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Posts Tagged ‘molestie in strada’

Nel mentre:

* Dall’11 al 17 aprile 2021 si svolgeranno ovunque incontri, manifestazioni, conferenze, azioni dirette nonviolente nell’ambito della International Anti-Street Harassment Week – Settimana internazionale contro le molestie in strada (è l’undicesimo anno che ciò accade);

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* Francia, Perù e Filippine hanno leggi apposite che puniscono le molestie in strada;

* Le donne denunciano tali comportamenti da due secoli e ovunque vi siano strade (in riferimento a leggi che normano una condotta civile nei confronti di estranei negli spazi pubblici);

* Sono disponibili studi, ricerche, sondaggi e raccolte di testimonianze che ribadiscono senza possibilità di errore quali siano gli effetti delle molestie sulle vittime: in brevis a livello fisico nausea, difficoltà di respirazione, vertigini, tensione muscolare, sudorazione, tachicardia – a livello emotivo fastidio, rabbia, paura, vergogna;

* Sono disponibili statistiche agghiaccianti sul numero di donne che subiscono molestie in strada in tutto il mondo (più dell’80%) e sui vari tipi di escalation degli assalti;

* Il femminismo si occupa della questione, ritenendola un’espressione della violenza patriarcale, da sempre;

* La sottoscritta ha prodotto articoli e traduzioni in merito per dieci anni di fila (vi butto quattro link a caso, l’intera lista è molto lunga):

… e in questi giorni, giacché una giovane celebre si è lamentata (giustamente) in Italia c’è il “dibattito”: mmmh… ma sono molestie o complimenti?

Chiediamolo agli esperti come “Er Faina”. Il nome già dice tutto.

Rispondiamo alle intelligenti domande de “Il Corriere della Sera”: “Avete mai avuto paura?”. Ma no, certo, nessuno ci ha mai messo in guardia su come vestire, dove andare, eccetera eccetera e poi se ti riducono a un colabrodo mentre fai jogging ti arriva :”Eeeeh… mica si può andare a correre da sole, se si è femmine”. Questo cos’è se non addestramento al terrore?

Meditiamo sui pistolotti di Feltri (figlio) che ci ammonisce: se ci opponiamo a questo stato di cose, all’essere considerate proprietà pubblica e non esseri umani, e chiediamo che la legge ci tuteli lui sente puzza di attitudine “sbirresca” e desiderio di punire i comportamenti che non ci piacciono – cioè, mia cara, la libertà di un uomo di farti sentire una merda per strada deve avere tutela superiore rispetto alla tua libertà di andare per quella stessa strada senza essere valutata, giudicata, palpata, insultata a voce alta e magari aggredita a scopo stupro.

Partecipanti al “dibattito”, rileggete i pochi paragrafi marcati da asterisco che ho scritto sopra: dove diamine siete stati/e sino ad ora???

Maria G. Di Rienzo

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Riccione, uscita dell’autostrada, 2020:

escrementi pubblicitari

Questa geniale, innovativa, creativa pensata dei pubblicitari (il sesso fa vendere, l’umiliazione delle donne anche – che novità!) fa obiettivamente schifo. In termini più educati del mio, ciò è stato detto abbastanza volte da indurre il proprietario della macelleria Ugolini a dichiarare: “Chiedo scusa. Rimuoverò al più presto il manifesto. Non volevo offendere la sensibilità di nessuno e tanto meno quella delle donne.”

Desidero qui ribadire a lui (quale simbolo odierno di una tendenza sociale) e agli incompetenti misogini a cui ha commissionato il cartellone che la nostra sensibilità è l’ultimo dei problemi in ballo. La lotta contro la pubblicità sessista e oggettivante negli spazi pubblici non ha nulla a che fare con puritani sentimenti di disagio per la nudità dei corpi, con la “decenza” o il moralismo: si tratta del contrasto a un sistema patriarcale che costantemente rinforza le diseguaglianze fra i generi e della conseguente normalizzazione della violenza di genere in tutte le sue forme – per tipologia e posizionamento, per esempio, gli annunci pubblicitari hanno un deciso effetto di sdoganamento e normalizzazione delle molestie sessuali.

Negli spazi pubblici è impossibile evitarli: consapevolmente e inconsciamente ricordano alle donne che sono vulnerabili e imperfette e che è loro dovere conformarsi a un’idea precisa di femminilità, mentre conferiscono agli uomini i privilegi del giudizio e del controllo.

“E’ un’affermazione di potere. E’ un modo per farmi sapere che un uomo ha diritto al mio corpo, ha diritto a discuterlo, analizzarlo, valutarlo e a far sapere a me o a chiunque altro nelle vicinanze il suo verdetto, che a me piaccia o no.” Laura Bates, Everyday Sexism Project.

Inoltre, gli effetti devastanti della pubblicità sessista sulla nostra psiche e quindi sulla nostra salute (un altro tipo di violenza di genere) sono scientificamente dimostrati da decenni: 2002, meta-analisi di 25 studi riporta che la maggioranza delle adolescenti si sente significativamente peggio rispetto al proprio corpo dopo aver visto le immagini di donne proposte dai media; 2008, meta-analisi di 77 studi riporta che l’esposizione ai media è fortemente legata ai problemi di immagine corporea nelle donne – per capirci meglio, i “problemi” si concretizzano in anoressia, autolesionismo, depressione, stress e persino suicidio, eccetera eccetera. Un solo dato: dal 1970 i disturbi alimentari nelle donne sono aumentati del 400%.

“Le donne e le bambine si paragonano a queste immagini ogni singolo giorno. E il fallimento di assomigliare ad esse è inevitabile, poiché sono basate su una perfezione che non esiste.” Jean Kilbourne, ricercatrice universitaria, documentarista, conferenziera, scrittrice.

Infatti le foto dei corpicini senza testa e senza volto – culi, i culi sono sufficienti a definire le donne – sono abbondantemente ritoccate per rimuovere da esse ogni traccia di umanità (i pubblicitari considerano queste tracce “difetti”) e dar loro girovita impossibilmente stretti e pelle luminosa da incontri ravvicinati del terzo tipo. Spesso sono pure “candeggiate”, per così dire, perché il modello proposto è stato pensato come ideale per i (ricchi) consumatori occidentali, ma si è rapidamente diffuso a livello globale: creando un proficuo mercato di creme sbiancanti e tinture ossigenanti che succhia via autostima e soldi a donne di tutto il mondo.

Quindi, signor committente e signori pubblicitari, la mia sensibilità è perfettamente a posto: sono le mie ovaie che girano a paletta.

Maria G. Di Rienzo

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Cosa ci vuole alla classe politica e alla società civile italiane per riconoscere non solo di avere un problema con la violenza di genere, ma di contribuire alla sua gravità fomentandolo, sminuendolo, ridicolizzandolo, giustificandolo e persino esaltandolo?

Pesco a caso dalla cronaca di ieri 16 ottobre 2019, infarcita come ogni singolo giorno di episodi di violenza contro donne e bambine:

“Londra, due italiani condannati per stupro: in un video gli studenti ridevano dopo la violenza”

Ho visto il video. Lorenzo Costanzo e Ferdinando Orlando – 25 e 26 anni – si scambiano un “high five” e si abbracciano dopo aver lasciato una coetanea priva di sensi in un club di Soho. Lei era ubriaca e lo stupro perpetrato nello sgabuzzino del locale le ha inflitto lesioni tali da dover essere sottoposta a intervento chirurgico. Secondo i giornali i due amici avrebbero anche ripreso le loro gesta con i telefonini. Ai giudici hanno detto la solita solfa: “lei era consenziente” – e, non detto ma evidente, come tutte le donne era una troia masochista a cui dev’essere piaciuto immensamente essere lacerata da italici maschioni: dopotutto la violenza estrema rivolta alle donne è il fulcro principale dell’odierna pornografia, che purtroppo è a sua volta il mezzo principale con cui i giovanissimi e i giovani si fanno un’idea di cosa sia la sessualità.

Alle donne piace, quindi, ma gli uomini patiscono molto (probabilmente a causa della dittatura femminazista che impera sul mondo): “Non mi aspettavo una cosa del genere, provo un’enorme sofferenza – ha dichiarato il padre di uno dei due studenti – Vedo soffrire mio figlio per una vicenda che alla base non ha alcuna prova evidente.” A chiosa, i giornalisti aggiungono che la ragazza era troppo strafatta di alcolici per riconoscere senz’ombra di dubbio gli aggressori. Così, un corpo di donna macellato (ma solo un po’, via), video e dichiarazioni degli imputati al processo non bastano: tutti conosciamo ormai le statistiche diffuse da una serie di istituti che vanno dalle Nazioni Unite all’Istat, sappiamo che la violenza di genere è una pandemia e che nessuna nazione ne è immune, leggiamo ogni giorno di vicende efferate e ancora continuiamo a discutere comportamenti e abitudini e tipologia corporea e grado di appetibilità sessuale delle vittime, mettendo sistematicamente in dubbio le loro testimonianze e la loro credibilità – perché un uomo che violenta in fondo non è colpevole di nulla… lei ci stava, lo provocava, a lei piaceva, lei è stata imprudente, lei è stata sconsiderata, non poteva tirarsi indietro all’ultimo momento e così via.

“Pesaro, palpeggia una ragazzina in piazza Puccini. Arrestato.”

Anche qui sono in due e sono italiani (lo specifico in caso mi leggessero per sbaglio i fan di Salvini). Il primo, quarantenne, aggredisce sessualmente una ragazza di 14 anni – a lui perfetta sconosciuta – e il secondo gli fa da palo e da padrino manzoniano minacciando gli amici / le amiche di lei che protestavano.

Cosa fa credere a questi signori, e agli studenti di cui sopra, di essere autorizzati a servirsi della prima femmina che vedono? In primo luogo, il fatto che la violenza di genere è normalizzata e si riproduce grazie a regole sociali: gli stereotipi, le attitudini e le diseguaglianze che riguardano le donne in generale. La violenza sessuale è un derivato diretto della violenza strutturale che consiste nella subordinazione delle donne nella vita sociale, politica ed economica. Tradotto in pratica, costoro sentono di non star facendo nulla che non sia lecito e persino prescrittivo per i “veri” uomini. In secondo luogo, l’esposizione continua alla violenza e alle sue giustificazioni rende gli individui più propensi ad usarla, ad avere comportamenti cronicamente aggressivi e convincimenti che normalizzano e persino romanticizzano le violenza stessa. E’ quest’ultimo il caso del titolo n. 3:

Adria, interrogato dai giudici il marito strangolatore – Lui è in cura per la tossicodipendenza da eroina, la moglie è ancora gravissima.”

I due hanno una figlioletta di quattro anni, la donna ha alte probabilità di morire a 23: lui la sospettava di infedeltà e inoltre, spiegano i quotidiani, “non ha l’atteggiamento di chi vuol negare l’accaduto: ha di fatto ammesso di aver messo le mani al collo alla moglie in preda ad un raptus di gelosia che però potrebbe costare la vita alla giovane cameriera e madre della loro bambina.” Come possiamo ritenerlo responsabile di un tentato omicidio, andiamo, che sua moglie possa morire sembra un semplice effetto collaterale del romanticismo se continuate a leggere: “Quando si è avvicinato alla moglie per chiederle un ultimo abbraccio le avrebbe detto di essersi reso conto che il loro rapporto era finito ma le ha detto che l’amava ancora, che l’avrebbe amata per sempre. Poi ad un tratto, qualche istante dopo, avrebbe aggiunto che nessuno mai l’avrebbe avuta se non avesse potuto più averla lui. Quindi le ha stretto le mani intorno al collo e l’ha lasciata esanime sul pavimento. (…) Quando la ragazza è stata portata via con l’ambulanza, stando al cognato, il marito si sarebbe messo a piangere.”

Una triste storia d’amore, insomma, basata però solo sulla testimonianza di lui – ed è il fatto che sia un lui a renderla immediatamente verosimile: pensate, aveva quasi tentato il suicidio e poi ha persino pianto. Maledetto raptus, cos’hai fatto a quest’uomo innocente? Qua nessuno scandaglia la sua vita privata con il setaccio per sminuirne la credibilità; negli articoli al riguardo persino il fatto che sia tossicodipendente è usato come una scusante. Se invece è lei a essere intossicata (come nel caso della ragazza londinese) be’, se l’è andata a cercare.

La nostra società non ha solo normalizzato la violenza maschile: l’ha resa romantica, erotica ed eroica. La propone ossessivamente come strategia per risolvere i problemi (non pochi politici italiani hanno pesanti responsabilità in questo), la spande a palate nei prodotti televisivi e cinematografici, la spaccia come ingrediente innato e imprescindibile della mascolinità, e poi casca dalle nuvole quando vengono alla luce le “chat dell’orrore” gestite e usate da minorenni.

The shoah party: scambiavano video a luci rosse, immagini pedopornografiche, scritte inneggianti a Adolf Hitler, Benito Mussolini, all’Isis e postavano frasi choc contro migranti ed ebrei.”

Ragazzi, fra gestori e utenti della chat vanno dai 13 ai 19 anni ma sono in maggioranza minorenni che “normalmente non si conoscevano tra di loro ma che condividevano l’inconfessabile segreto di provar gusto in maniera più o meno consapevole nell’osservare quelle immagini di orribili violenze: una neonata di nemmeno un anno seviziata da un adulto, oppure una bambina dall’apparente età di 11 anni mentre fa sesso con due ragazzini, forse di poco più grandi di lei.”

La Procura parla di: “detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico, istigazione all’apologia di reato avente per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali”. Se la madre di un tredicenne non avesse scoperto la pedopornografia sul cellulare del figlio e non avesse denunciato, le “scene di una brutalità inenarrabile” avrebbero continuato spensieratamente a circolare. “Abissi di degrado”, tuonano i giornalisti. E’ la “non tanto nuova quotidianità”, rispondo io: dalle cosiddette micro-aggressioni (commenti sessisti / sessualizzati, prese in giro sessiste /sessualizzate, interruzioni aggressive, appropriazione di voci e idee) alle palpate sui mezzi di trasporto e nei luoghi pubblici, dagli assalti nei locali e nelle case allo stupro e all’omicidio – dalla culla alla tomba, passando per il pc e il cellulare, bambine ragazze e donne sono i bersagli privilegiati. La violenza circonda e nutre di veleno maschi e femmine, è nel linguaggio che usiamo, negli “scherzi” (ironia, ironia, e fatevela una risata ogni tanto, prima che la violenza distrugga le vostre vite), nei messaggi dei media che oggettivano le donne e nelle norme di genere che imponiamo proprio a maschi e femmine, tanto per rendere infelici le esistenze di tutti.

La frequente esposizione alla violenza produce un adattamento emotivo: diventa qualcosa di abituale, di “normale”, e l’osservarla è lungi dal fornire uno sfogo mediante aggressioni “simboliche” (che però per chi le subisce nei video sono maledettamente reali): tutte le ricerche effettuate finora dicono l’esatto contrario e cioè che l’esposizione ripetuta alla violenza tende a facilitare l’espressione della stessa. Se poi la violenza è socialmente legata ai concetti di mascolinità, forza, vittoria, sesso, ecc. è inevitabile che spunti di continuo in ogni nostra interazione sociale. Questo è il vero abisso di degradazione collettiva che dobbiamo trasformare e superare.

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28/29 settembre 2019, cronaca:

1. “Giorgio Pinchiorri, 75 anni, sommelier di fama internazionale e titolare dell’Enoteca di via Ghibellina a Firenze, è indagato per stalking. Pinchiorri da anni molesterebbe una sua giovane ex dipendente (33enne) che adesso lavora in un altro ristorante del centro storico di Firenze. La ragazza lo ha denunciato più volte e la questura aveva diffidato il sommelier dall’avvicinarla. Ma lui qualche giorno fa è andato di nuovo a cercarla. (…)

La donna era appena uscita dal lavoro, da un ristorante nella zona di Ponte Vecchio, e si stava avviando verso casa in compagnia del fidanzato che, consapevole del passato, la accompagna al ristorante e a casa al termine del turno. Ma, secondo quanto ricostruito, la presenza del fidanzato non avrebbe fatto desistere il 75enne che la stava aspettando sul marciapiede.”

Gli ha detto di no, gli ha ripetuto di no, si è licenziata per non aver più nulla a che fare con lui, lo ha ripetutamente denunciato, va e torna dal lavoro scortata dal compagno: niente, il signore non recepisce i messaggi, ma non perché ha il cervello affumicato da decenni di costosi aromi vinosi – nello scenario patriarcale che ripete ossessivamente il rifiuto di una donna non è previsto, è inconcepibile, bisogna solo insistere perché se l’hai scelta è già tua. Infatti, è dal 2008 che la faccenda va avanti.

2. “Botte e umiliazioni alla compagna, arrestato a Milano al termine di una lite Marco Sarcinelli, 47enne top manager di una nota banca italiana e figlio dell’economista Mario. (…) La donna, con cui Sarcinelli ha avuto due figli, ha spiegato agli agenti che già in passato, dopo liti sempre più manesche, aveva chiesto l’intervento dei carabinieri del Radiomobile. Una volta anche nella loro residenza romana. Ma ogni volta aveva minimizzato, per paura, e non aveva denunciato. (…) Ieri mattina, nel carcere di San Vittore, si è svolto l’interrogatorio di convalida. E davanti al giudice Sarcinelli avrebbe ammesso di aver colpito la donna e di avere dei problemi di dipendenza dall’alcol, ma anche di volersi curare.”

E’ stato il bottiglione, insomma. Gli faceva menare le mani, gli muoveva la lingua in insulti, gli hackerava le mani che scrivevano “troia” sui social media della compagna, lo aveva convinto che lei fosse una schifosa infedele. Però adesso siamo tutti tranquilli e soddisfatti, il tipo ha capito che la salute (la sua) è importante e si curerà. Quanto ci vorrà per guarire alla donna che ha torturato per anni è irrilevante. E francamente non importa un piffero a nessuno.

Se quelli sopra sono gli anziani e gli adulti (ricchi) questi di seguito sono i giovani spiantati:

3. “Bazzano (Bologna), a 11 anni viene aggredita e palpeggiata in stazione. Un ventenne italiano arrestato per violenza sessuale aggravata.”

4. “Milano, ragazzina di 17 anni molestata sul tram e minacciata con una mannaia: «Sei violentabile». Arrestato l’aggressore 24enne (nda: italiano pure lui, a scanso di equivoci).”

In ambo i casi, la bambina e la ragazza hanno reagito, hanno cercato di fuggire e sono state inseguite dagli assalitori. Ma sapete, uno a detta dei testimoni sembrava “fatto” e l’altro ha precedenti penali, per cui il giro è completo: dal finissimo sommelier al coatto di periferia, la fratellanza dei virili predatori patriarcali non può avere fondamento diverso dalla violenza. Purtroppo, nessuno di costoro dichiara di volersi curare da quest’ultima, che è la loro vera tossicodipendenza.

Maria G. Di Rienzo

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(“Women calling out street harassment with chalk messages” di Haneen Al-Hassoun per CBC News, 30 agosto 2019, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)

Due donne di Ottawa stanno sfidando le molestie in strada usando i gessetti sui marciapiedi per documentare gli incidenti nel punto preciso in cui sono accaduti, con le stesse parole che sono state usate.

Natasha, 22enne, ha dato inizio a Cat Calls di Ottawa nello scorso aprile assieme a sua sorella Maya, 18enne. La CBC ha concordato con loro di usare solo i loro nomi propri giacché le due hanno ricevuto minacce tramite l’account Instagram su cui le donne sono invitate a pubblicare i loro resoconti delle molestie in strada.

Natasha trascrive poi gli insulti parola per parola sulle pavimentazioni e mette le fotografie online (con l’hashtag #StopStreetHarassment – Ferma le molestie in strada). Lei dice che i passanti sono spesso scioccati quando vedono i messaggi, perché si aspettavano qualcosa di più leggero.

“Quando ti avvicini e vedi cose che possono essere del tipo “Voglio fotterti” la cosa ti disturba notevolmente. Induce le persone a fermarsi sul loro percorso e a sentirsi a disagio e, forse, a provare le stesse sensazioni di chi è stata molestata.”

how much

(Quanto vuoi?)

Cat Calls di Ottawa fa parte di un’iniziativa globale dal nome “Chalk Back” – “Ribatti a gessetti”, a cui ha dato inizio Sophie Sandberg a New York. Ispirate dal suo esempio, Natasha e Maya ne hanno aperto una sezione locale, ora una delle circa 150 in giro per il mondo.

Natasha invita le donne che sono state molestate a unirsi a lei quando si avventura fuori con i suoi gessetti: “L’intera nostra visione di Cat Calls di Ottawa è creare un senso di solidarietà e alleanza. Perciò chi è stata molestata può venire con noi per sentire di star reclamando lo spazio in cui è accaduto.”

Natasha stessa ha subito molestie e le ha documentate: “Ti fa sentire non sicura nella tua stessa comunità. Non è una bella sensazione. Perciò, quando vai fuori e usi i gessetti ciò ti dà un modo di ribattere e di riguadagnare potere.” Natasha dice che da quando ha aperto l’account, Cat Calls di Ottawa riceve 2/3 segnalazioni al giorno. (1) Il suo scopo? Metterli via, i gessetti, e “essere certa che non vi siano più molestie in strada, a Ottawa e nel mondo intero”.

(1) Di quelle che ho visto, una mi ha colpito in modo particolare. Riguarda un uomo sui 60/70 anni che ha indirizzato queste parole a una perfetta sconosciuta: “Il tuo corpo sembra niente male per una bambina”. Chi ha ricevuto la molestia ha scritto a Cat Calls: “Sono abituata alle molestie in strada ma questa finora è la peggiore. Ho 14 anni.”

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“State per leggere le voci inascoltate e le potenti prospettive che servono a dare luogo a vera sicurezza globale. Quando così tanta della popolazione mondiale non può realizzare il proprio potenziale a causa della violenza, della povertà, della cattiva salute e dell’esclusione dal potere e dal processo decisionale, non ci sarà mai vera pace ne’ sicurezza duratura. La soluzione può essere trovata solo ascoltando coloro che portano il peso di queste minacce e agendo secondo le loro raccomandazioni. Le seguenti intuizioni vengono da donne di oltre sessanta paesi. Alcune di loro, come quelle che si trovano in Camerun, sono nel mezzo di un conflitto attivo. Altre, come quelle che si trovano nelle Filippine, stanno facendo esperienza delle minacce immediate del cambiamento climatico. Ancora di più, come in India, Nepal, Nigeria e Stati Uniti ecc., sono quelle che affrontano le minacce giornaliere delle molestie, delle aggressioni e delle limitazioni loro poste in sola ragione del loro genere. I loro messaggi sono urgenti; le loro raccomandazioni inestimabili. Prese insieme, queste orgogliose e competenti voci chiedono niente di meno che una ridefinizione fondamentale della sicurezza globale, nazionale e umana. Propongono inoltre passi pratici per risolvere il complesso e interconnesso intreccio che compromette detta sicurezza. La riformulazione non è idealistica. E’ realistica. Non è inattuabile, ma ragionevole e certa.” Jensine Larsen, fondatrice di World Pulse, così presenta il rapporto su Donne, Pace e Sicurezza 2019, dal titolo “Il futuro della sicurezza sono le donne”.

report

Il rapporto è stato realizzato assieme ad altre due organizzazioni, Our Secure Future e Women’s Alliance for Security Leadership – ICAN, ha raccolto 350 testimonianze in tutto il mondo e utilizzato le narrazioni di 150 socie di World Pulse. Per avere il documento in pdf potete andare qui:

https://www.worldpulse.com/explore/peace-and-security/women-peace-and-security-report-2019

I punti chiave che emergono dallo studio:

* A vent’anni dalla Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che dava mandato per l’inclusione delle donne nei processi di pace, le donne restano fuori dai processi decisionali su pace e sicurezza.

* Le donne vogliono una ridefinizione del termine “sicurezza”. Nel rapporto la definiscono in modo olistico e inclusivo. Non si tratta solo dell’assenza di paura, minacce e violenza, ma della presenza stabile di solidità finanziaria, accesso alle necessità basilari, legame comunitario, ambiente ecologicamente sano, giustizia, e molto altro.

* Le donne hanno espresso il forte desiderio di essere libere dal persistente timore della violenza di genere nelle loro vite: in casa, per strada, sui trasporti pubblici, nei luoghi di lavoro, ovunque.

* La sicurezza delle famiglie e di altri soggetti vulnerabili è una priorità situata molto in alto nell’agenda. Le donne sono preoccupate per i bambini e per coloro che sono più direttamente colpiti dalla violenza in relazione alla loro sessualità, al loro gruppo etnico, alla loro classe sociale, alla loro nazionalità, alla loro età e alla loro abilità fisica.

* Le donne vogliono il rispetto dei diritti umani, loro e altrui. La loro percezione di insicurezza è risultata legata a esperienze di discriminazione e diseguaglianza a scuola e al lavoro, così come al poter esercitare o meno libera espressione nelle loro vite.

* Grave la preoccupazione per l’ambiente. Le donne hanno citato il cambiamento climatico, la degradazione degli ecosistemi, la perdita di risorse naturali, i disastri ambientali come contributi fondamentali all’insicurezza.

* Le donne dicono che istituzioni politiche corrotte e inaffidabili minano proprio la sicurezza che affermano di voler conseguire. Politiche che danno priorità a violenza e potere ed escludono le donne e le loro istanze non portano beneficio alcuno.

Maria G. Di Rienzo

“Sogno un tempo

in cui il suono

del mio piede che cala

su una strada buia

non porterà più con sé

l’eco del panico,

ma il risonante battito

della libertà”

Daydri, socia di World Pulse, sudafricana che vive in Romania.

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Unsafe

Dal mese scorso è disponibile “Unsafe in the City”, una ricerca di Plan International che ha toccato cinque grandi città (Lima, Madrid, Kampala, Delhi e Sydney) per cercare di rispondere a questa domanda:

Perché le molestie in strada agite da gruppi di uomini verso le donne sono spesso viste come innocue, parte del normale e lecito comportamento maschile, quando in effetti per le bambine (1) e le giovani donne possono essere terrorizzanti, limitanti e lesive?

“Una cosa è chiara – si dice nell’introduzione alla ricerca – se le molestie pubbliche fatte a bambine e giovani donne devono cessare è essenziale che il comportamento maschile, non quello femminile, cambi. Le bambine e le giovani donne non sono responsabili delle molestie che affrontano perché sono fuori a tarda ora o perché camminano da sole, ma perché gli uomini si sentono legittimati a toccare, fischiare, fare commenti e minacciare.”

Alcuni risultati della ricerca:

* Le dinamiche di gruppo sembrano aggravare e normalizzare la violenza di genere e le molestie: le bambine e le giovani ci hanno detto quanto gravi, persistenti e spaventose le molestie siano.

* Ragazzi e uomini avallano il comportamento aggressivo in gruppi, forse temendo che essi stessi sarebbero presi a bersaglio o ostracizzati se dovessero esprimersi contro di esso.

* Le molestie in strada perpetrate da gruppi di uomini e ragazzi sono in modo schiacciante di natura sessuale.

* L’aggressione verbale è la forma più comune delle molestie in strada perpetrate da gruppi nelle città prese in esame.

* Gruppi di uomini e ragazzi di frequente seguono bambine e giovani donne: una forma particolarmente spaventosa di intimidazione che spesso le induce a correre o a cercare di nascondersi dai perpetratori.

* In stragrande maggioranza, le molestie fatte in gruppo avvengono nelle strade cittadine mentre bambine e giovani donne stanno semplicemente facendo le cose di tutti i giorni.

* In alcune città, un disturbante ammontare di molestie accade negli edifici scolastici e attorno a essi, con gruppi di uomini e ragazzi che si radunano per prendere di mira donne e bambine non appena costoro arrivano, se ne vanno od oltrepassano i gruppi camminando.

* Le molestie di gruppo sono ripetitive: spesso si danno alla stessa ora, nello stesso luogo, ogni giorno.

* I gruppi che molestano sovente vedono la cosa come forma di intrattenimento e divertimento – lo stringere legami fra maschi – con scarsa o nessuna considerazione per il bersaglio dell’abuso.

* I testimoni non sono propensi a intervenire e in alcuni casi incoraggiano effettivamente il comportamento dei perpetratori.

Alcune raccomandazioni chiave:

* Gli uomini e i ragazzi devono riconoscere che il loro comportamento è intollerabile e cambiarlo, imparando a rispettare bambine e donne come loro eguali: opponendosi attivamente alla cultura dell’abuso verbale e fisico, non restando in silenzio.

* Conversazioni a tutti i livelli sociali – a casa, a scuola e al lavoro – dovrebbero essere usate sia per educare sia per rimproverare i perpetratori.

* Le campagne dirette all’opinione pubblica devono rendere chiaro che le molestie di gruppo non dovrebbero far parte della vita “normale” di bambine e giovani donne. Assieme all’incoraggiamento dell’empatia maschile, bisogna chiaramente denunciare i comportamenti disturbanti e dannosi.

* Le bambine e le giovani donne devono essere ascoltate in merito su base regolare: da chi ha posizioni di potere e autorità nelle città, a tutti i livelli, per disegnare assieme ad esse i servizi e le politiche comunali; da scuole e posti di lavoro per riconoscere e affrontare le questioni che impediscono loro di svolgere normalmente le loro vite quotidiane; da polizia, personale dei trasporti pubblici, agenzie di sicurezza: è necessario che l’impegno a rendere più sicure le città per bambine e giovani donne sia pubblico.

Maria G. Di Rienzo

(1) Ho scelto di tradurre “girls” come bambine anziché come ragazze (ambo le opzioni sono corrette) perché nello studio con detto termine ci si riferisce a minorenni.

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L’addestramento comincia presto. Ti buttano giù dalla branda quando sei così piccola che hai appena capito di stare al mondo. In compenso, dopo un po’ di umiliazioni, capisci anche rapidamente in che razza di mondo sei. Arrivata agli 11 anni, l’età delle protagoniste delle storie che sto per raccontare, dev’esserti chiaro cosa significa essere femmina. I tuoi istruttori ce la mettono tutta affinché tu comprenda che è una condizione vergognosa.

1. Gran Bretagna, Bristol, scuola media Cotham. Un’alunna torna a casa tirandosi il maglione sotto le ginocchia. I suoi jeans sono intrisi di sangue in modo assai visibile. Sebbene abbia chiesto di poter andare al bagno durante la lezione, sapendo che le erano venute le mestruazioni, l’insegnante (donna) ha rifiutato di lasciarla andare. La ragazzina è scossa e ferita, la madre protesta con la scuola – potrebbe finire lì, se la direzione scolastica volesse, se facesse le sue scuse all’allieva e garantisse un trattamento diverso a lei e alle altre ragazze, come una brutta vicenda ridimensionata dalla comprensione e dal rispetto. Ma dopo un paio di mesi la cosa si ripete.

Questa volta l’insegnante è maschio e nega ripetutamente il permesso di uscire di classe all’allieva. Segna “demeriti” accanto al suo nome scritto sulla lavagna ogni volta in cui lei reitera la richiesta. Non solo: la minaccia dicendo che se osa chiedere di andare al bagno durante la lezione un’altra volta, lui le assegnerà il demerito definitivo e lei sarà mandata per punizione nella classe di studio supplementare. Di nuovo, la ragazzina torna a casa cercando di coprire come può le macchie di sangue. La sua reazione comprensibile e spontanea è che non vorrebbe più tornare a scuola.

E’ a questo punto che la madre, oltraggiata, rende pubblica la storia: “Come può accadere una cosa simile al giorno d’oggi, in quest’epoca, quando ci sono un mucchio di informazioni disponibili e si suppone che noi si sia più aperti nel parlare degli aspetti della salute femminile, incluso il ciclo mestruale?”. La donna è sbalordita perché quando lei stessa e le sue due sorelle erano scolare non è capitato loro nulla del genere. Come molte di noi, pensava di essersi lasciata alle spalle almeno l’equazione mestruazioni = sporcizia/vergogna.

Il portavoce dell’istituto spiega quindi alla stampa come il non lasciar uscire di classe gli alunni durante le lezioni sia “un regolamento” che trova la sua ragione nel fatto di non lasciare i minori “incustoditi”: inoltre, loro hanno permesso all’organizzazione umanitaria “Red Box Project” di installare distributori gratuiti di assorbenti ed è davvero “spiacevole” che la scuola sia ritratta in modo negativo quando “sta tentando di fare buon lavoro in questo campo”. Giusto, sta tentando, non c’è ancora riuscita. Ma c’è di meglio (le sottolineature sono mie): “Rispetto a questo specifico incidente abbiamo comunicato in diverse occasioni con la madre e la ragazzina e abbiamo rilasciato una tessera-bagno, come da regolamento scolastico, così che ciò non succeda di nuovo. La tessera-bagno può essere mostrata con discrezione all’insegnante, che non richiederà ulteriori spiegazioni.”

Il portavoce assicura che simili tessere sono già in uso per diversi studenti che hanno delle particolari “condizioni”. Sì, è davvero tutto risolto. Hanno parlato con madre e figlia e non hanno capito una beata mazza. La ragazzina andrà con fare furtivo alla cattedra, si toglierà il tesserino di tasca contorcendosi affinché nessun altro lo veda e lo farà apparire davanti agli occhi del docente dando le spalle al resto delle classe. I due si scambieranno uno sguardo d’intesa in perfetto silenzio e l’allieva uscirà fra i bisbigli o i pensieri inespressi dei compagni e delle compagne: “Ok, Sally – nome a caso – ha le sue cose.” “Non è che è malata invece?” “Ma le mestruazioni non sono una malattia, giusto?” “Chissà perché c’è bisogno di tutta questa manfrina.” “Sì, non possono semplicemente lasciarci pisciare o mettere un tampone quando ne abbiamo bisogno, porca miseria?”

“Mia figlia è solo una fra le migliaia di ragazze nelle scuole di Bristol e del paese, – ha detto ancora la madre – perciò questo non sta accadendo solo a lei e non è accettabile. La preoccupazione principale dovrebbe riguardare il benessere delle ragazze che hanno il diritto fondamentale a prendersi cura di se stesse e non essere concentrata sul fatto che i bambini abusino di una sorta di sistema di permessi.” Ne’ la signora ne’ sua figlia hanno ricevuto scuse dalla scuola, nonostante fosse stato fatto intendere alla ragazzina che la “colpa” era sua.

2. Stati Uniti, New York, scuola media non nominata. La madre di una undicenne riceve una chiamata da un’amica: “Tua figlia è su Snapshot.” La ragazzina stava tornando da scuola, in compagnia di un altro alunno, quando un nutrito gruppo di adolescenti si è fatto avanti. Il supposto “amico” dell’undicenne comincia a filmare non appena costoro appaiono in fondo alla strada.

I bulli circondano la ragazzina e la molestano sessualmente. Lei reagisce: “Non voglio fare niente. Non so chi siete.” “Puoi sapere chi siamo se ti metti il mio cazzo in bocca.”, risponde uno degli assalitori. Il suo negarsi scoccia i giovani farabutti, per cui: uno sputa in una bottiglia d’acqua, gliela rovescia in testa e poi gliela tira contro; un secondo le getta addosso uno zainetto; entrambi la prendono a pugni. La ridicolizzano, la insultano, si congratulano l’un l’altro per quel che stanno facendo, ridono a crepapelle. Il compagno “amico”, quattordicenne, posta il tutto per l’edificazione di ulteriori stronzi. Se la madre non avesse ricevuto la telefonata summenzionata, non avrebbe saputo niente. La figlia non le aveva parlato dell’accaduto. L’aggressione fisica, la sessualizzazione coatta, l’oggettivazione del suo corpo, la spettacolarizzazione della sua sofferenza e della sua paura, il tradimento della sua fiducia, le avevano già reso chiaro di chi era la colpa.

La madre ha fatto regolare denuncia alla polizia. Il cineasta in erba è stato arrestato, accusato di aggressione e condotta pericolosa. Gli altri li stanno ancora identificando e uno è latitante. L’intera famiglia della vittima, dopo aver ricevuto ripetute minacce dai bulli e dai loro genitori, intende spostarsi dal quartiere. La ragazzina, bersaglio principale delle intimidazioni, è stata mandata per precauzione da parenti in Virginia.

L’addestramento comincia presto. Fa a pezzi la tua vita e ti costringe a buttare energie nella guarigione e nella ricostruzione di prospettive. Ma in che altro modo sapresti cosa significa veramente essere femmina?

Maria G. Di Rienzo

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(A Letter To All The “Good Men,” From The “Angry Women”, di Desdemona Dallas per Bust, 27 novembre 2018, trad. Maria G. Di Rienzo.)

busta

Questa è una lettera a tutti i bravi uomini. A tutti gli uomini che non hanno mai assalito una donna. A tutti gli uomini che amano le loro madri, le loro nonne, le loro zie. A tutti gli uomini che non si sono mai ubriacati alle superiori o non hanno mai toccato una ragazza quando lei ha detto di non voler essere toccata. A tutti gli uomini che pensano che amare le donne sia sufficiente a far sì che le donne non siano ferite.

Durante il movimento #MeToo, avete detto di star tentando di capire cosa noi abbiamo passato, quale pericolo si è generato per mano dei vostri colleghi o persino dei vostri amici. Durante il movimento, avete ascoltato radio e podcast, letto le notizie, e lentamente avete cominciato a vedere i vostri più grandi eroi cadere a causa delle donne che hanno aggredito. Forse a questo punto avete deciso che era una lotta da donne. Forse non avete visto un posto vostro nella conversazione.

Mentre guardavate i notiziari e gesticolavate pensando se stare al nostro fianco fosse o no la cosa giusta da fare per voi, noi stavamo di fronte alle giurie nei tribunali, di fronte agli ubriachi, di fronte a voi, chiedendovi di rispettare il nostro corpo, i nostri diritti, la nostra necessità di ascolto.

Mentre guardavate il nostro paese in procinto di essere divorato da un misogino “acchiappa-passere”, noi siamo andate in terapia. Abbiamo smesso con le notizie. Siamo rimaste chiuse nei bagni tremando, aspettando che il discorso di inaugurazione finisse. Noi abbiamo atteso ogni notte che l’incubo finisse, solo per svegliarci e trovare un altro uomo mostruoso sul podio.

Voi volete essere alleati, però ve ne state a bordo campo aspettando che un cambiamento accada. Noi abbiamo bisogno che voi siate schierati dove noi lo siamo. Abbiamo bisogno che siate migliori. Perché noi lo siamo state. Abbiamo parlato apertamente. Abbiamo fatto quel che potevamo. Mentre voi aspettavate negli angoli e ai margini, insicuri su cosa dire per creare un cambiamento durevole.

Ma noi non potevamo aspettare. Non avevamo tempo. Perché mentre voi temporeggiavate sul decidere se manifestarvi o no come alleati per l’eguaglianza e per il rispetto dei nostri corpi, noi eravamo stuprate, assalite, abusate, molestate per strada. Non è sufficiente che voi prendiate i vostri privilegi e vi nascondiate con essi in un angolo. Le donne “arrabbiate” da sole non possono convincere i poteri patriarcali a vederci come eguali.

C’è una parte di noi “donne arrabbiate” che prova sollievo, perché finalmente abbiamo raccontato le nostre storie e di come altre donne attorno a noi abbiamo avuto esperienze simili. Ma più profonda di ciò, della parte di noi che trova conforto, c’è la paura di non star cambiando nulla. Perché le donne sono ancora costrette a ergersi fieramente davanti alla nazioni e parlare dei propri traumi affinché noi si sia prese sul serio.

Tutto quel che stiamo chiedendo, per quel che riguarda l’aggressione sessuale e le molestie, è che voi smettiate di sostenere con il vostro silenzio lo stupro delle donne. Vi stiamo chiedendo di credere a noi donne quando diciamo che qualcuno si è fatto strada a forza dentro di noi. Stiamo chiedendo che quando qualcuno mette il proprio corpo sopra o dentro il nostro senza il nostro permesso voi stiate al nostro fianco, non contro di noi, nell’assicurare che tal persona sia trattata con lo sdegno che merita.

Il tuo silenzio non causa problemi e tu non hai mai fatto male a nessuno con la tua cortesia, tu bravo ragazzo. Ma il tuo silenzio permette agli orrori del mondo di continuare, perché non è più abbastanza che tu te ne stia seduto quietamente ai margini aspettando il cambiamento. Devi alzarti in piedi e chiedere cambiamento al nostro fianco. Cordialmente, le Donne Arrabbiate

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Siamo in India, Triveniganj, nell’area sportiva di un collegio statale femminile. E’ sabato sera (6 ottobre u.s.) e molte ragazze stanno giocando in quello spazio. La loro età va dai 10 ai 14 anni.

Un gruppo di ragazzi si avvicina e comincia a lanciare loro commenti osceni, insulti e inviti a sfondo sessuale. Non è la prima volta, i tipi quelle cose le scrivono persino sui muri della scuola e le allieve hanno già tentato di denunciare alla polizia la situazione: senza essere prese sul serio.

Sabato reagiscono alle molestie, rispondono con fermezza e inizialmente il gruppo di delinquenti in erba si ritira. Venti minuti dopo ritornano, alcuni in compagnia dei genitori, armati di canne di bambù e sbarre di ferro.

“Ci hanno trascinate in giro tirandoci per le code di capelli, ci hanno assalite con i bastoni, ci hanno prese a calci e pugni. – ha dichiarato Gudia, una delle 36 ragazzine finite in ospedale dopo l’aggressione – Eravamo totalmente indifese e non avevamo nulla con cui proteggerci. Molte delle mie amiche erano distese per terra, gridavano e piangevano per il dolore dei colpi.”

Gudia sa bene perché è successo: “Erano arrabbiati perché avevamo protestato contro le loro richieste sessuali.”

La polizia ha per il momento arrestato 6 giovanotti e una donna adulta; una recinzione più alta sarà piazzata intorno all’area e – in modo impagabile – il magistrato del distretto ha assicurato alla stampa che, per contrastare la “paura psicologica” di cui le vittime dell’assalto a suo parere “sono affette”, manderà alla scuola dei “bei film di intrattenimento”.

Lo stesso giorno in cui la notizia raggiunge la stampa internazionale, lunedì 8 ottobre, sono resi pubblici i risultati di una ricerca di Plan International UK (che si occupa di aiuto umanitario ai bambini) sulle ragazze inglesi in età scolastica:

– il 66% delle intervistate ha attestato di aver fatto esperienza di attenzione sessuale indesiderata o di contatti sessuali / fisici indesiderati negli spazi pubblici;

– bambine di 8 anni hanno descritto l’aver testimoniato o l’aver fatto esperienza di molestie;

– più di una ragazza su tre ha ricevuto attenzione sessuale indesiderata come l’essere palpata, il sentirsi indirizzare commenti, fischi eccetera;

– un quarto delle ragazzine hanno detto di essere state filmate o fotografate da estranei senza che fosse richiesto il loro permesso;

– la maggioranza delle intervistate indossava l’uniforme della propria scuola quando si sono dati gli episodi summenzionati.

Dall’India al Regno Unito ci sono 7.544 chilometri di distanza. Ma la “cultura” della violenza è identica, le giustificazioni per essa sono identiche, la sofferenza delle donne e delle bambine è identica.

E’ interessante come le ragazze inglesi, alla pari delle indiane, sappiamo con chiarezza perché tutto ciò accade e abbiano aggiunto commenti di questo tipo: “Le molestie fanno parte della cultura maschile. Quando ne ho parlato a mio padre lui ha detto: Lo sai come sono fatti gli uomini.”

Perciò che puoi fare, figlia mia, se non subire, sopportare, al massimo limitare i danni, acconsentire, sorridere, essere insultata, molestata, picchiata, stuprata, persino uccisa… e “rispettare” con ciò la loro “cultura”?

Grazie, no. Se è maleducato opporsi a tutto questo, io sono e sarò cafona sin che vivo, al massimo livello che la mia mente e il mio corpo consentono.

Maria G. Di Rienzo

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