L’addestramento comincia presto. Ti buttano giù dalla branda quando sei così piccola che hai appena capito di stare al mondo. In compenso, dopo un po’ di umiliazioni, capisci anche rapidamente in che razza di mondo sei. Arrivata agli 11 anni, l’età delle protagoniste delle storie che sto per raccontare, dev’esserti chiaro cosa significa essere femmina. I tuoi istruttori ce la mettono tutta affinché tu comprenda che è una condizione vergognosa.
1. Gran Bretagna, Bristol, scuola media Cotham. Un’alunna torna a casa tirandosi il maglione sotto le ginocchia. I suoi jeans sono intrisi di sangue in modo assai visibile. Sebbene abbia chiesto di poter andare al bagno durante la lezione, sapendo che le erano venute le mestruazioni, l’insegnante (donna) ha rifiutato di lasciarla andare. La ragazzina è scossa e ferita, la madre protesta con la scuola – potrebbe finire lì, se la direzione scolastica volesse, se facesse le sue scuse all’allieva e garantisse un trattamento diverso a lei e alle altre ragazze, come una brutta vicenda ridimensionata dalla comprensione e dal rispetto. Ma dopo un paio di mesi la cosa si ripete.
Questa volta l’insegnante è maschio e nega ripetutamente il permesso di uscire di classe all’allieva. Segna “demeriti” accanto al suo nome scritto sulla lavagna ogni volta in cui lei reitera la richiesta. Non solo: la minaccia dicendo che se osa chiedere di andare al bagno durante la lezione un’altra volta, lui le assegnerà il demerito definitivo e lei sarà mandata per punizione nella classe di studio supplementare. Di nuovo, la ragazzina torna a casa cercando di coprire come può le macchie di sangue. La sua reazione comprensibile e spontanea è che non vorrebbe più tornare a scuola.
E’ a questo punto che la madre, oltraggiata, rende pubblica la storia: “Come può accadere una cosa simile al giorno d’oggi, in quest’epoca, quando ci sono un mucchio di informazioni disponibili e si suppone che noi si sia più aperti nel parlare degli aspetti della salute femminile, incluso il ciclo mestruale?”. La donna è sbalordita perché quando lei stessa e le sue due sorelle erano scolare non è capitato loro nulla del genere. Come molte di noi, pensava di essersi lasciata alle spalle almeno l’equazione mestruazioni = sporcizia/vergogna.
Il portavoce dell’istituto spiega quindi alla stampa come il non lasciar uscire di classe gli alunni durante le lezioni sia “un regolamento” che trova la sua ragione nel fatto di non lasciare i minori “incustoditi”: inoltre, loro hanno permesso all’organizzazione umanitaria “Red Box Project” di installare distributori gratuiti di assorbenti ed è davvero “spiacevole” che la scuola sia ritratta in modo negativo quando “sta tentando di fare buon lavoro in questo campo”. Giusto, sta tentando, non c’è ancora riuscita. Ma c’è di meglio (le sottolineature sono mie): “Rispetto a questo specifico incidente abbiamo comunicato in diverse occasioni con la madre e la ragazzina e abbiamo rilasciato una tessera-bagno, come da regolamento scolastico, così che ciò non succeda di nuovo. La tessera-bagno può essere mostrata con discrezione all’insegnante, che non richiederà ulteriori spiegazioni.”
Il portavoce assicura che simili tessere sono già in uso per diversi studenti che hanno delle particolari “condizioni”. Sì, è davvero tutto risolto. Hanno parlato con madre e figlia e non hanno capito una beata mazza. La ragazzina andrà con fare furtivo alla cattedra, si toglierà il tesserino di tasca contorcendosi affinché nessun altro lo veda e lo farà apparire davanti agli occhi del docente dando le spalle al resto delle classe. I due si scambieranno uno sguardo d’intesa in perfetto silenzio e l’allieva uscirà fra i bisbigli o i pensieri inespressi dei compagni e delle compagne: “Ok, Sally – nome a caso – ha le sue cose.” “Non è che è malata invece?” “Ma le mestruazioni non sono una malattia, giusto?” “Chissà perché c’è bisogno di tutta questa manfrina.” “Sì, non possono semplicemente lasciarci pisciare o mettere un tampone quando ne abbiamo bisogno, porca miseria?”
“Mia figlia è solo una fra le migliaia di ragazze nelle scuole di Bristol e del paese, – ha detto ancora la madre – perciò questo non sta accadendo solo a lei e non è accettabile. La preoccupazione principale dovrebbe riguardare il benessere delle ragazze che hanno il diritto fondamentale a prendersi cura di se stesse e non essere concentrata sul fatto che i bambini abusino di una sorta di sistema di permessi.” Ne’ la signora ne’ sua figlia hanno ricevuto scuse dalla scuola, nonostante fosse stato fatto intendere alla ragazzina che la “colpa” era sua.
2. Stati Uniti, New York, scuola media non nominata. La madre di una undicenne riceve una chiamata da un’amica: “Tua figlia è su Snapshot.” La ragazzina stava tornando da scuola, in compagnia di un altro alunno, quando un nutrito gruppo di adolescenti si è fatto avanti. Il supposto “amico” dell’undicenne comincia a filmare non appena costoro appaiono in fondo alla strada.
I bulli circondano la ragazzina e la molestano sessualmente. Lei reagisce: “Non voglio fare niente. Non so chi siete.” “Puoi sapere chi siamo se ti metti il mio cazzo in bocca.”, risponde uno degli assalitori. Il suo negarsi scoccia i giovani farabutti, per cui: uno sputa in una bottiglia d’acqua, gliela rovescia in testa e poi gliela tira contro; un secondo le getta addosso uno zainetto; entrambi la prendono a pugni. La ridicolizzano, la insultano, si congratulano l’un l’altro per quel che stanno facendo, ridono a crepapelle. Il compagno “amico”, quattordicenne, posta il tutto per l’edificazione di ulteriori stronzi. Se la madre non avesse ricevuto la telefonata summenzionata, non avrebbe saputo niente. La figlia non le aveva parlato dell’accaduto. L’aggressione fisica, la sessualizzazione coatta, l’oggettivazione del suo corpo, la spettacolarizzazione della sua sofferenza e della sua paura, il tradimento della sua fiducia, le avevano già reso chiaro di chi era la colpa.
La madre ha fatto regolare denuncia alla polizia. Il cineasta in erba è stato arrestato, accusato di aggressione e condotta pericolosa. Gli altri li stanno ancora identificando e uno è latitante. L’intera famiglia della vittima, dopo aver ricevuto ripetute minacce dai bulli e dai loro genitori, intende spostarsi dal quartiere. La ragazzina, bersaglio principale delle intimidazioni, è stata mandata per precauzione da parenti in Virginia.
L’addestramento comincia presto. Fa a pezzi la tua vita e ti costringe a buttare energie nella guarigione e nella ricostruzione di prospettive. Ma in che altro modo sapresti cosa significa veramente essere femmina?
Maria G. Di Rienzo