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centro stupidi

La settimana scorsa… “ragazzi friulani, per festeggiare il compleanno di uno di loro, prenotano un tavolo alla discoteca Kursaal di Lignano Sabbiadoro, a nome “Centro Stupri”. I ragazzi posano sorridenti per dei selfie con la targhetta posta sul tavolo e indossando la t-shirt con la medesima scritta. Qualche giorno prima avevano indossato le magliette al ristorante Jonny Luanie di San Daniele. I video, le foto della serata e alcuni post pubblicati sui canali social dal gruppo, accompagnati da commenti scritti di loro pugno inneggianti allo stupro e di stampo razzista, hanno fatto il giro del web suscitando un’ondata di proteste e indignazione.”

Ieri… “Vengono da famiglie bene del Friuli i nove ragazzi coinvolti nella vicenda “Centro stupri”. Sono otto, per ora, quelli iscritti sul registro degli indagati, nell’ambito di un’inchiesta che, al momento, ipotizza per tutti, indistintamente, i reati di istigazione a delinquere e propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa. Ma che potrebbe presto evolvere, coinvolgendo un numero più ampio di persone e precisando ruoli e responsabilità. Intanto la vicenda ha già prodotto la chiusura per 15 giorni del Kursaal di Lignano Sabbiadoro e del Jonny Luanie di San Daniele del Friuli, chiusura decisa dal questore del capoluogo friulano Manuela de Bernardin.”

L’avvocato di cinque membri dell’allegro gruppo dice ai giornali che stiamo montando la panna (è una mia parafrasi) perché in realtà le magliette sono ispirate da un film: “senza tuttavia rivelarne il titolo”. E insomma, mica vorrete tutto e subito, puttane comuniste di merdano, qua io non c’entro, è il gruppetto ad avere queste opinioni, come ricorda la ventenne Eva Margherita Del Monaco: “Stranamente, alcuni di loro sono gli stessi che, circa un anno fa, mi hanno mandato dei video su Instagram dandomi della puttana comunista di merda (cito testuali parole)”.

Uno degli ideatori delle magliette, Alberto Dall’Ava, è in procinto di aprire un nuovo locale. Pare che il sindaco di Udine Fontanini (Lega) sia intenzionato a concedergli un immobile del Comune a fianco del municipio. Qualcuno si domanda “se l’assessora alle pari opportunità Asia Elisa Battaglia (Lega) si opporrà o proporrà di chiamare il luogo CENTRO STUPRI UDIN” (senza la “e” finale perché in dialetto per i leghisti suona meglio, la transizione al nazional-popul-sovranismo non l’hanno ancora digerita tutti).

Io invece vorrei chiedere ai genitori delle “famiglie bene” da cui i giovanotti provengono: Quando vi siete accorti che il vostro rampollo trovava la violenza divertente, cosa gli avete detto? Siete stati zitti, pensando che tanto la vostra classe sociale lo avrebbe protetto da qualsiasi conseguenza, se avesse deciso di mettere la violenza in atto? Lo stupro fa ridere anche voi?

E ai ragazzi dico questo: se vi eccitate solo con la violenza, è ora di vedere un sessuologo. Suvvia, voi ve lo potete permettere.

Maria G. Di Rienzo

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creepy

Ieri è salito alla ribalta il titolo sul “dramma dei papà separati” con cui Il Mattino dava notizia dell’omicidio per strangolamento di due dodicenni da parte del proprio padre, poi suicidatosi (per inciso, l’uomo non era neppure ancora un “papà separato”: il procedimento legale per la separazione dalla moglie era appena iniziato). Sicuramente ne avete letto abbastanza, con questi tormentoni a fare di tutti gli articoli lo stesso articolo: “lui non aveva accettato la separazione ormai alle porte”, “non risultano tensioni precedenti nella coppia”, “una famiglia tranquilla e normale”, “chi avrebbe mai potuto pensare a una cosa del genere”, “tragedia” – e meglio ancora i carabinieri che cercano di capire “se la tragedia è stata programmata oppure no”.

E’ molto importante, pensano i sedicenti giornalisti italiani, presentare il tutto come un fulmine a ciel sereno (raptus), un’inspiegabile disgrazia che manda in pezzi uno scenario fiabesco: “Fino al giorno della tragedia, – scrive Repubblica – nella famiglia Bressi si ritraevano solo sorrisi. Come nelle tantissime foto che postava il padre con Elena e Diego in montagna, e poi al mare in Liguria, e ancora sui pattini a rotelle, come la mamma, istruttrice. Questa vacanza a Margno con i due figli Mario Bressi l’aveva voluta per cercare di trascorrere del tempo da solo con loro. Sapeva che la moglie voleva separarsi da lui.” Sapeva! Lo aveva scoperto chissà come – pensate forse che la moglie gliene abbia parlato? Certo che no, ha continuato a sorridere mentre complottava con l’avvocato! – e quest’evento inaspettato e sconvolgente e incredibile ha mandato in pezzi una vita fatta tutta di felici selfie su Facebook.

Perché vedete, chi ha scritto ‘sta manfrina pensa che gli assassini siano quelli che vede al cinema o su Netflix. Devono avere una storia morbosa e torbida alle spalle. I loro post sono pieni di oscuri simbolismi e citazioni religiose e gli eventuali sorrisi presenti sono ghigni agghiaccianti. Vestono di nero, con cappucci e cappelli tirati sugli occhi oppure indossano maschere horror o si truccano grottescamente da personaggi dei fumetti. Non basta loro uccidere: smembrano le vittime, le tatuano, gli infilano corna d’alce nel cranio, ne cucinano pezzi alla brace o in salmì.

Gli assassini virtuali sono iscritti così confortevolmente in un’alterità palese che quelli che ammazzano mogli, compagne, figlie e figli nella realtà non possono aver ucciso sul serio. Erano persone normali, tranquille, educate – sorridenti. Mario Bressi sui social sorrideva a tutto spiano, perdinci, quindi nel suo caso “cosa sia successo in questi ultimi giorni da solo con i figli in montagna resta un mistero”.

Il mistero è svelato sullo stesso quotidiano nel medesimo giorno (28 giugno 2020): “Tre i messaggi whatsapp che Mario Bressi, l’uomo che ha ucciso i suoi due gemelli di 12 anni nella loro casa di villeggiatura in Valsassina e poi si è tolto la vita, ha inviato tra le 2 e le 3 di ieri alla moglie, Daniela Fumagalli. L’ultimo dei messaggi, da quanto emerge dalle indagini, sarebbe in realtà una lunga lettera in cui l’uomo, 45 anni, lancia pesanti accuse alla moglie ritenendola colpevole di aver rovinato la loro famiglia, si dice in crisi e disperato, e lancia accuse pesanti: “E’ tutta colpa tua”.” Pare che rispetto ai figli le avesse anche comunicato “Non li rivedrai mai più”. Li amava tanto da strozzarli per vendicarsi della moglie “colpevole”.

Ora, vorrei solo dire agli autori degli articoli di guardare meno American Horror Story e di più la quotidianità, dove un gran numero di uomini con concezioni proprietarie e patriarcali della famiglia dicono cose orrende e sorridono, fanno cose abominevoli e sorridono, vanno sorridendo a votare i peggiori misogini sul mercato, si tolgono il cappello per salutare il vicino di casa – sorridendo – mentre nell’altra mano reggono la borsa in cui sta un martello, un’ascia, una pistola.

Norman Bates e Arthur Fleck mi fanno meno paura.

Maria G. Di Rienzo

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Marylize

(“How can LGBTIQ people find solace in family or religion when these are the sources of our pain?”, di Marylize Biubwa per OpenDemocracy, testo raccolto da Arya Karijo, aprile 2020, trad. Maria G. Di Rienzo.)

Sono una difensora dei diritti umani. Sono un’attivista e sono una femminista nera, queer, radicale e intersezionale. Non ho un lavoro. Porto avanti un’iniziativa che non è un’organizzazione giacché non è finanziata. In effetti, la porto avanti con il crowdfunding e coinvolgendo le mie reti di relazioni. Mi appoggio grandemente a lezioni di facilitazione, all’attivazione di social media o al mettere insieme contenuti digitali per qualcuno.

La storia di molte persone queer è quella di chi non è riuscito neppure ad andare a scuola, perciò non hanno diplomi. Non li ho neppure io, ma mi sto arrangiando. Qualche volta la vita la devi arrangiare. Molte persone non hanno reddito. Molte persone si appoggiando ad altre persone. Molte persone hanno dovuto uscire allo scoperto. Stanno da soli. Hanno difficoltà. La gente sta usando metodi folli che nemmeno immaginereste, per sopravvivere qui fuori.

Perciò, quando il coronavirus colpisce, sei completamente destabilizzato. Non vuoi restare a casa tua, perché ciò rende la tua situazione di persona che non guadagna persino peggiore. Ma non puoi uscire in cerca di lavoro durante questo periodo in cui la gente pratica il distanziamento sociale ed è sotto quarantena. Molte persone LGBTIQ sono in difficoltà perché il coronavirus è arrivato con questo senso della famiglia e di gente che si sposta per essere accanto agli individui di cui si curano di più: familiari eccetera. Se il peggio si avvera, vuoi morire avendo almeno la tua famiglia vicina.

Ma per quel che riguarda la mia esperienza, e l’esperienza di molte persone LGBTIQ, la famiglia non è qualcosa che noi si abbia attualmente e ciò ha impatto sulla nostra salute mentale e in genere su come funzioniamo e operiamo in questo periodo.

Ci sono quelli che trovano sollievo nella religione. Ci sono quelli che trovano sollievo nella famiglia. Le persone LGBTIQ raramente trovano sollievo in questi modi, perché tanto per cominciare religione e famiglia sono le fonti della nostra sofferenza. La cosa triste dell’essere una persona queer in questo periodo è che hai la sensazione di non avere la meglio in qualsiasi cosa, sia la famiglia, sia il coronavirus, sia il governo, sia i sistemi. Puoi dover andare all’ospedale e l’omofobia strisciare all’interno della situazione. Era già abbastanza brutto prima del coronavirus e in un momento come questo non fa che amplificarsi.

La gente sta associando parecchio la morte al coronavirus. Io non sono spaventata dalla morte. Non perché la morte non sia spaventosa in sé. Se guardo indietro, so che c’è stato un periodo della mia vita che ho giudicato davvero spaventoso. Sono le esperienze che ho attraversato. E’ maneggiare il trauma. E’ sentirsi incline al suicidio. E’ tentare il suicidio. E’ l’arrivare in pratica a un punto in cui sei viva ma sai per certo che se non volessi essere viva ci sarebbe un’opzione, una via d’uscita da tutto questo.

Penso di continuo: qual è la cosa peggiore che può capitare se sei infettato dal coronavirus? Morire, giusto? Ma questo non è così terribile, alla fine. Voglio dire, tutti moriamo a un certo punto, no? Le nostre esperienze di vita, in special modo le esperienze traumatiche, ci uccidono da vivi comunque. In un dato momento avremmo dovuto vivere come esseri umani, ma siamo morti dentro.

(L’omosessualità è illegale in Kenya secondo il Codice Penale di era coloniale, il quale descrive le relazioni fra persone dello stesso sesso come “conoscenza carnale contraria all’ordine naturale” e prescrive sentenze che arrivano ai 14 anni di prigione. Nel 2019, la Corte Suprema del Kenya rifiutò di dichiarare incostituzionali queste clausole del Codice Penale.)

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Un esempio: la Malesia è in quarantena come gran parte del resto del mondo. Il governo dà istruzioni ai cittadini su come comportarsi e il Ministero per gli affari delle Donne (che comprende l’occuparsi di bambini, disabili, welfare ecc.) coglie l’occasione per intervenire.

Una serie di post ministeriali su Facebook è dedicata alle mogli: che dovrebbero “evitare di assillare i mariti lagnandosi”, parlare imitando la voce di Doraemon (gatto-robot giapponese dei fumetti che è molto popolare da quelle parti), truccarsi e vestirsi bene, lasciando da parte il “look casual”.

Al 31 marzo il Ministero – che è retto da una donna – di fronte alle proteste ha già cancellato l’intera serie e, a dimostrazione che tutto il mondo è paese, si è scusato concedendo che “i consigli possono aver offeso qualche persona”. Nella nota ha aggiunto che le comunicazioni saranno “più ponderate in futuro”, ma ha anche ribadito che i suggerimenti miravano a “mantenere relazioni positive fra i membri della famiglia durante il periodo in cui lavorano da casa”.

Notate che, dall’inizio del lockdown il 18 marzo, la linea telefonica d’aiuto per le persone vulnerabili (gestita dal governo) che comprende le vittime di violenza domestica ha avuto il 50% in più di chiamate.

Il problema della menata “se ho offeso qualcuno mi scuso” è che non mette minimamente in discussione le azioni contestate. Restano “opinioni” con intrinseca validità e come tali meritevoli di rispetto: forse, il “se” questo implica, alcune persone si sono risentite a causa delle loro specifiche sensibilità, ma ciò non toglie nulla al valore e alla bontà delle intenzioni con cui le azioni sono state intraprese. Id est, che le mogli facciano delle loro vite quotidiane un carnevale atto a compiacere i mariti, vestite e pitturate a festa e cinguettanti con la vocina (stridula) di Doraemon resta rubricato come “mantenere relazioni positive fra i membri della famiglia”.

doraemon - nobita

(Visto? Se lo fate, i vostri mariti vi abbracceranno piangendo di gioia come fa Nobita con Doraemon.)

Noi abbiamo a che fare con questo tipo di manipolazione ogni giorno. Le scuse, le quali arrivano sempre dopo che le rimostranze e la pubblicità negativa hanno assunto abbastanza peso da far presagire un calo di popolarità dell’opinionista di turno, sono completamente false soprattutto perché completamente fuori bersaglio. Non è mai un’assunzione di responsabilità, del tipo “Mi rendo conto che questa cosa è sbagliata e ingiusta, che discrimina e alimenta diseguaglianza e violenza.”, è piuttosto una tecnica di gaslighting in cui chi ha sollevato la questione viene disorientato e indotto/a a dubitare delle sue stesse percezioni: Io non ho fatto proprio un bel niente, questa cosa non è violenta di per sé, sei tu a esserti sentito offeso/a per qualche tua ragione personale, probabilmente hai problemi, se sei una donna devi essere poco attraente per gli uomini e quindi li detesti ecc. ecc. ecc.

Conclusioni? 1) I sociopatici privi di cure adeguate sono un numero considerevole sull’intero pianeta; 2) i conniventi che li assecondano per proprio tornaconto anche; 3) ce ne sono davvero troppi in posizioni di potere, comando e controllo; 4) le conseguenze del condonare o giustificare o addirittura consigliare il loro comportamento aumenta la violenza, in particolare la violenza di genere, in modo direttamente esponenziale.

Maria G. Di Rienzo

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“La nostalgia in generale è semplicemente uno stato mentale per me. Sento sempre la mancanza di qualcuno o di qualche luogo o di qualcosa, sto sempre tentando di tornare in un immaginario da qualche parte. La mia vita è stata un lungo provare nostalgia.”

“La maggior parte della gente si aspetta che la mia indipendenza finanziaria, artistica e intellettuale si accoppi a un eguale livello di indipendenza emotiva. Ma non è per niente così che mi sento.”

elizabeth wurtzel

Elizabeth Wurtzel (in immagine – le citazioni sono sue), scrittrice statunitense nata nel 1967, è morta due giorni fa a causa delle complicazioni derivate dalla metastasi del cancro al seno. Nei suoi libri – fra cui “Prozac Nation”, “Bitch: In Praise of Difficult Women”, “More, Now, Again” – ha raccontato se stessa in modo trasparente e sfacciato: le lotte familiari, la depressione, l’autolesionismo, il disturbo bipolare, i trattamenti medici, l’uso di sostanze stupefacenti, il sesso.

E’ stata lodata per l’audacia e messa alla gogna per il narcisismo dalla critica letteraria. Non è una delle mie autrici preferite, ma voglio qui salutarla con rispetto e rimpianto: una sorella coraggiosa e ribelle che rivendicava “saldi principi femministi” non è più con noi. La ragazza interrotta ora riposa.

Maria G. Di Rienzo

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brunna mancuso 2

Sapete già che non ho la televisione (decisione assai annosa grazie alla quale il mio fegato funziona bene e la mia pressione sanguigna è perfetta) per cui, per capire meglio cosa fosse “Il Collegio” ho dovuto leggere qualche recensione: ne escono frasi chiave quali “lezioni di breakdance e di aerobica” e “docente di innegabile bellezza cosa che non lascia indifferenti i maschi della classe” (così, senza virgola, tanto siamo a scuola). Lo scenario d’insieme mi è quindi chiaro.

Il motivo per cui mi sono informata vi è probabilmente già noto: si tratta della situazione in cui si trova una delle giovanissime attrici, la sedicenne Mariana Aresta, alla quale il padre ha detto di andarsene dall’abitazione familiare dopo che lei aveva messo online una fotografia che la ritrae assieme alla sua ragazza Erica.

“Ci tengo a precisare che mi è venuta contro tutta la famiglia – ha scritto il giorno dopo aver reso pubblico il fatto – eccetto mia madre che riteneva che avrei potuto evitare tutto questo non postando quella foto, ma che è comunque rimasta dalla mia parte, pertanto anche lei è stata “cacciata” di casa.” Il motivo per cui non la vogliono più accanto le è stato spiegato così: “Mi hanno detto che non sono normale”. La ragazza scrive anche che se ne andrà ma che non intende cancellare l’immagine in questione dalla sua pagina Instagram.

Il punto in effetti, come per infinite altre storie simili, non è che Mariana sia lesbica ma che lo abbia tranquillamente reso pubblico. Essere omosessuali, maschi e femmine, è del tutto normale e lo sa persino chi strepita su inesistenti malattie e cure e preghiere e conversioni coatte e complotti “giender”, ma dirlo produce un’incrinatura nella narrazione patriarcale che vuole donne e uomini inscatolati in comportamenti prefissati e prescrittivi: è questo che non va bene, giacché mette in discussione assetti di potere.

Quando una ragazza o una donna affermano apertamente “Sono lesbica” stanno implicitamente dicendo che non hanno bisogno di un uomo nella loro vita, che non è un uomo a definire quel che sono e quel che fanno – e questo per i parecchi maschi che si percepiscono come ombelico dell’universo è davvero incomprensibile e inaccettabile. L’unico spazio che la misoginia del patriarcato riserva alle donne omosessuali è quello della pornografia a uso e consumo maschile: se non ti piace, allora devi tenere la cosa nascosta e privata, non “vantartene”, non “urlarlo dalla finestra” eccetera, perché non desiderare uomini a livello affettivo e sessuale è in tale quadro vergognoso e anormale.

“Possono dei genitori abbandonare un figlio?”, si è chiesta anche la ragazza. No, Mariana, legalmente non è così semplice come la mette tuo padre – non mi piaci, perciò te ne vai da casa mia, perché sei minorenne e secondo il Codice Civile ambo i tuoi genitori hanno responsabilità nei tuoi confronti, da esercitare “di comune accordo tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio”. Ma al di là delle opzioni legali (come l’emancipazione) che puoi discutere con un avvocato o meglio ancora con ArciLesbica (dove troverai giovani e non che hanno percorso la tua stessa strada), pur con la massima comprensione per la sofferenza che patisci di fronte al rigetto dei tuoi familiari e con tutto il rispetto per le tue scelte, vorrei chiederti di riflettere sulle modalità che hai usato per dire al mondo “Non so più cosa fare, aiuto”.

Lo scatto perfetto del tuo volto con gli occhi pieni di lacrime e le ciglia arrotolate dal rimmel che stava sopra questa frase è congruente con la “dittatura dell’immagine” che funge, assieme ad altre cose ma con peso notevole, da palla al piede per la libertà delle donne e che si manifesta anche nello show a cui partecipi. Quando starai un po’ meglio e avrai ritrovato una dimensione più serena e stabile in cui vivere, pensaci su. La cosa più inutile che puoi fare è stringere le catene in cui vogliono metterti con le tue stesse mani.

Maria G. Di Rienzo

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abominable

Le immagini che vedete appartengono a un cartone animato, “Abominable” (“Abominevole”) – in italiano sarà “Il piccolo Yeti” – che uscirà nei cinema americani a fine settembre e da noi in ottobre.

La protagonista principale è Yi, una ragazzina indipendente, coraggiosa e determinata che quando trova un piccolo Yeti sul tetto del suo condominio a Shangai decide di intraprendere un epico viaggio per fare in modo che il cucciolo si riunisca alla sua famiglia.

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Yi e i suoi amici Jin e Peng, che gli hanno dato il nome di “Everest”, devono condurlo al punto più alto della Terra mentre tentano di sfuggire alla caccia di Burnish, un ricco uomo assolutamente intenzionato ad avere uno Yeti come trastullo, e della zoologa Zara – da cui, come appare nei trailer, “Everest” era stato in precedenza catturato riuscendo poi a scappare. Yi, il cui motto inciso nel ricordo del padre scomparso è più o meno “non mollare mai”, suona il violino con passione persino durante il viaggio e almeno in una sequenza riprende il motivo principale della colonna sonora: “Go Your Own Way” – “Va’ per la tua strada” dei Fleetwood Mac (ovvero il pezzo n. 120 nella lista delle Più Grandi Canzoni di tutti i Tempi della rivista Rolling Stone. Potete ascoltarlo qui:

https://www.youtube.com/watch?v=qxa851vAJtI )

abominable-2

E’ la sua musica a far sbocciare i bianchi fiori luminosi dell’immagine, anche se la violinista non ne è ancora consapevole. Va bene, mi direte, la pellicola è diretta da una donna – Jill Culton – e la giovane Yi non è la solita principessina ossessionata da sono bella o no – chi mi amerà – come mi sta il vestito, ma perché stai scrivendo in pratica di un filmetto per famiglie? Per chi ci sta dietro e lo ha effettivamente costruito, mie care creature. E chi ci sta dietro sono queste due:

judy e suzanne

Sono Suzanne Buirgy e Judy Wieder, da oltre trent’anni coppia lesbica ma coppia anche nelle imprese artistiche, in cui si sono sostenute l’una con l’altra e passo dopo passo lungo l’intera via.

Judy è stata la prima caporedattrice del famoso giornale lgbt “The Advocate”, ma ha fatto anche la cantante folk, la compositrice e la giornalista musicale. In più, ha descritto tutto questo in una recente biografia. Suzanne Buirgy ha vent’anni di esperienza nella creazione e produzione di film d’animazione ed effetti speciali (per “Dragon Trainer” e “Kung Fu Panda 2” ha anche ricevuto premi). L’atmosfera magica de “Il piccolo Yeti” l’hanno evocata queste due straordinarie artiste, che hanno un particolare talento nel trasmettere al pubblico storie avvincenti e ispiratrici.

Quando Suzanne ha incontrato Judy, quest’ultima suonava in una band femminile: “Cominciammo a scrivere canzoni insieme. Siamo insieme da 31 anni e non passi così tanto tempo con qualcuna, amando qualcuna che è come te una persona creativa senza ricevere i suoi “colori”. Judy è una parte integrale della mia vita creativa proprio perché a questo punto lei fa parte del mio DNA. Penso che questa sia la cosa più straordinaria.” (da un’intervista condotta da Desirée Guerrero il 15 agosto u.s.)

Maria G. Di Rienzo

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Il 31 maggio (venerdì scorso) i quotidiani riportano questa notizia: “Tenta di violentare l’autista donna su un bus, bimba di 10 anni chiama il 113”.

Il fatto è accaduto a Vicenza e il perpetratore è un nigeriano 31enne, con precedenti penali, la cui aggressione è sventata dall’intervento di un anziano e dalla telefonata al 113 di una bimba di 10 anni.

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini commenta: “Grazie al decreto sicurezza questo infame può essere espulso e rimandato a casa sua. Non abbiamo bisogno di stupratori e scippatori.”

Il giorno dopo, 1° giugno, raggiungono la cronaca svariati episodi di violenza sessuale e fisica ai danni di bambine, ragazzine e giovani donne: le origini dei perpetratori sono indifferentemente migranti o autoctone. Gli articoli relativi non segnalano commenti del ministro.

Una delle vicende è particolarmente disturbante e orrendamente consueta: in provincia di Lecce, una bambina “che lamentava dolori alle parti intime e trasferiva nei disegni il suo disagio, ha confidato alla madre che il papà l’avrebbe palpeggiata e violentata in casa, per due anni e fino alla fine del 2016, minacciandola di non raccontare nulla a nessuno.”

Gli abusi ricoprono il periodo che va dai 3 ai 5 anni della piccina: è probabile che dopo fosse ormai troppo “grande” per soddisfare appieno suo padre. Lo sdegno verso costui dei commentatori – fra i quali non si nota il ministro dell’Interno – è caricaturale (l’orco), quello verso la madre è odio puro.

La narrativa sociale in questione è anch’essa consueta:

– gli stupratori e i picchiatori sono stranieri di default;

– quando la realtà smentisce questa asserzione, gli italianissimi perpetratori sono: pazzi, malati, stressati, abbandonati, infelici e vittime del raptus;

– le vere responsabili della violenza contro le donne sono altre donne.

Il decreto sicurezza, sig. Salvini, non ci mette al sicuro da niente di tutto questo. Dove lo “espelliamo” lo stupratore della sua propria figlioletta? Se lo “rimandiamo a casa sua” resta qua.

Inoltre, il quadro che ho evidenziato sopra è una sorta di melma mentale che produce e mantiene in essere ogni tipo di violenza di genere. Potremmo ormai chiamarla “fanghiglia tradizionale” – come quella che ieri, in opposizione al Pride padovano, hanno “difeso” una decina di appartenenti a Forza Nuova. I manifestanti del Pride erano oltre settemila.

Determinati, gioiosi, colorati, pacifici, hanno scritto su cartelli e striscioni, e hanno scandito, gridato, cantato e detto di esistere, di essere titolari di diritti umani e di non aver ne’ vergogna ne’ paura. Hanno mandato un messaggio anche al ministro dell’Interno: “Salvini, i tuoi sono gli unici baci che non vogliamo”.

Maria G. Di Rienzo

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Onorevoli membri della Commissione Giustizia del Senato, oggi 9 aprile a partire dalle ore 14.00 discuterete in seduta plenaria di diversi argomenti, fra cui le proposte del senatore leghista Pillon in materia di affido condiviso.

La rivolta di ampi settori della società civile contro queste ultime vi è di certo nota ed è stata dettagliata sotto il punto di vista giuridico e tecnico non meno che sotto il punto di vista ideale, ove l’idea di famiglia prospettata richiama disagevoli associazioni con una struttura di comando e controllo (tipo una caserma con un marito-padre colonnello, una moglie-madre attendente e dei figli soldatini). A noi contestatori / contestatrici preoccupa anche il conflitto di interessi riguardante il senatore, giacché un disegno di legge che prevede la mediazione familiare a pagamento e la relativa offerta presentata dallo studio legale di chi quella medesima legge presenta, insieme suonano davvero male.

Fra poche ore, il senatore Pillon vi esporrà la sua relazione e voi avrete di fronte lo stesso uomo che in questi giorni siede sul banco degli imputati in un processo per omofobia; se la vicenda non vi fosse nota, sottolineo innanzitutto che non si tratta di un processo alle sue opinioni, ma del fatto che ha orchestrato una vera e propria campagna diffamatoria dell’associazione Lgbt “Omphalos”, affiliata Arcigay, con tanto di manipolazione del loro materiale informativo (volantini “taroccati”, per stare sul colloquiale).

In una serie di performance pubbliche in tutta Italia, questo individuo ha anche ripetuto che “quelli di Arcigay vanno nei licei e spiegano ai vostri figli che per fare l’amore bisogna essere o due maschi o due femmine e non si può fare diversamente e… venite a provare da noi, nel nostro welcome group”. Cioè, ha scientemente trasformato l’opera di sensibilizzazione contro il bullismo omofobo e di informazione sulle malattie a trasmissione sessuale in una squallida manovra per adescare minorenni.

So che in aula il sig. Pillon si è giustificato dichiarando che la campagna diffamatoria era solo “ironia sferzante”, paragonando la stessa alla “satira dei libri di Guareschi”. Giovannino Guareschi, celebrato creatore di Don Camillo e Peppone, dichiaratamente uomo di destra per quanto rigettasse il nazifascismo, si trovò in effetti a doversi difendere in tribunale da un’accusa di diffamazione a mezzo stampa (per la quale fu poi condannato e scontò più di un anno di galera). Aveva pubblicato nel 1954 due lettere in cui apparentemente De Gasperi, durante la II guerra mondiale, esortava gli alleati a effettuare bombardamenti. Guareschi le credette vere, ma le analisi storiche hanno comprovato che si trattava di due falsi prodotti dal neofascista De Toma, che fuggì all’estero a processo concluso.

Guareschi non aveva manipolato personalmente le due lettere. Pillon ha personalmente manipolato il materiale dell’associazione diffamata.

Guareschi aveva buoni motivi per lamentarsi del comportamento del collegio giudicante e si considerò condannato ingiustamente: tuttavia, per questione di principio, non presentò appello ne’ successivamente chiese la grazia. Era, nel senso relativo alla sua epoca, un “galantuomo”. Temo, Onorevoli membri della Commissione Giustizia del Senato, che a tal proposito il senatore Pillon si stia gloriando di un paragone insostenibile.

E’ impossibile accettare che una persona del genere abbia titolo per “riformare” il diritto di famiglia, poiché carente sia a livello di competenze (è evidente che ignora il reale status delle famiglie italiane) sia, come risulta da quanto esposto sopra, a livello etico. Prima di prendere qualsiasi decisione, dovreste necessariamente riflettere su ciò.

Maria G. Di Rienzo

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Secondo il sig. Salvini, noi femministe saremmo “distrattone” (per favore, Accademia della Crusca, non sdoganare anche questo vezzo deturpante della lingua italiana), oltre che – va da sé – “sedicenti”, perché non vediamo il vero pericolo che minaccia le donne e cioè, secondo lui, l’estremismo islamico. Il dato di fatto incontrovertibile è che nei paesi in cui tale estremismo rende calvari le vite delle donne sono le femministe a protestare, a cercare di tutelare i diritti umani di tutte/i, a essere aggredite e umiliate in mille modi, ad andare in galera e a essere uccise, con la benedizione statale o in esecuzioni extra giudiziarie.

Queste donne ricevono scarsa o riluttante attenzione a livello internazionale, non solo dai veri distratti come Salvini, giacché parlano di uguaglianza, parità, cittadinanza e bene comune e non di quanto sia bello essere una “sex worker” e fare delle “scelte” – ovvero continuano a declinare i diritti umani fondamentali su base universale e non frammentaria. Lo spirito della Dichiarazione Universale del 1948 era questo: nasci, e chiunque tu sia, dovunque tu sia venuta/o al mondo, il resto della comunità umana ti riconosce, ti accoglie, protegge la tua esistenza, lavora per abbattere gli ostacoli sociali ed economici che dovessero metterla in pericolo. Se viceversa i diritti umani sono in qualche modo magnanimamente concessi dal Principe in carica, a seconda di caratteristiche identitarie specifiche, e la loro attuazione si concretizza al massimo nel divieto di discriminare le stesse, sparisce qualsiasi riferimento alle posizioni sociali e alle condizioni economiche delle persone: il che, come non mi stancherò mai di dire, è molto comodo per il neoliberismo e per il patriarcato e non libera NESSUNO e NESSUNA.

Il molto distratto sig. Salvini dichiara di voler riformare il diritto di famiglia e che a tale scopo il DDL Pillon sarebbe “un buon punto di partenza”, perché “vogliamo togliere i bimbi come merce di scambio o ricatto dei litigi tra i genitori” (separati/divorziati). So che il titolare di queste opinioni è impegnatissimo, soprattutto su Twitter, perciò forse non è riuscito a leggere il testo del decreto legge (non voglio assolutamente ipotizzare che l’abbia letto e non l’abbia capito). Persone più capaci e più ferrate nel campo del diritto di me hanno già demolito pubblicamente l’impianto della “riforma”, perciò quanto sto per dire non è nulla di nuovo ma ci tengo a ribadirlo: l’interesse supremo del minore non è il suo centro. Il DDL non è pensato per tutelare i bambini, ma le finanze e la proprietà privata del coniuge economicamente più abbiente: id est, nella stragrande maggioranza dei casi, il padre. La cancellazione dell’assegno di mantenimento del figlio al genitore affidatario e l’abolizione dell’istituto della casa familiare hanno l’unico scopo di dare a costui il controllo completo del patrimonio: poiché il mantenimento del figlio non deve rispettare i parametri del tenore di vita precedente alla separazione dei genitori, e a costoro sono assegnati capitoli di spesa specifici in relazione alle proprie capacità economiche, è impedita ogni minima forma di redistribuzione della ricchezza tra i due ex coniugi.

Nel DDL Pillon, contrariamente a quanto il sig. Salvini dichiara, i bambini sono più che mai penalizzati e oggettivati, simbolicamente tagliati in due con l’accetta, rigidamente controllati, soggetti a sperimentare opportunità e standard altalenanti in ogni aspetto delle loro vite (cure, materiale scolastico, attività extrascolastiche, abbigliamento, attrezzature tecnologiche) a seconda di quale dei due genitori deve aprire il portafoglio – e le donne hanno meno soldi, meno opportunità, meno impieghi sicuri.

La visione di “famiglia” sottesa al testo non è neppure quella cosiddetta tradizionale, poiché ogni istanza di solidarietà e senso della comunità in essa presente svanisce con l’atomizzazione e lo scollegamento dei membri della famiglia stessa, ognuno dei quali agirebbe – in pieno stile neoliberista – unicamente per il proprio personale interesse. Mors tua vita mea. Ognuno per sé e lo Stato per papà.

E questa sarebbe la vera famiglia, fondata sull’amore di mamma e papà, la famiglia a cui ogni bambino avrebbe diritto?

Io non sono distratta, sig. Salvini. Sono disgustata. Maria G. Di Rienzo

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