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Posts Tagged ‘scuola’

Qualche anno fa, qui abbiamo visto online un film giapponese di cui, purtroppo, non riesco a ricordare il titolo. (1) Trattava di un gruppo di adolescenti e della loro stagione di follie, messe in atto a scuola e fuori, nel 1969. Sebbene il registro sia dichiaratamente leggero – si ride parecchio – il film innesca spunti di riflessione sul rapporto che nel contesto i ragazzi avevano con le autorità e con la società in generale. Ovviamente, vista l’età dei protagonisti, la storia ha anche a che fare con la scoperta del sesso e il desiderio.

C’è una scena che è entrata nel nostro lessico familiare, nel senso che la usiamo come paragone per persone / casi somiglianti: vede uno dei ragazzi tenere banco fra gli amici con il clamoroso racconto di un rapporto sessuale con una donna adulta.

Costei – una perfetta sconosciuta per il narratore – arriva su un’auto sportiva, adocchia il fanciullo, se lo porta in albergo, gli pratica una fellatio ed è così straordinariamente soddisfatta da ciò da lanciargli sul letto le chiavi dell’automobile, come premio. A questo punto gli altri ragazzi saltano addosso al narratore per malmenarlo un po’: la bugia è andata troppo oltre.

Ora, date uno sguardo a questo sublime parto letterario (è dell’anno scorso, ma ancora a maggio 2020 c’è chi lo recensisce così, con pensoso profluvio di puntini di sospensione: Bel libro… il primo è più profondo …. questo un po’ meno …. però da leggere):

tutto vero

Già dal titolo del capitolo la mia impressione è che il libro non sia solo uno spreco di carta e inchiostro, ma proprio un danno per il modo in cui esprime allegramente sessismo e oggettivazione. Tuttavia, come ho detto altre volte, se l’autore è già famoso di suo (e non importa perchéqui si tratta di un individuo che fra truffe, estorsioni, tentate corruzioni di funzionari di polizia ecc. ha una fedina penale sicuramente clamorosa) vogliamo negargli la pubblicazione di libri? Che sappia scrivere o no e di che cosa scriva è assolutamente irrilevante.

Il preclaro autore è infatti Fabrizio Corona, la casa editrice è Mondadori – in mano al gruppo Fininvest, presidente Marina Berlusconi – e il titolo dell’opera è “Non mi avete fatto niente”, che è quel che dicono i bambini petulanti quando ricevono un castigo.

C’è qualcuno che, in buona fede, crede al resoconto in immagine? Dopo la quinta elementare è davvero difficile cascarci. All’asilo Mondadori, infatti, responsabili e lettori non fanno una piega e la casa editrice presenta il libro sul proprio sito web con questo estratto:

“E ricordatevelo: non mi avete fatto niente, mi avete solo reso più ricco umanamente e culturalemente. Decidete voi se la mia vita è quella di un ragazzo fortunato o di un uomo che la fortuna l’ha dovuta rincorrere per non cadere. Non è stato facile ma… non mi avete fatto niente”

Così, “culturalemente” e senza punto che chiuda l’ultima frase.

Quindi, quando la suddetta casa editrice propone “iniziative per la scuola italiana” (Mondadori Education) e si dichiara “al fianco di insegnanti e studenti”, io mi domando legittimamente di che diamine siano fatti i “materiali e supporti (sic)” propinati agli/alle studenti e quanto vantaggio trarranno i/le docenti dall’ “aggiornamento” offerto loro:

“Mondadori Education promuove l’apprendimento permanente dei docenti, nella consapevolezza che il ruolo del docente sia un processo di consolidamento e di aggiornamento continuo delle singole competenze disciplinari ma soprattutto dei modelli di insegnamento.”

Mi dispiace, ma qui il verbo essere doveva essere declinato al presente indicativo, terza persona singolare: è.

Lo so. Imparare “è un processo continuo”: tieni duro, Mondadori, perché sembra che fino a questo momento tu non abbia imparato niente.

Maria G. Di Rienzo

(1) Mi è appena venuto in soccorso l’altro spettatore: il film si chiama proprio “69” ed è uscito nel 2004.

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Shanley Clemot Maclaren ha cominciato a contrastare il sessismo al liceo, assieme alla sua “amica di lotta” (così le due si definiscono) Hajar Errami, e lo ha fatto così bene da essere invitata a parlarne due anni fa con Marlene Schiappa, Segretaria di Stato francese per l’eguaglianza fra donne e uomini. Sono seguiti articoli e presenze televisive, ma il tutto strettamente concordato e monitorato – e se non soddisfacente rimandato o rigettato – dalle due giovani, tanto che alcuni pezzi su di loro avevano un incipit del tipo: “E’ più facile incontrare un Ministro che queste due ragazze”.

Shanley

Foto da Le Monde

In questi giorni Shanley ha di nuovo l’attenzione della stampa: ha infatti passato diverso tempo a tracciare e denunciare siti di “revenge porn” dopo aver notato un aumento di fotografie e video di ragazze nude sui social media, corredate dai loro nomi e dall’indicazione delle città in cui abitano.

Shanley ha rilevato che almeno 500 account di questo tipo, denominati “fisha” dal verbo afficher – svergognare, sono comparsi in Francia sin dall’inizio nel marzo scorso delle misure di quarantena contro il coronavirus.

Lavorando con un’avvocata e circa venti amiche/amici, la giovane femminista è riuscita a far cancellare più di 200 account esponendoli ai network di riferimento, alla polizia e al Ministero degli Interni. Da quando ha dato inizio in aprile alla campagna #stopfisha per rintracciare le vittime di questo tipo di pornografia e aiutarle a denunciare gli abusi, riceve ogni giorno messaggi di adolescenti depresse e in panico.

L’abuso online ha conseguenze serie, ha detto la 21enne Shanley ai giornali: “Le ragazze cominciano a pensare al suicidio, o sono picchiate dai loro familiari quando costoro vedono i contenuti espliciti che le riguardano. Una volta che sei etichettata come “troia” è finita. E quando queste ragazze torneranno a scuola è molto probabile che debbano subire molestie.”

Il primo amore di Shanley era un ragazzo astioso e violento, uso ad aggredirla fisicamente; quando mise fine alla storia, la giovane iniziò un percorso di riflessione: “Mi dissi che era ora di ricostruire me stessa. Pensavo fosse soltanto la classica relazione andata storta. E poi ho fatto un sacco di ricerche, scoperto migliaia di altre donne che avevano sofferto in vicende simili alla mia, e ho capito che non si trattava di qualcosa di personale, ma che era strutturale. Era una delle tante conseguenze del sessismo.

Maria G. Di Rienzo

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Questo è promettente: Alice Wu la regista-sceneggiatrice di “Saving Face” (“Salvare la faccia”, 2005) ha prodotto un nuovo film che sarà in onda su Netflix il 1° maggio prossimo.

Alice Wu è nata il 21 aprile 1970 negli Stati Uniti, figlia di migranti provenienti da Taiwan, e la sua prima opera autobiografica trattava del fare coming out come lesbica nella comunità cinese-americana. All’epoca, disse: “Mi auguro che il pubblico abbia la sensazione che, al di là di chi ciascuno è, che sia gay o etero, o qualsiasi sia il suo retroscena culturale, se c’è qualcosa che desidera in segreto, si tratti dell’avere il grande amore o altro, non è mai troppo tardi per averlo. Voglio che il pubblico esca dal cinema provando un senso di speranza e di possibilità.” E in effetti sono le caratteristiche che fanno di “Saving Face” un gran bel film e che gli hanno guadagnato una serie di premi.

Il prossimo si chiama “The Half of It”, che probabilmente – data la difficoltà di tradurre l’espressione in modo letterale – in italiano finirà per essere “L’altra metà”. E’ in pratica Cyrano de Bergerac ai nostri giorni la qual cosa, visto quanto amo la commedia di Rostand, già mi delizia di suo.

the half of it

Ellie Chu (l’attrice cinese-americana Leah Lewis, in immagine) è una liceale timida, solitaria e occasionalmente oggetto di stupidi sfottò razzisti. Ellie è eccellente negli studi e arrotonda le entrate familiari scrivendo per i compagni di scuola i saggi assegnati ad essi dagli insegnanti. La sua arcinota bravura nello scrivere fa sì che un altro studente, disperatamente innamorato e senza quasi speranza di riuscire a impressionare la ragazza dei suoi sogni, le chieda di creare lettere d’amore per costei. Purtroppo, o per fortuna, si tratta della ragazza di cui è innamorata anche Ellie…

Il tratto autobiografico, qui, riguarda il miglior amico della regista, un coetaneo eterosessuale che, grazie alla profondità emotiva del loro rapporto, la aiutò a venire a patti con la propria identità. “Così eccomi qua, – ha scritto Alice Wu presentando il suo lavoro – che procedo verso la mezza età e ho appena fatto un film sugli adolescenti. Ora che è finito, vedo alcune cose più chiaramente. La principale: ero solita pensare che ci fosse un solo modo di amare. Che A + B – C equivalessero all’Amore. Ora che sono più vecchia, so che ci sono più modi di amare. Così tanti, più di quanti avessi mai immaginato.”

Date un’occhiata al trailer, è fantastico:

https://www.youtube.com/watch?v=B-yhF7IScUE

Maria G. Di Rienzo

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L’istruzione è l’arma più potente che si può usare per cambiare il mondo – Nelson Mandela

“Fano, frasi volgari all’alunna. Prof delle medie sotto processo. – L’accusa è maltrattamenti. Vittima una ragazzina di seconda media.”

Il professore è un “figo”, diciamolo: a cinquant’anni sembra appena il fratello maggiore dei suoi alunni. Mostra loro il tatuaggio sul braccio spiegando che lo eccita, gli fa ascoltare Fabri Fibra che inneggia al sesso e alla dodicenne che ha un pennarello in mano, appoggiato alle labbra, chiede a voce alta di fronte all’intera classe: “Stai cominciando gli allenamenti per fare i pompini?”.

I compagni della ragazzina ridono. Ai bulli è offerto un bersaglio legittimato dall’atteggiamento del docente: nei giorni seguenti ripetono ad oltranza la frase alla dodicenne, rendendo la sua vita scolastica così infernale da indurre la famiglia a farle cambiare istituto.

Adesso immaginatevi il professore coinvolto in qualche programma teso a contrastare la violenza di genere diretto ai suoi alunni. Farà un buon lavoro, vero? E’ solo uno a cui piace scherzare e se proprio si deve arrivare in tribunale, be’, allora lui non ha detto niente del genere e i bulletti sosterranno la sua versione:

“E’ stata ascoltata anche una mamma di una compagna di classe della 12enne: «Mi figlia mi disse la storia del pennarello, ma considerandolo uno scherzo». I difensori dell’imputato hanno annunciato la testimonianza di molti ragazzini che negherebbero la frase incriminata.”

Immagino che lo spiritoso e giovanile insegnante sia un po’ frastornato dalla faccenda: nella società italiana di cui fa parte è normale sessualizzare le bambine, è normale svilire ogni femmina – qualsiasi sia la sua età – ricordandole che è mero materiale da scopata ed è normale riderci sopra. A parte quelle stronze brutte sfatte delle femministe, non c’è nessuno che protesti per questo e si sa che quelle vacche protestano solo perché non trombano abbastanza…

campagna bologna

I genitori della vittima sono parimenti consci della situazione, al punto da non aver denunciato in proprio ne’ essersi costituiti parte civile al processo. Probabilmente pensano, non a torto, che la loro figlia abbia già sofferto abbastanza.

Il problema è che nello scenario già descritto la ragazza continuerà a subire assalti sessisti per l’intera sua esistenza. Come ognuna di noi.

L’istruzione è la chiave che apre il mondo, un passaporto per la libertà. – Oprah Winfrey

Maria G. Di Rienzo

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Quando ho imparato

angelica frausto

Ho imparato che l’aggressione sessuale era normale mentre stavo sull’autobus che mi portava a casa dalla scuola superiore.

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Qualcuno ha riso mentre succedeva.

Qualcuno ha lanciato occhiatacce.

Nessuno mi ha aiutata.

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Sapevo che l’aggressione sessuale era una cosa sbagliata…

Perciò forse non era quello che era successo a me.

Se fossi stata davvero assalita qualcuno mi avrebbe aiutata, giusto?

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Ho imparato che l’aggressione sessuale era normale quando l’autista dell’autobus ha continuato a guidare.

(Su sfondo giallo: Anch’io.)

E nessuno ha detto una parola.

Angelica Frausto, 2017 – trad. Maria G. Di Rienzo

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Dunque, ma i dottamente dubitanti, i fieramente dissenzienti e i professionisti dei distinguo che si agitano sotto i miei articoli (non qui, ovviamente) cosa sanno della nonviolenza – e di me? Della prima temo poco, di me niente del tutto.

Credete sul serio che quando vado nelle scuole (e sono ormai vent’anni che ci vado) io mi sieda in cattedra a far lezione su Gandhi e Capitini e Barbara Deming per mostrare al “pubblico” quanto sono colta? In teoria potrei, ma purtroppo per voi il mio scopo non è quello.

Naturalmente padri e madri della nonviolenza li nomino in una breve introduzione iniziale, dando informazioni utili all’approfondimento per chi lo desidera, ma quel che insegno – e quel che imparo di nuovo ogni volta, prestando attenzione a ogni singola persona presente e interagendo con ciascuna di esse – concerne teoria del potere, cambiamento di paradigmi nella visione della violenza, conflitto e metodi risolutivi dello stesso, comunicazione, riconoscimento e decostruzione degli stereotipi di genere, come formare e mantenere in funzione gruppi, organizzazione dell’azione nonviolenta, eccetera, eccetera, eccetera.

Lo faccio fisicamente assieme ai ragazzi e alle ragazze, in simulazioni e esercizi e discussioni e creazione di cartelloni e mandala e chi più ne ha più ne metta, sdraiata per terra a disegnare o a mostrare come proteggersi, sottobraccio a loro quando formiamo linee, abbracciata a loro quando la commozione mi scuote e li scuote (alcune attività sono più tecniche, altre profondamente emotive).

Il mio scopo non è essere riconosciuta come maestra, ma come compagna che parla al loro cuore, alla loro anima se preferite – e sino ad ora, in ogni singolo seminario, con adulti o adolescenti: non ho mai fallito. Voi potete dire altrettanto? Maria G. Di Rienzo

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(“Women never invented anything”, Radical Girlsss, 1.5.2019, trad. Maria G. Di Rienzo. Radical Girlsss è “un movimento multietnico, laico, femminista radicale di giovani donne e ragazze” formatosi all’interno della Rete Europea delle Donne Migranti – European Network of Migrant Women.)

RADICALGIRLSSS

Per tutte le nostre vite, come ragazze, come giovani donne, ci è stato detto di continuo che le donne non hanno mai inventato, non hanno mai creato, non sono mai esistite.

Quando eravamo bambine e abbiamo cominciato a leggere, i libri ci hanno insegnato che i maschietti potevano fare qualsiasi cosa – esplorare e conquistare, combattere l’ingiustizia, salvare altri e se stessi. Quegli stessi libri non hanno mai mostrato che le bambine erano in grado di fare lo stesso. Ci hanno fatto credere che il nostro ruolo fosse lo starcene ad aspettare che un ragazzo arrivasse a salvarci. Perché nei libri e nelle fiabe le solo donne con del potere sono le streghe e ci si dice che le streghe sono cattive. Sono destinate a essere brutte, meschine e sempre sole.

Quando eravamo bambine e siamo andate a scuola per la prima volta, ci siamo guardate attorno e tutto quel che abbiamo visto erano maschietti – che correvano in giro, occupavano lo spazio come se appartenesse a loro, esploravano e conquistavano proprio come nei libri che leggevamo. Le femminucce? Eravamo inchiodate ai lati, sempre discrete, sempre calme, perché da una bambina ci si aspetta questo, giusto? Graziose, con bei vestitini che ci impediscono di correre, belle acconciature che ci impediscono di vedere. Tenere e dolci, incapaci di difendere noi stesse quando i bambini arrivavano a sollevarci le gonne o a imporre baci, non in grado di ricevere aiuto perché gli adulti guardavano invariabilmente da un’altra parte e dicevano: “I maschi sono fatti così”.

Quando eravamo bambine e abbiamo cominciato a parlare, abbiamo imparato il francese, una lingua in cui le donne non ci sono, una lingua che ha regole del tipo “la forma maschile ha la precedenza sulla forma femminile”. Quando siamo cresciute e abbiamo imparato altre lingue abbiamo capito che non si tratta solo del francese. Nella maggior parte delle lingue le donne non esistono.

Quando eravamo bambine e amavamo andare a lezione, amavamo anche apprendere la storia e la letteratura, le scienze e le arti. Ma ci è stato detto solo quel che hanno creato gli uomini. Quel che gli uomini hanno fatto per la storia, quel che gli uomini hanno inventato… nessuno ci ha mai detto di Alice Guy, che ha inventato il cinema quale lo conosciamo oggi, ne’ di Nelly Bly che ha rivoluzionato il giornalismo contro ogni avversità, ne’ di Emmy Noether che è stata cruciale per lo sviluppo della matematica, ne’ di Mary Andersen, Maria Telkes, Grace Hopper, Stephanie Kwolek, Ann Tsukamoto…

Non abbiamo mai saputo che le donne hanno inventato zattere di salvataggio, refrigeratori, macchine per fare il gelato, sistemi per elaborazione di dati, tecnologia delle telecomunicazioni, trasmissione senza fili, video sorveglianza, seghe circolari, riscaldamento centrale, razzi di segnalazione, vetro trasparente, ponti sospesi, sottomarini…

Non abbiamo mai saputo di aver scoperto la struttura del DNA, il codice genetico dei batteri, la composizione chimica delle stelle, la terapia per il virus del papilloma umano, i cromosomi X e Y.

Non abbiamo mai saputo di Enheduanna, la prima scrittrice conosciuta, di Fatima el Fihriya che ha fondato la più antica delle università, di Trotula da Salerno che fu una delle prime a parlare di salute delle donne e ginecologia.

Non abbiamo mai imparato delle donne coraggiose e forti che lottarono contro la colonizzazione in ogni singolo continente: Fatma N’Souer in Algeria contro i francesi, Manuela Saenz in Sudamerica contro gli spagnoli, Tarenorerer in Australia contro gli inglesi.

Non abbiamo mai saputo di aver combattuto guerre e viaggiato, esplorato e scoperto, non abbiamo mai saputo di aver guidato popoli e eserciti, di aver ispirato e creato. Non abbiamo mai saputo di aver volato e navigato, di essere state pilote e pirate… non l’abbiamo mai saputo perché nessuno ce l’ha detto.

Per tutte le nostre vite, come bambine e ragazze, come giovani donne, ci è stato detto che andava così, che “le donne non hanno mai inventato nulla”. Non abbiamo mai visto esempi femminili forti e complessi nei libri di storia, in televisione, alla radio, in politica, nei musei, al cinema… non ci siamo trovate da nessuna parte.

Si dice spesso che le bambine cominciano a considerarsi inferiori ai bambini attorno ai sei anni. E perché non dovremmo, quando tutto è fatto per limitare il nostro universo? In un mondo in cui tutto è maschile, dai nomi delle nostre strade ai personaggi dei libri che amiamo, dagli dei ai presidenti, in che modo potremmo sognare noi stesse come forti, ispiratrici, complete?

Pensiamo a tutte queste donne che sono state cancellate… Tutte queste donne che a noi è impedito ammirare o aspirare a divenire. Le loro stesse esistenze sono annientate per indurci a credere che non possiamo realizzare nulla, che esistiamo solo per essere belle e prenderci cura degli altri… avremmo voluto conoscerle tutte prima, imparare i loro nomi. Tutte queste donne che hanno fatto la storia ma sono state dimenticate. Artiste, scienziate, attiviste, eroine, sopravvissute che sono scomparse dalla nostra memoria collettiva a causa del sessismo.

Come donne, crediamo di avere il dovere di raccontare le loro storie, di tutte loro. Alle nostre sorelle, alle bambine attorno a noi e al mondo. Perché parlare di loro è parlare di noi stesse. E’ riprenderci le nostre voci e i nostri posti. E’ riprenderci le nostre vite.

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Il “biasimo della vittima” è l’espressione della convinzione che chi subisce un abuso qualsiasi sia, in toto o in parte, responsabile per ciò che è accaduto. E’ molto forte nei confronti delle vittime di violenze sessuali (giacché in maggioranza costoro sono donne e il biasimo trae alimento dal sessismo e dalla misoginia) ma in effetti, in Italia, il biasimo della vittima entra ormai come fattore di peso in qualsiasi dibattito / controversia – senza essere minimamente riconosciuto per tale e rigettato. La tendenza a dar la colpa a chi ha patito un danno, anziché a chi quel danno ha provocato, cresce in un determinato territorio quando la sua popolazione è in uno stato di allerta sociale a causa di minacce percepite o reali e questo è giusto il caso del nostro Paese.

Il biasimo della vittima ha un profondo e devastante impatto su chi sopravvive alla violenza, perché il processo di guarigione comincia proprio quando una/un sopravvissuta/o narra a voce alta le proprie esperienze: racimolare il coraggio per dire la verità e poi veder negata tale verità – con accuse varie che scandagliano il comportamento e le intenzioni “nascoste” delle vittime e con l’asserzione che esse avrebbero “frainteso” le azioni loro dirette – costituisce un ulteriore trauma.

Il supposto “fraintendimento” è la cifra del dibattito che circonda, per esempio, la vicenda della scuola elementare di Foligno accaduta in questi giorni: un maestro supplente umilia in particolare i suoi alunni di colore (ma sembra adottare comportamenti di abuso nei confronti dei bambini in modo generalizzato). Nella fattispecie, costringe un bimbo di origine nigeriana a dare le spalle al resto della classe dichiarando che “è troppo brutto per essere guardato in viso” e dà della “scimmia” alla sorellina di costui. Pare – lo verificheranno le indagini – che gli insulti e le beffe fossero costanti.

Di fronte alle proteste il maestro in questione, Mauro Bocci, segue uno schema che è diventato come dicevo consuetudinario e comporta:

1. Il posare da vittima. Il signore dichiara di non essere stato capito e ne consegue che i bambini, i loro genitori e noi opinione pubblica siamo un po’ scemi e non possiamo fidarci ne’ del nostro intelletto ne’ delle nostre sensazioni;

2. Il posizionarsi in una posizione superiore rispetto alle vittime reali. Il signore suggerisce la motivazione principale di questa incomprensione da parte nostra: lui è un genio, come educatore, infatti stava mimando il razzismo per compiere un “esperimento sociale” (di cui non aveva avvisato nessuno, ne’ direzione scolastica ne’ genitori, ma perché mai l’Einstein della formazione dovrebbe rispondere alle regole che valgono per i comuni mortali?).

3. Il ripulire i propri spazi mediatici. Prima che le loro azioni strabordino in abusi fisici, spesso i perpetratori si allenano sul web sentendosi protetti e invulnerabili dietro la tastiera. Quando sono sotto i riflettori cercano di cancellare “i vecchi post più volgari e razzisti” e poi chiudono del tutto le loro pagine (come riportano i quotidiani a proposito del sig. maestro).

4. Lo spostare il focus dalle azioni compiute alle intenzioni che le avrebbero animate. In questo caso della riverniciatura si occupa il legale del maestro: “Le sue intenzioni erano diametralmente opposte alle accuse di razzismo. È il suo profilo a dirlo. È un padre di due bambini, ha anche una nipotina adottata di altra nazionalità e una certa sensibilità proprio verso i temi che riguardano la sfera umana.”

Il quarto punto vi è molto familiare, vero? I padri, dall’inizio dei tempi, non hanno mai usato violenza, non hanno mai abusato dei loro figli, non hanno mai malmenato – stuprato – ucciso donne. Se hanno contribuito a mettere al mondo delle creature devono essere per forza sensibili come delicate fronde di felce. Figuriamoci se il padre in questione, che ha persino una nipotina straniera (e non ha ancora sputato in faccia ne’ a lei ne’ ai parenti che l’hanno adottata, è un santo!), può essere razzista, andiamo.

Sinceramente, però, a me di dare un’esatta definizione e misura del razzismo di questa persona importa poco. Io rigetto e biasimo le sue azioni, non la sua persona, perché le sue azioni hanno causato dolore in altri esseri umani. Dovrebbe bastare a chiedere scusa – e basta, non “chiedo scusa ma non mi avete capito”, non “chiedo scusa ma sono un genio dalla profonda sensibilità che stava operando un esperimento sociale”, piuttosto: “Chiedo scusa, ho sbagliato, intendo riflettere e impegnarmi affinché ciò non si ripeta mai più.”

Riconoscimento dei propri errori, rispetto per i propri simili, assunzione di responsabilità. Avrei aggiunto empatia, ma probabilmente sarebbe chiedere troppo.

Maria G. Di Rienzo

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L’addestramento comincia presto. Ti buttano giù dalla branda quando sei così piccola che hai appena capito di stare al mondo. In compenso, dopo un po’ di umiliazioni, capisci anche rapidamente in che razza di mondo sei. Arrivata agli 11 anni, l’età delle protagoniste delle storie che sto per raccontare, dev’esserti chiaro cosa significa essere femmina. I tuoi istruttori ce la mettono tutta affinché tu comprenda che è una condizione vergognosa.

1. Gran Bretagna, Bristol, scuola media Cotham. Un’alunna torna a casa tirandosi il maglione sotto le ginocchia. I suoi jeans sono intrisi di sangue in modo assai visibile. Sebbene abbia chiesto di poter andare al bagno durante la lezione, sapendo che le erano venute le mestruazioni, l’insegnante (donna) ha rifiutato di lasciarla andare. La ragazzina è scossa e ferita, la madre protesta con la scuola – potrebbe finire lì, se la direzione scolastica volesse, se facesse le sue scuse all’allieva e garantisse un trattamento diverso a lei e alle altre ragazze, come una brutta vicenda ridimensionata dalla comprensione e dal rispetto. Ma dopo un paio di mesi la cosa si ripete.

Questa volta l’insegnante è maschio e nega ripetutamente il permesso di uscire di classe all’allieva. Segna “demeriti” accanto al suo nome scritto sulla lavagna ogni volta in cui lei reitera la richiesta. Non solo: la minaccia dicendo che se osa chiedere di andare al bagno durante la lezione un’altra volta, lui le assegnerà il demerito definitivo e lei sarà mandata per punizione nella classe di studio supplementare. Di nuovo, la ragazzina torna a casa cercando di coprire come può le macchie di sangue. La sua reazione comprensibile e spontanea è che non vorrebbe più tornare a scuola.

E’ a questo punto che la madre, oltraggiata, rende pubblica la storia: “Come può accadere una cosa simile al giorno d’oggi, in quest’epoca, quando ci sono un mucchio di informazioni disponibili e si suppone che noi si sia più aperti nel parlare degli aspetti della salute femminile, incluso il ciclo mestruale?”. La donna è sbalordita perché quando lei stessa e le sue due sorelle erano scolare non è capitato loro nulla del genere. Come molte di noi, pensava di essersi lasciata alle spalle almeno l’equazione mestruazioni = sporcizia/vergogna.

Il portavoce dell’istituto spiega quindi alla stampa come il non lasciar uscire di classe gli alunni durante le lezioni sia “un regolamento” che trova la sua ragione nel fatto di non lasciare i minori “incustoditi”: inoltre, loro hanno permesso all’organizzazione umanitaria “Red Box Project” di installare distributori gratuiti di assorbenti ed è davvero “spiacevole” che la scuola sia ritratta in modo negativo quando “sta tentando di fare buon lavoro in questo campo”. Giusto, sta tentando, non c’è ancora riuscita. Ma c’è di meglio (le sottolineature sono mie): “Rispetto a questo specifico incidente abbiamo comunicato in diverse occasioni con la madre e la ragazzina e abbiamo rilasciato una tessera-bagno, come da regolamento scolastico, così che ciò non succeda di nuovo. La tessera-bagno può essere mostrata con discrezione all’insegnante, che non richiederà ulteriori spiegazioni.”

Il portavoce assicura che simili tessere sono già in uso per diversi studenti che hanno delle particolari “condizioni”. Sì, è davvero tutto risolto. Hanno parlato con madre e figlia e non hanno capito una beata mazza. La ragazzina andrà con fare furtivo alla cattedra, si toglierà il tesserino di tasca contorcendosi affinché nessun altro lo veda e lo farà apparire davanti agli occhi del docente dando le spalle al resto delle classe. I due si scambieranno uno sguardo d’intesa in perfetto silenzio e l’allieva uscirà fra i bisbigli o i pensieri inespressi dei compagni e delle compagne: “Ok, Sally – nome a caso – ha le sue cose.” “Non è che è malata invece?” “Ma le mestruazioni non sono una malattia, giusto?” “Chissà perché c’è bisogno di tutta questa manfrina.” “Sì, non possono semplicemente lasciarci pisciare o mettere un tampone quando ne abbiamo bisogno, porca miseria?”

“Mia figlia è solo una fra le migliaia di ragazze nelle scuole di Bristol e del paese, – ha detto ancora la madre – perciò questo non sta accadendo solo a lei e non è accettabile. La preoccupazione principale dovrebbe riguardare il benessere delle ragazze che hanno il diritto fondamentale a prendersi cura di se stesse e non essere concentrata sul fatto che i bambini abusino di una sorta di sistema di permessi.” Ne’ la signora ne’ sua figlia hanno ricevuto scuse dalla scuola, nonostante fosse stato fatto intendere alla ragazzina che la “colpa” era sua.

2. Stati Uniti, New York, scuola media non nominata. La madre di una undicenne riceve una chiamata da un’amica: “Tua figlia è su Snapshot.” La ragazzina stava tornando da scuola, in compagnia di un altro alunno, quando un nutrito gruppo di adolescenti si è fatto avanti. Il supposto “amico” dell’undicenne comincia a filmare non appena costoro appaiono in fondo alla strada.

I bulli circondano la ragazzina e la molestano sessualmente. Lei reagisce: “Non voglio fare niente. Non so chi siete.” “Puoi sapere chi siamo se ti metti il mio cazzo in bocca.”, risponde uno degli assalitori. Il suo negarsi scoccia i giovani farabutti, per cui: uno sputa in una bottiglia d’acqua, gliela rovescia in testa e poi gliela tira contro; un secondo le getta addosso uno zainetto; entrambi la prendono a pugni. La ridicolizzano, la insultano, si congratulano l’un l’altro per quel che stanno facendo, ridono a crepapelle. Il compagno “amico”, quattordicenne, posta il tutto per l’edificazione di ulteriori stronzi. Se la madre non avesse ricevuto la telefonata summenzionata, non avrebbe saputo niente. La figlia non le aveva parlato dell’accaduto. L’aggressione fisica, la sessualizzazione coatta, l’oggettivazione del suo corpo, la spettacolarizzazione della sua sofferenza e della sua paura, il tradimento della sua fiducia, le avevano già reso chiaro di chi era la colpa.

La madre ha fatto regolare denuncia alla polizia. Il cineasta in erba è stato arrestato, accusato di aggressione e condotta pericolosa. Gli altri li stanno ancora identificando e uno è latitante. L’intera famiglia della vittima, dopo aver ricevuto ripetute minacce dai bulli e dai loro genitori, intende spostarsi dal quartiere. La ragazzina, bersaglio principale delle intimidazioni, è stata mandata per precauzione da parenti in Virginia.

L’addestramento comincia presto. Fa a pezzi la tua vita e ti costringe a buttare energie nella guarigione e nella ricostruzione di prospettive. Ma in che altro modo sapresti cosa significa veramente essere femmina?

Maria G. Di Rienzo

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(“Happiness for me is speaking out and standing up for myself” – Kvinna till Kvinna, ottobre 2018, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo. L’immagine di Francine Kasimba è il particolare di una foto di Bertin Mungombe.)

Francine

Francine Kasimba è cresciuta circondata da otto sorelle nella Repubblica democratica del Congo. Nonostante avesse così tante sorelle, le è sempre stato detto che sua madre non aveva figli. La ragione? Solo i maschi contavano.

Oggi Francine, a 17 anni, è la presidente della sezione giovanile dell’ong CEDEJ-GL, partner della Fondazione Kvinna till Kvinna, nella città di Uvira. L’organizzazione lavora in diversi modi per rafforzare i diritti delle donne nel paese. Promuove discussioni di gruppo in forma di forum affinché le persone possano parlare delle istanze che le preoccupano. Sia donne sia uomini sono i benvenuti a partecipare e ci sono anche gruppi specifici per la gioventù. CEDEJ-GL usa anche il teatro per suscitare consapevolezza sui ruoli di genere.

Francine era attiva in uno di questi gruppi giovanili. Parlando ad altri della stessa età ha acquisito maggior fiducia in se stessa. Dopo un po’ ha ottenuto un lavoro all’interno dell’ong. Oggi, è la presidente del gruppo giovanile a Uvira, nella zona orientale della Repubblica democratica del Congo lacerata dal conflitto. I gruppi di discussione offrono alla gente lo spazio per parlare dei loro problemi e bisogni: Francine aiuta i partecipanti a trovare soluzioni per essi.

Ora Francine sa di avere il potere di spingersi così distante – nonostante le sia stato detto per tutta la vita che le femmine non hanno valore: “La felicità per me è parlare apertamente e affermare me stessa. Mostro che sono una ragazza, che ho idee e che ho talento.”, dice.

Un soggetto su cui Francine si è concentrata nei gruppi di discussione che ha diretto sono i diritti sessuali e riproduttivi. Ha scelto di occuparsi di come le gravidanze adolescenziali non desiderate possono essere prevenuti tramite il controllo delle nascite, materia che è stata molto discussa nei gruppi giovanili dell’ong.

CEDEJ-GL ha lavorato per i diritti sessuali e riproduttivi anche in altri modi. Nel paese la violenza sessuale nelle scuole è un enorme problema. Per contrastarla, l’organizzazione ha dato inizio a gruppi di discussione nella scuole, a cui le/gli studenti possono rivolgersi per avere sostegno. Ha anche educato gli insegnanti sui diritti umani delle donne e si è assicurata che quelli che abusavano della loro scolaresca fossero sospesi.

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