stesso articolo: “lui non aveva accettato la separazione ormai alle porte”, “non risultano tensioni precedenti nella coppia”, “una famiglia tranquilla e normale”, “chi avrebbe mai potuto pensare a una cosa del genere”, “tragedia” – e meglio ancora i carabinieri che cercano di capire “se la tragedia è stata programmata oppure no”.

E’ molto importante, pensano i sedicenti giornalisti italiani, presentare il tutto come un fulmine a ciel sereno (raptus), un’inspiegabile disgrazia che manda in pezzi uno scenario fiabesco: “Fino al giorno della tragedia, – scrive Repubblica – nella famiglia Bressi si ritraevano solo sorrisi. Come nelle tantissime foto che postava il padre con Elena e Diego in montagna, e poi al mare in Liguria, e ancora sui pattini a rotelle, come la mamma, istruttrice. Questa vacanza a Margno con i due figli Mario Bressi l’aveva voluta per cercare di trascorrere del tempo da solo con loro. Sapeva che la moglie voleva separarsi da lui.” Sapeva! Lo aveva scoperto chissà come – pensate forse che la moglie gliene abbia parlato? Certo che no, ha continuato a sorridere mentre complottava con l’avvocato! – e quest’evento inaspettato e sconvolgente e incredibile ha mandato in pezzi una vita fatta tutta di felici selfie su Facebook.

Perché vedete, chi ha scritto ‘sta manfrina pensa che gli assassini siano quelli che vede al cinema o su Netflix. Devono avere una storia morbosa e torbida alle spalle. I loro post sono pieni di oscuri simbolismi e citazioni religiose e gli eventuali sorrisi presenti sono ghigni agghiaccianti. Vestono di nero, con cappucci e cappelli tirati sugli occhi oppure indossano maschere horror o si truccano grottescamente da personaggi dei fumetti. Non basta loro uccidere: smembrano le vittime, le tatuano, gli infilano corna d’alce nel cranio, ne cucinano pezzi alla brace o in salmì.

Gli assassini virtuali sono iscritti così confortevolmente in un’alterità palese che quelli che ammazzano mogli, compagne, figlie e figli nella realtà non possono aver ucciso sul serio. Erano persone normali, tranquille, educate – sorridenti. Mario Bressi sui social sorrideva a tutto spiano, perdinci, quindi nel suo caso “cosa sia successo in questi ultimi giorni da solo con i figli in montagna resta un mistero”.

Il mistero è svelato sullo stesso quotidiano nel medesimo giorno (28 giugno 2020): “Tre i messaggi whatsapp che Mario Bressi, l’uomo che ha ucciso i suoi due gemelli di 12 anni nella loro casa di villeggiatura in Valsassina e poi si è tolto la vita, ha inviato tra le 2 e le 3 di ieri alla moglie, Daniela Fumagalli. L’ultimo dei messaggi, da quanto emerge dalle indagini, sarebbe in realtà una lunga lettera in cui l’uomo, 45 anni, lancia pesanti accuse alla moglie ritenendola colpevole di aver rovinato la loro famiglia, si dice in crisi e disperato, e lancia accuse pesanti: “E’ tutta colpa tua”.” Pare che rispetto ai figli le avesse anche comunicato “Non li rivedrai mai più”. Li amava tanto da strozzarli per vendicarsi della moglie “colpevole”.

Ora, vorrei solo dire agli autori degli articoli di guardare meno American Horror Story e di più la quotidianità, dove un gran numero di uomini con concezioni proprietarie e patriarcali della famiglia dicono cose orrende e sorridono, fanno cose abominevoli e sorridono, vanno sorridendo a votare i peggiori misogini sul mercato, si tolgono il cappello per salutare il vicino di casa – sorridendo – mentre nell’altra mano reggono la borsa in cui sta un martello, un’ascia, una pistola.

Norman Bates e Arthur Fleck mi fanno meno paura.

Maria G. Di Rienzo

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“Guarda com’erano belli magri!”, disse qualche anno fa una dirigente di una grande cooperativa di distribuzione alimentare, indicando la fotografia di bambini denutriti nell’immediato dopoguerra. Nessuno dei presenti le rispose che se era uno scherzo non faceva ridere e neppure la invitò a considerare l’ipotesi di cercare di curarsi dall’ossessione “grassofoba”. Perché quel giorno, come tutti i giorni da anni e prima e dopo quello specifico giorno, non c’era media cartaceo o virtuale che non avesse minimo un articolo (ma in genere sono più d’uno) su come perdere peso, sul dovere di perdere peso – soprattutto per le donne, sulle conseguenze apocalittiche del non perdere peso (ormai le hanno dette proprio quasi tutte: mancano l’invasione di cavallette e la peste bubbonica).

Poi ieri, 23 giugno 2020, arriva in cronaca quel che è la “normale” vita da perseguitati destinata ai bambini che non sono “belli magri” – espressione che ormai è una figura retorica, in quanto i due termini sono diventati sinonimi. I giornali lo fanno così:

– Napoli, bullizzata dagli amici perché obesa: 12enne in ospedale

– Bullizzata su instagram perché obesa, 12enne finisce in ospedale per una sincope

– Napoli, bullizzata dagli amici su Instagram: «Fai schifo, cicciona», 12enne finisce in ospedale

All’interno dei pezzi si specifica che la ragazzina è stata insultata, minacciata, svergognata con immagini pubblicate online… non a causa della stronzaggine abissale e dell’interiorizzazione dell’odio grassofobo da parte dei suoi aguzzini (un 14enne e una 13enne) ma “per i suoi chili di troppo” o perché “è sovrappeso”. Nessuno usa la semplice parola “grassa” o qualcuno dei suoi equivalenti eufemistici quali tondetta, paffuta eccetera: capite, facendolo si potrebbe suggerire fra le righe che la condizione della fanciulla sia accettabile, invece la sua responsabilità nel non essere aderente al modello prescritto socialmente dev’essere chiara.

Le minacce si sono estese alla madre che ha cercato di mettere fine allo stalking: i due sbruffoncelli la informano che si sta organizzando un pestaggio della ragazzina e che “più continui più la pestiamo… dimostra un po’ di affetto per tua figlia”. Dopo il crollo della dodicenne, la madre ha presentato denuncia ai carabinieri.

Cosa credete ci fosse tutt’intorno alla notizia? Diete, prove bikini, ululati finto-medici, perentori inviti a “mettersi in forma” e il nuovo sensazionale metodo “pincopallo” con cui la celebrità di turno è dimagrita.

L’avvocato dei due giovanissimi bulli (come futuri mafiosi promettono bene, ma potrebbero avere carriere eccellenti anche nell’ambito fitness) troverà assai facile argomentare che le loro azioni erano motivate dalla preoccupazione per la salute fisica e mentale della loro “amica” – letteralmente infatti, almeno per il momento, hanno distrutto entrambe.

Maria G. Di Rienzo

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a b c

Wikipedia:

1. Il termine analfabetismo funzionale, o illetteratismo, indica l’incapacità di usare in modo efficace le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana – si traduce quindi in pratica nell’incapacità di comprendere, valutare e usare le informazioni (…).

2. L’analfabetismo di ritorno è quel fenomeno attraverso il quale un individuo che abbia assimilato nel normale percorso scolastico di alfabetizzazione le conoscenze necessarie alla scrittura e alla lettura, perde nel tempo quelle stesse competenze a causa del mancato esercizio di quanto imparato.

Un plauso alla redazione de “La Repubblica”: lo sta facendo senza mettersi in mostra e vantarsi ma con fiducia, costanza e grandi aspettative per il futuro continua a offrire opportunità di “fare esercizio” a varie tipologie di diversamente letterati.

Ieri è toccato a Carlotta e Ivan. Questi nell’ordine i loro prodotti:

Titolo: “Cuneo: uccide la convivente sul piazzale del supermercato, poi chiama la polizia per costituirsi”

Occhiello: L’omicidio alla periferia della città: la vittima aveva 44 anni, nata a Bucarest in Italia da 7 anni

Incipit svolgimento:

“Le ha sparato a bruciapelo almeno quattro colpi di pistola, non tutti sono andati a segno. E’ morta sul sedile del passeggero di una Fiat Panda parcheggiata nel piazzale dell’Auchan di Cuneo, alla periferia della città, sulla direttrice per Mondovì, Mihaela Apostolides, 44 anni, romena. L’uomo che l’ha uccisa, Francesco Borgheresi, 41 anni, si è costituito alla polizia e ha aspettato la pattuglia delle volanti vicino all’auto. E’ un militare dell’esercito, ha prestato servizio alla caserma di Pinerolo ma dal almeno due anni era tornato a Firenze di dove era originario.”

Carlotta cara, grammatica a parte (dal almeno ecc.) non ti sembra che la prima frase evidenziata sia un po’ “affollata”? Sul sedile del passeggero, nella Fiat parcheggiata al supermercato, che sta alla periferia della città, sulla strada per un’altra città… ombreggiata da platani e ingentilita da siepi di mortella e gelsomino, riasfaltata da poco, dotata di sistema informativo per il controllo della velocità detto anche Safety Tutor e al n. 97, in una villetta ristrutturata, ci abita mia zia. Non va.

Consiglio per te: non farti influenzare da Salvini che sciorina elenchi senza senso in televisione.

Secondo articolo, titolo: “Picchia e maltratta le tre figliolette, giovane mamma in manette nel Palermitano”

Svolgimento: “Picchia e maltratta le tre figlie, ventiseienne di Alia, in provincia di Palermo, finisce in manette. Una triste e squallida vicenda di violenza tra le mura domestiche finita sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti e dei servizi sociali dopo alcune segnalazioni. Stamani sono scattate le manette ai polsi per la donna che maltrattava e picchiava le figlie la più grande di appena 4 anni. (…) I militari hanno potuto accertare come la giovane donna sottoponeva le bimbe a continue vessazioni, picchiando e minacciando di morte la più piccola, alla presenza delle altre due figlie.

La donna è stata tratta in arresto e condotta al carcere Pagliarelli di Palermo. Le tre bimbe sono state accompagnate dai servizi sociali in una struttura protetta dove sicuramente ritroveranno quell’amore perso di una mamma violenta.

Caro Ivan, ce l’hai un dizionario sinonimi/contrari? Se la risposta è no compralo, se la risposta è sì usalo. Ce l’hai una grammatica italiana? Stesso discorso: ti insegnerà che la punteggiatura non è un optional. Adesso esamina l’ultima frase evidenziata. Tu stai in pratica dicendo che nella struttura protetta… andrà tutto come prima, perché le bambine “ritroveranno l’amore di una mamma violenta”.

Consiglio per te: non farti influenzare da Salvini che ripete gli stessi termini a oltranza (e ad minchiam) in televisione.

Maria G. Di Rienzo

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Due notizie in cronaca ieri 30 aprile:

– Revenge porn, denunciati amministratori di tre canali Telegram. Tra le vittime anche personaggi dello spettacolo.

– Abusa della figlia della compagna, arrestato 42enne a Catania. L’aveva già fatto con la figlia avuta dall’ex moglie.

La prima tratta dell’operazione della polizia postale “Drop the revenge”, che “(…) è riuscita a bloccare tre canali Telegram denigratori e violenti sin dal titolo: La Bibbia 5.0, Il Vangelo del Pelo e uno dei canali denominati Stupro tua sorella 2.0. L’applicazione di chat istantanea tra le più diffuse al mondo veniva utilizzata per vendicarsi di persone, prevalentemente donne, con temi a carattere sessuale. Basti pensare che il canale «madre» Stupro tua sorella 2.0, annoverava quasi 45 mila iscritti con un volume di circa 30 mila messaggi al giorno.

Migliaia le foto e i video di ragazze, anche minorenni, con pressanti istigazioni alla pedopornografia e al femminicidio. Il tutto corredato da commenti che incitavano all’aggressione fisica e alla violenza.

Gli account degli amministratori, un 35enne di Nuoro e un 17enne, sono stati sequestrati. Il diciassettenne, amministratore di Il Vangelo del Pelo, ha creato una sorta di mercatino di immagini private (anche di natura pedopornografica), grazie al quale è riuscito a guadagnare finora 5.000 euro. Le foto erano in vendita a 3 euro l’una, per i video la cifra era superiore.

C’è una terza persona indagata, un 29 enne bergamasco, che ha utilizzato quei gruppi per vendetta nei confronti della ex compagna, pubblicandone foto e video privati. Come detto, i tre sono stati denunciati. Rischiano da 1 a 6 anni di carcere e fino a 15 mila euro di multa. Ma l’indagine va avanti: sono in corso le identificazioni sia delle vittime, sia degli utenti. Chi, infatti, si è iscritto ai canali e ha pubblicato, ricevuto o diffuso foto private, rischia la stessa pena. I gruppi di Telegram, però, sono ancora accessibili.

Solo con una querela di parte di una vittima si può procedere per il reato di revenge porn, che punisce chi diffonde illecitamente immagini o video sessualmente espliciti a scopo di vendetta.”

La seconda vicenda riguarda una bambina che comincia a essere molestata dal compagno della propria madre a 9 anni:

L’uomo l’ha costretta a toccarlo nelle parti intime: «Così impari», le aveva detto per giustificare quel comportamento. Gli abusi sono andati avanti per anni, l’uomo la portava con sé in campagna con la scusa di raccogliere la frutta e ne abusava; la costringeva a vedere immagini del suo telefonino in cui c’erano rapporti sessuali della madre, con lui o con altri uomini; si faceva trovare nudo e la costringeva a toccarlo. (…) Un giorno però la vittima è riuscita a confidarsi con la figlia maggiore di quell’orco che, in lacrime, a sua volta ha confidato alla bambina di avere in passato subito dal padre le stesse turpi attenzioni. Dopo qualche tempo, è ancora la ricostruzione dei pm, la bambina è riuscita a parlarne con la propria madre e con l’anziana madre dell’uomo. Le due donne si sarebbero limitate a rimproverare l’uomo che, scusandosi, avrebbe promesso di non farlo più.

Ma l’incubo non è ancora finito perché la bambina a questo punto subisce da quell’uomo continue vessazioni che la convincono a trasferirsi in casa del padre naturale. Poi, è ancora la ricostruzione della procura, durante un incontro di famiglia quell’uomo ha nuovamente «abbracciato» la bambina che, a quel punto, decide di raccontare tutto alla nuova compagna del padre e alla nonna paterna, le quali vanno subito a denunciarlo, facendo partire l’inchiesta. (…) Il calvario della bambina ora sembra davvero finito. A 12 anni. Dopo tre anni di violenze e abusi.

L’articolo, come avrete notato, definisce “orco” l’uomo in questione e sembra ignorare che “Così impari” non è qualificabile come “giustificazione” – a meno che non siano largamente accettate a livello sociale un paio di cose: 1) Le persone di sesso femminile, qualsiasi sia la loro età, sono mero materiale da scopata; 2) Il loro ruolo al mondo è tentare di diventare il miglior materiale da scopata possibile e pertanto l’addestramento precoce è un vantaggio.

Il fatto che uno solo dei canali pornografici menzionati nella prima notizia annoverasse “quasi 45 mila iscritti con un volume di circa 30 mila messaggi al giorno” sembra dimostrare proprio questa vasta accettazione dei suddetti assunti: inoltre, toglie l’etichetta di “orco” dalle spalle dello stupratore di bambine della seconda notizia, perché se su un unico canale Telegram ci sono 45.000 persone che gli somigliano, be’, lui è del tutto “normale”.

Com’è diventato “normale” chiedetelo in primo luogo al clima culturale italiano, fatto per le donne e per le bambine di sessualizzazione coatta e altamente invasiva spacciata per “ricerca della bellezza” e ai media che sparano in un ciclo continuo influencer, modelle, tette-cosce-culi, consigli prescrittivi su come essere sexy-hot-da urlo eccetera. Poi potete chiederlo ai conniventi farabutti che si arrampicano sugli specchi per negare che tutto ciò abbia collegamento diretto con la violenza.

Maria G. Di Rienzo

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26 aprile 2020 – Bergamo, uccisa a pugni e a calci in casa, arrestato dopo un mese il compagno.

“Una donna di 34 anni, Viviana Caglioni, è stata uccisa a calci e pugni dal compagno, Cristian Michele Locatelli, 42 anni, ora in carcere a Bergamo. La brutale aggressione risale ad un mese fa, nella notte tra il 30 e il 31 marzo, ma inizialmente il presunto aggressore, coperto anche dalla madre di lei, aveva riferito di una caduta. (…) Locatelli, dopo l’arresto, ha riferito agli inquirenti di avere picchiato la compagna per gelosia, pestandola con calci e pugni alla testa e all’inguine.”

Quattro giorni prima, è apparso sul Guardian un articolo di Anna Moore – relativo al raddoppiamento dei femicidi in Gran Bretagna durante il lockdown – di cui riporto un brano:

“Alison Young viveva in quarantena molto prima del Covid-19. Durante la maggior parte degli otto anni del suo matrimonio, suo marito le ha permesso di lasciare l’abitazione solo per “viaggi autorizzati”.

“Si trattava invariabilmente di spesa alimentare e, quando rientravo, lui controllava gli scontrini, il chilometraggio e ispezionava l’automobile in cerca di briciole nel caso io avessi mangiato qualcosa mentre ero fuori casa, cosa che non mi era permessa. – racconta – Se violavi le regole o ribattevi, non sapevi come lui avrebbe reagito. A volte mi lasciava riderci sopra, altre volte mi puntava un coltello alla gola: perciò, la paura non se ne andava mai. Era giusto sotto la superficie o si riversava all’esterno da ogni poro della pelle.” (…)

“Ho letto i rapporti relativi agli “omicidi da quarantena” e delle donne in disperato bisogno d’aiuto e la cosa è sempre descritta come gente che vive sotto pressione in un momento fuori dall’ordinario e perde la testa. – dice Young, che ora dirige un network non ufficiale a sostegno delle donne come lei – Quando lo stai vivendo non è affatto così. Si tratta di come i partner violenti si comportano quando non c’è su di loro uno sguardo pubblico. Si tratta di persone che usano ogni cambiamento di circostanze a proprio vantaggio e si adattano a qualsiasi nuovo modo di vivere restringendo massicciamente il controllo.”

La dott. Jane Monckton-Smith, ex ufficiale di polizia e criminologa forense all’Università di Gloucester, ha passato anni studiando centinaia di omicidi commessi da partner intimi, intervistando famiglie e professionisti nel campo della protezione pubblica, per riuscire a tracciare il lento andamento che va “primo incontro” a “omicidio”. Lo scorso anno ha pubblicato “Homicide Timeline”, in cui identifica le otto fasi attraversate da un assassino.

La prima è una storia, precedente alla relazione, di stalking, violenza domestica o controllo coercitivo. La seconda è la dichiarazione d’amore e il conseguente muoversi verso una relazione molto velocemente. La terza è un inasprimento delle misure di controllo: può riguardare le abitudini di spesa della partner, gli amici che lei incontra, i vestiti che indossa. “Prima del lockdown, la maggior parte dei “controllori” era nella fase tre.”, dice Monckton-Smith.

La fase quattro sulla sua scala è un “evento scatenante”, qualcosa che minaccia il senso di potere e controllo dell’assassino. “Spesso è la partner che interrompe la relazione, ma può essere tutta una serie di altre cose – il pensionamento, la disoccupazione, la malattia, un nuovo bambino.” O la quarantena. “Tutti gli abusanti sono ora nella fase quatto – dice ancora Monckton-Smith – Chiunque tu sia, il Covid-19 ti ha sottratto il controllo. Hai perso il controllo su dove puoi andare, cosa puoi fare e puoi persino aver perso il controllo delle tue finanze. Se stai con i figli 24 ore al giorno e sono troppo rumorosi, troppo disordinati, se la tua vittima si ammala o non è in grado di gestire i bambini e la casa nel modo in cui vuoi tu… Non sto dicendo che ognuno in questo stadio passerà all’omicidio, ma ogni abusante è ora più instabile e ad alto rischio. E se questa persona è impulsiva, o a proprio agio con la violenza, può attraversare assai rapidamente le fasi successive: acutizzazione, cambiamento di pensiero, pianificazione e omicidio.”

Alison Young riconosce questo schema sin troppo bene – per lei, l’evento scatenante fu perdere il lavoro. “Non c’erano colpe da parte mia, ci fu una ristrutturazione e il mio posto di lavoro non esisteva più. – dice – Mi ricordo seduta nel treno verso casa dopo che me l’avevano comunicato, così terrorizzata da non riuscire a distinguere le cose con la vista. Sapevo di doverglielo dire e sapevo cosa mi aspettava. Il mio impiego era stato ben pagato e lui non lavorava, perciò aveva bisogno che lo facessi io. Lui mi sottrasse la carta di credito della banca. Non mi era più permesso andare da nessuna parte perché, secondo lui, ogni volta in cui io uscivo era un costo in denaro.”

Vivendo assieme a lei una quarantena personalizzata, il partner di Young divenne più violento e meno prevedibile: “La faccenda si inasprì davvero in fretta. Mi minacciava con coltelli e mi stuprò molte volte.” Fu dopo che l’uomo cominciò a tirarla fuori dal letto mentre dormiva per trascinarla in giro per la stanza “come una bambola di stracci” che Young si rivolse a un’amica, la quale l’aiutò a scappare.”

Maria G. Di Rienzo

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So che può essere sgradevole dirlo, ma le attestazioni “dopo saremo migliori” e “stiamo imparando molto sulla vita” e “andrà tutto bene” stanno diventando retorica alla melassa e mi hanno un po’ stancato. Non necessariamente la sofferenza rende le persone “migliori”, neppure quella di proporzioni enormi come la pandemia che stiamo attraversando. Per mutare convincimenti e attitudini servono ammissione degli errori, visione alternativa all’esistente, coraggio e strumenti. Francamente, se prendiamo in esame solo come la nostra società maneggia la violenza tutto ciò è assente.

19 aprile 2020: Spara alla compagna che lo ospitava in casa per l’isolamento coronavirus e si costituisce

“Vittima Alessandra Cità, una donna di 47 anni uccisa dall’uomo con cui aveva una relazione da 9 anni. Antonio Vena era già stato denunciato due volte per violenza dalla sua ex moglie. Ha sparato alla sua compagna con un fucile a pompa, un colpo secco alla testa. La prima spiegazione data sarebbe legata a motivi passionali. A quanto si è appreso, lei voleva interrompere la relazione ma aveva accettato di ospitarlo in casa ad Albignano, un paesino alle porte di Truccazzano nel Milanese, per via delle norme relative all’emergenza Coronavirus.”

20 aprile 2020: 22enne accoltella la compagna dopo una lite in casa

Tragedia sfiorata, nella notte in una villetta multifamiliare, in via degli Olmi a Lanuvio (Roma), dove un ragazzo di 22 anni, incensurato, ha aggredito con un coltello da cucina, al termine di una discussione per futili motivi, la convivente 27enne, ferendola con diversi fendenti.

La ragazza è stata trasportata d’urgenza all’ospedale Castelli di Ariccia, dove è stata sottoposta ad un delicato intervento chirurgico. E’ in pericolo di vita.

Secondo quanto si apprende, il ragazzo da alcuni giorni era molto turbato per la perdita di un parente stretto.

20 aprile 2020: Porta neonata in ospedale: “Mia figlia piange sempre”. Scoperte costole rotte e contusioni

“I medici del “Goretti” di Latina, effettuate delle radiografie, hanno ben presto appurato che la piccola aveva una costola fratturata. Gli stessi medici hanno però notato che la bimba aveva anche i segni di una seconda costola rotta circa un mese prima, frattura che si era intanto saldata. Sul corpo della bambina sono state infine viste delle contusioni e i segni di un morso.

I genitori della bambina, una giovane coppia che ha anche un’altra figlia, sono ben inseriti nel paese. Un nucleo familiare insospettabile. Particolari che rendono ancor più complesso il lavoro degli investigatori, impegnati a far luce su cosa sia accaduto alla bimba.”

Allora, stando a quel che leggo non abbiamo imparato, sulla vita, proprio un fico secco. Le donne muoiono per motivi passionali, gli uomini accoltellano perché sono in lutto e la bimba dev’essersi rotta le costole da sola, perché i genitori sono gente per bene, “insospettabili”.

Conosco tra l’altro una ex bambina che ha avuto alla nascita lo stesso problema. Il parto era difficile (la piccola aveva il cordone ombelicale stretto attorno al collo e nacque morta) e per estrarla fu tirata con energia un po’ eccessiva, bastante a staccarle un braccio dalla clavicola. Ovviamente, una volta che l’ebbero rianimata, non riusciva a smettere di piangere. Per paura che i genitori se la prendessero con gli operatori sanitari, nessun controllo fu fatto per tre giorni di fila, mentre la neonata urlava a pieni polmoni.

Per fortuna un medico più corretto o solo più sensibile affrontò il problema e la bambina fu ingessata. Ero io. Se siete curiosi, il micro-gesso sta fra gli ex voto di Sant’Antonio a Padova, dove lo mise mia madre.

Assumersi le proprie responsabilità, riconoscere gli sbagli e attuare giustizia riparatrice, avversare la violenza in tutte le sue forme, realizzare l’eguaglianza di genere: ecco quanto ci renderebbe effettivamente migliori. Ma non sto vedendo nulla che vada in questo senso.

Maria G. Di Rienzo

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Broken Crystal Ball

“18 aprile 2020: Roma, aggredisce ex a martellate: donna grave.”

Alcuni quotidiani risolvono il caso già dal titolo, aggiungendo “Non accettava di essere stato lasciato”, così che i lettori possano sospirare sulla triste sorte dell’assassino e biasimare la vittima colpevole di aver chiuso il rapporto. L’avesse presa a martellate quando ancora stavano insieme, la vittima sarebbe colpevole di non averlo lasciato e l’ouroboros della misoginia è completo.

La disperazione per l’abbandono si è dispiegata così:

“Ha atteso la sua ex nel box auto condominiale e l’ha colpita ripetutamente a martellate. Poi prima di scappare le ha rubato il pc portatile. (…) La vittima, una 37enne italiana, è stata ricoverata in ospedale in gravi condizioni. (…) A quanto ricostruito finora, l’uomo – vestito di scuro con il volto coperto da mascherina e occhiali – avrebbe raggiunto l’abitazione della ex in taxi, armato di martello, per attenderla nel garage. Lì la donna è stata più volte colpita con un martello fino a quando non si sarebbe rotto il manico. (…) La Polizia (…) lo ha arrestato poco dopo nei pressi della sua abitazione, mentre preparava la fuga.”

Be’, tutta la pianificazione, il furto e il tentativo di “exit strategy” dimostrano senz’ombra di dubbio che l’uomo era estremamente sconvolto, non in sé, preda del raptus… E a proposito, la donna è bella? Quanto era bella prima di finire in codice rosso all’ospedale? Riuscirà a essere di nuovo bella?

Queste sono le importanti domande a cui il giornalismo nostrano, fiero e indipendente e d’inchiesta, tenterà di rispondere nei prossimi giorni.

Maria G. Di Rienzo

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