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Posts Tagged ‘prostituzione minorile’

Ok, questo è l’articolo che dovevo pubblicare stamattina. Il suo aspetto è il massimo che riesco a realizzare con il nuovo editor di WordPress: uno strumento così agile e facilmente accessibile e preciso (aggiungete lodi ironiche a vostro piacere) che non sono riuscita a fare quel che volevo. Probabilmente nei prossimi giorni non scriverò nulla qui.

Dati Eige – Istituto Europeo per l’eguaglianza di genere.

In Europa, dai quindici anni in poi:

1 donna su 3 subisce violenza fisica e/o violenza sessuale

1 donna su 2 subisce molestie sessuali

1 donna su 20 è stata stuprata

1 donna su 5 ha subito stalking

il 95% delle vittime di traffico a scopo di sfruttamento sessuale è composto da donne

La violenza di genere è un fenomeno composito che ha profonde radici nello sbilanciamento di potere fra uomini e donne, nelle aspettative relative ai ruoli di genere, nelle istituzioni e strutture sociali. Come tale, non può essere affrontato senza mettere in questione credenze e attitudini culturali che perpetuano la violenza contro le donne. Le più comuni di queste sono ormai note anche a chi non si interessa della questione (dopotutto, noi noiose femministe le ripetiamo da lunghissimo tempo): mascolinità intesa come espressione di potere in cui dagli uomini ci si aspetta che abbiano il dominio degli spazi pubblici, delle sedi decisionali e del maneggio delle risorse; femminilità intesa come servizio, in cui dalle donne ci si aspetta che assumano ruoli di cura e che stabiliscano relazioni sulla base dell’essere docili, sottomesse e obbedienti. In sintesi, i ruoli di genere sono categorie identitarie costruite le cui qualità e i cui attributi si escludono a vicenda.

Misurare la violenza di genere è complesso. Vittime e perpetratori possono non percepire le motivazioni dell’atto violento come radicate nei sistemi e nelle strutture sociali e persino non identificare la violenza come tale, il che produce e riproduce diseguaglianza, discriminazione e abuso attraverso molte dimensioni.

Una delle “nuove” attitudini culturali che alimenta la violenza di genere è la presentazione dell’ipersessualizzazione coatta di bambine, ragazze e donne come scelta, libertà, empowerment, intelligenza imprenditoriale, piccante ma innocuo intrattenimento (e fatevela una risata, e scopate qualche volta…)e ultima frontiera del femminismo: che grazie a ciò non avrebbe più ragione di esistere. I media hanno assunto un ruolo chiave in tale scenario. Da quelli per così dire tradizionali a quelli online, tendono purtroppo a perpetuare ossessivamente la diseguaglianza di genere.

La letteratura accademica (ricerche e studi) che si è finora concentrata sulla sessualizzazione di bambine, ragazze e donne ha attestato l’enorme influenza dei media sulla nostra percezione dei ruoli che costoro dovrebbero avere nella società e sulle loro stesse aspettative e aspirazioni.

Moda e pubblicità ripetono stereotipi che nella mente delle donne di qualsiasi età diventano scarsa autostima e vulnerabilità. Facebook, Instagram, Snapchat ecc. sono diventate vetrine in cui ragazze e adulte pubblicano immagini di se stesse chiedendo commenti sulla loro bellezza, sul loro trucco, sui loro vestiti, sul loro grado di appetibilità sessuale. I social media hanno amplificato la pressione già esistente a conformarsi a narrative sessualizzate che hanno diretto impatto negativo sulla salute mentale, emotiva e fisica delle donne su scala globale: ansia rispetto alla propria apparenza, sentimenti di vergogna, disturbi alimentari, depressione, autolesionismo, suicidio. Che dieci, cento o persino mille influencer, celebrità, show-girls stiano benone e facciano un sacco di soldi vendendo la tiritera dell’abito stretto e dell’immagine sexy o pornografica non diminuisce di un milligrammo il danno fatto da tale narrativa a milioni di altre donne. Perciò, quando qualcuno pensa che dimenando il culo in tv o su Youtube in un certo modo e con determinato abbigliamento una donna diventi una paladina della libertà femminile, sta in pratica accettando che scodinzolare allegre per la soddisfazione dello sguardo maschile e presentarsi virtualmente sempre pronte al servizio sessuale per i possessori di tale sguardo sia il massimo traguardo raggiungibile da una donna. Di più: è l’unico traguardo proposto / imposto, con una virulenza tale da far impallidire il Covid-19.

La sessualizzazione coatta è ovunque: nei programmi televisivi – persino in quelli per bambini, nei film, negli annunci pubblicitari, nei videogiochi, nei giocattoli, nelle campagne di marketing… E se le ragazze diventano ossessionate dal loro aspetto e da come renderlo più sessualmente attraente per i membri dell’altro sesso, i ragazzi imparano dal modo in cui i loro corpi sono rappresentati in relazione alle donne a interiorizzare la nozione che il loro successo è strettamente legato al potere, all’aggressività, al dominio sulle donne, alla violenza.

Quando i media rinforzano le dinamiche di potere che degradano e feriscono le donne e fanno apparire triviale la violenza di genere (e fatevela una risata, e scopate qualche volta…) oltre a favorirne la continuazione riducono la possibilità che gli atti di violenza contro bambine, ragazze e donne siano denunciati: in particolar modo aggressioni sessuali, molestie e stupri. Le donne devono essere carine (sexy), gli uomini potenti; le donne devono farsi notare (sexy), gli uomini devono farsi rispettare. Avete idea di che impatto ha questa manfrina non solo sullo sviluppo di una bambina, ma sulla nostra cultura in generale?

Esaminate questa vicenda, in cronaca ieri 2 settembre 2020. E’ squallida, ma le coperture offerte dai quotidiani non sono da meno:

Titolo: Festini con coca e baby prostitute a Bologna, sei indagati: ai domiciliari politico leghista

(Trattasi del 27enne Luca Cavazza, candidato per la Lega con Lucia Borgonzoni alle ultime elezioni regionali, estimatore di Mussolini, ora appunto agli arresti domiciliari.)

Dall’articolo: “Secondo quanto ricostruito l’ipotesi degli investigatori è di un giro di ragazzine arruolate e portate in un residence fuori città, per prestazioni sessuali in cambio di droga. Tutto è partito dalla denuncia di una madre che aveva intercettato dei video nel cellulare della figlia.”

Titolo: Villa Inferno: orge con minorenni e cocaina. Avvocati e politici, trema la Bologna bene

Occhiello: Tutti stimati professionisti gli otto uomini finiti nei guai per i festini con una 17enne. Le accuse: prostituzione minorile e spaccio.

Dall’articolo: “Una vita come quella dei film, anzi sembra proprio un telefilm di Netflix, ’Baby’, che racconta di ragazzine annoiate dei Parioli che entrano in un giro di prostituzione e droga ben più grande di loro. Invece, almeno secondo quanto ricostruito dagli inquirenti della Procura di Bologna (…) questa volta sarebbe accaduto per davvero. È la storia di una ragazzina di diciassette anni, il cui racconto ha permesso di svelare un presunto giro di festini a base di cocaina e prostituzione, anche minorile. E la principale location in cui tutto questo avveniva sarebbe la villa di un imprenditore bolognese, soprannominata non certo a caso ’Villa Inferno’. A finire nei guai, otto uomini (ecc.)”

Titolo: Orge con minorenni e cocaina: arresti nella Bologna ‘bene’

Occhiello: “In carcere un noto imprenditore edile e un capo-ultras con un passato da candidato politico. Nei guai anche un avvocato e un socio di un noto ristorante.”

Dall’articolo: “Secondo le carte dell’indagine (…) lo scenario dei festini a luci rosse è quello della villa fuori Bologna di un noto imprenditore 48enne, unico ora in carcere, dove da almeno ottobre 2019 a febbraio di quest’anno si sarebbero tenuti incontri riservati a base di sesso e cocaina, con la partecipazioni delle ragazzine, non ancora maggiorenni.”

La legge italiana ritiene illecito agevolare, favorire o indurre alla prostituzione le persone anche quando esse sono maggiorenni (chi si prostituisce non infrange la legge). Il reato di prostituzione minorile è previsto dal codice penale (art. 600 bis) e se ne macchia chi induce alla prostituzione minorenni o la favorisce, la gestisce, la organizza e la sfrutta; parimenti è reo chi compie atti sessuali con un/una minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di un corrispettivo in denaro o altra ricompensa. Il/la minore coinvolto/a non è colpevole di niente.

In altre parole, pagare le ragazzine in qualsiasi modo non rende quel che è accaduto loro qualcosa di differente da un atto di violenza subita: resta un reato contro la persona e definire “baby prostitute” le ragazze in questione è spostare scientemente su di loro il biasimo che dovrebbe andare a proprietario e frequentatori della villa… che invece, come spiega l’articolo n. 2, sono tutti “stimati professionisti” finiti “nei guai” (sono indagati, sotto indagine: dirlo è così difficile da necessitare parafrasi?). L’autrice del pezzo, non sapendo nulla delle minori reali, le inventa: sono ragazzine annoiate che volevano vivere come nei film. L’effetto di svergognamento è persino migliore di quello ottenuto dalle “baby prostitute”.

Poi c’è il terzo prodotto di fine giornalismo che, oltre a reiterare la compassione per i poveracci a cui è capitato un guaio (tipo fulmine giù per il caminetto o sbandata in auto su strada scivolosa: sono sfortunati incidenti, non vorrete mica dar loro qualche responsabilità?), ci informa che usare le frasi indurre alla prostituzione minorenni e abusare sessualmente di loro sarebbe metterla in maniera troppo grezza, meglio parlare di “incontri riservati”, qualcosa di piccante e molto elegante e trasgressivo e hot – hot – hot che i ricchi fanno quando (loro sì) si annoiano di andare a letto con mogli, fidanzate, amanti fisse, amanti occasionali, sex-workers nei resort o puttane sui viali.

Le dichiarazioni della minorenne che hanno portato alla luce la vicenda si inquadrano alla perfezione nello scenario che vi ho dettagliato sopra:

“Secondo quanto emerso, gli incontri non avvenivano solo in una villa nel Bolognese (ribattezzata “Villa Inferno”) di proprietà di uno degli indagati, Davide Bacci, ma in un caso anche in albergo o in altre abitazioni private. La 17enne racconta che una volta è rimasta tre giorni a casa di uno degli indagati, ora sottoposto alla misura dell’obbligo di firma alla polizia giudiziaria. Dopo aver consumato cocaina, spiega di “essersi prestata a fare giochi sessuali” con un’altra donna, per “il piacere visivo” dell’uomo che era con loro. (…)

Ascoltata nuovamente dai carabinieri, la minorenne racconta un altro episodio, stavolta nella villa, dove ha un rapporto sessuale con una ragazza di circa 29 anni. “Ad un certo punto – dice – Bacci seguito da alcuni amici si è avvicinato alla stanza e ricordo ha cominciato a filmarci”. Quella sera stessa, “a casa sua, dopo che mi aveva videofilmato, l’ho seguito insieme ad altri in sauna e lì ricordo di aver avuto un rapporto sessuale con lui che non sono riuscita a negare anche perché ero in casa sua dove avevo assunto gratuitamente parecchia coca.

La ragazzina spiega inoltre di aver in seguito “rallentato” i rapporti con Bacci perché lui aveva fatto “circolare il video” e aggiunge inoltre che “Bacci non mi ha mai dato completamente dei soldi per l’attività sessuale, ma ricordo di aver ricevuto da lui una somma di denaro a gennaio 2020, soldi che mi servivano per fare le unghie delle mani“.

La ragazza non potrebbe avere più chiaro qual è il suo ruolo in quanto femmina: il servizio. Si presta per il piacere altrui. Non può negarsi, è in casa del padrone maschio che le ha anche offerto droga. Dev’essere bella, dev’essere notata, deve essere gradevole – desiderabile – scopabile per gli uomini: e quindi ci sono le unghie da fare, i capelli da fare, la dieta da fare, i vestiti da comprare, le scarpe con il tacco da comprare, i cosmetici da comprare… fra qualche anno le tette da gonfiare, le cosce da “liposucchiare”, le rughe da stirare.

Il comandante dei carabinieri di Bologna che ha coordinato l’indagine si è appellato alle famiglie, a cui raccomanda di “avere sempre la guardia molto alta e non trascurare alcun segnale. È evidente che, in situazioni di questo tipo, la differenza la fa proprio famiglia e l’attenzione che la famiglia pone verso ogni comportamento sospetto dei propri figli.”

Purtroppo è prima che la famiglia ha difficoltà a fare qualcosa. Prima, quando tutti i canali televisivi, una valanga di prodotti cinematografici, i quotidiani e le riviste, i social media ecc. istruiscono la figlia a considerare una che pubblicizza online marchi appiccicati al suo corpo un modello di successo femminile (nonché “imprenditrice digitale”) e le ripetono 24 ore al giorno che o è BELLA o è NIENTE. O piace agli uomini e li soddisfa o è solo una “cessa” da prendere per i fondelli.

Prima, quando alle elementari dovrà fare i compitini sul “valore della bellezza” e leggere sui testi schifezze presentate come verità assolute, come normalità: “Rossella è così bella da sembrare un angelo, mentre sua sorella è talmente brutta che nessun ragazzo la degna di uno sguardo.”

( https://lunanuvola.wordpress.com/2020/05/18/elementare-fabbri/ )

Quando arriva ad avere “comportamenti sospetti” a diciassette anni il danno è già stato fatto. Fare uscire dalla storia del nostro paese le “ville infernali” richiede cambiamenti sistemici e sociali che i genitori, pur con tutta la loro buona volontà, non possono conseguire da soli. Sul piano generale, avere leggi che sanzionano la violenza diretta a bambine, ragazze e donne è sempre una buona cosa, avere più donne nelle sedi decisionali è sempre una buona cosa, chiedere una rappresentazione mediatica più realistica delle donne è sempre una buona cosa, ma concretamente e in ultima analisi la sessualizzazione coatta e lo sfruttamento sessuale e l’abuso smetteranno di esistere solo se scomparirà la domanda per essi. Terra terra: gli uomini che queste violenze desiderano, che le organizzano, che ne godono, che le impongono devono darci un taglio.

“Giù le mani dai bambini” scriveva su FB il 23 gennaio scorso, in occasione della manifestazione leghista a Bibbiano, il 27enne frequentatore di “incontri riservati con minorenni” Luca Cavazza. Per le bambine non vale?

Maria G. Di Rienzo

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“Era una giornata talmente bella che decisi di rimanere a letto.” William Somerset Maugham.

bella giornata

Che bella giornata, in effetti, è stata il 19 febbraio 2020.

Tanto per cominciare, la nostrana commissione parlamentare di inchiesta per l’Infanzia e l’Adolescenza ha ascoltato il rapporto della pm Maria Monteleone, ricevendo l’informazione che una serie di crimini contro i minori sono aumentati: prostituzione minorile (uno dei “reati più inquietanti che dobbiamo registrare perché vede come vittime bambine e bambini, anche di età compresa tra i 10 e i 13 anni”); abusi sessuali con correlata crescita dell’adescamento tramite internet; abuso dei mezzi di correzione (particolarmente sotto i cinque anni d’età); elusione dei provvedimenti sull’affidamento; violazione dell’obbligo di mantenimento: rassicuriamoci, l’Italia ama i bambini e giù le mani dai bambini e prima i bambini.

Nella sezione CULTURE dell’Huffington Post abbiamo potuto scorrere nei dettagli la notizia relativa al padre 25enne che in quel di Milano ha seviziato il proprio figlioletto per due giorni riuscendo infine ad ucciderlo: “Il pm ha anche contestato l’aggravante di avere agito “con crudeltà verso il bambino, per motivi futili consistiti nel fatto che il piccolo, lasciato senza pannolino, si fosse sporcato”. L’uomo è accusato anche di maltrattamenti nei confronti della moglie e degli altri due figli piccoli.”

L’assassino ha origini croate, ma dobbiamo ancora capire cosa c’entri la “cultura” con il prendere a calci e pugni un bimbo di due anni, ustionarlo con sigarette accese, bruciargli i piedi e ammazzarlo a colpi in fronte. O il suggerimento era: Eh, da loro i bambini li trattano così, è la loro cultura?

Gli effetti dell’educazione impartita dagli adulti tramite pornografia imperante, sessismo quotidiano e misoginia di default, si sono concretizzati una volta di più:

Violentata a turno a soli 10 anni dal branco di minorenni in uno scantinato e ripresa con lo smartphone. Questo il dramma vissuto da una bambina del napoletano.

I sei stupratori hanno dagli 11 ai 14 anni. E probabilmente la bambina era “bella”, come la nostra giornata, e un po’ di avvocati e giudici e stronzi vari avranno tutta una serie di “errori” da contestarle – si sarà fidata, sarà sembrata più grande, avrà avuto pantaloni troppo stretti / vistosi… per cui alla fine le diranno che ha semplicemente meritato quel che le è successo. Tra l’altro, mica è una violenza sessuale di gruppo: è un dramma.

Come si educano i minori al “dramma”? Un esempio dal 19 febbraio, così:

“A Ragusa è polemica per un cartellone pubblicitario per la promozione di uno scooter elettrico: ritrae una donna di spalle, seminuda, a bordo di una moto, e la scritta Vienimi dietro: sono elettrica“.

Maria G. Di Rienzo

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Novembre finisce così, con “Uccide la moglie a colpi di pietra e pugni, poi chiama il 118” (provincia di Chieti), “Uccide la compagna a bastonate e si impicca, aveva scritto a un’amica su Facebook: L’ammazzerò” (Brescia), “Uccise la compagna, pena dimezzata in appello: Era seminfermo di mente” (Roma). Tralasciamo gli stupri, gli episodi di violenza domestica e persino le felici “sex workers” minorenni di Foggia, le quali “vivevano in baracche chiuse dall’esterno con catene e lucchetti, costrette a prostituirsi per otto ore al giorno in cambio di un pacchetto di sigarette, private di telefoni e documenti e picchiate”: quella che ha denunciato, dopo essere fuggita durante la notte, era rimasta incinta e aveva abortito dopo una sessione di calci e pugni, ma i suoi aguzzini avevano già in programma – se avesse portato a termine la gravidanza – di vendere il neonato per 28.000 euro.

Novembre ci regala anche la risposta al perché in Italia trattiamo in questo modo le persone di sesso femminile: la fornisce Vito Borgia, padre di quell’Antonio 51enne che il 23 del mese scorso ha ammazzato Ana Maria Di Piazza. Quest’ultima aveva 30 anni, un figlio di 11, era l’amante dell’uomo (sposato) e aspettava un bambino da lui. Ed ecco la ragione per cui è stata uccisa:

Prima di tutto voglio chiedere scusa alla famiglia di Ana perché sono cose che non si devono fare. Sono il papà e l’ho cresciuto con una certa educazione, ma oggi le donne incitano con la parità e fanno andare l’uomo fuori di testa. Si permettono di dire delle cose, volere, pretendere. Ed è quello che è successo a mio figlio.

La nostra ferita è profonda tanto quanto quella della famiglia della ragazza defunta. Fino all’ultimo giorno, ho consigliato (a) mio figlio cose diverse da quelle che ha fatto, gli ho detto di stare sempre lontano dai guai.”

Come vedete, cocco di papà ha ricevuto un’educazione impeccabile sul rapporto tra i sessi: ci sono i padroni e ci sono le serve, è semplicissimo. Diciamo che il suo agire è stato un po’ grossolano (“certe cose non si fanno”) – come scaccolarsi in pubblico o ruttare in faccia a qualcuno – e che irresponsabilmente si è cacciato nei guai, ma è tutto, responsabilità non ne ha e al massimo merita uno scappellotto. Mentre bastonava, infilzava e finiva sgozzandola una donna incinta era semplicemente stato “incitato” a farlo da quest’ultima. Ana Maria si era permessa “di dire cose, volere, pretendere”. Non era stata al suo posto, la serva.

I giornali che riportano la dichiarazione summenzionata lo fanno con una faccia di bronzo assoluta. Al sig. padre nessuna domanda, negli articoli nessun commento o presa di distanza. E’ un’opinione, no? Può servire a guadagnare qualche lettore, si scatenerà una polemicuccia, avremo like e condivisioni: siamo operatori dei media e influencer, mica giornalisti.

Maria G. Di Rienzo

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La vulgata fornisce più o meno questo scenario: c’è una bellissima fanciulla, maggiorenne vaccinata e diplomata, che davanti allo specchio si interroga sul proprio futuro. Ha svariati scenari a disposizione: laurearsi e poi conseguire un dottorato di ricerca; andare in tour mondiale con una compagnia teatrale; entrare in una compagnia di danza classica come prima ballerina; lavorare nel settore artistico/creativo di una grande azienda produttrice di tessuti; accettare l’offerta di una squadra professionista di pallacanestro; fare / consegnare pizze nel ristorante della zia; lavorare come inserviente in un asilo nido… aggiungeteci quel che vi pare.

La ragazza si guarda attentamente, sospira (perché le donne sospirano di default in prossimità di specchi, giusto?) e dice “No, studiare è stancante, mandare a memoria tutte le battute di una commedia pure, “Giselle” non la faccio più perché mi annoia, in azienda avrei poche ferie, giocare a pallacanestro mi mette a rischio infortuni, vicino al forno delle pizze è troppo caldo e i bambini piccoli non mi piacciono. Per cui, visto che sono molto attraente e molto compassionevole, e ci sono in giro un mucchio di uomini infelici a cui non viene dato abbastanza amore, farò la sex worker.” Visto? E’ la scelta di una professione come un’altra, anzi di una professione assai migliore di altre, dove non ci si stanca, ci si diverte, non si è a rischio di nulla, il guadagno è ottimo e si è trattate con il massimo rispetto. Niente niente, poi può persino arrivare il “cliente” ricchissimo e strafigo che ti compra bei vestiti e gioielli e alla fine si innamora di te e ti porta a vivere nella sua villa fronte mare.

Nella realtà, però, le cose vanno un po’ diversamente. Come, per esempio, lo racconta la storia di Bridget Perrier (in immagine).

bridget

Bridget, canadese del gruppo etnico Anishinaabe, fu adottata quando aveva 5 settimane da una famiglia non indigena, nel 1976. A otto anni fu molestata da un amico di famiglia e a undici “riconsegnata” all’assistenza sociale. La misero in una casa-famiglia dove ragazze più grandi la iniziarono al commercio sessuale. Lo stesso anno, fu reclutata dalla tenutaria di un bordello. A 12 anni Bridget era una “sex worker”. A 14 fu punita per aver tentato di far soldi all’esterno del bordello: la tennero prigioniera per 43 ore, durante le quali fu stuprata e torturata. Fuggì, ricevette cure mediche (punti interni ai genitali) e l’uomo che aveva abusato di lei fu condannato a due anni, dicasi due, di galera. Bridget finì per “lavorare” agli ordini di un magnaccia che ovviamente otteneva la sua obbedienza a botte.

A 16 anni, mise al mondo il suo primo figlio, un bimbo che a nove mesi sviluppò una forma particolarmente maligna di leucemia e ne morì a cinque anni. La sua morte, dice Bridget, fu la prima terribile spinta a cercare di uscire da quella situazione. Nel 1999 mise al mondo la sua seconda figlia e quello fu il punto di svolta. Poiché era una senza tetto entrò nel programma di assegnazione temporanea di alloggi, sostenuta dai servizi di welfare si diplomò alle superiori e poi prese un diploma in assistenza sociale. Subito dopo fondò assieme ad altre donne “Sex Trade 101”, un’organizzazione che combatte il traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale e dà sostegno alle sopravvissute come lei.

Oggi di anni Bridget Perrier ne ha 43 e dice: “La gente pensa di noi che siamo in frantumi, ma non è vero. Io ho una buona resilienza, ho solo subito moltissime fratture.”

Maria G. Di Rienzo

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yumi

Quando, la settimana scorsa, Yumi Ishikawa – in immagine – ha ottenuto attenzione internazionale per la sua campagna contro i codici di abbigliamento imposti alle donne sul lavoro (in particolare contro l’obbligo di indossare scarpe con i tacchi in determinati ambienti), ha dovuto affrontare in sequenza tutti gli stadi del rigetto che ogni rivendicazione simile da parte femminile, in qualsiasi zona del pianeta, guadagna ormai a prescindere. I due fattori determinanti per questo sono l’ignoranza quasi totale delle condizioni in cui vivono le donne “comuni” (cancellate da pettegolezzi infiniti sulle celebrità, sfilate di modelle silenti e parate di vallette mute, sfide “erotiche” fra influencer sul web e così via) e l’incapacità manifesta di collegare i diversi tipi di discriminazione sessista al quadro che li comprende.

1. Gli uomini in posizione di potere non ascoltano, neppure se gli presentate ventimila firme a sostegno del vostro reclamo (il che significa che almeno ventimila altre lavoratrici si sentono come voi e ciò dovrebbe, in teoria, valere un minimo di discussione). Il Ministro del Lavoro giapponese, Takumi Nemoto, ritiene che l’obbligare le donne a indossare scarpe con i tacchi sia “accettato socialmente come necessario e appropriato a livello occupazionale”. La salute e la sicurezza di chi lavora? Sì sì, devono essere protette ma sapete, ha aggiunto il Ministro, “i lavori variano”.

2. In effetti, dei danni che subite non frega un piffero a nessuno, nemmeno quando quel che testimoniate è ovvio: stare in piedi per ore e ore sui tacchi fa male. Ishikawa ha scritto del dolore ai piedi, dei problemi alla schiena, della difficoltà a muoversi, dell’impossibilità di correre qualora si palesi un pericolo ecc. Ma le aziende (consigli d’amministrazione a schiacciante maggioranza maschile) e i clienti uomini sono più felici se vedono una donna sorridere a denti stretti mentre ondeggia sui tacchi e si rovina la spina dorsale, persino quando come Ishikawa lavora a tempo determinato in una cappella funeraria (la 32enne è attrice e scrittrice).

3. Molti di questi uomini sono così oltraggiati dal fatto che abbiate aperto bocca da prodursi immediatamente nell’assalto online – e il relativo anonimato permette loro di mostrare esattamente quanto sono incivili – perciò Ishikawa è stata sommersa da insulti sessisti. Persino le cose più blande che le sono state dette sono così stupide da far piangere: “Perché tanto chiasso? Se devi parlarne fallo con i tuoi datori di lavoro.”, “E gli uomini allora? Non devono mettere le cravatte?”, “Ho letto che alle donne piace il senso di magia e femminilità che acquistano sui tacchi alti”.

Traduzione: Stai zitta, e comunque è un problema tuo, non tentare di mostrarne le radici sociali. Gli uomini soffrono, stanno peggio e non si lamentano. Sei una vera donna, o cosa?

Un minimo di approfondimento: a) Non sono giunti dati sui danni alla salute provocati dalla cravatta ai colli degli uomini, ignoriamo anche quanti ci si siano effettivamente strozzati e siano passati dalla cappella funeraria di cui sopra – id est, non avendo prove a sostegno, questa roba resta una ridicola lagna per quanto sia perfettamente vero che le cravatte non dovrebbero essere imposte. Perché invece di prendervela con Yumi Ishikawa non date inizio alla vostra campagna in merito?

b) Storicamente, le scarpe col tacco hanno fatto il loro debutto nel 16° secolo, ai piedi degli uomini della cavalleria persiana, prima di migrare agli eserciti europei e alle corti reali pure europee: confesso di dubitare fortemente che i cavalieri le indossassero per sentirsi magici e femminili.

4. Ma ci sono pure donne offese dalla vostra visibilità. Da quelle che manco hanno letto la vostra petizione (Ishikawa aveva chiarito a priori di non aver nulla contro le scarpe alte in sé, ma solo contro l’obbligo di indossarle – non avrebbe dovuto essere necessario, tuttavia l’andazzo attuale ci costringe persino a scusarci continuamente di esistere) e vi chiedono perché volete proibire loro di scegliere, alle immancabili “benaltriste”: la nazione ha problemi più gravi, vi dicono costoro, della trivialità che avete sollevato. E che il Giappone con le donne abbia davvero problemi è assodato – nella lista mondiale dell’eguaglianza di genere si piazza al 110° posto su 149 paesi. Il divario sui salari segna il 25,7% in meno per le donne a parità di mansioni. Quattro società su cinque di quelle quotate in borsa non hanno donne nei loro consigli d’amministrazione. Durante la recente abdicazione dell’imperatore Akihito alle donne non è stato permesso entrare nella sala della cerimonia. L’anno scorso nove facoltà di medicina hanno ammesso di truccare gli esami d’ammissione per escludere le candidate donne. L’11 giugno u.s. le donne erano in piazza a protestare contro il verdetto del tribunale che ha assolto il padre stupratore seriale della propria figlia 19enne: i giudici hanno detto che anche se “il sesso era non consensuale” non era possibile “provare che lei avesse resistito”. La nazione permette l’oggettivazione sessuale delle minorenni con il giro d’affari detto “joshi kosei”, ovvero la fornitura di “servizi” da parte di giovani donne in uniformi scolastiche.

Tokyo distretto Akihabara

(Controllo di polizia dell’età di un gruppo di esse)

La prostituzione richiesta alle ragazze in uniforme è nascosta da offerte di riflessologia plantare e di massaggi vari, sessioni fotografiche e “laboratori” in cui le giovani offrono visione delle loro mutande mentre fanno origami o creano oggetti con perline. Ufficialmente i clienti non devono toccarle, ma quelli che non vogliono masturbarsi a casa possono non ufficialmente ottenere di più. Le ragazze che finiscono in questo giro sono, com’è ovvio, le più povere e quelle la cui autostima è stata distrutta dall’infinito assalto dei messaggi sessisti loro diretti.

Cosa lega insieme tutto questo? La discriminazione di genere figlia del patriarcato, punto e basta. Ecco perché i tacchi obbligatori sul lavoro contro cui Ishikawa protesta non possono essere esclusi dalla lotta per i diritti umani delle donne. Sono una delle tante facce della violenza, quella che ama mascherarsi da “bellezza”.

Maria G. Di Rienzo

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I controlli più recenti rilevano che molti cervelli italiani non sono mai stati sottoposti ad update dai loro proprietari. Le conseguenze dell’interfacciarsi giornalmente con il mondo tramite software non adeguato variano e toccano diversi livelli di gravità, ma generalmente possiamo dire che esse impediscono alle persone con cervelli non aggiornati di individuare in quale secolo vivono, di tracciare limiti etici a parole e azioni e di riconoscere gli altri esseri umani per tali (di solito sono scambiati per Pokemon da catturare o abbattere).

Qui di seguito sono disponibili alcuni aggiornamenti software per materia grigia: chi ne avesse necessità e decidesse di scaricarli rammenti alla fine di riavviare il cervello.

SOFTWARE DECREPITO ancora in uso durante il mese di marzo 2019:

1. Ciò che sta attorno a una vagina-bersaglio, il resto del corpo di una donna così come la sua volontà, è irrilevante – l’importante è fare centro: infatti, tre stupratori di una ventiquattrenne (località S. Giorgio a Cremano) sono accolti da applausi, ululati di incoraggiamento e commozione alla loro uscita dal commissariato e rispondono sorridendo ai loro sostenitori (parenti e amici) prima di essere trasferiti in carcere.

UPDATE: a) Le donne sono esseri umani, intere, indivisibili, dotate di dignità e diritti, uniche titolari della propria sessualità; b) chi distrugge e segna le loro vite con la violenza è un delinquente, non un supereroe.

Inoltre, ciò che i tre ventenni hanno fatto non è la “sintesi perfetta dell’inconsapevolezza giovanile che sfocia nell’incoscienza più estrema” (rimando giornalistico obsoleto a “Gioventù bruciata”): erano del tutto consapevoli durante il precedente tentativo di violenza effettuato venti giorni prima, hanno orchestrato un nuovo incontro fingendo di volersi scusare, hanno stuprato la loro vittima e poi si sono tranquillamente allontanati a passo d’uomo, “forse perché convinti di farla franca”. Togliete il “forse”, i fuochi d’artificio fuori dalla stazione polizia lo rendono falso: nella loro cerchia più prossima non vi è un solo cenno di riprovazione e un po’ di sentenze successive sulla violenza di genere hanno ribadito che gli uomini sono piume al vento travolte dalle loro devastanti emozioni, picchiano stuprano uccidono senza sapere quel che fanno… se ipoteticamente la difesa gira la storia a questo modo e trova un/una giudice che non ha ancora aggiornato il software la faranno franca (quasi del tutto) proprio come speravano.

2. Le minorenni sono grandi abbastanza per fare di loro tutto quel che ci pare e abbastanza piccole per essere tenute in soggezione.

In quel di Cuneo abbiamo l’alpino trentenne “incensurato e insospettabile”, nonché sposato e padre, che aggancia una tredicenne e si fa inviare foto di lei nuda, la ricatta con la minaccia di diffonderle per averne altre e stuprarla (quest’ultima è la forma più esatta del circonvoluto costrutto “avere con lei rapporti sessuali non consensuali e senza protezioni”) e quando la ragazza si ribella la pesta.

In quel di Agrigento sempre una tredicenne è costretta a prostituirsi con abusi, violenze e minacce di morte: i suoi magnaccia sono la madre e l’amico di costei.

Da Roma invece arriva il “maestro” regista che adesca ragazze online con la promessa di una carriera nel cinema, le invita a finti provini e le stupra: delle cinque per cui è stato arrestato, due erano minorenni all’epoca dei fatti.

UPDATE: No, le ragazzine non vi appartengono: neppure se le avete messe al mondo. Non sono in giro per la vostra soddisfazione, sono esseri umani titolari di diritti umani a cui sono dovuti rispetto e tutela.

3. Questa donna sta con me, quindi è mia e deve fare quel che voglio io: altrimenti mi viene un raptus.

A Reggio Calabria il software decrepito si concretizza con il signore che “ha aperto lo sportello dell’auto della ex moglie, ha gettato addosso alla donna del liquido infiammabile, poi le ha dato fuoco”. La donna ha riportato ustioni gravi. Il tizio, con precedenti per maltrattamenti in famiglia, era evaso dagli arresti domiciliari a Ercolano “per compiere il folle gesto” (secondo i giornali: altra ricaduta del software inadeguato) e poi se l’era squagliata: probabilmente era ancora sotto l’effetto del terribile raptus quando lo hanno beccato il giorno dopo mentre cenava in pizzeria, giacché non risulta che stesse inondando di lacrime i carciofini in preda al rimorso.

A Salsomaggiore, il raptus ha obnubilato un gentile signore per ben sette mesi, durante i quali costui ha abusato della sua convivente al punto che quest’ultima ha tentato il suicidio. Ma il raptus è continuato sino all’exploit di un pestaggio con annessa distruzione di mobili ecc.: il gentile signore ha usato calci, pugni, bastone, assi di legno o di metallo, procurando alla donna traumi e fratture in varie parti del corpo per una prognosi di oltre 40 giorni.

“In un attimo di lucidità, – scrivono articolisti sotto l’influenza di software inadeguato – resosi evidentemente conto delle condizioni in cui versava la compagna, le ha permesso di medicarsi senza però darle la possibilità di contattare il 118, in quanto nel frattempo le aveva distrutto il telefono cellulare. La mattina seguente, dopo aver recuperato i suoi effetti personali, l’uomo lasciava l’abitazione. – Supponiamo ancora “inraptussito”, quindi impossibilitato ad assumersi la responsabilità delle sue azioni e a soccorrere la donna – La vittima, in stato confusionale e a seguito delle lesioni riportate, trascorreva tutta la giornata del 6 marzo a letto senza la possibilità di chiedere aiuto. Solo il giorno dopo riusciva a mettersi in contatto con i vicini di casa.”

UPDATE: Andate a quel paese. La violenza non ha e non può avere giustificazioni di sorta, quali che siano le circostanze: è sempre una scelta. Vergognatevi.

Chiedo scusa, sembra che il server abbia qualche problema. Ma voi che non aggiornate i cervelli, proprio voi, ne avete di più.

Maria G. Di Rienzo

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C’è uno sceneggiato in preparazione per Netflix che preferiremmo non vedere. Soprattutto, vorrebbero che la produzione si fermasse 56 fra attiviste contro lo sfruttamento sessuale e sopravvissute al traffico sessuale, che hanno spiegato come lo sceneggiato “Baby” normalizza l’abuso sessuale dei minori:

http://endsexualexploitation.org/wp-content/uploads/Netflix_Baby_Sign-On-Letter_FINAL_01-11-18-1-1.pdf

“Come sopravvissute al traffico sessuale e/o esperte della materia, fornitrici di servizi sociali e attiviste per l’abolizione dello sfruttamento sessuale, – si legge nel documento – scriviamo per esprimere la nostra profonda preoccupazione rispetto all’intenzione di Netflix di sviluppare una serie televisiva per il mercato italiano basandosi sulla storia “Baby”. Come sapete, la trama fa generico riferimento allo “Scandalo delle Baby Squillo” (i.e. “scandalo delle prostitute bambine”), che ha coinvolto nello sfruttamento sessuale commerciale ragazze di 14-15 anni, almeno una delle quali trafficata sessualmente dalla propria madre.

https://lunanuvola.wordpress.com/2013/10/29/la-normalita-di-viale-parioli/

Per favore vedete di capire che non esistono “prostitute bambine” – esistono solo bambine abusate sessualmente, sfruttate e stuprate. Più di 40 uomini sono stati sospettati di aver acquistato le ragazze e otto trafficanti sono stati arrestati: il capo della banda ha ricevuto una sentenza di 10 anni di carcere. (…)

Non solo Baby è associato allo sfruttamento sessuale avvenuto nelle vite reali di ragazzine di 14-15 anni, ma è già stato presentato come una storia di “formazione” su adolescenti che “sfidano le norme sociali” nel tentativo di erotizzare il sistema di sfruttamento della prostituzione.

https://lunanuvola.wordpress.com/2016/10/09/non-sono-giocattoli/

Ci sono pochi dubbi sul fatto che il commercio sessuale sarà usato come comodo sfondo per mescolare alla sceneggiatura scene sessualmente esplicite in cui attrici recitano nel ruolo di ragazze adolescenti. Facendo questo, normalizzerete lo sfruttamento sessuale commerciale dei minorenni.

(questa serie tv) è destinata a perpetuare due pericolosi miti che circondano l’abuso sessuale:

Mito n. 1 – La prostituzione delle adolescenti è distinta dal traffico sessuale.

Per la legge (…) non esistono “prostitute minorenni”. Chiunque sia coinvolto in sesso commerciale e sia minore di 18 anni è per legge una vittima di traffico sessuale; la legge perciò afferma che le/i minori non possono acconsentire al proprio sfruttamento sessuale.

Quando la società normalizza l’idea della prostituzione di minori, per esempio per “l’intrattenimento” che essa genera e la assimila, diventa più difficile per le forze dell’ordine ottenere la condanna di trafficanti, magnaccia e compratori di sesso che stanno abusando dei/delle minori. (…)

Mito n. 2 – La prostituzione è un’affascinante, anche se rischiosa, avventura imprenditoriale.

Persino nelle cosiddette cerchie della prostituzione VIP, la prostituzione è raramente un affare conveniente per quelle che sono comprate e vendute. La sopravvissuta alla prostituzione Rebecca Bender ha detto: La maggior parte delle donne che hanno alte tariffe e clientela di alta classe sociale, hanno pure un trafficante che si prende il 100% dei loro soldi. (…)”

La lettera presentata da Lisa Thompson, vicepresidente di NCOSE – National Center on Sexual Exploitation, oltre a contenere precisi – e strazianti – riferimenti a studi e ricerche sulla violenza inestricabilmente legata alla prostituzione, propone a Netflix un codice di condotta.

Se Netflix ha di recente licenziato Kevin Spacey (“House of Cards”) per le molestie sessuali di cui è accusato, ha detto Thompson alla stampa, “produrre uno show che glorifica il traffico sessuale di minori e lo classifica come tagliente intrattenimento è il massimo dell’ipocrisia.”

Maria G. Di Rienzo

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Three Girls

“Three Girls” (“Tre Ragazze”) è una miniserie televisiva trasmessa dalla BBC per tre sere di seguito, dal 16 al 18 maggio 2017. Io l’ho vista in questo mese di luglio, con i sottotitoli in italiano. Tratta del “circolo” di uomini che abusò sessualmente di un centinaio di ragazze minorenni – 47 furono identificate con certezza – durante diversi anni in quel di Rochdale (Greater Manchester, Inghilterra). Fra il 2008 e il 2010 alcune ragazze tentarono di denunciare gli stupri ma la polizia non prestò loro ascolto: in primo luogo erano “cattive vittime” – ribelli, in conflitto con i genitori, provenienti da famiglie povere / problematiche, molte avevano abbandonato la scuola, alcune vivevano per strada; in secondo luogo, mentre costoro erano in maggioranza bianche, la banda dei violentatori era composta da una maggioranza di cittadini britannici di origine pakistana e le autorità temevano di essere accusate di razzismo.

Nel 2012, dodici degli uomini suddetti furono riconosciuti colpevoli di traffico di minori a scopo sessuale e stupro di minori e nel 2015 la polizia di Greater Manchester si scusò pubblicamente per il suo comportamento. Nel frattempo, le tre ragazze protagoniste dello sceneggiato (i cui nomi sono stati ovviamente cambiati per la loro protezione) avevano subito ogni sorta di umiliazioni, erano rimaste incinte e due di loro avevano portato a termine la gravidanza, mentre la 13enne aveva abortito legalmente: avevano raccontato le loro storie a membri delle forze dell’ordine e avvocati per anni, senza essere credute. Sempre per anni l’assistente sociale Sara Rowbotham, che lavorava nel centro per la salute sessuale giovanile a Rochdale, inviò alla polizia e ai suoi superiori dati e informazioni che confermavano le storie narratele dalle ragazzine, ricevendo sempre la stessa risposta: “Queste non sono prove, Sara.” Quando si arrivò al processo, basato largamente sul materiale che lei aveva raccolto, i suoi superiori del servizio sociale ebbero la faccia tosta di dichiarare alla stampa che “non avevano fatto niente perché niente sapevano” e quando Sara protestò ufficialmente per questo fu prima allontanata dal centro per la salute sessuale, con il divieto di occuparsi di minori, e poi dichiarata “in esubero” e licenziata. La poliziotta che seguì le nuove indagini sino al processo del 2012, Margaret Oliver, diede le dimissioni perché delusa dall’atteggiamento dei suoi capi, che continuavano a bollare alcune vittime come “inattendibili” e perciò costoro non arrivarono mai a testimoniare in tribunale le violenze subite. E proprio come temevano quelli che respinsero le ragazze fra il 2008 e il 2010, la vicenda prese una colorazione “razziale”: la destra inscenava dimostrazioni durante le udienze, gli imputati dicevano di essere vittime di razzismo, le discussioni all’interno della comunità di Rochdale non vertevano sugli abusi ma sulla responsabilità degli stessi – fatta ricadere sulle minorenni “sregolate”, che erano bianche spiegherà uno dei perpetratori alla sbarra perché “la gente bianca addestra le ragazze a bere e a fare sesso in tenera età”; in sostanza, come molti uomini di qualsiasi colore o provenienza, il signore non riusciva a vedere cosa ci fosse di sbagliato nello stuprare una minorenne: non le aveva forse offerto da bere e da mangiare? Come dirà nello sceneggiato alla quattordicenne Holly: “E’ ora che tu mi dia qualcosa in cambio.”

Il pubblico ministero che riaprì il caso era pure di origine pakistana, si chiamava Nafir Afzal e dichiarò alla stampa in modo perentorio che “Non esiste comunità in cui le donne e le ragazze non siano vulnerabili all’aggressione sessuale e questo è un dato di fatto.” Costui, l’ex assistente sociale Sara Rowbotham e l’ex agente di polizia Margaret Oliver hanno collaborato come consulenti alla creazione dello sceneggiato. Nella realtà, le indagini susseguenti a questo caso hanno portato alla luce sino a oggi dozzine di altri simili “circoli” di stupratori in tutta la Gran Bretagna.

Se vi capita di aver spazio per un altro po’ di rabbia per il modo in cui qualsiasi cosa sia usata per gettare biasimo, colpa e vergogna sulle vittime di violenza sessuale, dovreste guardare “Three Girls”. Ma soprattutto, dovrebbero vederlo quelli/e che cinguettano “E’ la loro cultura / la loro religione / dobbiamo rispettare” persino davanti ai cadaveri: l’assetto socio-culturale in cui le donne sono carne inferiore da pornografia e macello è così diffuso e pervasivo in tutto il mondo che quel che stanno “rispettando” è la loro approvazione per esso. Maria G. Di Rienzo

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“Durante la crisi dell’euro, i paesi del Nord hanno mostrato solidarietà ai paesi affetti dalle crisi. Come socialdemocratico, io attribuisco un’importanza eccezionale alla solidarietà. Ma si hanno anche doveri. Non puoi spendere tutti i soldi in beveraggi e donne e poi chiedere aiuto.”

Questo è ciò che disse nel marzo scorso il presidente olandese dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem; si riferiva a Grecia, Italia, Portogallo e Spagna. La frase finale è una cafonata sessista, siamo d’accordo, il cui senso diretto è “Non puoi rimanere senza denaro per soddisfare i tuoi capricci e poi pretendere di essere sostenuto.”: metaforicamente, è una condanna del modo in cui i paesi suddetti gestiscono le loro economie.

Renzi, che si è dimesso ma continua ad agire come se fosse ancora a capo del governo (e forse dietro le quinte lo è), ha visto in questi giorni rigettata la proposta di avere condizioni particolari dall’Unione Europea per il debito italiano. Il presidente Dijsselbloem ha replicato che “Sarebbe fuori dalla regole. Non è una decisione che un Paese può prendere da solo.” Il che è vero. Le condizioni attuali riguardanti l’indebitamento delle nazioni europee sono state votate da queste stesse nazioni, Italia compresa.

Il pezzetto seguente è tratto da un articolo de La Repubblica, che come ho già detto in passato sembra il bollettino della famiglia Renzi (l’ultimo esempio è il modo in cui per giorni ha tagliato l’immagine relativa alla dichiarazione dell’ex premier sull’aiutare i migranti a casa loro, omettendo la prima frase “Non abbiamo il dovere di accoglierli, ripetiamocelo.”):

“Questa – ha detto Matteo Renzi – è una battaglia aperta che abbiamo con il presidente dell’Eurogruppo, l’olandese che disse che gli italiani spendono i soldi della flessibilità in donne e alcool. Io gli spiegai che le donne noi non le paghiamo, a differenza di alcuni di loro. Il problema centrale è che c’è un pregiudizio di alcuni dirigenti europei, come il presidente dell’Eurogruppo, che non si rende conto che di fiscal compact e austerity l’Europa muore”. Poi rincara la dose: “Le dichiarazioni di Dijsselbloem contro l’Italia furono vergognose…Non ha neanche capito la differenza (tra alcol e donne, ndr) secondo me…”, è la frecciata di Renzi.”

Noi le donne non le paghiamo era il refrain di un altro personaggio che è stato a lungo a capo del governo italiano, il sig. Silvio Berlusconi, quello che le “escort” le portava a spasso nelle sedi istituzionali, che passava da un festino all’altro a base di donne prostituite (chiamando il tutto cene eleganti e burlesque) e che aveva un ragioniere addetto specificamente ai loro pagamenti.

Tutto gongolante per l’arguzia di Renzi (Che frecciata! Che acume! Gli ha detto che non tromba, in pratica, ah aha aha!), il sedicente giornalista di Repubblica non sa – o ha dimenticato – che in Italia 9 milioni di uomini pagano eccome: è la cifra stimata dei clienti delle prostitute, le quali nel nostro Paese sono circa 120.000, di cui tre quarti per le strade e più di un terzo minorenni. Tutti i dati disponibili al proposito indicano i puttanieri in crescita (mezzo milione in più dal 2007 al 2014) e che il numero delle persone che si prostituiscono cresce di pari passo.

Se a queste cifre aggiungiamo quelli che comprano sesso online, quelli che pensano di averti comprata assieme alla pizza che hanno insistito per offrirti, quelli che regalano cellulari – stupefacenti – bei vestitini convinti di avere con ciò acquisito il diritto di entrare nelle tue mutande quando gli pare e piace, probabilmente la maggioranza dei grandi seduttori italiani non fa altro che pagare. Pertanto, Renzi resta un cafone sessista quanto Dijsselbloem, oltre che un incapace a livello politico e comunicativo. Maria G. Di Rienzo

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Mettetevi comode/i. Il pezzo seguente, se volete leggerlo, sarà un po’ più lungo del solito.

In questi giorni, sulla stampa anglosassone, ci sono diversi articoli riguardanti gli interventi di “chirurgia plastica vaginale”: e cioè la riduzione o il modellamento in nuova forma delle labbra vaginali. Ciò accade perché i dati del Servizio sanitario nazionale britannico (NHS) rivelano che oltre 200 ragazzine minorenni si sono sottoposte negli ultimi due anni all’intervento suddetto e 150 di loro avevano meno di 15 anni. Le richieste di chrirugia plastica vaginale arrivano all’NHS da bambine non più vecchie di nove anni. E, udite udite, non vi era necessità medica di intervenire su eclatanti malformazioni: le minorenni sono state operate perché, semplicemente, si fanno schifo.

La Dott. Naomi Crouch, presidente della Società britannica per la Ginecologia pediatrica e adolescenziale dice che sebbene i numeri di richieste siano in aumento, lei non ha mai incrociato UNA SOLA RAGAZZA che dovesse sostenere l’intervento chirurgico per ragioni di salute.

Alla BBC, una ventenne presentata con lo pseudonimo “Anna” ha raccontato di aver preso in considerazione la chirurgia alle labbra vaginali quando aveva 14 anni, ma di aver poi cambiato idea e di essere contenta di ciò, perché ora capisce di essere “del tutto normale”: “Ho solo raccolto da qualche parte l’idea che non era (la sua vagina, ndt.) abbastanza a posto o abbastanza pulita e ho pensato che la volevo più piccola. La gente attorno a me guardava pornografia di continuo e io avevo questa idea che le labbra dovessero essere simmetriche e non dovessero sporgere.”

La soluzione più “progressista” emersa dal dibattito suggerisce di istruire le bambine dalla più tenera età possibile, di modo capiscano che come abbiamo tutte facce diverse, “siamo differenti anche là sotto e questo è ok”. Potrebbe essere, risponde la femminista Glosswitch dalle pagine di The New Statesman: “Però, il fatto che abbiamo tutte facce diverse non ha prevenuto l’esistenza di un’industria multimiliardaria impegnata a fare iniezioni e a stirare le facce delle donne affinché abbiano tutte lo stesso aspetto. Sì, ragazze e ragazzi stanno guardando immagini pornografiche che distorcono la loro percezione di cosa sia “normale”, ma anche in presenza di immagini che contrastino questo, sapranno comunque che il corpo femminile pornificato dev’essere considerato l’ideale. C’è una sottile forma di biasimo della vittima che sta andando avanti qui. Nessuno vuole uscire direttamente a dire: “Le immagini nella pornografia stanno danneggiando donne e bambine.” Perciò, parliamo invece delle ragazzine e delle loro insicurezze, del loro bisogno di istruzione e del conseguire un’immagine positiva del proprio corpo come se fosse qualcosa di simile a prendere un diploma in Francese. Invece di sfidare una cultura che sta distruggendo la salute mentale delle ragazze, accettiamo la distruzione e poi ci offriamo generosamente di insegnare loro a essere meno vulnerabili. Sarebbe di certo impensabile portare via la pornografia agli uomini, e ugualmente impensabile chiedersi perché le donne nella pornografia devono tutte avere genitali che assomigliano a quelli di una bambina. Piuttosto, guardiamo in faccia una ragazzina di nove anni e diciamole che il modo in cui si sente rispetto al suo corpo è interamente dovuto alla sua mancanza di esperienza mondana.”

immagine di laura stolfi

In Italia, l’intervista televisiva in cui il sindaco di Pimonte definisce lo stupro di gruppo di una sua concittadina di 15 anni “una bambinata” dei 12 minorenni violentatori ha fatto clamore per un paio di giorni. Così, il sindaco Palummo si è sentito in dovere di smentire le sue stesse affermazioni. A suo dire si è trattato di “un’espressione infelice, assolutamente impropria e che non era affatto riferita a quanto le è purtroppo capitato.” (alla ragazza stuprata, nda.)

Riservandosi di “intraprendere altre iniziative” – non si capisce di che tipo, per punire chi l’ha chiamato a rispondere di quel che ha detto? – specifica: “Ho 73 anni, sono padre e nonno di tre nipoti, ma soprattutto sono stato insegnante per ben 40 anni e la mia vita sono una chiara ed evidente testimonianza dei valori in cui credo e per i quali ho vissuto e continuo a vivere. (Signori si nasce, diceva Totò e per come usa i verbi lui modestamente lo nacque – spero solo che non insegnasse italiano.) (…) “La violenza capitata che condanno senza mezzi termini, rappresenta un caso isolato, sicuramente una pagina buia della nostra storia. Ma non abbiamo intenzione di arrenderci, lavoreremo instancabilmente per migliorare il tessuto sociale della nostra comunità e per evitare che episodi del genere si ripetano in futuro”.

Il sig. Sindaco Michele Palummo, purtroppo, non è in grado di realizzare quel che auspica nell’ultima frase. Essenzialmente, perché è convinto che la violenza sia qualcosa che “capita”. Dopo la “bambinata” aveva infatti spiegato: “Ormai è passata, sono tutti minorenni, che ti puoi aspettare”. Se a “stupro di gruppo continuato” sostituiamo “valanga” non c’è nessun problema. Le valanghe capitano. Qualcuno ci resta secco e noi offriamo il massimo di solidarietà e cordoglio alle famiglie delle vittime e persino promettiamo di adottare misure di sicurezza affinché la prossima valanga faccia meno danni. Ma possiamo in effetti impedire il formarsi di valanghe? No. E’ “passata” la metaforica valanga attuale a Pimonte? Sì: gli stupratori tornano in paese a “riabilitarsi”, la ragazza è in Germania con la sua famiglia e le auguriamo ogni bene. Il Sindaco instancabile può tirare fiato, con queste premesse non si avvicina neppure a capire cos’è la violenza sessuale per una ragazzina (o una donna) – ma posso assicurargli che non è una valanga e non “capita”: è costruita da misoginia e sessismo, che sono i due motori del patriarcato.

La misoginia è per così dire il braccio “legale” dell’ordine patriarcale. Mantiene a forza le norme sociali che controllano e pretendono di dirigere e formare le donne, la loro immagine, la loro sessualità. La misoginia la fa pagare cara a quelle che non sono compiacenti o tentano di sottrarsi imponendo loro ogni sorta di costi sociali – e se il contesto si presta le brucia sui roghi, mutila i loro genitali, le rinchiude in manicomi e galere, ne fa delle reiette e delle emarginate che si tolgono la vita da sole. Ha nomi precisi per loro: streghe, puttane, troie, cagne, “femminaziste”… Il sessismo serve a giustificare queste norme, largamente tramite le ideologie che dichiarano processi naturali o dogmi religiosi i ruoli inferiori ascritti alle donne: dovuti naturalmente ai loro inferiori talenti, ai loro frivoli interessi, ai loro meschini appetiti, alle loro sordide tendenze. Pornografia, prostituzione, stupro, violenza domestica, femicidio e femminicidio sono solo prodotti di questo andazzo. Così come lo sono le bambine non volute (doveva nascere un maschio), le bambine in esubero (abbiamo già troppe femmine), le bambine date in mogli a 6 anni, le bambine violate da padri e/o altri parenti.

Ma: invece di sfidare una cultura che sta distruggendo la salute mentale delle ragazze, accettiamo la distruzione, invece di contrastare una cultura che fa di ogni donna, di qualsiasi età, una merce disponibile per qualunque cosa un uomo desideri farle, parliamo ad esempio di prostituzione minorile così:

Un sogno di successo iniziato dentro un appartamento di viale Parioli e naufragato in una cella del carcere di Velletri. Poco più di settanta chilometri, dentro i quali Mirko Ieni ha condensato i suoi errori più gravi, quelli che gli sono valsi una condanna a nove anni e quattro mesi per aver sfruttato la prostituzione di Azzurra e Aurora (i nomi sono di fantasia), le due ragazze di 14 e 15 anni che nel 2013 sono finite al centro di uno dei più chiacchierati scandali sessuali d’Italia. Tre anni dopo Ieni ha deciso di parlare (intervistato in esclusiva nel docufilm “Professione-Lolita” che andrà in onda domani alle 21,15 sul Canale Nove) e di raccontare la sua verità spiegando i meccanismi di quel giro di prostituzione che per oltre un anno ha fatto tremare i santuari laici della Roma bene.” L’articolo è del 6 luglio, per cui il “domani” riferito al programma è oggi.

Sfruttare la prostituzione di minorenni non è abuso: è “un sogno di successo”, al massimo “un chiacchierato scandalo sessuale”. E anche per una quattordicenne o quindicenne la prostituzione è “lavoro”, perbacco, rispettate la “Professione Lolita”! I clienti non erano stupratori a pagamento, stavano solo facendo affari con le Lolite, e che ci sarà di male? In tre mesi le due minori hanno incontrato 400/500 gentiluomini, dice il loro pappone. Segno che l’industria italiana dello sfruttamento è sana e che c’è sempre posto per imprenditori creativi. Peccato per le leggi (volute dalle stronze femministe frustrate che ormai comandano in questo paese ecc. ecc.), altrimenti Iesi avrebbe potuto ambire al cavalierato del lavoro. E magari alle due ragazzine avremmo potuto consegnare fasce da “Miss Vagina Molto Ambita”, ma solo se prima accettavano di farsela triturare da un chirurgo plastico.

Maria G. Di Rienzo

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