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Posts Tagged ‘bullismo’

(lettera e testamento: devo essere a breve operata agli occhi e sto scrivendo con gran fatica – mi scuso per gli eventuali errori dovuti a ciò.)

Capisco. La comunicazione “social media style” in voga è così veloce-effimera che ascoltare, riflettere, acquisire informazioni ed elaborarle è difficile. Di più: lo si stima noioso e sorpassato.

Quindi, per incapacità o per volontà, un numero enorme di persone battibecca e non discute, fa battute e passa oltre (l’argomento del giorno scade talmente in fretta da suscitare il legittimo sospetto che sia adulterato a priori), riduce a tifoseria da stadio ogni platea e taglia con l’accetta del noi/loro qualsivoglia argomento.

Ripeto, questo lo capisco: ma oltre a non aver intenzione di adeguarmi ciò che davvero non comprendo è perché agiscano in tal modo quelli e quelle che da tale modalità non guadagnano niente. La notizia stupirà qualcuno, tuttavia fatevi forza e accettate il fatto che la maggioranza degli esseri umani non lavora nell’ambito marketing yourself / shaming others – definibile con il neologismo “itagliese” payed rincoglioned autoincensing.

Meno comprensibili ancora sono coloro che apparentemente riconoscono la situazione (Bufale.net) e però si rivolgono agli altri così:

“Analizza la situazione, anziché fare l’ultras: Fedez c’ha il cu*o al caldo ed è vero: influencer, marito della Ferragni, imprenditore, rapper. Non vive come me e te in un bilocale (anzi, nemmeno quello), non conta i centesimi a fine mese e non posta da uno smartphone riadattato, è verissimo. Però tutto questo se lo è costruito, non è che lo ha ottenuto ieri e ha lottato per ottenerlo, fra lavoro e amore. E ora può far sentire la sua voce gestendo le conseguenze di esse.” (era “essa”, presumo).”

Vedi, miserabile stronzo, tu non sei riuscito a costruire niente, lavoro e amore ti sono andati a rotoli perché non hai lottato abbastanza o non hai lottato “bene” – e nemmeno ti sei procurato gli amici “giusti” che ha lui: finanziatori, banchieri, azionisti e cialtroncelli disposti a dar spettacolo per costoro a mo’ di giullari di corte. Come se si potesse arrivare ad essere ricchi sfondati con la lotta, il lavoro e l’amore, che al massimo costituiscono il cv e il saldo del conto corrente di innumerevoli attivisti / attiviste per il cambiamento sociale su tutto il pianeta. E come se arrivare ad essere ricchi sfondati giustificasse la piramide sociale dell’esclusione.

Ora, lo so che la prossima citazione è stata strombazzata dalla destra per screditare quanto il rapper ha detto sul palco del Concertone, su cui non ho nulla da eccepire, ma non resta per questo meno problematica:

“Mi interessa che Tiziano Ferro abbia fatto outing / Ora so che ha mangiato più würstel che crauti / Si era presentato in modo strano con Cristicchi / Ciao sono Tiziano, non è che me lo ficchi?”. Le spiegazioni dell’autore sono ugualmente motivo di perplessità: 1) il pezzo si chiama “Tutto il contrario” ed esprime quindi il contrario di quel che lui pensa; 2) ha cambiato idea, proprio come Salvini (che le cambia velocissimamente); 3) era giovane.

Converrete che convivono male: rivendico, abiuro, non mi assumo responsabilità perché ho scritto ‘sta roba quando ero innocente e ignorante. Trovo inadeguato conferire a costui la palma di paladino dei diritti umani: domani potrebbe cambiare di nuovo idea. Io scrivevo anche da adolescente proprio come lui, ma non ho mai partorito stronzate del genere. L’idea per cui non esistono inferiori da sbertucciare non l’ho cambiata mai e me vanto.

Inoltre, per la milionesima volta: l’outing te lo fanno gli altri (Tizio è una checca, gne gne gne!) – quando esci tu (Sono Tizio e sono gay, e allora?) si chiama coming out. E questa è la spia del perché trovo inadeguato anche porgli in capo la corona d’alloro di difensore della comunità lgbt: conoscerà individui che ne fanno parte, ma sembra ignorare storia e istanze relative ad essa. Preferisco, gusti personali, che il pavimento me lo aggiusti un piastrellista piuttosto di uno che dice: “Sì dai, lo faccio io, ho visto online un video sul reparto piastrelle di Leroy Merlin! Poi te lo racconto su Instagram! Solidarietà al gres porcellanato! Click, like, money money money!!!”

Poi, mi ripeto ancora a beneficio degli estrapolatori di parole che faticano troppo a seguire un discorso intero, tutto quel che ha detto il 1° maggio era vero – non concordo sulle modalità espressive, ma questa è di nuovo questione di gusti – ed era stato detto da parecchie persone prima di lui e persino meglio di lui: sono quelle di cui sopra, con lotta – lavoro – amore in attivo, prive però dell’amplificatore mediatico a disposizione del rapper influencer imprenditore e quant’altro.

Una seconda vicenda che ha (per certi versi incredibilmente) sofferto della mancanza di ascolto e della comunicazione frammentata – vacua – fulminea da web è stata quella relativa a Rula Jebreal e al suo annuncio via social che avrebbe annullato la partecipazione già concordata a “Propaganda Live”, per correttezza e fedeltà ai suoi principi che non prevedono l’essere l’unica donna in un parterre di ospiti composto da uomini (sebbene le fosse già capitato, come hanno notato in molti/e). Diego Bianchi e compagnia sono cascati dalle nuvole, si sono arrampicati sugli specchi (ci sono due giornaliste fisse in studio, cerchiamo le persone per le loro competenze al di là del loro sesso, abbiamo preso il Diversity Media Award ecc.) e io credo che tutti i protagonisti di questa vicenda fossero in buona fede, una buona fede che ha però come fondamenta una notevole superficialità.

E’ possibile che Jebreal durante la conversazione telefonica di ingaggio, per così dire, non abbia chiesto chi altri era presente quella sera? Io sono la Signora Nessuno, di solito chiamata a tener conferenze e incontri a titolo gratuito, però lo faccio – e se la compagnia non mi piace spiego direttamente agli organizzatori perché non potranno contare su di me. Sono femminista da oltre 45 anni. Cerco di comportarmi come un civile essere umano da quando ne ho memoria e con chiunque: peccato che tale attitudine mi torni sempre meno indietro… anche e soprattutto da molte persone che considero “alleate” o “vicine”. Con costoro mi sembra di essere passata da The times, they are a’changin a The times have changed for the worst.

Comunque, come probabilmente saprete io non ho la tv: spesso però vedo “Propaganda Live” online la mattina successiva alla sua messa in onda. Venerdì prossimo questa sua stagione si chiude, perciò mi permetto di chiedere a chi crea e gestisce il programma se nella prossima qualcosa può davvero cambiare nell’attitudine diretta alle donne. Numeri a parte, che come vi hanno ribadito sono pure importanti (chi non c’è non si vede e non si sente), vi illustro dei piccoli esempi. Mi piacerebbe:

1. che Marco Damilano – dopo aver puntualmente ricordato come qua e là ci fossero donne, quando ha incontrato Tizia, cosa ricorda di Caia – non scendesse dal palco dopo un’ultima frase a effetto del tipo “Il mondo degli uomini”. Sono una outsider, lo so, ma questo mondo è anche mio e non sono un uomo. Ogni tanto mi piacerebbe fare brevemente esperienza dell’inclusione;

2. che Marco D’Ambrosio Makkox facesse una ricerca su quante bambine / ragazze / donne si tolgono la vita dopo aver sperimentato innumerevoli aggressioni dirette ai loro corpi non conformi; dopo, decida lui se per prendere in giro Meloni una frase del genere è accettabile: “Ricordo che da bambina a scuola tutti mi bullavano perché ero cicciona… compresi quindi la sofferenza dei discriminati perché diversi… e fu allora che decisi di diventare fascista!”.

Gli altri paragoni usati nel fumetto (pubblicato da L’Espresso) mettono a confronto situazioni che oggettivamente non sono paragonabili per magnitudo – per dirne una, dar fuoco per sbaglio alla casa e capire “chi fugge dopo aver perso tutto”: l’effetto comico sta proprio in questo. Però le “ciccione bullate” come Beatrice Inguì

https://lunanuvola.wordpress.com/2018/04/06/senza-tregua/ – si buttano sotto il treno a 15 anni e a me non fa ridere;

3. che l’ospite fisso Memo Remigi riflettesse sul rispondere con icone di applausi e pollici alzati al genio che gli scrive su Twitter: “Per incrementare le vaccinazioni suggerirei, per il periodo estivo, alle infermiere che se lo possono permettere, di indossare mascherina e grembiule trasparenti sopra un bikini”. Perché chi decide cosa io mi posso o non posso permettere, in base a quali parametri e in forza di quale investitura da mio giudice?

Il corpo di una donna NON è un luogo pubblico, non è arena di dibattito per gli uomini quali esseri superiori – consumatori – acquirenti e le donne costituiscono comunque la metà della gente che deve vaccinarsi: e guardate che suggerire un trattamento simile (con l’infermiere “figo” a torso nudo e slippini ripieni) non solo non guarisce alcuna ferita ma è impossibile. Le posizioni di potere e di legittimazione da cui donne e uomini partono sono troppo diseguali. Persino Benni rinunciò, a suo tempo, dopo aver ipotizzato di sbottonare gli abiti delle infermiere per far entrare i pazienti in sala operatoria in ottime condizioni di spirito (“Elianto”): “Era allo studio un analogo trattamento per le degenti donne”. E allo studio è rimasto e rimarrà ancora a lungo, giacché la portata dell’oggettivazione dei corpi delle donne è così enorme e pervasiva, così intessuta di discriminazione e violenza, da non permettere paragoni.

Come ho detto all’inizio l’ascolto prende tempo, può essere faticoso e persino doloroso, ma se vogliamo capirci, vivere insieme e fare di questo mondo il “mondo degli uomini e delle donne”, qualcosa che valga la pena lasciare alle future generazioni, credetemi: non abbiamo altra scelta.

Maria G. Di Rienzo

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“Quali sono i vostri sogni per il 2021? Sogni personali, intimi, dedicati agli amici, alla famiglia. Ma anche sogni per il futuro dell’Italia o del mondo.”

Di seguito la mia risposta a “La Repubblica”, che in questi giorni chiede il contributo di cui sopra per la sua iniziativa “L’anno che verrà”:

Terrò per me i sogni personali, ma vi confido volentieri uno degli altri: l’avvento di un giornalismo degno del proprio nome, professionale, intelligente, che smetta di disprezzare, ignorare o odiare le donne.

Il che significherebbe, anche per voi, smettere di produrre articoli che:

– glorificano e scusano la violenza in tutte le sue forme (particolarmente quella contro le donne);

– sono scritti da analfabeti;

– non hanno alcun senso perché la “notizia” non esiste (forse Tizia ha lasciato Caio, sembra che Sempronia si sia rifatta il naso… e chi se ne importa);

– chiunque sia la donna di cui trattano cominciano con una dettagliata disamina (o la incorporano) della sua tipologia fisica, abbigliamento, accessori e trucco: della scollatura di Marie Curie o del taglio di capelli di Samantha Cristoforetti non solo non ce ne importa niente, ci irrita che non sappiate riconoscerle come donne senza farne dei manichini;

– rilanciano senza controllo qualsiasi idiozia relativa al peso corporeo: il giornalismo dovrebbe verificare prima di urlare alle epidemie o proporre diete o elencare cause/rimedi per ciò – il grasso corporeo – che NON è una malattia (sono in grado di produrre vent’anni di letteratura scientifica al proposito, ma avete raccomandato “poche righe”). Inoltre, domanda retorica, perché secondo voi la modella statunitense è curvy e la ragazza che si getta sotto il treno – grazie al bullismo diretto al suo corpo – aveva problemi di obesità?

– sono inseriti in “rubriche donna”, come per esempio i vostri di oggi:

Trucco: dal rosso al blu Kandinsky su occhi e labbra. Come ricostituenti per l’umore

Moda – Gli abiti per le festività che indosserai di nuovo nel 2021

L’incipit dice già in che settore stanno: Trucco, Moda. Non DONNA. Io sono tale e come una miriade di mie simili non mi trucco e la moda non mi interessa. E’ inutile che speriate di essere i paladini del “futuro delle ragazze” (Stem ecc.) quando quel che proponete loro è la visione trucco – moda – attenta alla panza – perché lui ti ha lasciato – come essere più affascinante ecc. ecc.

Se, scusate la volgarità, il loro scopo ultimo in questa esistenza è far avere erezioni all’altra metà del genere umano, studiare servirà a poco. A meno di non andare a scuola da quelle che voi chiamate “influencer digitali” (leggi modelle/pubblicitarie online) e impegnarsi davvero davvero ad avere un trucco perfetto… Il brano che segue è tratto da un articolo che ho scritto io il 19 febbraio dell’anno scorso (non entro nei dettagli dell’antefatto, che comprendono bambine ricoverate per tumori, giacché siamo andati già molto oltre le poche righe prescritte), ma fa riferimento a come voi date le notizie:

“Repubblica specifica che lo stage (sic) grazie a cui si imparerebbe a “bucare il video, la rete e un po’ tutte le situazioni social” è cosa di gran valore: “Giusto per dare un’unità di misura a Milano è stato registrato il sold out, con biglietti da 650 euro a testa e una coda di migliaia di persone per soli 500 posti a sedere.” Capite, per le povere bimbe malate la “influencer” lo avrebbe fatto gratis, è così commovente che sto quasi per piangere, però 650 euro x 500 individui disposti a sborsarli fa 325.000 euro: una cifra spropositata per una sorta di “formazione” agli stereotipi di genere… e il fazzoletto mi torna automaticamente in tasca.”

E la chiudiamo qua. Saluti, Maria G. Di Rienzo

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Ora che la Rai (servizio pubblico), nel mezzo di ipocrite e superficiali manfrine sulla violenza contro le donne, vi ha fornito il tutorial su come si fa la spesa sembrando una perfetta cretina (eseguito da professionista di balletti attorno a un palo e presentato da professionista che asserisce di rappresentare la “categoria donna” e ci assicura di combattere ogni giorno per ciò in cui crede, ma purtroppo non ci dice in cosa le sue credenze consistano), mi sento perfettamente legittimata a produrre tutorial anche io.

Oggi, perciò, la vecchia cessa femminista vi spiegherà professionalmente – come attivista antiviolenza e trainer alla nonviolenza – quali concetti avreste dovuto trovare in articoli e servizi relativi al 25 novembre, Giorno internazionale contro la violenza di genere. Questi:

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Si definisce violenza di genere la violenza diretta contro una persona sulla base del suo genere o sesso.

Il termine “sesso” si riferisce alle differenze biologiche esistenti fra maschio e femmina, mentre “genere” si riferisce alle differenze sociali tra essi: che sono apprese, che possono cambiare nel tempo e che variano grandemente sia fra le culture che all’interno delle culture stesse. Il genere è una variabile socio-economica, culturale e politica che può essere utilizzata per analizzare ruoli, responsabilità, opportunità e bisogni di donne e uomini.

La violenza di genere prende molte forme – può essere fisica, sessuale, psicologica, economica, legale, sociale, culturale ed essere tollerata o attivamente alimentata all’interno della famiglia e della comunità o dagli stati e dalle istituzioni.

Dall’insulto alla molestia, dalla minaccia al pestaggio, dall’umiliazione alla restrizione del godimento di diritti umani universali, dallo stupro all’omicidio – ogni manifestazione della violenza di genere è profondamente radicata in convincimenti culturali discriminatori e attitudini che perpetuano diseguaglianza e mancanza di potere, in particolare per donne, ragazze e bambine.

Contrastare la violenza di genere richiede la comprensione delle sue cause e dei fattori che ad essa contribuiscono, i quali spesso fungono da barriera a responsi e prevenzioni efficaci.

La causa principale della violenza di genere è lo status diseguale di uomini e donne (patriarcato) nato dal convincimento che queste ultime siano inferiori e che, assieme ai bambini / alle bambine e ad altri soggetti di “basso rango”, debbano essere controllate, dirette e dominate. La violenza riceve giustificazione da questa e altre idee socio-culturali normative su ciò che la “mascolinità” e la “femminilità” dovrebbero essere.

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Poiché tracciare la violenza in cronaca, nelle buste paga o nelle sentenze dei tribunali è – relativamente – abbastanza facile, nella prossima tranche del tutorial ci concentreremo sui fattori culturali che legittimano la violenza QUOTIDIANAMENTE su media e social media, il cui effetto “sfugge” di continuo agli occhi del pubblico nonostante la loro tossicità sia persino comprovata da una tonnellata di studi e ricerche.

Ripartiamo dalla pagliacciata della spesa “sexy” citata all’inizio: le reazioni ad essa avevano prodotto la cancellazione del programma, ma Rai 2 lo ha mandato tranquillamente in replica il mattino dopo, assieme a signorine in lingerie e a una professionista di reggiseni che spiegava le meraviglie del push-up (colonna sonora: “9 settimane e ½”). Vi sembra che abbiano capito qualcosa delle rimostranze? No, ovviamente: ignorano o preferiscono non considerare le basi che ho citato sopra.

La tizia in micro-gonna (una mini sarebbe stata troppo lunga), con ombelico scoperto e un chilometro di tacchi, che spiegava come mostrare meglio il culo se qualcosa durante la spesa cade sul pavimento doveva essere divertente, atta ad alleggerire questo clima opprimente da pandemia, ha dichiarato sempre la conduttrice sedicente paladina delle sue simili, ma qualcosa non ha funzionato in troppe/i si sono posti infatti questa domanda: si può sapere perché se dobbiamo divertirci la prima cosa che viene in mente agli sceneggiatori televisivi è sbeffeggiare le donne in quanto tali?

Stereotipi e pregiudizi sono formidabili alimentatori della violenza: tutti i cosiddetti “crimini dell’odio” si costruiscono attorno al disprezzo che stereotipi e pregiudizi veicolano; le aggressioni, i pestaggi “domestici”, gli stupri, i femicidi e la ri-vittimizzazione di chi ciò subisce hanno come base tale disprezzo. La ridicolizzazione delle donne può farvi avere qualche “like” in più o divertirvi personalmente ma la sua ricaduta resta il sangue: perché la violenza ha bisogno, per essere agita, della disumanizzazione dei suoi bersagli.

Ieri 26 novembre 2020 in cronaca c’erano i soliti risultati della ricetta:

Pordenone: “E’ arrivato in Questura con le mani ancora sporche di sangue, dopo aver ucciso la compagna con numerose coltellate al collo. La vittima, 33 anni, era la mamma di due bambini di 8 e 3 anni.”

Firenze: “Picchia la compagna e non apre la porta ai soccorritori. Arrestato un uomo di 25 anni per maltrattamenti e lesioni gravi. La donna ha 25 giorni di prognosi. Era già stata aggredita altre volte.”

Come la società italiana ha preparato questo?

1. Dando la colpa alle vittime (“L’aggressore fiuta la preda”, “Cosa si aspettava, di andare a recitare il rosario”, “E’ stata ingenua – stupida – complice”);

2. Giustificando gli assalitori (colti da raptus, obnubilati da alcolici e sostanze varie, giustamente furiosi per le azioni compiute dalle loro vittime, depressi, abbandonati, ecc. ecc. ecc.);

3. Scusando e premiando ed esaltando l’oggettivazione delle femmine di qualsiasi età: (“Ben venga, con le giuste precauzioni, anche la sensualità dei bambini come parte dell’essenza umana, che non ha nulla che vedere con la perversione.” riferito alle adolescenti con le dita in bocca e l’ombelico al vento usate per pubblicizzare automobili);

4. Aggredendo a colpi di svergognamento qualsiasi femmina, di qualsiasi età, rifiuti di aderire al modello in voga (magra – preferibilmente bionda tinta – tette gonfiate – cosce liposucchiate – professione obbligata influencer o youtuber o fashionista) o ne sia impossibilitata per qualsivoglia motivo;

5. Continuando a sparare ignoranti cazzate immani e ignoranti volgarità abissali su cosa sono le donne e cosa sono gli uomini tramite social media, programmi televisivi e simili.

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Fase 3 del tutorial: BREAK FREE!!!

L’immagine “sociale”, ossia la visione che altri hanno di noi e dei gruppi a cui apparteniamo (per caso o per scelta), gioca un ruolo assai importante in un vasto raggio di processi psicologici – relazioni interpersonali, scelta del/della partner, espressione delle emozioni, solo per citarne alcuni.

Tuttavia, ognuno di noi ha molto più controllo su questo lato della propria vita di quanto sia stato indotto a credere: possiamo decidere cosa fare dei messaggi che ci investono.

* Cominciate prestando attenzione a come vi sentite rispetto a essi.

Vacca, troia, puttana, cicciona, brutta, sciatta, “inchiavabile” eccetera non sono “critiche costruttive” di cui dovete tener conto per programmare le vostre azioni future, sono insulti tesi a ferirvi: non hanno alle spalle alcuna logica, alcun dato, alcun ragionamento e meno che mai vengono proferiti “per il vostro bene” visto che l’unico loro scopo è distruggere la vostra autostima e zittirvi.

Perché mai la cosiddetta opinione sul vostro conto del primo stronzo che passa dovrebbe avere più valore della vostra e perché mai dovrebbe esserle delegata la capacità di dirigere la vostra vita (di cui il suo detentore- o la sua detentrice – non sa un piffero)? C’è un’unica esperta della mia esistenza, che vive nella mia pelle: me stessa. Mi sembra ovvio che le decisioni su tale esistenza io sia più qualificata a prenderle rispetto al suddetto stronzo.

* Escludere dalla vostra cerchia le persone distruttive non è censura, è buonsenso.

Però, se “bannare” il tal follower è una semplice azione alla vostra portata, è molto più difficile evitare i messaggi pubblicitari o le narrazioni abominevoli contenute nei programmi televisivi e negli articoli di giornale. Cercate narrazioni alternative: non solo esistono ma sono prodotte in base a principi di civiltà e ad analisi scientifiche, storiche, sociologiche. Una volta che vi siate formate/i una base di conoscenza sulla relazione fra pregiudizi, stereotipi e violenza diffondetela come se non ci fosse un domani… anche perché in questo modo favorirete per altri esseri umani la possibilità di averlo, un domani.

* Sottraete il vostro consenso alla violenza.

So che non l’avete dato formalmente, ma il silenzio è spesso interpretato per tale, perciò protestate, urlate, dissentite, battete mestoli sulle casseruole. E come vi arriva “eeeh… questo è bigottismo” oppure “bisognerebbe capire quanto violenta era la donna psicologicamente” o ancora “questo è un delinquente, il fatto che sia maschio non ha nessuna importanza” e “ma invece hai letto di quella che ha ucciso il suo bambino?”… tornate al punto precedente e cancellate questi ipocriti dai vostri contatti. Non vogliono discutere con voi, non gli interessa una mazza quel che dite, non sono disposti ad imparare niente e la violenza (soprattutto quella contro le donne) gli piace. Avete tempo da perdere, voi?

Maria G. Di Rienzo

P.S. A differenza di note personalità che fissano a circa 600 euro il biglietto per assistere a una loro “lezione di trucco”, l’autrice sunnominata vi ha offerto questo tutorial del tutto gratuitamente – e ne va fiera.

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stop

“Guarda com’erano belli magri!”, disse qualche anno fa una dirigente di una grande cooperativa di distribuzione alimentare, indicando la fotografia di bambini denutriti nell’immediato dopoguerra. Nessuno dei presenti le rispose che se era uno scherzo non faceva ridere e neppure la invitò a considerare l’ipotesi di cercare di curarsi dall’ossessione “grassofoba”. Perché quel giorno, come tutti i giorni da anni e prima e dopo quello specifico giorno, non c’era media cartaceo o virtuale che non avesse minimo un articolo (ma in genere sono più d’uno) su come perdere peso, sul dovere di perdere peso – soprattutto per le donne, sulle conseguenze apocalittiche del non perdere peso (ormai le hanno dette proprio quasi tutte: mancano l’invasione di cavallette e la peste bubbonica).

Poi ieri, 23 giugno 2020, arriva in cronaca quel che è la “normale” vita da perseguitati destinata ai bambini che non sono “belli magri” – espressione che ormai è una figura retorica, in quanto i due termini sono diventati sinonimi. I giornali lo fanno così:

– Napoli, bullizzata dagli amici perché obesa: 12enne in ospedale

– Bullizzata su instagram perché obesa, 12enne finisce in ospedale per una sincope

– Napoli, bullizzata dagli amici su Instagram: «Fai schifo, cicciona», 12enne finisce in ospedale

All’interno dei pezzi si specifica che la ragazzina è stata insultata, minacciata, svergognata con immagini pubblicate online… non a causa della stronzaggine abissale e dell’interiorizzazione dell’odio grassofobo da parte dei suoi aguzzini (un 14enne e una 13enne) ma “per i suoi chili di troppo” o perché “è sovrappeso”. Nessuno usa la semplice parola “grassa” o qualcuno dei suoi equivalenti eufemistici quali tondetta, paffuta eccetera: capite, facendolo si potrebbe suggerire fra le righe che la condizione della fanciulla sia accettabile, invece la sua responsabilità nel non essere aderente al modello prescritto socialmente dev’essere chiara.

Le minacce si sono estese alla madre che ha cercato di mettere fine allo stalking: i due sbruffoncelli la informano che si sta organizzando un pestaggio della ragazzina e che “più continui più la pestiamo… dimostra un po’ di affetto per tua figlia”. Dopo il crollo della dodicenne, la madre ha presentato denuncia ai carabinieri.

Cosa credete ci fosse tutt’intorno alla notizia? Diete, prove bikini, ululati finto-medici, perentori inviti a “mettersi in forma” e il nuovo sensazionale metodo “pincopallo” con cui la celebrità di turno è dimagrita.

L’avvocato dei due giovanissimi bulli (come futuri mafiosi promettono bene, ma potrebbero avere carriere eccellenti anche nell’ambito fitness) troverà assai facile argomentare che le loro azioni erano motivate dalla preoccupazione per la salute fisica e mentale della loro “amica” – letteralmente infatti, almeno per il momento, hanno distrutto entrambe.

Maria G. Di Rienzo

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Premessa n. 1: chi ammette di non capire molto di un argomento o di aver bisogno di ulteriori informazioni ha tutta la mia comprensione, ma quando è così credo sarebbe meglio per lui/lei astenersi dal piazzare comunque pubblicamente commenti a casaccio, tanto per stare in ballo. Se non sai le mosse e non senti bene la musica aspetta qualche momento a bordo pista, osserva, ascolta, apprendi – e poi decidi se ballare o no.

Premessa n. 2: sono stata paziente e ho tradotto a beneficio dei confusi, ma non chiedetemi altri interventi in merito, di commentare questo o quello, che ne penso del tal fatto eccetera. La questione non rientra nelle mie priorità e la chiudo qui. Sbattendo la porta, se volete.

Maria G. Di Rienzo

Kathleen Lowrey è una docente associata di antropologia all’Università di Alberta, in Canada. Il 12 giugno scorso ha scritto un lungo e dettagliato articolo per “Quillette” di cui, di seguito, traduco alcuni brani.

“Io sono una delle molte accademiche che è stata “cancellata” perché ha un tipo sbagliato d’opinione – o quasi cancellata, perlomeno. Mentre scrivo, resto una professoressa di antropologia all’Università di Alberta e dal luglio 2019 sono stata presidente per i programmi del dipartimento relativi agli studenti. Era una nomina che doveva durare tre anni. Ma nello scorso marzo sono stata rimossa da quella posizione a causa delle lamentele di uno studente ufficioso, il quale ha dichiarato che lo facevo sentire “non al sicuro” quando argomentavo le critiche femministe alle attuali teorie sul genere. (Ndt.: Lowrey usa “they, them” per indicare lo studente senza specificarne il sesso, cosa che io non posso imitare nella traduzione, giacché volgerebbe al plurale un discorso riferito a una terza persona singolare.)

All’inizio di questo mese, la mia collega Carolyn Sale ha scritto un resoconto sul mio caso per il blog del “Centro per la Libera Espressione” all’Università di Ryerson. Come tende a succedere con queste controversie, ciò ha fatto sì che studenti e colleghi passassero al setaccio i miei social media in cerca di altro materiale “critico sul genere”. Quando l’hanno trovato, hanno chiesto che io sia licenziata dalla mia posizione di ruolo e accusata formalmente di “discorso d’odio”. (…)

Ricordo di essermi imbattuta (Ndt: attorno al 2010) in un sito web chiamato “Gender Trender”, gestito da una femminista radicale lesbica con lo pseudonimo Gallus Mag. Dapprima, lo scorrevo come un’anacronistica curiosità – uno strambo avamposto di un’era femminista del passato. Ma lo stile della prosa di Gallus era divertente e diretto, al contrario della maggioranza degli studi accademici sul genere e io mi sono trovata a tornare sul sito più volte per vedere che cosa quel vecchio dinosauro (così la immaginavo) aveva scritto di nuovo.

Ma al di là della maniera sardonica con cui presentava le informazioni, finii per capire quanto serio fosse ciò che Gallus documentava. Fra le altre cose, trattò nel 2016 l’omicidio di due lesbiche e del loro figlio a East Oakland, crimine di cui il pubblico ministero accusò un uomo che si identificava come trans, Dana Rivers (che era anche stato uno degli organizzatori di “Camp Trans”, una campagna contro il festival musicale per sole donne, chiamato Michfest, durante gli anni ’90).

Gallus non era paranoica quando descriveva la “cancellazione del femminile” e la “cancellazione delle lesbiche”, ne’ nella sua insistenza sul fatto che l’ideologia di genere – la quale include il convincimento che un uomo possa diventare donna, e viceversa, semplicemente dichiarando di essere tale – serviva gli interessi degli uomini.

Cominciai anche ad apprezzare la sua affermazione che i media del mainstream erano spesso riluttanti nel riportare fatti che gettavano dubbi sull’ideologia di genere ortodossa. Per quel che riguarda il blog di Gallus, soggetto a continui attacchi da parte di attivisti trans, fu prima censurato e poi rimosso da WordPress nel 2018, quando lei raccontò la storia di Jonathan Yaniv – un eccentrico misogino canadese che è riuscito a cancellare dalle piattaforme dozzine di donne che esprimono disgusto per la sua volgarità sessuale aggressiva (o che rifiutano di chiamarlo “Jessica”). (…)

L’ideologia di genere contemporanea richiede reverenza acritica per costrutti di genere retrogradi, come l’idea che un bambino a cui piaccia giocare a servire il tè o piacciano i bei vestiti possa essere giudicato “nato nel corpo sbagliato” e perciò sia davvero, a tutti gli effetti, una bambina.

Qualsiasi fossero gli scopi iniziali dei sostenitori dell’ideologia di genere, questo sistema di convincimenti sta conducendo a orrori reali inflitti a donne e minori. L’attivista Heather Mason, per esempio, ha documentato le molestie e gli abusi che sono prevedibilmente risultati dall’aver trasferito uomini che si identificano come donne nelle prigioni femminili. Nel 2005, l’anno in cui mi sono trasferita a Edmonton dagli Stati Uniti, la tredicenne Nina Courtepatte fu stuprata, uccisa a martellate e al suo cadavere fu dato fuoco su un campo di golf di Edmonton. Il suo assassino ora dice di identificarsi come donna e si trova in un carcere con prigioniere di sesso femminile:

https://torontosun.com/news/world/hunter-psychopathic-child-sex-killer-uses-trans-card

Qualcuno è preoccupato del diritto di queste carcerate a “spazi sicuri”?

Oppure leggete questo resoconto di un’operazione chirurgica raffazzonata per la “riassegnazione di genere” compiuta su una donna:

https://glinner.co.uk/interview-with-scott-newgent/

o il resoconto di quest’altra su un minore:

https://www.womenshealthmag.com/health/a30631270/jazz-jennings-surgery-complications/

Avete letto nulla sui rischi mortali associati alle medicine che bloccano la pubertà?

https://thefederalist.com/2018/12/14/puberty-blockers-clear-danger-childrens-health/

Sapete cos’è una “trans-vedova”?

https://www.transwidowsvoices.org/

O un “detransitioner” (Ndt. Persona che si è sottoposta a pratiche per il cambio di sesso e che vuole tornare al sesso originario.) ?

https://www.feministcurrent.com/2020/01/09/detransitioners-are-living-proof-the-practices-surrounding-trans-kids-need-be-questioned/

Io sì. E non posso disimparare nulla di tutto questo.

Se non volete esaminare nessuno dei link, guardatevi in video la femminista cilena Ariel Pereira che parla in modo assai efficace delle sue esperienze di transizione e de-transizione:

https://www.youtube.com/watch?v=kFyQ5EStiRs

(…)

Chiuderò su un punto derivato dalla mia ricerca nei bassopiani dell’America del Sud. Ho lavorato per oltre vent’anni con persone indigene che parlano Guaraní, in special modo in Bolivia.

Una delle caratteristiche che segnarono l’incontro fra le popolazioni che parlano Guaraní e i colonizzatori europei fu il modo in cui i missionari – i più famosi per questo sono i gesuiti – interpretarono la cosmologia Guaraní come perfettamente compatibile con la teologia cristiana.

Trovarono che particolarità dei miti e delle pratiche religiose Guaraní fossero “prefigurative” dell’avvento di Cristo, o segnate da un effettivo incontro precedente con la cristianità: per esempio, le storie dell’eroe culturale Pai Sume furono interpretate come se includessero la visita del discepolo Tommaso.

Il modo in cui l’ideologia trans contemporanea assimila qualsiasi tipo di pratiche culturali al mondo a prove dell’esistenza di una universalità trans – hijras nell’Asia del Sud, persone con “due spiriti” nel Nord America, bancis in Indonesia, bacha bazi e bacha posh in Afghanistan, “vergini giurate” nei Balcani e così via è molto simile.

Come per le proiezioni europee e cristiane sulla cultura Guaraní, ciò accade quando aderenti a una visione del mondo totalizzante sottomettono la verità sul mondo esterno ai loro ristretti preconcetti.

L’antropologia mi ha insegnato come individuare questo istinto. Le femministe critiche sul genere mi hanno insegnato come ci si confronta con esso.”

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La pubertà arriva un anno prima, sotto accusa obesità e inquinamento.

Iraq: catturati 8 membri dell’Isis. Hanno tentato di scappare ma erano obesi e lenti.

Roma: la sindaca Raggi inaugura il monumento al Body Mass Index.

Renzi: ‘La messa fuorilegge dell’adipe è vicenda da affrontare subito’.

Borsa: Europa in forte rialzo, Francoforte +2%: ha oltrepassato il peso forma.

Tutti fuori, da Nord a Sud. Lamorgese ai giovani: ‘State attenti alle calorie’.

Il Senato respinge le mozioni di sfiducia su Bonafede. Il ministro soddisfatto: ‘Ora al lavoro per finanziare i centri dimagrimento’.

Bagarre alla Camera, M5S attacca la sanità lombarda: alcuni pazienti Covid erano grassi, perché sono stati curati?

Pronto a Milano il treno per trasportare gli obesi a Treblinka.

holocaust train

Zingaretti: “La liposuzione diventi moda dell’estate”.

Folla di ciccioni fuori da un locale a Firenze: avvisati dalla polizia di stare fuori dalla vista delle persone belle e normali.

Proteste per gli ombrelloni più larghi in spiaggia: volete metterci sotto degli obesi.

Solo una di queste frasi non l’ho manipolata io dai titoli della stampa nostrana. La prima. E’ falsa (non scientifica) come tutte le altre – le quali però, se ignoranti e profittatori di ogni tipo insistono, potrebbero magari diventare vere nel prossimo futuro. Quale simbolo ci faranno cucire sui vestiti, una bilancia o un mottarello? (Naaah, tanto i trasgressori si vedono a occhio: eh, che ridere!)

Maria G. Di Rienzo

P.S. Il titolo descrive quella che è ormai la mia “emozione” principale nel leggere i giornali ogni mattina.

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(“In Fiji, lesbian feminist activist Noelene Nabulivou strives for world ‘liberated and free’”, di Hugo Greenhalgh per Thomson Reuters Foundation, 13 maggio 2020. Trad. Maria G. Di Rienzo.)

Noelene

Crescere essendo lesbica nelle Fiji, stato insulare dell’Oceania, durante gli anni ’70 sembrava abbastanza impossibile, dice la femminista e attivista “climatica” Noelene Nabulivou.

Una cultura machista, basata sulla chiesa, ha significato per Nabulivou – lei stessa figlia di un pastore metodista – non dichiararsi sino al compimento dei 35 anni, non molto dopo l’inizio del nuovo millennio.

“L’ho chiamato il mio obiettivo di sviluppo del millennio.”, dice ridendo su Skype, riferendosi alla lista di ambiziosi obiettivi delle Nazioni Unite, che includevano il dimezzare la povertà estrema e il mettere fine alla diffusione dell’Hiv/Aids entro il 2015.

Ora 52enne, Nabulivou ha una moglie e una figlia di due anni ed è conosciuta in tutto il mondo come attivista contro il cambiamento climatico e come attivista per l’eguaglianza di genere e i diritti delle persone LGBT+ nel suo Paese.

Tuttavia, fa ancora esperienza di discriminazione e abusi, e ha ricordi dolorosi di come è cresciuta in una piccola città vicina a Suva, la capitale dell’arcipelago che conta circa 900.000 abitanti.

“Semplicemente sentivi che (essere apertamente gay) non era una possibilità alla tua portata. Non c’erano modelli di riferimento, in particolare per la mia generazione.”, ha detto a Thomson Reuters Foundation dalla sua casa di Suva.

Le Fiji sono una delle sole otto nazioni che menzionano esplicitamente l’orientamento sessuale e l’identità di genere nelle loro Costituzione, ma in pratica i diritti degli individui LGBT+ sono limitati. I matrimoni fra persone dello stesso sesso e l’adozione da parte di coppie gay restano illegali – Nabulivou e sua moglie si sono sposate a New York – e l’attitudine omofoba persiste.

“Mi hanno sputato addosso; mia moglie ed io siamo state molestate in pubblico; ci hanno tirato pietre sul tetto di notte. Ci sono stati molti episodi durante gli anni. Un quotidiano mi ha fatto l’outing. Ho dovuto lottare contro la chiesa metodista alla radio e in televisione, il che è stato davvero duro per me, che sono una persona molto riservata.”, racconta Nabulivou.

Le Fiji sono state colpite il mese scorso dal forte ciclone tropicale Harold, che ha ucciso due persone e ha distrutto più di 3.000 abitazioni. Il ciclone ha esacerbato l’impatto economico dell’epidemia di coronavirus e le due crisi hanno ulteriormente aggravato la difficile situazione che le persone LGBT+ vivono, dice l’attivista.

Nel mentre il tasso di disoccupazione nelle Fiji, relativo al 2019, si attestava più o meno al 4,5%, secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, Nabulivou dice che circa il 62% di lesbiche, bisessuali e transgender o non hanno un lavoro o ce l’hanno precario.

E’ questo tipo di diseguaglianza che Nabulivou combatte nel suo ruolo di consigliera politica e addetta a progetti speciali dell’organizzazione figiana per i diritti umani “Diverse Voices and Action (DIVA) for Equality”, che lei stessa ha contribuito a fondare nel 2011: “E’ cominciato con un gruppo di giovani che sono venuti da me e dalla mia partner e hanno detto: Okay, ci discriminano. Cosa possiamo fare insieme?

Un decennio più tardi, il gruppo sostiene il lavoro di nove sezioni in tutto il Paese, affrontando questioni come visibilità e povertà nonché omofobia e transfobia, ha detto Nabulivou. La parte chiave del suo lavoro, ha aggiunto, è tentare di contrastare le “proporzioni epidemiche” della violenza contro le donne – siano esse lesbiche, bisessuali, transessuali o eterosessuali – nelle Fiji e in altre nazioni del Pacifico: “L’84% delle donne LBT e delle persone “non conformi” al genere (che non assumono i ruoli tradizionali ascritti a maschi o femmine) hanno denunciato violenze da parte dei propri partner, contro i due terzi delle donne eterosessuali.”

Oltre che sui diritti delle persone omosessuali e sulla violenza domestica, Nabulivou organizza campagne su istanze climatiche ed ecologiche, dicendo che molte di queste sfide sono collegate.

“Noi siamo donne che devono lottare contro la povertà, ma vogliamo anche parlare del bullismo nelle scuole o delle esperienze di sviluppo ecologico nel Pacifico. Come esseri umani abbiamo tante cose diverse a cui teniamo. – spiega Nabulivou, che si definisce maniaca del lavoro e dice di aver ottenuto nuova ispirazione dalla sua bambina – Voglio per lei un mondo meraviglioso, in cui possa essere emancipata e libera.”

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fabbri editore

(immagine da Rising Feminism)

Dunque, questo è un testo per le scuole elementari, ed. Fabbri, anno corrente.

Lucia è troppo grassa per indossare una minigonna”.

Rossella è così bella da sembrare un angelo, mentre sua sorella è talmente brutta che nessun ragazzo la degna di uno sguardo”.

L’upgrade per le medie potrebbe essere così:

“Alle donne piace:

– fare i lavori di casa;

– ricevere fischi e palpate per strada;

– depilarsi, truccarsi e stare a dieta;

– essere stuprate.

(Esercizio trabocchetto, perché tutte le risposte sono giuste!)”

Alle superiori potremmo magari entrare più nei dettagli:

Presente:

“Nadia non riesce ad avere un ragazzo perché non è abbastanza coraggiosa e liberata e ironica per mandargli le foto di nudo che lui richiede;

Irene non ha amici perché non si veste bene e non va in discoteca;

Marta ha 14 anni ed è ancora vergine!”

Presente e futuro:

“Elena va male a scuola: ma tanto la scuola a cosa le serve, è una femmina e per quanto studi non capirà mai nulla!

Marta ha 15 anni, è ancora vergine e se continua a non lavorare sulla propria bellezza lo sarà per sempre.”

Passato:

“Marta aveva 16 anni ed era una schifosa lesbica, ma dopo uno stupro di gruppo correttivo imparò ad apprezzare gli uomini e qual era il suo posto nel mondo.”

Ehi, Ministra Azzolina, se il trend è questo le dobbiamo proprio riaprire le scuole? Chiedo per circa trenta milioni di amiche, la metà della popolazione italiana, fra cui Marta e la sua ragazza che mi incaricano di mandarla a quel paese (ambasciator non porta pena).

Maria G. Di Rienzo

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my body my rules

(Il MIO corpo, le MIE regole)

Non sarò breve: per cui mettetevi comode/i oppure passate ad altro. Ieri l’HuffPost pubblica in una delle sue rubriche una lettera a cui dà il titolo “Il dovere della bellezza”. La scrive, secondo la sua stessa presentazione, “Marta Benvenuto, 35 anni, 110 e lode in Filosofia, senior digital marketing analyst”. Alcuni brani del testo (le sottolineature sono mie):

“Il 25 aprile la gente cantava dai balconi ‘Bella ciao’. Nei 200 metri concessi allora per una passeggiata sono passata sotto un balcone dal quale un ragazzo cantava ‘Bella ciao’. Complice il 25 Aprile l’ho guardato e gli ho rivolto un ampio cenno di saluto. Poi ho visto un gatto dietro a un cancello e sono andata lì. Intanto continuava a suonare ‘Bella ciao’. Guardavo il terrazzo, c’era il ragazzo, una ragazza, una birra. Ero felice.

E mentre il partigiano moriva cento e cento volte per la libertà il ragazzo ha gridato dal terrazzo: ‘Ehi culona! Puttanona! Tu col gatto guarda che culone da puttanone!’. Io non ho detto niente. I 200 metri che mi erano sembrati così pochi sono diventati infiniti. Improvvisamente non c’è stato altro da sapere di me, non è rimasto altro di me, solo il mio culo grasso. Mi sono arrabbiata per non aver risposto.

Perché noi abbiamo il dovere d’essere belle. Prima d’essere brave o buone. E poi, quando siamo belle, d’essere puttane o frigide. E quando siamo bionde stupide. E quando siamo stupide almeno educate. E quando siamo ricche d’essere passate sotto qualche tavolo, quando siamo giovani di ascoltare e quando siamo vecchie di scomparire. E quando non vogliamo compagni d’essere lesbiche, e quando siamo lesbiche d’esserlo sotto i vostri occhi di maschi, solo per il vostro piacere, mai per il nostro.

E quando vogliamo godere il dovere di fare figli, quando li facciamo il dovere di non pesare sul nostro padrone e capo. Di rientrare in un cassetto costruito da un uomo per noi. Un cassetto di soli doveri. Che a un uomo non sono richiesti, mentre può essere brutto, stupido, ricco, scapolo, vecchio, sterile e tante altre cose per le quali non esiste nemmeno un corrispettivo declinato al maschile. Questi stessi uomini hanno il potere di giudicarci e noi, il dovere di tacere.

Noi dobbiamo vergognarci anche della vostra stupidità. Voi dovete solo vivere, senza nemmeno la decenza di lasciare in pace i partigiani morti, fascisti che non siete altro, fascisti dentro, che non vi meritate ‘Bella ciao’. Me la merito io, io che posso fare qualunque cosa, anche ingrassare, se mi va.”

I commenti (di molti uomini) sono impagabili: ha generalizzato, le persone così sono una minoranza malata di mente e bisogna solo compatirli, con gli stupidi è meglio tacere, adesso mi vergogno di essere un uomo ma non capisco perché Gesù non ha voluto la parità di genere fra gli apostoli (dopo questa stronzata si sente un genio, capite), non scambiamo l’ironia (???) per il mondo reale. Ovviamente, Marta: sono tutti fuori bersaglio. Lei ha ricevuto l’aggressione, ha dettagliato la mera realtà delle vite delle donne – e le vittime sono loro. Se mi permette, un po’ distante dal fare centro è anche lei quando si premura di far notare “Mi alleno molto, pochi uomini riescono a starmi dietro”. E’ una sua scelta e spero che si diverta nel farlo, ma a chi legge appare come una giustificazione: guardate che sono già una di quelle a posto, perciò non venite a consigliarmi nutrizionisti e palestre.

Comunque, la lettera mi serve qui come incipit e ne ringrazio l’Autrice. Quel di cui voglio parlarvi è il culo grasso. Proprio.

Il dovere di essere “belle” e “in forma” – ove la bellezza e la forma sono costrutti ideali che trovano validazione solo nello sguardo maschile – si nutre del fanatismo che circonda il peso corporeo, soprattutto il peso delle donne, alcune delle quali non hanno atteggiamenti così diversi da quelli dei farabutti che si sentono autorizzati a insultare sconosciute dai balconi con tutto lo spettro delle prescrizioni patriarcali a sostenerli: pensano di essersi guadagnate la bellezza/magrezza con il duro lavoro, la palestra, il centro benessere, l’estetista e la parrucchiera e il trucco copiato dall’influencer di turno, contando le calorie e piangendo davanti allo specchio… perché diavolo voi dovreste spassarvela quando loro soffrono ogni giorno per somigliare a x o y? E’ solo giusto, solo normale che dobbiate tollerare il loro odio insensato. In più, quando maschi (in stragrande maggioranza) e femmine vomitano la loro schifosa cascata di offese e ingiurie hanno il coraggio di tirare in ballo la vostra salute, di cui non sanno un piffero ma su cui possono ripetere a oltranza tutte le minchiate che hanno letto e sentito in giro. Perché la guerra al culo grasso è fatta di propaganda.

In caso non sia chiaro: si spremono miliardi dalla truffa del “grasso mortale” e dell’ “epidemia di obesità” (che non esiste). La cultura della dieta è una truffa, tanto più che sempre più studi stanno dimostrando che la perdita di peso non migliora i biomarcatori della salute. Sin dal 2002, ricerca dopo ricerca, salta fuori questo: le persone grasse con problemi cardiaci o renali, diabete, polmonite e varie malattie croniche se la cavano meglio e vivono più a lungo di quelle con le stesse patologie e peso cosiddetto “normale”. Certo, a meno che a forza di sentirsi urlare che sono schifose e rivoltanti si buttino sotto un treno, o si sottopongano a interventi chirurgici che le uccideranno più alla svelta.

Ma che dico mai, questo o quella non sono dimagriti con la dieta? Sì, e le probabilità che hanno di mantenere la perdita di peso per cinque anni o più sono le stesse del sopravvivere alla metastasi del cancro al polmone: 5 per cento. Auguri.

Non sono notizione che vi dò io tirandole giù dal cielo assieme alla Luna. I medici, persino quelli che vogliono far finta di niente, le conoscono. Sanno che affamarsi, perdere peso, riguadagnare peso e rimettersi a dieta sono azioni causa di malattie cardiache, resistenza all’insulina, alta pressione sanguigna e aumento di peso a lungo termine. Sanno che la mortalità più bassa si registra in individui classificati “sovrappeso” o “leggermente obesi” dal Body Mass Index.

Nella realtà, non nei sogni dei nutrizionisti da palcoscenico o da social media, il 97% delle persone dimagrite riguadagna il peso perso e ne aggiunge un po’ entro tre anni. Se il dietologo di grido vi sbandiera le sue “ricerche” lasciate pur perdere i parametri scientifici di controllo (è raro che li abbiano) e chiedetegli solo di dimostrare che esse hanno seguito le persone oltre lo spartiacque dei tre anni: se la risposta è no mandatelo a zappare, affinché faccia meno danni.

Il giudizio sul culo grasso è morale, non clinico. E trattare il dimagrimento come imperativo morale sostiene la violenza sistemica contro le persone grasse, in tutte le sue forme.

“La chirurgia bariatrica è una barbarie, ma è il meglio che abbiamo.” ha dichiarato David B. Allison, docente universitario di biostatistica. Il meglio che abbiamo ha come effetti malnutrizione, blocchi intestinali, disordini alimentari, infezioni e morte. Non male. Storicamente, prima di amputare o legare lo stomaco agli schifosi pigri che si ingozzano da mane a sera (nell’abominevole immaginario creato ad arte) la “medicina” ha prescritto loro altre “cure”: il lockdown meccanico delle mascelle, per esempio. Se queste merde persone non possono aprire bocca mica possono schiaffarci dentro la fetta di tiramisù, giusto? E che dire delle operazioni chirurgiche al cervello per infliggere salutari lesioni all’ipotalamo? Perché ai “ciccioni” è stato fatto anche questo.

Poi c’è chi dirà di essere in grado di provare che i medicinali per la perdita di peso sono sicuri ed efficaci. Il fen-phen? Buonissimo! Ha danneggiato irreparabilmente le valvole cardiache solo a un terzo delle persone che l’hanno preso. L’orlistat? Una figata! Rovina il fegato e dona il brivido di incontrollabili evacuazioni a tutti. Sibutramine, dite? Splendido! E’ solo che non si fa in tempo a dimagrire per bene, perché si schiatta prima di infarto.

Nessuno riesce a collegare scientificamente la perdita di peso all’acquisto di “miglior salute”. Il meccanismo causa-effetto semplicemente non c’è. L’unico studio che in materia ha seguito i propri soggetti per più di cinque anni (Look AHEAD, 2013) ha per esempio constatato che i diabetici (tipo 2) che avevano perso peso avevano sofferto degli stessi problemi di salute di quelli che non lo avevano perso. Lo dicono gli esperti, quelli veri, quelli che hanno speso tempo e risorse a indagare in modo scientifico e che non si aspettavano proprio risultati di questo genere ma una volta che li hanno ottenuti hanno avuto l’onestà intellettuale di ammetterli. Io non sono un’esperta, ma sono stata costretta ad assumere un notevole ammontare di informazioni – e a confrontarle e verificarle – da due fattori: 1) mia madre era diabetica e io l’ho accompagnata ai controlli mensili all’ospedale per più di 15 anni, sciroppandomi vasta letteratura medica in merito; 2) non sopporto la superficialità e la disinformazione che nutrono scherno e aggressioni a varie tipologie di persone, quelle grasse comprese. Perciò continuo a informarmi, sempre.

Ma l’American Medical Associaton ha detto che l’obesità è una malattia!

Sì, del tutto arbitrariamente, in modo non scientifico e contro il parere del suo Comitato su Scienza e Salute Pubblica. Girano un sacco di soldi e di conflitti di interessi in loco, l’ho dettagliato altre volte (consulenze, proprietà di azioni nell’industria dietetica, mazzette vere e proprie, ecc.), ma la cosa bella – si fa per dire – è che persino i semplici umili dottori di famiglia americani che diagnosticano questa malattia ai loro pazienti possono guadagnare qualcosa, aggiungendo il codice di tale diagnosi alla loro parcella e caricandola. Il dio $$$ è con loro.

Poiché siamo umani, persino noi non conformi, nei primi tempi della pandemia abbiamo sperato che messi di fronte a una vera emergenza sanitaria i “grassofobi” avrebbero cominciato a riflettere sulle loro ossessioni e magari a studiare. Poiché siamo umani, questa speranza spirata sul nascere alza un poco la testa ad ogni nuovo conto dei morti da coronavirus (31.610 ieri in Italia) e poi ricade miseramente fra i meme di “prima e dopo” la quarantena sull’orrore del prendere peso, fra i consigli illuminati (dal faro dell’ignoranza) di youtuber e influencer e fankazzistas e laureati su wikipedia o direttamente on the road perché fanno la corsetta tutti i giorni, fra le diete proposte da celebrità milionarie che, con lo sfondo delle loro lussuose magioni, ci mettono in guardia: attenzione, potreste mangiare di più per lo stress e il costumino di quando avevate 13 anni non andarvi più bene!

Il tutto mentre la gente comune soffre per l’isolamento, per la perdita di lavoro e di reddito, per il timore del contagio, per il parente morto o in terapia intensiva. E questi gli dicono di concentrarsi sul girovita. Dare alla faccenda l’aggettivo abominevole non rende appieno il disgusto che provo.

Bisogna dire, però, che c’è chi gli fornisce il retroscena adatto: i sedicenti professionisti che ignorano a bella posta le ricerche sul peso e le loro implicazioni. Con il coronavirus hanno fatto di peggio, rendendo il peso una caratteristica ancora più patologica. Il BMI è stato scorrettamente indicato come fattore di rischio sia per l’essere infettati sia per il soffrire di sintomi più gravi e il peso viene usato come fattore squalificante quando le risorse sono scarse (i ventilatori sono pochi? Be’, togliamone uno alla cicciona e uno al vecchio inutile). Mi ripeto, ma anche qui il meccanismo causa-effetto è inesistente: medici e scienziati con maggior deontologia professionale lo stanno facendo presente, dati e ricerche alla mano, ma l’artiglieria pesante in funzione 24 ore su 24 che urla “il grasso uccide!” impedisce di ascoltarli. E molti loro colleghi continueranno a prescrivere trattamenti che non funzionano per una condizione che non è una malattia. In due studi che ho letto (2003 e 2016) numerosi dottori definiscono i loro pazienti grassi “non adattati”, “eccessivamente autoindulgenti”, “disturbanti (alla vista)”, “brutti”. Si può star certi che, privi di pregiudizi come si dimostrano, avranno senz’altro a cuore la salute di queste persone e, fedeli al giuramento di Ippocrate, si impegneranno per fare diagnosi accurate. Forse no, facciamo qualche esempio internazionale:

– nel 2017 la studente Beth Dinsley ricevette valanghe di complimenti perché era dimagrita. Nel dicembre dello stesso anno, durante un controllo ospedaliero di routine, scoprì che continuava a perdere peso perché aveva un cancro alle ovaie;

– nel 2018, Rebecca Hiles raccontò in un’intervista che i medici avevano ripetutamente sottovalutato i suoi violenti attacchi di tosse e la difficoltà respiratoria come sintomi relativi al suo peso. Aveva un cancro al polmone. Il risultato del non essere stata presa sul serio perché non adattata e autoindulgente è stata l’asportazione dell’intero polmone sinistro. Se la prima volta in cui andò dal dottore, cinque anni prima, questo l’avesse vista come un essere umano il polmone poteva essere salvato;

– nel 2019 il medico di Jen Curran giudicò la presenza di proteine nella sua urina durante la gravidanza e dopo come un problema di peso. Se dimagriva sarebbe andato tutto a posto. Per fortuna costei cercò una seconda opinione: e seppe di avere un cancro al midollo osseo.

Se poi volete un po’ di vittime italiane, da quelle che si sono suicidate grazie al bullismo continuo diretto ai loro corpi, a quelle che sono state macellate e uccise dalla chirurgia bariatrica di cui sopra o dalla liposuzione non dovete far altro che frugare questo blog o usare google.

Secondo la dott. Emma Beckett, scienziata che lavora su cibo e nutrizione all’Università di Newcastle in Australia, “Noi non mangiamo per mantenere una taglia, ma per mantenere i nostri corpi in salute ora e nella vecchiaia. Entrare in un vestito più stretto vale l’avere ossa fragili o un cancro all’intestino più tardi? Mi piacerebbe se smettessimo di concentrarci sul peso e ci concentrassimo sul nutrimento e sulla gioia.” Sarebbe bello, in effetti.

Stamane i giornali riportano l’appello a favore degli anziani di intellettuali e politici italiani: “Non sono scarti”. La petizione intende chiedere “a tutti i governi dell’Unione una maggiore etica democratica che passi dal rispetto degli anziani e dal rifiuto di una “sanità selettiva” che privilegi la cura dei pazienti più giovani a scapito degli over 65″. I promotori e i firmatari giudicano – giustamente – ciò “umanamente e giuridicamente inaccettabile” e sentono la necessità “di un vero cambio di prospettiva e di un recupero dei valori morali, civili e deontologici delle nostre società”.

Okay. Neppure i “culi grassi” sono scarti. Non devono rispondere del reato di “non conformità”. Non stanno togliendo niente alle vite degli idioti che li insultano dai balconi, neppure e meno che mai in senso economico, giacché sono le galline dalle uova d’oro spremute dall’industria dietetica, farmaceutica e di medicina “estetica”. A quando un’iniziativa simile per costoro, intellettuali e politici di cui sopra?

Infine, una volta per tutte: gli esseri umani non sono giocattoli. Non vi piacciono le persone grosse? Sono stracazzi vostri e non siete autorizzati a rovesciare il vostro disprezzo da farabutti sulle loro facce o sui loro culi. Non siete autorizzati a spingerle verso la disistima, i disturbi alimentari, le conseguenze dei traumi relativi ai vostri assalti – suicidio compreso. A me, vedete, è quel che fate a non piacere.

Maria G. Di Rienzo

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Shanley Clemot Maclaren ha cominciato a contrastare il sessismo al liceo, assieme alla sua “amica di lotta” (così le due si definiscono) Hajar Errami, e lo ha fatto così bene da essere invitata a parlarne due anni fa con Marlene Schiappa, Segretaria di Stato francese per l’eguaglianza fra donne e uomini. Sono seguiti articoli e presenze televisive, ma il tutto strettamente concordato e monitorato – e se non soddisfacente rimandato o rigettato – dalle due giovani, tanto che alcuni pezzi su di loro avevano un incipit del tipo: “E’ più facile incontrare un Ministro che queste due ragazze”.

Shanley

Foto da Le Monde

In questi giorni Shanley ha di nuovo l’attenzione della stampa: ha infatti passato diverso tempo a tracciare e denunciare siti di “revenge porn” dopo aver notato un aumento di fotografie e video di ragazze nude sui social media, corredate dai loro nomi e dall’indicazione delle città in cui abitano.

Shanley ha rilevato che almeno 500 account di questo tipo, denominati “fisha” dal verbo afficher – svergognare, sono comparsi in Francia sin dall’inizio nel marzo scorso delle misure di quarantena contro il coronavirus.

Lavorando con un’avvocata e circa venti amiche/amici, la giovane femminista è riuscita a far cancellare più di 200 account esponendoli ai network di riferimento, alla polizia e al Ministero degli Interni. Da quando ha dato inizio in aprile alla campagna #stopfisha per rintracciare le vittime di questo tipo di pornografia e aiutarle a denunciare gli abusi, riceve ogni giorno messaggi di adolescenti depresse e in panico.

L’abuso online ha conseguenze serie, ha detto la 21enne Shanley ai giornali: “Le ragazze cominciano a pensare al suicidio, o sono picchiate dai loro familiari quando costoro vedono i contenuti espliciti che le riguardano. Una volta che sei etichettata come “troia” è finita. E quando queste ragazze torneranno a scuola è molto probabile che debbano subire molestie.”

Il primo amore di Shanley era un ragazzo astioso e violento, uso ad aggredirla fisicamente; quando mise fine alla storia, la giovane iniziò un percorso di riflessione: “Mi dissi che era ora di ricostruire me stessa. Pensavo fosse soltanto la classica relazione andata storta. E poi ho fatto un sacco di ricerche, scoperto migliaia di altre donne che avevano sofferto in vicende simili alla mia, e ho capito che non si trattava di qualcosa di personale, ma che era strutturale. Era una delle tante conseguenze del sessismo.

Maria G. Di Rienzo

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