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Il giovane Marco Rossi, giocatore del Monregale calcio, ha avuto qualche difficoltà “stradale” il mese scorso e ha ritenuto di doverne dare pubblicamente conto con un video. La trascrizione della sua testimonianza è questa:

In poche parole c’è una negra di merda che pensa di avere dei diritti, e tra l’altro ‘sta negra è pure donna, quindi già “donna” e “diritti” non dovrebbero stare nella stessa frase, in più se aggiungi un “negra”… quindi fa già ridere così, no? Però, in poche parole sto orangotango del cazzo ha avuto la brillante idea di denunciarmi per falsa testimonianza. Che però forse è vero, un po’ di falso l’ho dichiarato perché ero fuso e ubriaco, ci sta. Però per principio non mi devi rompere il cazzo anche perché you are black, diocan, negra di merda! E niente, bon, in poche parole io adesso dovrei pagare la macchina a una solo perché sa fare il cous cous: ma baciami il cazzo va’, puttana! Puttana! Troia! Poi ho preso la macchina di mia madre, ho preso l’autovelox, non ho pagato una lira e devo pagare la macchina a te diocan, sempre se si può chiamare macchina quella merda di triciclo che c’hai. Troia, lavami i pavimenti.”

Nelson Mandela la pensava così:

“Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di ispirare, ha il potere di unire le persone in un modo che poche altre cose sanno fare. Parla ai giovani in un linguaggio che loro capiscono. Lo sport può creare speranza dove prima vi era solo disperazione. E’ più potente dei governi nell’abbattere le barriere razziali. Ride in faccia a ogni tipo di discriminazione.”

Vero, in teoria e in linea di massima. Poi nella pratica c’è qualche dissonanza come Marco Rossi. Perché gli strumenti – dallo sport ai video – sono in essenza l’uso che ne fai.

C’è un po’ di gente che sta chiedendo alla dirigenza del Monregale di buttare fuori il suo giocatore. Io dilazionerei la proposta. Tenetelo in squadra, per il momento, e fate un po’ di “rieducational channel” per tutti.

Cominciate con lo studio di questi tre testi: Costituzione della Repubblica Italiana, Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, CEDAW – Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne. Fase due: invitate Aboubakar Soumahoro e Leaticia Ouedraogo a tenere una lezione ai vostri calciatori sugli effetti del razzismo e del sessismo nelle loro vite.

Poi portate Rossi e compagnia in tour al campo di sterminio di Auschwitz.

Infine informateli: “Adesso non avete più scuse, non potete dire che non sapevate e che non avevate capito e che stavate scherzando eccetera. Vi abbiamo dato la possibilità di smettere di essere stupidi e crudeli. Il prossimo che fa/dice una stronzata razzista, sessista, omofoba eccetera se ne va a calci nel didietro.”

Maria G. Di Rienzo

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… per me è una cosa seria.

writer

Da quando ho deciso che avrei scritto il quinto romanzo, ho buttato via 80.000 parole totali. Non c’è critico letterario al mondo che sappia trovare difetti nella mia scrittura meglio di me: è vero che essa tratta di sf e fantasy, ma la narrazione – oltre che corretta sotto il profilo linguistico – deve essere credibile, nel senso che chi legge dev’essere in grado di entrare in relazione con la storia e i personaggi senza trovare il tutto così improbabile da chiudere il libro e non riaprirlo più.

Una volta attraversato questo processo vado spedita… verso il nulla o verso l’autopubblicazione (vi terrò aggiornati). Non ho aspettative sull’editoria per così dire “ufficiale”, come sapete, perché sono semplicemente una scrittrice e non una persona famosa in altri campi che deve aggiungere libri di fuffa alle sue imprese. La situazione in Italia è questa e credo di non essere la sola ad averlo compreso: ieri me la ribadisce la recensione di un prodotto che viene definito “una sfida a George Orwell sul prato verde della distopia” e poche righe più sotto “un’anti-distopia ironica e distaccata”. Fate voi. Potrebbe persino essere un’utopia, un’eutopia, una cacotopia o un “anti” tutto ciò.

Baldini & Castoldi pubblicano infatti, con totale faccia di bronzo, qualcosa che si chiama “2084. La dittatura delle donne”, ci mettono un dipinto di Tamara de Lempicka in copertina (che fa sempre tanto “trasgressione”) e magari si aspettano che chi ha letto “1984” di Orwell corra in libreria, non vedendo l’ora di fare paragoni fra un gigante della letteratura e l’autore Gianni Clerici.

Costui è un ex tennista, giornalista sportivo (il recensore ricorda le sue “storiche dirette da Wimblendon” – sarebbe Wimbledon), che occasionalmente si avventura fuori dalla sua area di competenza – cosa legittima e non contestabile – con un testo che, anche se non tratta direttamente di tennis, usa il tennis come metafora, ispirazione, monito, similitudine eccetera.

So che ha sofferto di un ictus e che per fortuna ora sta bene, ma non so cosa gli abbia fatto male di recente: il #metoo? La richiesta di dar voce alle donne in Italia? Sta di fatto nel suo 2084 “le donne vanno al potere e invece del Grande Fratello c’è qualcosa che è una macchina chiamata Cerebrorobot. Le donne vanno al potere in seguito a una votazione mondiale in cui sono maggioranza.”

E, ovviamente, per chi le donne non le ascolta e non le vuole ascoltare, ciò può risultare solo in una banalissima dittatura rovesciata: “Gli uomini, i vires, sono messi maluccio, destinati alle mansioni più umili, i rapporti fra i sessi sono banditi e ogni forma di riproduzione è rigidamente controllata”. Giusto, perbacco: per cosa mai vogliamo entrare nella cabina di regia se non per vendicarci? Perché, andiamo, non è mica possibile che noi si reclami una cittadinanza a pieno titolo, diritti umani per tutte/i e si abbiano idee, proposte, capacità da condividere. Due secoli e passa di femminismo (indicato propriamente con tale nome) e questo è quel che Clerici – non solo lui – ha capito. Ma non dobbiamo preoccuparci: “nonostante presenze che si intuiscono autorevoli come la Leader Draga Merkel sr, (Nda: La Feroce Merkel Mangiauomini, ma per piacere! Questa l’ha concordata con Vittorio Feltri o con Salvini?) quello delle amazzoni è un potere vuoto, un simulacro. Su cui Clerici non manca di testare la proverbiale ironia.” Davvero, è un sollievo. E come fa? “Usa proprio il tennis. Facendo ricordare alle protagoniste un match di Serena e Venus Williams perso malamente contro un tennista numero 200 del mondo. “Era un incontro a cui ho assistito in Australia, con il tedesco Karsten Braasch che provava i cambi di campo. Mi pare le abbia battute a turno 6-1 e 6-2”.”

Ah okay, siamo inferiori, torniamo a ricamare le palline da tennis per i veri esseri umani – gli uomini. Cioè, basta la memoria delle Williams sconfitte in un match amichevole per far vacillare la “dittatura democratica” (Nda: questa invece potrebbe andar bene per i gilet arancioni) degli incubi di Clerici: “Come antifrasi non è male eh? – gongola l’autore – Sono due antitesi che contengono tutto”. Non comprendo dove sta l’ironia proverbiale. Ma si sa, le femmine sono stupide e le femministe sono prive di senso dell’umorismo eccetera eccetera eccetera, per cui è un problema mio e chiunque altro, purché dotato di scroto, sta probabilmente ghignando con aria saputa alle mie spalle. Perché poi basterà un uomo, “un padre”, per “sconvolgere il bucolico tran tran del mondo di “2084”.” Come? Clerici spiega: “La storia è quella della figlia di una pittrice che rimane incinta di un pittore di nome Vijay, nome molto comune in India, c’è stato anche un famoso tennista, Vijay Amritraj. Vuol dire vittoria’.”

Il metro di misura è quello. La vittoria. La vita è una guerra e bisogna vincere. Non importa in che modi, non importa quante vittime accidentali o volute ti lasci alle spalle, non importa cosa distruggi irreparabilmente nel processo. E’ il meccanismo alternativo alla “dittatura” dell’avere donne in posti di responsabilità, quello consueto e attuale: la sfida fra uomini. Be’, che se lo tenga Gianni Clerici. Io lavoro e scrivo con lo scopo di vivere in un mondo migliore di questo.

Il recensore, affinché noi non si abbia dubbi sulla statura dell’opera, ci rende noto che “nel pantheon letterario di Clerici ci sono Jack London, Ernest Hemingway, Andé Malraux, Graham Green, Joseph Conrad, James Joyce (…) Tra gli anglosassoni, Henry James, George Eliot, PG Wodehouse, Evelin Waugh (sic: si tratta in realtà di Evelyn Waugh – e nonostante il nome era un uomo)”: a quest’ultimo l’autore ci informa di essere stato persino paragonato. E qui c’è un ulteriore nodo da sciogliere, perché io ho letto tutto il suo pantheon e il mio è più grande di una scala cosmica (in senso metaforico e letterale), ma nessuno mi ha ancora paragonata alla regina Jindeok di Shilla per il mio interesse relativo a culture straniere e politica estera, a Aphra Behn per i miei scritti di teatro, a Hedvig Apollonia Löfwenskiöld per le mie (rare) poesie, a Florynce Kennedy per i testi relativi al femminismo e all’attivismo in genere, a Sofia Hagen per la satira e a Joan Slonczewski per la fantascienza. Purtroppo non sono nemmeno abbastanza cretina da augurarmelo o da crederci nel caso accada. Ho una consolazione, però: so di scrivere meglio di Clerici e del suo recensore. Maria G. Di Rienzo

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“Oh, sei l’unico che lo sa.”

“Io devo ricambià in quel modo, te faccio quel regalo. E’ carina, carina, quando la vedi mi dirai. Poi è una donna pure intelligente. Così almeno ti passi qualche weekend sereno pure da ‘ste parti”.

“Bravo, bravo.”

present

Trattasi della “registrazione di una telefonata decisamente compromettente tra Andrea Montemurro, presidente della Divisione Calcio a 5, e il numero uno del Latina Gianluca La Starza, in cui il primo rivolge confidenze sull’imminente esclusione di una squadra dal massimo campionato e il secondo per ringraziarlo gli offre i servizi di una ragazza”.

L’informazione è utile per tesserare giocatori della squadra esclusa prima degli altri, cosa che in effetti è accaduta. Gli articoli al proposito sono molto concentrati su possibili sviluppi e ricadute in ambito Lega Nazionale Dilettanti – Figc – Uefa ecc. Nessuno si sofferma sul tipo di “regalo”.

Un orologio da polso, l’ultimo cellulare della Samsung, il biglietto per una crociera ai Caraibi o una donna. Fa lo stesso. E’ lo stesso – un oggetto, che dopo aver offerto all’uomo i “servizi” relativi all’essere “carina-carina” è presumibilmente capace di intrattenerlo anche parlando: “è pure intelligente”, un vero bonus, come quello di un cane affettuoso che si rivela in aggiunta essere in grado di portarti le pantofole a comando.

Poi, sì, succede che “il regalo” dica cose che non avrebbe dovuto dire, faccia cose che non avrebbe dovuto fare e il proprietario lo rompe e lo getta in discarica. Non sarà mica un problema, in Italia abbiamo la raccolta differenziata e un sacco di donne a disposizione. A proposito: ci piacciono proprio, le donne. Le amiamo!

Maria G. Di Rienzo

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calciatrici

Da quando ha accettato di partecipare come partner ai progetti dell’UNFPA (Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione), il Football Club Shakhtar ha messo in moto in Ucraina un circolo virtuoso che promuove l’eguaglianza di genere, la paternità responsabile, il superamento degli stereotipi di genere. Tramite la campagna “Felicità a quattro mani” i giocatori hanno raggiunto l’anno scorso un milione e mezzo di persone con messaggi riguardanti l’importanza di condividere responsabilità e lavoro di cura fra uomini e donne.

Nel frattempo, avevano dato vita a un’altra iniziativa, chiamata “Vieni, giochiamo!”, tesa ad aprire il mondo del calcio anche alle bambine interessate a questo sport. In Ucraina (ma non solo, lo sappiamo) a una ragazzina che dica “Voglio giocare a pallone” si risponde molto spesso che il calcio è roba da maschi e che è meglio per lei fare danza o ginnastica ritmica, ma adesso ci sono allenamenti gratis in 23 città ucraine e 150 bambine fra i 7 e 12 anni che fanno parte di squadre ufficiali.

Per indurre le famiglie ad accettare il progetto, gli organizzatori del Football Club Shakhtar sono andati nelle scuole con manifesti che mostravano bambine sul campo di calcio: “Probabilmente siamo i primi ad aver detto ai genitori: non abbiate timore di iscrivere le vostre ragazze alla scuola di calcio. Se a tua figlia piace questo gioco, perché non dovrebbe giocare?”, dice Oleksandr Ovcharenko, uno dei direttori dei progetti sociali del Club. Lo stratagemma per superare il possibile rigetto dei piccoli giocatori maschi è questo: nei tornei interni, il goal di una bambina vale due punti anziché uno, perciò i ragazzini sono assai interessati ad averle nelle loro squadre.

milena

Una delle star dell’iniziativa è Milena Ivanchenko. Quando il progetto “Vieni, giochiamo!” ebbe inizio, nel 2013, Milena aveva tre anni ed aveva semplicemente seguito il fratellino che voleva partecipare agli allenamenti. Ha osservato a bordo campo e ha deciso che la cosa le piaceva: oggi è in grado di tenere la sfera al piede in palleggio per 67 volte di seguito. E’ riconosciuta come la più promettente giocatrice fra le ragazzine e gli adulti attorno a lei le pronosticano un grande futuro.

Maria G. Di Rienzo

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iwg 7

(7^ Conferenza mondiale sulle donne nello sport – l’8^ si terrà in Nuova Zelanda nel maggio 2022)

In questi giorni la stampa riporta quasi contemporaneamente l’addio al ciclismo della 25enne Maila Andreotti (venti titoli italiani su pista) e la denuncia di dieci bambine (dai 9 ai 14 anni) giocatrici di pallavolo: molestie sessuali e violenze psicologiche sono lo sfondo di ambo le notizie.

Per quel che riguarda la giovane ex ciclista gli articoli possono entrare nei dettagli – massaggiatori e allenatori guardoni, volgari, dalle mani lunghe e verbalmente violenti; delle ragazzine si sa solo che accusano l’allenatore di essere entrato di notte nelle loro stanze, per molestarle, durante un campeggio estivo.

Ho svolto un po’ di ricerche al proposito e ho scoperto che, a livello internazionale, di violenza di genere nello sport si parla da un bel pezzo, ma le parole – tutte giustissime – continuano a non tradursi in fatti concreti:

1998 – La seconda Conferenza mondiale sulle donne nello sport adotta un documento chiamato Windhoek Call for Action (“Chiamata all’azione di Windhoek”, Namibia, ove si tenevano i lavori), ove si chiede a tutti i soggetti coinvolti nelle attività sportive di assicurare “un ambiente sicuro e di sostegno per le ragazze e le donne che fanno sport a ogni livello, intraprendendo misure atte a eliminare tutte le forme di molestia e abuso, violenza e sfruttamento”;

2005 – Al Parlamento Europeo passa una risoluzione che chiede con urgenza a stati membri e federazioni sportive di “adottare misure per la prevenzione e l’eliminazione delle molestie sessuali e degli abusi nello sport”, fra cui “l’informare le atlete e gli atleti e i loro genitori dei rischi di abuso e dei mezzi legali disponibili al proposito” e “il fornire addestramento specifico agli staff delle organizzazione sportive”;

2007 – Il Comitato olimpico internazionale rilascia un comunicato in cui attesta che:

“Molestie sessuali e abusi accadono in tutti gli sport e ad ogni livello”, “Membri dell’entourage dell’atleta che sono in posizioni di potere e autorità appaiono come i principali perpetratori”, “Le ricerche dimostrano che molestie sessuali e abusi hanno un serio e negativo impatto sulla salute psicologica e fisica dell’atleta. Può dare come risultato la compromissione delle performance e condurre all’abbandono dello sport da parte dell’atleta. I dati clinici indicano come gravi conseguenze malattie psicosomatiche, ansia, depressione, abuso di sostanze, autolesionismo e suicidio”;

2016 – Esce la relazione finale dello “Studio sulla violenza di genere nello sport” condotto da apposita Commissione Europea:

La discriminazione subita dalle sportive di ogni età in ogni disciplina “è endemica”, ha spiegato una delle atlete che hanno partecipato allo studio, “a causa dello sbilanciamento nelle opportunità disponibili, nel denaro investivo, nelle attrezzature fornite, nella copertura dei media, nell’importanza posta sugli eventi, nel modo in cui gli allenatori e i dirigenti agiscono, e dei pregiudizi consci e inconsci che si ripetono ogni singolo giorno”. L’industria sportiva nel suo complesso percepisce le donne che ne fanno parte come inferiori, qualsiasi sia il loro ruolo. Devono superare se stesse e andare oltre ogni limite per essere considerate “qualificate” come i loro colleghi uomini: la società considera lo sport “intrinsecamente maschile”. (Per esempio, se cercate su internet qualcosa come “donne nello sport” per immagini, i primi risultati sono “grid girls”, majorettes, reggiseni, disegni e foto dall’alto grado di oggettivazione sessuale.)

Violenze e abusi, ribadisce lo studio europeo, sono conseguenze dirette della classificazione degradata delle donne.

Maria G. Di Rienzo

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woman soccer player - dan sproul

“Apriti cielo.”, dice l’articolo di Repubblica mostrando tutto il fastidio di chi scrive, “E alla fine il dirigente giallorosso si scusa con le donne che si sono sentite offese.” I lettori (uomini) concordano: polemiche pretestuose, dibattiti ridicoli, polemiche senza senso, politicamente corretto portato alle estreme conseguenze (???).

E’ successo che il sig. Petrachi, direttore sportivo della Roma, protestando per un gol annullato alla sua squadra – nell’occasione il difensore del Cagliari Pisacane è stato portato fuori dal campo in barella con collare e maschera d’ossigeno – abbia spiegato furibondo che “Il calcio è un gioco maschio, non è per ballerine. Altrimenti ci mettiamo tutti le scarpine e andiamo a fare danza classica no? Questo è un gioco di maschi”.

Ribadendo che epoche e società si evolvono, la ct della nazionale di calcio femminile Milena Bertolini e la capitana della stessa Sara Gama hanno detto al proposito la stessa cosa che ripetiamo in tantissime da anni e anni e anni: “Quando si parla si deve stare attenti, le parole sono importanti e danno significato ai nostri pensieri.” (Bertolini) – “Il linguaggio plasma la realtà (…) è importante e dimostra che, per quanto cerchiamo di progredire, per il cambio culturale serve tempo. (…) E’ un’uscita ampiamente infelice in un tempo ampiamente sbagliato.” (Gama)

L’articolista però non ci sente: “Carolina Morace lo difende”, fa notare e riporta la dichiarazione della stessa per cui lei direbbe le stesse cose se le sue calciatrici “giocassero in punta di piedi”, sino a ricordare loro “non siamo ne’ signorine ne’ ballerine”. A questo punto, secondo Repubblica, parlando con l’Ansa “Gianluca Petrachi, ds della Roma, ripristina la realtà storica” (sic): era arrabbiato, voleva sottolineare che il calcio è ed “è sempre stato uno sport fisico e di contatto” e “alla Roma siamo molto orgogliosi della nostra squadra femminile e di promuovere il calcio femminile”. Naturalmente, “se qualcuno si è sentito offeso” il mister si scusa.

Ecco, femministe del menga, incartate e portate a casa: avreste dovuto tenere la bocca chiusa, invece di “cercare visibilità” con questi mezzucci (come rimprovera severo un lettore).

A me si apre un cielo di disperazione in testa quando constato che l’espressione linguistica è sempre meno collegata a senso e comprensione. Seguitemi un attimo:

1. La menzione del “gioco maschio” fisico e di contatto ecc. è una giustificazione della violenza in campo e la reiterazione della violenza stessa come tratto mascolino ab origine: è quindi lecito e normale sfasciare un avversario e farlo uscire dal campo in barella.

2. La mascolinità così espressa è definita e affermata per paragone che svilisce e svaluta la femminilità. Se gli uomini sono forti e aggressivi e naturalmente violenti, le donne non possono che essere riflesse in questo specchio come deboli e passive e “signorine ballerine”.

3. Ne’ Petrachi ne’ Morace, ne’ chi ha redatto il pezzo ne’ i commentatori, hanno la più pallida idea della durezza dell’addestramento a cui si sottopongono le bambine, le ragazze e le donne che fanno danza classica. Probabilmente a volte preferirebbero tirar calci a un pallone in un campo fangoso sotto una pioggia torrenziale: per faticare un po’ di meno.

4. Asserire che dopo i mondiali femminili di calcio Bertolini e Gama abbiano bisogno di visibilità a spese del ds Petrachi (chi è, scusate?) dimostra solo un pensiero per cui gli uomini sono l’ombelico del mondo, il centro di tutto e la giusta misura per qualsiasi cosa.

5. La frase “Se qualcuno si è sentito offeso” implica che chi la dice non può aver offeso nessuno. L’onere della violenza, verbale e fisica, ricade sempre su chi la subisce – costui o costei deve provare non che sanguina (questo quando accade è evidente e non può essere negato) ma che sia davvero “violenza” l’azione che gli ha aperto la carne. Qualcuno può “sentirsi” ferito, ma se chi impugnava la lancia dice che l’ha solo scossa per farsi vento basta far seguire all’atto delle scuse insincere e inutili: quanto alla richiesta di rimettere la lancia nella rastrelliera e di sventolarsi con un ventaglio, questo no, mai, per nessuna ragione.

Ed è proprio ciò che vi stiamo chiedendo, di deporre le armi sessiste con cui infestate il linguaggio, di porre fine alla vostra guerra insensata contro le donne, di riflettere su quanta sofferenza sta dietro agli stereotipi che ci appiccicate addosso. Apriti, cielo.

Maria G. Di Rienzo

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italia donne.jpg

Giovanotte, grazie. Siete già andate oltre gli obiettivi prefissati (qualificazione agli ottavi) e oltre ogni aspettativa di riconoscimento da parte del pubblico – quale che sia il risultato finale della vostra impresa ai mondiali, il passo successivo dev’essere ottenere lo status da professioniste e le tutele relative.

Ma il motivo principale per cui vi ringrazio è che mi avete restituito le ragioni di una passione.

Da bambina giocavo, come voi avete giocato da bambine, per quanto dovessi spesso farlo da sola – era difficile essere accettate nei gruppi di maschi. Avevo il mio quadernino autoprodotto con foto di squadre e calendari e coppe e arbitri – questi ultimi nella sezione “dannati”. Memorizzavo le formazioni e gli schemi di gioco. Ovviamente guardavo i campionati europei e mondiali.

Poi, pian piano, il piacere e l’interesse si sono sbriciolati.

Cos’avevo a che fare, io, con giovani miliardari e modelle sugli spalti e scommesse e società quotate in borsa e giri astronomici di soldi? La parte “epica” della faccenda – la sfida, il legame di un gruppo teso a uno scopo comune – non esisteva già più.

Prima di questo mondiale femminile, prima di Giuliani e Bonansea e Gama ecc. e una commissaria tecnica e due donne che in Rai fanno la radiocronaca… erano trent’anni che non guardavo una partita.

Il calcio ha comunque definitivamente perso molto per me e non credo proprio che in futuro darò la minima occhiata al campionato maschile o quant’altro. Ma voi giovani donne meritavate attenzione, sostegno e gratitudine e tifo scatenato per la partita di stasera (mannaggia, non so niente delle calciatrici cinesi… vado a informarmi). Auguri, Italia!

Maria G. Di Rienzo

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manichini

L’immagine riprende una sezione del “reparto donne” della Nike in Oxford Street, a Londra. La presenza del manichino in primo piano fa parte dell’impegno preso dall’azienda a onorare diversità e inclusione, quello per cui l’ex atleta e attivista antirazzista Colin Kaepernick è diventato un loro testimonial. Poi, non è che la Nike sia tutta umana nobiltà e non ci guadagni: le persone di colore e quelle di sesso femminile sono più invogliate a fare acquisti dove si sentono benvenute, ma le donne in particolare sono in effetti più inclini a comprare un capo d’abbigliamento se esso è presentato su un manichino che assomiglia al loro corpo (sul tema c’è anche un recente studio dell’Università di Kent). L’anno scorso, adottando questa strategia, il marchio di biancheria intima “Aerie” ha incrementato le vendite del 38%, contro il passivo prima e il modesto + 1% finale realizzato nello stesso periodo dai prodotti di “Victoria’s Secret” (sempre pubblicizzati dagli “angeli”, le prevedibili modelle sottilissime, abbronzate e ritoccate al computer).

Il manichino della Nike, ancora una rarità fra le migliaia di pupazzi scheletrici in vista in tutte le vetrine del mondo, ha però infastidito i cultori e cantori della “grassofobia” – sono quelli che danno dei malati, dei tossicodipendenti da cibo, degli schifosi pigri e ingordi agli individui le cui caratteristiche corporee non corrispondono agli attuali interessi economici delle industrie farmaceutiche, dietetiche, cosmetiche, ecc.

Su “The Telegraph”, per esempio, è apparso un articolo che in fase di redazione deve aver sciolto con il vetriolo la tastiera della sua ignorante autrice: “Quella (ndt. il manichino) è obesa sotto tutti gli aspetti e non si sta preparando a una corsa nel suo scintillante abbigliamento Nike. Lei non è in grado di correre. E’ più probabile che sia pre-diabetica e che stia aspettando una protesi all’anca.”

Naturalmente una valanga di donne larghe che fanno sport per piacere o che sono delle vere e proprie atlete l’hanno mandata dove meritava di andare. Alcune maratonete, in questo gruppo, hanno chiesto alla cafona giornalista se vuol venire a correre con loro, così vede se riesce a provare le stronzate che spara.

Io non so ovviamente come sia nato l’odio di questa persona per altri esseri umani che semplicemente vivono le loro vite e non le stanno facendo nulla, ma so da dove prende le informazioni scorrette che lo alimentano: da ogni media a sua disposizione. Se oggi, per ventura, avesse scorso dei quotidiani italiani, avrebbe trovato su ognuno di essi un pezzo sull’imperativa necessità – per le donne – di perdere peso, subito e con ogni mezzo necessario (c’è persino il folle “Dimagrire: la dieta del gelato” sulla prima pagina odierna di giornali a tiratura nazionale).

Il dato davvero interessante di tale ossessiva campagna è questo: non ha nulla a che fare con la salute delle donne.

1. Che il grasso sia una “malattia” l’ha detto nel 2013 l’Associazione dei medici statunitensi, di cui fanno parte diversi azionisti o consulenti dell’industria dietetica – e già questo inficia un po’ la dichiarazione (conflitto di interessi), inoltre l’Associazione ha una storia pesante di parametri su patologie stabiliti “ad minchiam”.

Lo hanno detto, ma non sono stati in grado sino ad ora di provarlo scientificamente. Nello stesso rapporto, hanno dovuto tra l’altro ammettere che gli individui “sovrappeso” hanno un rischio più basso di morte prematura degli individui con peso “normale” e che non c’è relazione diretta fra l’essere grassi e il morire prematuramente. C’è ormai una vasta letteratura sul “paradosso” del grasso corporeo, basata sui dati: pazienti con patologie cardiache e peso non “normale” vivono meglio e più a lungo dei loro corrispettivi specchi della fitness.

Dunque, che caxxo di malattia è quella grazie a cui ho un’aspettativa di vita più alta?

2. Guardare un pezzo di plastica sagomato e dedurre che sta per diventare diabetico e dovrà sottoporsi a intervento chirurgico è francamente idiota. Ma non meno idiota del guardare un corpo umano e prodursi nella stessa diagnosi.

Il fatto è che sul diabete di tipo 2, o mellito, l’associazione peso/malattia è fallace: molte persone magre sviluppano il diabete, molte persone grasse no. La ricerca scientifica non dà attualmente al proposito conclusioni definitive: non è chiaro se l’obesità causi il diabete, se sia il diabete a causare l’obesità, o se ambo le condizioni siano causate da fattori terzi come nutrizione povera, stress o eredità genetica. Vedete, io prima di scrivere qualsiasi cosa faccio i compiti a casa – e mi sciroppo interi studi di facoltà universitarie di medicina e serie complete di riviste scientifiche.

3. Un fattore di rischio legato al peso corporeo, certo e comprovato, c’è: è però grandemente sottostimato. Si tratta dell’effetto che la discriminazione, gli svergognamenti, il bullismo nei confronti delle persone grasse hanno sulla loro salute, sulla qualità delle loro esistenze e sulla durata di queste ultime (a cui spesso pongono fine prematuramente e volontariamente, soprattutto se femmine).

Medici e paramedici non sono esenti da pregiudizi in virtù delle loro lauree e diplomi, sono bombardati dalla campagna “grassofoba” quanto gli altri e spesso associano arbitrariamente il grasso alla scarsa salute e la scarsa salute all’immoralità (sei malato di ciccia e se sei malato di ciccia è colpa tua): un gran numero di persone ricevono diagnosi sbagliate perché il dottore di turno si limita a dar loro uno sguardo schifato e a consigliare il dimagrimento – in assenza di terapie adeguate ai loro veri problemi di salute, che con il grasso non avevano niente a che fare, ovviamente queste persone peggiorano e magari schiattano, ma cosa volevano aspettarsi? Erano delle merde ciccione, no? Gli sta bene!

Chi deve soffrire ostilità, battute del menga, reprimende ecc. negli ambulatori finisce logicamente per frequentarli il meno possibile: perciò le donne classificate come “sovrappeso” crepano più spesso di cancro cervicale – ma non lo causa il grasso, è che non vanno a fare il Pap test e se ne accorgono quando è troppo tardi.

Molte donne rispondono alla propria umiliazione continua smettendo di fare ciò che loro piace (pattini, pallone, danza… ma come ti permetti? SEI GRASSSSAAAAA!!!!) e persino uscendo di casa il meno possibile (o non uscendo proprio più: d’estate vai in giro con le spalle scoperte e i calzoncini? Ma come osi mostrarci il tuo lardo che dondola? SEI GRASSSSAAAA!!!!). L’imperativo urlato, costantemente aggressivo e spesso violento, di somigliare alle figurine della pubblicità conduce migliaia di bambine, ragazze e donne a sviluppare disturbi alimentari e problematiche legate all’immagine corporea. Molte ne portano le cicatrici per sempre, molte ne ricavano problemi di salute mentale e fisica, molte ne muoiono – se non le uccide l’intervento di liposuzione o di resezione dello stomaco, possono sempre buttarsi dal balcone o sotto il treno. E lo fanno.

4. Nonostante tutto ciò, c’è in giro il curioso convincimento che lo svergognamento relativo al peso corporeo debba essere accettato da chi lo riceve, perché si tratterebbe dell’espressione di preoccupazione per la sua salute. Una preoccupazione falsa, disinformata, stupida e brutale che nega rispetto, dignità e diritti umani a chi la riceve. Be’, tenetevela. Ai nostri corpi ci pensiamo noi.

La vulgata “grassofoba” dice che chi viene preso a pesci in faccia dovrebbe tenere gli occhi bassi, vergognarsi, assicurare che farà del suo meglio per diventare uno stuzzicadenti e scusarsi per il suo “corpo disobbediente”. Ma è mezzo secolo che io disobbedisco alla violenza patriarcale, ai dettami sessisti, agli stereotipi misogini. Figuratevi se smetto adesso o se smetto di incoraggiare altre/i a fare altrettanto.

Maria G. Rienzo

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federation

“Pregherei la regia di inquadrare l’assistente donna che è una cosa inguardabile (…) Annalisa Moccia, cosa impresentabile per un campo di calcio (…) E’ uno schifo vedere le donne venire a fare gli arbitri in un campionato in cui le società spendono centinaia di migliaia di euro, è una barzelletta della Federazione una cosa del genere.” Sergio Vessicchio, giornalista e telecronista calcistico per l’emittente locale CanaleCinqueTv.

Ho visto il video, ho ascoltato le parole e devo ancora capire perché la normalissima sig.a Moccia fosse “inguardabile” e “impresentabile”, sebbene abbia compreso subito perché fosse una cosa, anzi più esattamente perché fosse uno scioglilingua: una cosa che deve stare in casa e in chiesa e tenere la bocca chiusa. Id est, una femmina.

Vessicchio è stato sospeso dall’Ordine dei giornalisti della Campania (e non per la prima volta) senza mercé e senza che nessuno gli allungasse un bicchiere di effervescente Brioschi per alleviare la sua nausea alla vista di una donna arbitro. Potrebbe avere l’ulcera, essere incinto o aver rimasticato un po’ troppa misoginia ritrovandosela poi attaccata ai denti… cerchiamo di capirlo, questo poveretto.

E comunque si è scusato e ha spiegato come lo abbiamo frainteso, davvero, leggete qua:

1. “Mi rendo conto di avere usato degli attributi forti, per questo chiedo totalmente scusa, anche perché ritengo che le donne abbiano un’intelligenza straordinaria.”

Quali attributi, mister? Si riferisce agli aggettivi “inguardabile” e “impresentabile” (“schifo” è un sostantivo)? Non sono forti, nel contesto sono inappropriati e insultanti, esattamente come il “senso di disgusto provocato da cosa o persona fisicamente o moralmente ripugnante” che il dizionario fornisce quale definizione del sostantivo suddetto. Lei non ha detto di nulla di altamente controverso e quindi non giudicabile e da rubricare come “forte opinione”, lei ha espresso un profondo disprezzo per Annalisa Moccia e per ogni donna che non si conformi alla sua abominevole visione patriarcale del genere femminile. Non occorre un’intelligenza straordinaria, per capirlo, può riuscirci anche lei.

2. “La cosa è stata travisata e strumentalizzata a tutti i livelli.”

Come, dove? La sua telecronaca è accessibile e verificabile. Le parole che lei ha pronunciato sono quelle riportate fra virgolette nell’incipit e sono espresse così chiaramente da rendere impossibile il mistificarle.

3. “Non sono sessista, non sono razzista, sono per l’integrazione a 360°, ho fatto una stupidaggine, ho sbagliato i modi nell’esprimere il mio pensiero.”

Modalità inadeguate, quindi, ma pensiero corretto: lei crede sul serio che riformulare le sue frasi in tono più educato le trasformerebbe in qualcosa di accettabile? Vediamo: “Pregherei la regia di inquadrare l’assistente donna, Annalisa Moccia, che riveste a mio parere un ruolo improprio in quanto il denaro speso dalle società deve beneficiare esclusivamente il genere maschile, dopotutto pagare meno una donna o non pagarla affatto significa amarla di più, come afferma anche un nobile filosofo della discriminazione…” Eh, mi dispiace, resta sempre una stronzata.

4. Tenetevi forte, perché questa è la VERA RIVELAZIONE: Vessicchio non ce l’aveva con le donne, perbacco, voleva “attaccare la Federazione”!

Non possiamo accettarlo – non io, non il Capitano Kirk, non la Tenente Uhura e non il signor Spock. Non esiste alcuna giustificazione per l’attacco alla Federazione Unita dei Pianeti (o Federazione dei Pianeti Uniti e comunemente chiamata Federazione), repubblica federale interstellare basata su principi universali di libertà, diritti, uguaglianza e condivisione di conoscenze e risorse nella cooperazione pacifica per l’esplorazione spaziale. La Flotta Stellare è in stato di allarme e pronta a respingere qualsiasi aggressione.

Il sedicente giornalista televisivo ammetta di essere un Romulano guerrafondaio e si consegni alla clemenza della Federazione prima di provocare (altri) danni. Non impedirà all’astronave Enterprise, e tanto meno a noi donne, di “esplorare strani nuovi mondi, di cercare nuova vita e nuove civiltà, di andare coraggiosamente dove nessun altro è mai andato prima” – anche nei campi di calcio.

Maria G. Di Rienzo

weyoun

“Romulani. Così prevedibilmente infidi!” – Weyoun, Star Trek: Deep Space Nine – Stagione 7

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Uno-due

Sekinat Quadri

“Vorrei dire alle ragazze che hanno paura di tirare di boxe che la boxe non è così difficile. E’ solo diretto, doppio diretto, uno-due.”

Quando la BBC ha chiesto a Sekinat Quadri – in immagine – se voleva mandare un messaggio al mondo, lei ha scelto di dire ciò. I suoi eroi sono Muhammad Ali, la figlia di costui Laila Ali (sul ring dal 1999 al 2005, sempre imbattuta) e la pugile americana Claressa Shields, 23enne due volte campionessa dei pesi medi che pure non è mai stata sconfitta.

Sekinat è nigeriana, ha 7 anni e fa pugilato da due: capitemi, a cinque anni questo scricciolo ha espresso il suo sogno, demolito le resistenze degli adulti a permetterle di impegnarsi a raggiungerlo e sta ispirando altre bambine a imitarla (com’è visibile nella seconda foto).

sekinat in allenamento

A questo punto, fate un bel respiro e guardate diritto negli occhi la vostra giornata. Nessuno ha il diritto di definire chi siete e quel che volete ad eccezione di voi stesse. Diretto, doppio diretto, uno-due.

Maria G. Di Rienzo

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