Feeds:
Articoli
Commenti

Posts Tagged ‘sfruttamento’

Con questo pezzo inauguro la rubrica “Arte Contemporanea Italiana”, perché come ripetono Salvini & Meloni siamo il Paese delle “eccellenze”, siano esse zucchine di mare o 49 milioni di stracchini, ciliegie, arrosticini e paninazzi.

Dunque, la prima opera che vi presento si intitola “Maschio dominante con fragole” e viene dalla Lombardia.

maschio dominante con fragole

Il soggetto ritratto mentre Coldiretti lo premia, proprio per la sua eccellenza, è il sig. Gugliemo Stagno D’Alcontres, la cui azienda “StraBerry” è sotto sequestro per lo sfruttamento di braccianti africani. Costoro lavoravano 9 ore al giorno alla raccolta di fragole (ma molto onestamente la direzione ne faceva figurare 6 e mezza) per un compenso orario di 4,5 euro, con insulti – coglione, negro di merda, animale – e prevaricazioni e minacce come bonus.

Il signore raffigurato sopra spiega ridendo al telefono come queste siano strategie imprenditoriali di alto livello: “Questo deve essere l’atteggiamento perché con loro devi lavorare in maniera tribale, come lavorano loro, tu devi fare il maschio dominante, è quello il concetto, io con loro sono il maschio dominante… è così… io sono il maschio dominante!

Appena c’è uno che sbaglia mandalo subito a casa, così lo vedono gli altri, capito? Non lo fare parlare, perché se lui inizia parlare anche altri sentono, se loro vedono che tu lo mandi subito da capo, gli altri hanno paura di andare da capo dopo! hai capito? (la mancanza della “l” – sarebbe “dal capo” – è dovuta al fatto che Stagno D’Alcontres mima il linguaggio da burletta attribuito agli africani dal razzismo: “sì, badrone”, per intenderci).

Il concetto da dirgli è proprio questo, se troviamo una fragola fatta male se ne vanno a fare in culo, non è che c’è il perdono, non so se mi spiego.

Stamattina appena ho visto uno che parlava dopo un secondo l’ho mandato a casa, non è che gli ho dato la seconda possibilità…”Vai a casa!” E appena vedo uno con il cellulare io lo mando a casa! E’ il terrore di rispettare le regole!”

Ricordate per caso Antonio Calabrò, vicepresidente di Assolombarda?

https://lunanuvola.wordpress.com/2020/04/23/due-tormentoni/

Così egli ci ammoniva nell’aprile scorso (e ha continuato ad ammonirci ossessivamente anche dopo): “Un punto dev’essere fermo, nella coscienza generale: la ricchezza, il lavoro, il benessere sono frutto dell’attività d’impresa.”

Detesto le frasi monche e mal costruite. Enunciamo questa correttamente:

“Un punto dev’essere fermo, nella coscienza generale: la ricchezza e il benessere dell’imprenditore sono frutto dell’attività d’impresa condotta tramite il terrore; il lavoro per giungere a questo risultato lo fate voi poveracci: sottopagati, sfruttati, umiliati e cacciati a calci nel didietro se osate fare un pausa per bere o scambiate una parola con il vicino di filare.” (Non cito a caso, diversi braccianti hanno testimoniato esattamente quel che ho scritto.)

Maria G. Di Rienzo

Read Full Post »

… la prossima volta. (1)

(tratto da: “Thousands of Nigerian Trafficking Survivors Left Without Food or Money During Italy Lockdown”, di Leah Rodriguez per Global Citizen, 10 luglio 2020. Trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)

thomas reuters foundation - italy

Le bande criminali del traffico a scopo di sfruttamento sessuale hanno lasciato, in Italia, migliaia di sopravvissute prive delle necessità di base durante la pandemia Covid-19.

Le donne sfruttate e i loro figli sono state abbandonate e lasciate in isolamento senza cibo o denaro durante i tre mesi di lockdown nel Paese, che è iniziato a marzo.

“Agli occhi dei trafficanti di sesso queste donne sono subumane, sono sfruttate per arricchire i loro magnaccia che le trattano come fossero bancomat. – così ha detto Alberto Mossino, co-fondatore dell’organizzazione anti-traffico Piam Onlus, al Guardian – E quando il bancomat si esaurisce lo gettano via e ne cercano un altro.”

Diversi gruppi di volontari si sono fatti avanti per sostenere le sopravvissute. Alcune delle donne era state lasciate per strada dopo che i proprietari delle loro abitazioni le avevano buttate fuori, perché non potevano più pagare l’affitto, ha riportato l’organizzazione Dedalus.

L’Italia è diventata una zona calda del traffico sessuale in anni recenti e l’80% delle decine di migliaia di donne nigeriane che arrivano in Italia dalla Libia sono trafficate dalle gang, secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM). Queste donne sono forzate alla prostituzione per pagare debiti di oltre 35.000 euro e manipolate tramite rituali di magia nera detti “juju” per infliggere loro paura e tormento psicologico.

Le organizzazioni anti-traffico stanno registrando, durante la pandemia, un aumento delle donne che chiedono aiuto per sfuggire ai loro trafficanti. Le restrizioni sui viaggi e la limitazione dei servizi sociali e pubblici stanno rendendo più difficile alle sopravvissute al traffico di esseri umani lo scappare e il tornare a casa, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC). L’Ufficio sollecita i governi ad assicurarsi che alle sopravvissute sia garantito l’accesso ai servizi essenziali affinché ricevano sostegno e sia evitato ulteriore sfruttamento sessuale di donne e bambini.

(1) Il titolo è dovuto al fatto che i “clienti” di queste donne sono nostri connazionali ed è grazie alla loro domanda che l‘Italia è diventata una zona calda del traffico sessuale.

Read Full Post »

(tratto da: “The stranded babies of Kyiv and the women who give birth for money”, un lungo e dettagliato servizio di Oksana Grytsenko per The Guardian, 15 giugno 2020, trad. Maria G. Di Rienzo. Ndt: Kyiv è la capitale dell’Ucraina che siamo soliti chiamare Kiev, con la sua pronuncia russa.)

hotel venice

(Neonati partoriti da madri surrogate ucraine all’Hotel Venice a Kyiv. Particolare di una foto di Sergei Supinsky/AFP.)

Alcuni stanno piangendo nelle loro culle; altri sono cullati o nutriti con il biberon dalle bambinaie. Questi neonati non sono nella nursery di un reparto maternità: stanno in fila fianco a fianco in due grandi sale da ricevimento di un albergo dall’improbabile nome “Hotel Venezia” situato alla periferia di Kyiv e protetto da mura esterne e filo spinato.

Sono bambini di coppie straniere nati da madri surrogate ucraine nel Centro per la riproduzione umana della BioTexCom che ha base a Kyiv ed è la più grande clinica di questo tipo al mondo. Sono arenati nell’albergo perché i loro genitori biologici non sono stati in grado di viaggiare fuori o dentro l’Ucraina da quando, in marzo, i confini sono stati chiusi a causa della pandemia Covid-19. (…)

La BioTexCom ha rilasciato materiale video dall’hotel a metà maggio per sottolineare il doloroso dilemma dei genitori e per fare pressione affinché la chiusura dei confini sia mitigata. La situazione critica dei neonati ha fatto scalpore in tutto il mondo ma, a distanza di un mese, circa 50 bambini restano nell’albergo e la saga sta gettando una dura luce sull’etica e sulle dimensioni della crescente industria commerciale delle gravidanze in Ucraina.

Mykola Kuleba, il difensore civico dei bambini per l’Ucraina, dice ora che riformare il sistema da lui descritto come una violazione dei diritti dei minori non è stato sufficiente e che i servizi di maternità surrogata per le coppie straniere in Ucraina dovrebbero essere banditi.

Tuttavia, in un’economia impoverita, dove lo stipendio medio è di trecento sterline al mese e la guerra con la Russia e i suoi sostenitori continua, molte donne indigenti – in special modo nelle piccole città e nelle zone rurali – si stanno ancora mettendo in fila per restare incinte per denaro, anche se stanno pagando, come gli attivisti credono, un alto prezzo psicologico e in termini di salute.

A Vinnytsia, una città a sudovest di Kyiv, Liudmyla sta ancora aspettando il saldo della sua parcella per aver partorito una bimba a febbraio per conto di una coppia tedesca. Manda regolarmente messaggi all’agenzia (non la BioTexCom) che, sostiene, le deve 6.000 euro: “Continuano a rispondermi che non possono mandarmi l’intera somma a causa del lockdown.”

Sebbene Liudmyla, 39enne, abbia ricevuto il trasferimento di embrione a Kyiv e abbia passato la maggior parte della sua gravidanza a Vinnytsia, l’agenzia le ha chiesto di partorire in Polonia, di modo che la neonata fosse registrata là. Il personale ospedaliero non sapeva che Liudmyla era una madre surrogata, perché la maternità surrogata è bandita in Polonia, come nella maggioranza degli stati europei.

“Non volevo darla via, piangevo.”, ricorda Liudmyla. Dice che dopo essersi presa cura di lei per due giorni nel reparto maternità, lasciarla andare è stato uno strazio. Commessa e madre single, Liudmyla ha faticato per anni per trovare una casa per se stessa e i suoi tre figli che fosse migliore della singola stanza in cui vivevano in un ostello. Perciò nel 2017 andò a una clinica per la maternità surrogata e con il denaro ricevuto fu in grado di accendere un mutuo per un appartamento. Anche se finì in terapia intensiva a causa delle complicazioni relative alla gravidanza, Liudmyla decise di avere un secondo bambino surrogato per poter pagare la maggior parte del mutuo.

Non esistono statistiche ufficiali, ma si stima che diverse migliaia di bambini nascano ogni anno in Ucraina da madri surrogate. L’80% di questi bambini sono per coppie straniere, le quali scelgono l’Ucraina perché il procedimento è legale e a buon mercato.

Il prezzo di un pacchetto per la maternità surrogata in Ucraina parte da 25.000 sterline, con la madre surrogata che ne riceve minimo 10.000. Ai genitori promessi è generalmente richiesto di essere coppie eterosessuali sposate e di documentare la propria diagnosi di sterilità. Le cliniche e le agenzie mettono i loro annunci sui giornali, sui trasporti pubblici e sui social media.

Tetiana Shulzhynska, 38enne, scrive a questi ultimi tentando di persuadere le donne a stare distanti dalla maternità surrogata, poiché pensa che alcune di loro finiranno per pagarla con la propria salute o persino con le loro vite. “Nei contratti proteggono solo i bambini, non si curano di noi.”, dice seduta sul letto nella sua piccola casa di legno a Chernihiv, nel nord dell’Ucraina.

tetiana

(Tetiana Shulzhynska sfoglia i suoi referti medici nella sua casa di Chernihiv, nell’Ucraina del nord. Foto di Anastasia Vlasova.)

Shulzhynska, una madre di due figli che lavorava come autista di filobus, andò a una clinica per la maternità surrogata nel 2013, perché aveva disperato bisogno di ripagare un prestito bancario. Era così in bolletta che la clinica le mandò i soldi per pagarsi il biglietto fino a Kyiv.

Si accordò per restare incinta a beneficio di una coppia italiana e dopo due mesi si trovò ad avere quattro embrioni vivi in grembo. La famiglia biologica decise di tenerne solo uno e il resto fu rimosso chirurgicamente. Nel maggio 2014, Shulzhynska partorì una bimba che diede ai genitori. Ricevette un compenso di 9.000 euro.

Sette mesi più tardi andò all’ospedale con terribili dolori di stomaco. I medici le diagnosticarono il cancro cervicale. Le ci è voluto quasi un anno per raccogliere i soldi necessari all’intervento chirurgico. Shulzhynska sospetta che il cancro sia stato causato dalla sua maternità surrogata, anche se non ha prove. Di recente ha ordinato le stampelle perché i suoi medici hanno in programma di amputarle la gamba sinistra, ora affetta dal cancro che si propaga. Nel 2015, Shulzhynska ha denunciato la BioTexCom per i danni causati alla sua salute, il che ha dato avvio a indagini penali ancora in corso.

Yuriy Kovalchuk, un ex pubblico ministero il cui ufficio ha trattato una serie di indagini penali sulla

BioTexCom nel 2018 nel 2019, dice che almeno tre donne si presentarono alla polizia per aver subito la rimozione dell’utero subito dopo aver condotto gravidanze surrogate organizzate dalla compagnia commerciale. Racconta che altre indagini riguardavano accuse di frode e persino, nel 2016, di traffico di esseri umani dopo che una coppia italiana aveva scoperto nel 2011 che i bambini che si erano portati a casa non avevano con loro relazione genetica. Kovalchuk è stato rimosso dal suo incarico l’anno scorso e crede che ciò abbia avuto il risultato di arrestare le indagini sulla BioTexCom. In maggio ha scritto all’ufficio del difensore civico dettagliando le sue preoccupazioni sulla clinica.

All’ “Hotel Venezia” Albert Tochilovsky, il proprietario della BioTexCom, non nega che ci siano stati scambi negli embrioni durante le procedure attuate nel 2011 che hanno condotto all’indagine per traffico di esseri umani. Dà la colpa dell’errore alla mancanza di esperienza, giacché la clinica allora aveva solo un anno. “Non penso che solo noi si abbia commesso errori in questo campo. Se qualcuno cominciasse a controllare i DNA ci sarebbero un bel po’ di scandali.”

Tochilovsky sostiene che in almeno tre casi i genitori hanno rifiutato i bambini surrogati perché erano nati con problemi di salute. Il caso più noto è quello di Bridget, la figlia di una coppia americana che è nata nel 2016 e ora vive in un orfanotrofio a Zaporizhia, nell’Ucraina orientale. (…)

Le madri surrogate si stanno organizzando sui social media, dove condividono consigli e avvisi sulle agenzie. Svitlana Sokolova, ex madre surrogata e ora attivista dell’ong “Forza delle Madri”, che aiuta le madri surrogate, dice che ha cominciato a ricevere più lamentele su supposti maltrattamenti durante la quarantena per il Covid. Un gruppo di donne ha raccontato che il loro contratto le obbliga all’impianto di embrioni per un anno sino a che restano incinte. “Tramite questo contratto le donne diventano una sorta di proprietà privata.”, dice Sokolova.

Maryna Lehenka, avvocata de “La Strada – Ucraina”, dice che l’organizzazione di beneficenza riceve circa 100 chiamate l’anno da madri surrogate che lamentano lo stress di cui fanno esperienza dopo aver consegnato i bambini, o i problemi causati dagli ormoni che assumono per aumentare le probabilità di restare incinte. Lehenka menziona il caso di una donna che entrò in clandestinità in un villaggio, perché non voleva dar via il neonato surrogato.

Read Full Post »

kindred spirits

(particolare di una fotografia di Ognyan Yosifov/Alamy)

Il monumento che vedete si trova a Midleton, in Irlanda. Si chiama “Kindred Spirits” (“Spiriti Affini”) e commemora un gesto di solidarietà compiuto dalla nazione nativa americana dei Choctaw nel 1847, durante la “grande carestia” irlandese (1845-1849).

Costoro erano i sopravvissuti del cosiddetto “sentiero delle lacrime”: avevano cioè sofferto nel 1831 la deportazione forzata dai loro territori, assieme a decine di migliaia di nativi di altre tribù, e circa 2.500 di loro erano morti di fame durante le marce forzate.

La notizia che oltre l’oceano un popolo stava soffrendo e veniva decimato dagli stenti allo stesso modo li raggiunse e li colpì al punto che raccolsero offerte per inviarle agli irlandesi: la somma fu di 170 dollari, l’equivalente di più di 5.000 dollari oggi.

Oggi, appunto, il coronavirus ha uno dei suoi peggiori focolai nelle riserve indiane degli Stati Uniti. I motivi sono ancora quelli di un tempo: la scarsità di acqua corrente e di presidi sanitari, con la conseguente presenza di malattie croniche, non sono fattori casuali o collegati in modo intrinseco all’appartenenza a un’etnia, sono i risultati di una politica di espropriazione e dominio – così come espropriazione e dominio (inglesi) inasprirono la carestia in Irlanda, che era cominciata con la distruzione dei raccolti di patate a causa della peronospora.

La nazione Navajo e quella Hopi sono fra i gruppi più duramente colpiti dalla pandemia. Ma gli irlandesi hanno buona memoria. La scorsa settimana la raccolta di fondi a favore dei nativi americani aveva oltrepassato 1 milione e ottocentomila dollari: molte migliaia di essi vengono dall’Irlanda, tanto che gli organizzatori hanno ringraziato pubblicamente il paese.

Lo ha fatto anche Gary Batton, capo della nazione Choctaw dell’Oklahoma: “La tribù è stata gratificata e forse non molto sorpresa nell’apprendere dell’assistenza che ci giunge dai nostri amici speciali, gli irlandesi. Noi siamo diventati spiriti affini con gli irlandesi sin dagli anni della grande carestia. Speriamo che i popoli d’Irlanda, Navajo e Hopi costruiscano la stessa durevole amicizia, come noi abbiamo fatto.”

Maria G. Di Rienzo

Read Full Post »

Galina Angarova

“Come in molte altre culture indigene, il sacro femminino gioca un ruolo centrale nella visione cosmologica della mia gente, i Buryat (Buriati – Russia), ed è espresso tramite le nostre relazioni, le nostre storie e i nostri modi di vivere. Io provengo da quella che originariamente era conosciuta come società matrilineare. Eravamo le famose guerriere della foresta, riverite come eccezionali cacciatrici e combattenti. Molti di questi tratti sono ancora visibili oggi nelle donne del mio clan. Forti, indipendenti, determinate, indefesse lavoratrici – e anche, a volte, cocciute e chiassose.

Io sono cresciuta con le storie di mia nonna, che nella nostra lingua incapsulavano la saggezza dei nostri antenati. Ognuna insegnava un aspetto della vita: relazioni con le entità naturali come le piante, i fiumi e le montagne, o con esseri come animali, spiriti, antenati, o come maneggiare la condizione umana.

Oggi, viviamo in un mondo in cui maschile e femminile sono sbilanciati. Questo sbilanciamento si manifesta nel modo in cui ci rapportiamo l’un l’altra, nel modo in cui governiamo, nel modo in cui cresciamo i bambini, nel modo in cui facciamo affari. Poiché il sacro femminino è stato disprezzato, assalito e violato, stiamo fronteggiando le conseguenze dello sbilanciamento: ingiustizie, diseguaglianza di genere e etnica, povertà, cambiamento climatico.

Dobbiamo restaurare l’equilibrio fra il mascolino e il femminino. Nella visione del mondo dei Buryat il nostro pianeta, i nostri terreni e il nostro ambiente sono la manifestazione definitiva del sacro femminino. Senza un cambiamento nella nostra consapevolezza continueremo a ripetere gli stessi errori, a sfruttare e distruggere la Madre Terra senza capire che ne siamo parte. Tutti veniamo dal suo grembo, tutti veniamo dal sacro femminino ed è nostro dovere rispettarlo e proteggerlo.”

Galina Angarova (in immagine), direttrice esecutiva di Cultural Survival, organizzazione non profit che lavora per i diritti dei popoli indigeni (trad. Maria G. Di Rienzo), gennaio 2020.

Sempre suoi i seguenti brani tratti dal podcast “Why Preserving Cultural and Language Diversity is Vital to Protecting Biodiversity: An Interview with Galina Angarova”, di Kamea Chayne per Green Dreamer, 23 marzo 2020.

“La diversità di linguaggio è estremamente importante per la protezione della biodiversità, perché quei termini esistono nelle lingue native. La sapienza tradizionale sulla protezione della biodiversità esiste in quelle lingue. Se le perdiamo, la conoscenza scompare con esse.”

“La semplificazione del concetto di ricchezza ha condotto al convincimento che il danaro sia l’unica soluzione, ma vi sono molteplici soluzioni per mantenere il nostro spazio su questo pianeta essendo in relazione e in equilibrio con esso. Noi diamo valore all’avere una moltitudine di relazioni.

Questo è il motivo per cui quando preghiamo, preghiamo per tutte le nostre connessioni e relazioni nel mondo. Preghiamo non solo con gli esseri umani ma con il mondo naturale. Noi non oggettiviamo la natura: animali, pietre, uccelli e fiumi sono partecipanti in questa vita e hanno un’indiretta relazione con noi.”

“Abbiate cura di voi stessi. Ascoltate il vostro corpo e il vostro cuore. Noi, come persone, tendiamo a vivere nelle nostre teste, ma è importante affondare dalla testa al cuore e lasciare che sia il cuore a dirigere: è così che accadono i miracoli.

Read Full Post »

bound

“Molte di noi vogliono difendere il nostro diritto all’essere individui sessuali – il non sentirsi vergognose o represse rispetto ai modi in cui danziamo, facciamo sesso o guadagniamo soldi.

Il problema è che, invece di difendere il diritto delle donne a comprendere ed esprimere la loro effettiva sessualità, alcune donne stanno difendendo la mercificazione di tale sessualità: una “sessualità” che ha poco a che fare con il piacere femminile e tutto a che fare con l’eseguire performance per lo sguardo maschile.

C’è qualcosa, nel voyeurismo che feticizza i corpi delle donne, di profondamente ingranato nella nostra psiche. Al punto che, collettivamente, non riusciamo neppure a concepire una sessualità femminile che non ruoti attorno all’oggettivazione. La sessualità femminile è così profondamente intrecciata con il nostro sfruttamento che spesso le due cose sono difese come una cosa sola.

A me non sorprende che così tante ragazze facciano di colpo esperienza di problemi relativi a salute mentale e immagine corporea mentre raggiungono la maturità sessuale, considerando l’ammontare di dissonanza cognitiva che dobbiamo sopportare vivendo in un mondo dove rappresentare la sottomissione è descritto come la nostra unica strada verso la maturità o l’esplorazione sessuali.”

Laura McNally, psicologa con dottorato di ricerca, 10 febbraio 2020. Ha scritto – fra gli altri – per The ABC, The Guardian, The Australian, The Ethics Centre. Trad. Maria G. Di Rienzo.

Read Full Post »

(“The Gambia – Isatou Touray, Women’s Advocate, Appointed Vice President of The Gambia”, UN Women, 16 maggio 2019, trad. Maria G. Di Rienzo. Isatou Touray, in immagine, è stata nominata Vice Presidente del Gambia. Il giorno in cui potrò votare nel mio Paese una donna simile, saprò che la politica italiana si è mossa verso la civiltà.)

Isatou Touray

Sono nata a Banjul, dove ho ricevuto la mia istruzione. Inizialmente ho lavorato come insegnante e sono stata assegnata a varie parti del paese, incluse le aree rurali. Ho notato che le donne lavoravano più di 18 ore al giorno e percorrevano lunghe distanze per raccogliere legna, portando i loro bimbi sulla schiena.

Insegnando artigianato domestico, ho lavorato con loro su attività quali il migliorare la salute della famiglia tramite l’educazione alimentare e lo sviluppo delle competenze per generare reddito. Ho compreso che queste donne erano anche sfruttate e che le loro preoccupazioni non erano prese in considerazione nella maggioranza delle attività legate allo sviluppo. Vedevo che venivano mobilitate affinché partecipassero ai laboratori e poi nulla tornava loro indietro. Venivano da me chiedendo: “Che ne è stato delle promesse fatte dal Ministero?”

Da quel momento in poi mi sono impegnata nell’attivismo della società civile. Ho coinvolto comunità tramite il risveglio della consapevolezza e l’addestramento. Ho usato le informazioni raccolte sul campo per coinvolgere lo Stato e chiedere assunzione di responsabilità. Ora appartengo a diverse reti e le esperienze che ho guadagnato da queste iniziative globali vengono diffuse per dare alle comunità, ai decisori e ai legislatori la forza di portare avanti l’agenda femminista sullo sviluppo.

Ho anche fatto ricerca per il dottorato. Ora sono direttrice del Comitato gambiano sulle pratiche tradizionale che hanno impatto sulla salute di donne e bambine (GAMCOTRAP), un’organizzazione pro-diritti delle donne che ho contribuito a fondare nel 1992 per promuovere la salute e i diritti riproduttivi, e lavorare per eliminare la mutilazione genitale femminile.

Definisco me stessa una femminista perché credo nel potere e nell’anima delle donne.

Non devo agire come un uomo o mostrare tendenze macho per farmi accettare in determinati contesti. Sento che i miei diritti fanno parte del tutto e quel che io scelgo non dovrebbe costituire una ragione per discriminarmi. Ho visto come le donne sono tenute subordinate in varie culture, tradizioni e religioni. Ho visto e fatto esperienza delle incongruenze di interpretazione su istanze che riguardano la mia vita e come queste si manifestino in modi differenti per gli uomini. Tutte le suddette esperienze che ho accumulato negli anni hanno fatto di me una femminista.

Se il femminismo concerne la liberazione delle donne io ho scelto di fare esclusivamente questo.

Se il femminismo concerne l’autodeterminazione delle donne e il riacquistare la mia integrità, io ho scelto di viverlo!

Sono un’attivista femminista perché mi piacerebbe vedere una trasformazione che dia a uomini e donne uguali opportunità di realizzazione personale. Voglio avere una parte nel creare un mondo senza discriminazione, un mondo che riconosce come la diversità ci consenta di vivere in pace e armonia gli uni con gli altri.

Di recente mi sono presa l’impegno di scrivere delle nostre esperienze e di documentare il nostro lavoro per la posterità e per il pubblico accesso. Dobbiamo lasciare un’eredità che sia ricordata in futuro.

Read Full Post »

C’è questo signore, il cui mestiere non so definire con esattezza (twittatore, come neologismo, va bene?), presentato ossessivamente sui media come ministro del nostro governo ma sempre con corredo di panzarotti, ortaggi e calici di vino o mentre presenzia alle sagre – però non è il ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo… misteri italiani (so che avete capito immediatamente chi è).

Uno dei recenti commenti del twittatore è questo: “Undici nigeriani arrestati dai carabinieri per tratta di esseri umani. È successo a Torino: il gruppo convinceva delle ragazze a lasciare l’Africa pagando 25mila euro, ma poi le faceva prostituire. Grazie a Forze dell’Ordine e inquirenti: è l’ennesima dimostrazione che un’immigrazione sregolata è un business per i criminali.”

In realtà è l’ennesima dimostrazione che la prostituzione è inseparabile dalla tratta di esseri umani, e che la prostituzione è una palese violazione dei diritti umani delle persone comprate / vendute, anche quando costoro sostengono si tratti di una loro “scelta”: la violenza non si misura sul grado di acquiescenza della vittima, che può essere ottenuto dal perpetratore e da una società connivente in molteplici modi, ma sull’estensione dei danni causati dalla violenza stessa alla salute fisica e psichica, all’integrità corporea, al godimento di diritti e opportunità e libertà di chi la subisce.

“Non si possono dividere questi due fenomeni (tratta e prostituzione) perché la prostituzione è il luogo dove la tratta avviene e la prostituzione è la ragione per cui esiste la tratta, è il motivo per cui le donne vengono trafficate. Se non ci fosse un mercato non avremmo nemmeno i trafficanti che costringono le donne, (…) è un sistema che mette al primo posto i bisogni egoistici degli uomini che ci fanno violenza.” Rachel Moran, 27 maggio 2018, Roma, Conferenza sull’industria del sesso e la tratta degli esseri umani organizzata da Resistenza Femminista ed altre associazioni.

https://lunanuvola.wordpress.com/2015/09/29/pagata/

E’ interessante anche notare come la notizia di cui sopra è riportata dai media:

“Prostituzione, le maman nei centri d’accoglienza: 11 arresti. Dalla Nigeria alle prigioni della Libia, poi sfruttate da altre donne.”

“I carabinieri sgominano un’organizzazione criminale al femminile specializzata nella tratta delle giovani nigeriane.”

“I carabinieri del nucleo investigativo, coordinati dalla procura di Torino, hanno sgominato un’organizzazione criminale internazionale tutta al femminile specializzata nella tratta di giovani nigeriane destinate alla prostituzione.”

Infatti, gli undici magnaccia nigeriani menzionati dal twittatore erano otto donne e tre uomini. Ma se la proporzione fosse rovesciata, nessuno di noi avrebbe letto definizioni del tipo “un’organizzazione criminale al maschile” o “un’organizzazione criminale internazionale tutta al maschile”. Perché? Be’, perché delinquere è tutto sommato normale per gli uomini. Sommersi da diluvi ciclici di testosterone, vessati dall’impossibile controllo di una forza fisica esorbitante, “naturalmente” inclini alla competizione, al dominio e al controllo, interiormente fragilissimi e perciò soggetti a crolli di autostima devastanti e terrificanti raptus se solo una donna dice loro di no… l’esercizio della violenza è una conseguenza del tutto logica per creature così descritte, il solo difetto nella narrazione è che dipinge creature fantastiche, non uomini in carne e ossa.

Queste icone della propaganda patriarcale hanno anche un “bisogno” di sesso eterosessuale – che nei deliri più spinti può diventare persino un “diritto” – parimenti incontrollabile e che tende a obnubilarli sino a “costringerli” allo stupro. La prostituzione è dunque necessaria al soddisfacimento di un’irrefrenabile necessità creata a tavolino, perché nulla di quanto esposto sopra descrive la realtà ne’ ha un milligrammo di conferma scientifica. La sceneggiata è però del tutto funzionale a presentare la prostituzione come “inevitabile e innocua” (e a tutelare coloro che profittano a vario titolo del giro di miliardi correlato – e no, non sono le donne che si prostituiscono):

“Un effetto devastante della legge regolamentarista è quello di dare un messaggio dannoso e pericoloso all’intera società ovvero che la prostituzione sia inevitabile e innocua. La prostituzione invece è violenza, la domanda maschile è violenza e nei paesi abolizionisti le donne sono decriminalizzate mentre sono i compratori di sesso ad essere criminalizzati in quanto sono coloro che alimentano il mercato dello sfruttamento sessuale. Dobbiamo decidere in che tipo di società vogliamo vivere, la prostituzione è un male sociale, non è necessaria per nessuno. Se una società si batte per l’uguaglianza tra donne e uomini non può promuovere la prostituzione.”

Julie Bindel, 18 marzo 2019, intervistata del TG3.

https://lunanuvola.wordpress.com/2017/09/10/se-muoiono-la-bara-e-gratis/

L’enfasi sulle maman (sono le donne a sfruttare altre donne!) e sui nigeriani (immigrazione sregolata!), in assenza di una sola parola, una sola, sul perché le donne sono trafficate, assolve tranquillamente la legione di spensierati puttanieri che alligna nel nostro paese. Missione compiuta, per giornalisti e twittatore.

Maria G. Di Rienzo

Read Full Post »

(brano tratto da: “Prostitution is not work: The crib sheet”, di Samantha Berg per Feminist Current, 17 dicembre 2018, trad. Maria G. Di Rienzo.)

Dieci concise spiegazioni su come la prostituzione sia più affine allo sfruttamento che al lavoro.

1) Nessun titolo professionale è gettato minacciosamente in faccia a donne e ragazze, in tutto il mondo, allo stesso modo in cui “puttana” e i suoi molti sinonimi in molte lingue sono usati per commettere abuso verbale.

2) La prostituzione è spesso paragonata al lavorare in miniera. I danni ai minatori sono incidenti che l’equipaggiamento di sicurezza mira a ridurre; i danni alle donne prostituite sono inflitti loro intenzionalmente. La pornografia comunemente ritrae il fare del male alle donne come un attraente scopo per i consumatori.

3) La prostituzione è spesso paragonata ai lavori sottopagati nei fast food. Gli impiegati di questi ultimi non necessitano di servizi specializzati per aiutarli a mollare il lavoro nel modo in cui le sopravvissute hanno bisogno di protezione dai magnaccia. Quando le donne prostituite scappano sono sovente nella stessa situazione delle vittime di violenza domestica, cioè fuggono dal danno imminente con i soli vestiti addosso e la paura di essere di nuovo catturate in mente.

4) La prostituzione è spesso paragonata al pulire cessi. Essere costretti dalla necessità economica a pulire toilette ogni giorno può essere decisamente spiacevole, ma non è stupro e non lascia alle persone sindrome da stress post-traumatico, malattie sessualmente trasmissibili o gravidanze indesiderate. Chiunque abbia pulito un bagno e fatto sesso è in grado di spiegare le enormi differenze fra le due attività.

5) La prostituzione non è un lavoro di servizio, è sfruttamento del corpo. Il sesso, la razza, l’età di chi fornisce servizi legittimi non hanno importanza per cassieri, idraulici, contabili, guidatori di taxi, ecc., allo stesso modo in cui hanno invece importanza per gli uomini che usano prostitute, i quali non accetteranno servizi sessuali dal corpo di un uomo quando vogliono il corpo di una donna, o dal corpo di una donna anziana quando vogliono il corpo di una ragazza giovane.

6) Non esiste occupazione lavorativa che possa essere svolta mentre il lavoratore è privo di sensi. Le prostitute sono spesso drogate, svengono per dolori insopportabili o vengono loro inflitti traumi cranici prima o durante l’assalto sessuale.

7) La prostituzione non è una professione di intrattenimento sui media come il fare le modelle o recitare. Le attrici fingono di fare sesso, le donne prostituite non stanno fingendo di fare sesso e i danni ai loro corpi e alle loro menti sono la prova dello sfruttamento, non un’occupazione. Non c’è gruppo organizzato di trafficanti che forzi ragazze adolescenti a rappresentare Shakespeare per lo svago degli uomini.

8) Le condizione di base per la sicurezza sono impossibili da conciliare con la prostituzione. Le leggi sull’esposizione durante il lavoro (“ragionevolmente prevista per pelle, occhi, membrane mucose o tramite contatto parenterale con sangue o altri materiali potenzialmente infetti”) prevedono guanti di lattice, occhiali protettivi, mascherine per il volto e grembiuli per proteggere i lavoratori. La prostituzione non potrà mai rispettare i parametri dell’OSHA (ndt.: Occupational Safety and Health Administration, agenzia del Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti con lo scopo di garantire la sicurezza sul lavoro).

9) La sindacalizzazione non è possibile. Magnaccia e pornografi chiamano se stessi “sex workers” perché sono impiegati nell’industria del sesso mentre fanno pressione per la deregolamentazione e le eccezioni alle leggi sulla sicurezza dei lavoratori. Non si può negoziare una via d’uscita dallo stupro quando il lavoro è sopportare sesso non voluto.

10) “Ti dò dieci dollari se lasci che ti tiri un pugno in faccia” non è un’offerta di lavoro per liberi professionisti ne’ lo sono le istigazioni alla prostituzione. Gli uomini che richiedono prostituzione nei luoghi pubblici non stanno magnanimamente offrendo impieghi alle donne: nessuno avvicina estranei per strada con offerte di impieghi remunerativi.

Read Full Post »

impunity for violence

“Impunity for violence against women defenders of territory, common goods, and nature in Latin America” – “Impunità per la violenza contro le donne difensore del territorio, dei beni comuni e della natura in America Latina”, del Fondo Urgente per l’America Latina e i Caraibi (UAF – LAC).

Rapporto completo, pagg. 61:

http://docs.wixstatic.com/ugd/b81245_c0178ea8a0ea4db3b6de6629dea7c6db.pdf

Rapporto, sommario, infografica:

http://www.urgentactionfund-latinamerica.org/publicaciones

Introduzione (trad. Maria G. Di Rienzo)

Il Rapporto regionale sull’impunità per la violenza contro le donne difensore del territorio, dei beni comuni e della natura in America Latina riflette lo sforzo collettivo di UAF – LAC e di quattordici organizzazioni (1) impegnate nella promozione e nella difesa dei diritti umani e ambientali delle donne e nella protezione integrale delle attiviste e delle comunità che si confrontano con il modello economico estrattivo in America Latina.

Nel mentre affrontano non solo potenti interessi economici e politici, ma la sistematica e specifica violenza contro di esse, le attiviste ambientaliste corrono rischi particolari, minacce e aggressioni, come la violenza sessuale e altri crimini relativi al genere. Tuttavia, la documentazione su tale istanza è insufficiente e manca di approccio femminista e intersezionale.

Per questa ragione, abbiamo documentato la situazione di tredici attiviste (2) in nove diversi paesi, soggette a denunce, minacce, attacchi e altre forme di aggressione, sino all’estrema repressione / sterminio fisico in forma di femminicidio.

Questi casi mostrano l’allarmante situazione in cui si trovano le difensore, la loro lotta contro l’impunità per gli attacchi che ricevono e la mancanza, da parte degli operatori di giustizia, del riconoscimento degli standard da usare contro l’impunità.

L’impunità comporta molto di più dell’assenza di punizione per gli atti criminali. Implica che non c’è il dovuto processo legale, o che la legge non è stata applicata in modo consistente, che le vittime non sanno la verità sugli assalti che hanno subito e non hanno accesso a risarcimenti. Quindi, significa che lo Stato non adotta misura per prevenire il ripetersi di tali assalti. Ciò impianta terrore e disperazione nelle comunità e nelle organizzazioni e assicura la riproduzione di privilegio e ingiustizia in tutte le loro dimensioni, nonché la continuità dello status quo.

Da una prospettiva femminista, nella nostra regione il perpetuarsi di questo fenomeno è dovuto alle seguenti condizioni: a) la collusione fra lo Stato e le compagnie commerciali (3); b) il continuum e le spirali della violenza di genere; c) il razzismo strutturale, che implica doppia discriminazione contro le attiviste indigene e di origine africana; d) l’assenza di riconoscimento per il lavoro delle donne difensore, il che diminuisce l’importanza dell’identificazione del contesto in cui questi crimini occorrono e di chi li progetta; d) la mancanza di meccanismi di protezione efficaci per le difensore, meccanismi che tengano presenti le loro specifiche vulnerabilità, inclusa la violenza all’interno delle loro comunità e gruppi.

Basandoci sui casi, sottolineiamo alcuni fatti allarmanti. Per le attiviste ambientaliste la giustizia ha due lati: da una parte c’è l’assenza sistematica di indagini diligenti – di solito, le denunce presentate dalle donne difensore sono trascurate e non procedono; dall’altra parte, la giustizia opera con diligenza per criminalizzarle e neutralizzarle. Inoltre, c’è una preoccupante incompetenza da parte dei funzionari nel maneggiare le denunce di violenze sessuali delle donne attiviste, che stride contro la frequenza con cui questo tipo di violenza è esercitato da differenti agenti statali sulle difensore. Infine, diamo l’allarme sulla mancanza di indagini e sul fatto che, quando esse si danno, sono usualmente condotte sulla base di stereotipi misogini e razzisti.

Con questo lavoro congiunto vogliamo onorare e dare dignità all’eredità di resistenza di queste donne che si curano di territorio e natura e li proteggono in America Latina. Vogliamo amplificare le loro voci e le loro richieste e aumentare il sostegno e l’impegno di stati, regioni, corpi internazionali per la protezione dei diritti umani e società civili per la sicurezza delle vite delle difensore e l’integrità e la sostenibilità del loro attivismo.

(1) Questo rapporto è stato preparato tramite lo sforzo comune di: Fondo Urgente per l’America Latina e i Caraibi, Associazione per i diritti delle donne nello sviluppo (AWID), JASS – Just Associates, Iniziativa delle donne mesoamericane difensore dei diritti umani, Movimento delle persone investite dalle dighe in Brasile (MAB); Consiglio Civico delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras (COPINH); Commissione dei parenti delle vittime del Massacro di Curuguaty in Paraguay; Movimento delle Donne di Santo Tomás in Salvador; Movimento fiumi vivi Antioquia della Colombia; Commissione inter-ecclesiale per la giustizia e la pace in Colombia; Centro per la giustizia e i diritti umani della costa atlantica del Nicaragua; Fondo per le Donne del Sud; Comunità ancestrale Mapuche di Quillempám; Gruppo di lavoro lesbofemminista antirazzista Terra e Territorio, che hanno fornito suggerimenti e la documentazioni sui casi che mostrano schemi di impunità in differenti paesi.

(2) I casi documentati sono quelli di: Sonia Sánchez – Movimento delle Donne di Santo Tomás in Salvador; Isabel Cristina Zuleta – Movimento fiumi vivi Antioquia della Colombia; Lucia Aguero, María Fani Olmedo e Dolores López – Paraguay; Luisa Lozano e Karina Montero – Difesa dei diritti sulla terra e dei diritti collettivi dei popoli indigeni in Ecuador; Yolanda Oquelí – Resistenza alle miniere in Guatemala; Juana Bilbano e Lottie Cunningham – Centro per la giustizia e i diritti umani della costa atlantica del Nicaragua; Berta Cáceres, Consiglio Civico delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras; Nilce de Souza – Movimento delle persone investite dalle dighe in Brasile; “La Negra” Macarena Valdés – Comunità Newen-Tranguil del Cile.

(Ndt.: Berta Cáceres, Nilce de Souza e “La Negra” Macarena Valdés sono state assassinate.)

(3) La collusione si riflette sulle cornici legali e sulle politiche che incoraggiano gli investimenti stranieri a prescindere dal rispetto dei diritti umani, nonostante la violazione del diritto a un consenso libero, precedente e informato, la militarizzazione e le azioni di giudici e avvocati basate su pregiudizi.

Read Full Post »

Older Posts »