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Posts Tagged ‘nativi americani’

robin kimmerer - foto di dale kakkak

Robin Wall Kimmerer (in immagine) insegna biologia ambientale alla State University di New York. Nel 2003 uscì il suo libro “Gathering Moss”, una raccolta di saggi in cui raccontava la trascurata storia dei vari tipi di muschi – le piante più antiche del pianeta – e suggeriva di apprendere le loro lezioni di vita, giacché sono sopravvissuti a ogni tipo di catastrofe e di cambiamento climatico e hanno attraversato milioni di anni “dando di più di quel prendono, lavorando in accordo alle leggi naturali, stando vicini e insieme”.

Sette anni fa ha dato alle stampe “Braiding Sweetgrass: Indigenous Wisdom, Scientific Knowledge, and the Teachings of Plants” che è diventato un bestseller grazie al solo passaparola fra lettori/lettrici: 400.000 copie nel nordamerica, mezzo milione di altre copie in giro per il mondo. Come dice il titolo saggezza indigena, conoscenza scientifica e gli insegnamenti delle piante si intersecano come se ne facessimo “trecce di erba dolce” (hierochloe odorata, pianta aromatica sacra per molti popoli nativi americani).

In questi giorni il testo è ristampato in Gran Bretagna, cosa che ha dato a James Yeh del Guardian l’occasione per intervistare l’Autrice. Ecco alcune delle cose che Kimmerer ha detto:

“La maggior parte della gente non vede davvero le piante ne’ capisce cosa ci danno. Perciò il mio atto di reciprocità è stato il mostrare le piante come doni, come intelligenze diverse dalla nostra, perché sono creature straordinarie e creative. Voglio contribuire a renderle visibili alla gente. Le persone non comprendono il mondo come un dono, sino a che qualcuno non mostra loro che è tale.

Quel che i lettori di “Braiding Sweetgrass” mi hanno rivelato è che avevano una profonda nostalgia della connessione con la natura. E’ come se gli individui ricordassero un antico, ancestrale luogo all’interno di loro stessi. Ricordano come potrebbe essere vivere in un luogo ove si prova un senso di affinità e compagnia per il mondo vivente, non di estraniamento.

Il coronavirus ci ha ricordato che siamo esseri biologici, soggetti alle leggi naturali. Questa da sola può essere una scossa. Ma mi domando: riusciamo a un certo punto a spostare l’attenzione sul fatto che la vulnerabilità di cui stiamo facendo esperienza ora è la stessa vulnerabilità che gli uccelli canori percepiscono ogni singolo giorno delle loro vite? Può questa percezione estendere il nostro senso di compassione ecologica al resto dei nostri parenti oltre-umani?

Io credo che quando cambiamo il nostro modo di pensare, all’improvviso cambia il modo in cui agiamo e quello in cui gli altri attorno a noi agiscono: ed è così che il mondo cambia, mutando cuori e mutando menti. E’ contagioso. Io sono diventata una scienziata ambientalista e una scrittrice per ciò di cui sono stata testimone crescendo all’interno di un mondo di gratitudine e di doni.

Un contagio di gratitudine. Sto pensando a come potrebbe essere. Agire in gratitudine, come in una pandemia. Sì, posso vederlo.”

Maria G. Di Rienzo

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kindred spirits

(particolare di una fotografia di Ognyan Yosifov/Alamy)

Il monumento che vedete si trova a Midleton, in Irlanda. Si chiama “Kindred Spirits” (“Spiriti Affini”) e commemora un gesto di solidarietà compiuto dalla nazione nativa americana dei Choctaw nel 1847, durante la “grande carestia” irlandese (1845-1849).

Costoro erano i sopravvissuti del cosiddetto “sentiero delle lacrime”: avevano cioè sofferto nel 1831 la deportazione forzata dai loro territori, assieme a decine di migliaia di nativi di altre tribù, e circa 2.500 di loro erano morti di fame durante le marce forzate.

La notizia che oltre l’oceano un popolo stava soffrendo e veniva decimato dagli stenti allo stesso modo li raggiunse e li colpì al punto che raccolsero offerte per inviarle agli irlandesi: la somma fu di 170 dollari, l’equivalente di più di 5.000 dollari oggi.

Oggi, appunto, il coronavirus ha uno dei suoi peggiori focolai nelle riserve indiane degli Stati Uniti. I motivi sono ancora quelli di un tempo: la scarsità di acqua corrente e di presidi sanitari, con la conseguente presenza di malattie croniche, non sono fattori casuali o collegati in modo intrinseco all’appartenenza a un’etnia, sono i risultati di una politica di espropriazione e dominio – così come espropriazione e dominio (inglesi) inasprirono la carestia in Irlanda, che era cominciata con la distruzione dei raccolti di patate a causa della peronospora.

La nazione Navajo e quella Hopi sono fra i gruppi più duramente colpiti dalla pandemia. Ma gli irlandesi hanno buona memoria. La scorsa settimana la raccolta di fondi a favore dei nativi americani aveva oltrepassato 1 milione e ottocentomila dollari: molte migliaia di essi vengono dall’Irlanda, tanto che gli organizzatori hanno ringraziato pubblicamente il paese.

Lo ha fatto anche Gary Batton, capo della nazione Choctaw dell’Oklahoma: “La tribù è stata gratificata e forse non molto sorpresa nell’apprendere dell’assistenza che ci giunge dai nostri amici speciali, gli irlandesi. Noi siamo diventati spiriti affini con gli irlandesi sin dagli anni della grande carestia. Speriamo che i popoli d’Irlanda, Navajo e Hopi costruiscano la stessa durevole amicizia, come noi abbiamo fatto.”

Maria G. Di Rienzo

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(“Turtle Watchers” di Linda Hogan, poeta contemporanea della nazione nativa americana Chickasaw. Linda usa spesso la tradizionale combinazione di danza, musica e parlato per narrare le sue storie. Trad. Maria G. Di Rienzo)

Linda Hogan

La vecchia madre sul bordo dell’acqua

era solita inchinarsi a loro,

le tartarughe che arrivavano dal mare,

le loro numerose uova,

i loro occhi grondanti acqua come lacrime

e io vedevo tutto,

la vecchia madre che sembrava in preghiera,

le tartarughe richiamate al luogo in cui erano nate,

gli osservatori affamati in attesa al margine degli alberi

sperare nel cibo quando l’oscurità si fosse raccolta.

sea turtle

Anni più tardi, mentre nuoto in acque buie

una tartaruga nuota al mio fianco:

entrambe osserviamo, come strette insieme

nella stirpe originaria dello stesso mondo,

nell’onda trascinante della stessa corrente,

persino emergiamo a prendere una boccata d’aria nello stesso momento,

sempre osservando.

I miei antenati le chiamavano

“guardiane delle porte”

e chiamavano la spiaggia un regno per l’accesso ad altri mondi,

in ambo i sensi

e l’acqua muove il profondo cambiamento della vita

di nuovo verso la nascita e prima ancora,

come se ci fosse un sentiero in cui gli esseri davvero si incontrano,

come se io stessi curvando gli angoli umani.

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(“My Image is Not for Sale” – “La mia immagine non è in vendita”, di Taté Walker, trad. Maria G. Di Rienzo)

Sono una moderna wynian (1) Lakota.
Niente accento.
Niente pitture.
Niente piume.
Non assomiglio a nessun indiano che abbiate visto.
Perché non sono una mascotte. O un archetipo da blockbuster.
Qualcuno vestito come un tassidermista gotico
sta tentando di vendermi la mia stessa cultura.
“I tuoi valori e le tue credenze sono in vendita!”, proclama con la faccia rossa.
“E così la tua terra. La comprerò io per te (se andrai a vedere il mio film).”

(1) sacra datrice di vita = donna

Parlo unicamente per me stessa. La mia prospettiva come donna indigena sta spesso alla periferia di ciò che è popolare credere, perché sono un’indiana di oggi e urbanizzata, sono estremamente orientata al progressismo e sono del tutto capace di cambiare idea quando ce n’è bisogno: stranamente, questo è frustrante per le altre persone.
Vivo con mio marito e mia figlia a Manitou Springs, una piccola città turistica in cui le persone bianche sono il 95%. Il punto è: se cresci circondata da differenze troverai la differenza normale, scontata e persino valorizzata; cresci in una bolla dove tutti hanno uguale aspetto e si comportano allo stesso modo e la differenza mette una lettera scarlatta sul tuo petto. Quale genitore vorrebbe quest’ultima situazione per i propri figli?
Qui, non ci sono bambini di colore nella classe di mia figlia, e in apparenza la classe ha deciso venerdì scorso che “tutti hanno la pelle bianca”: Mimi mi ha detto questo scoprendo la deliziosa pelle color oliva del suo braccio mentre tornavamo a casa da scuola. Non so se il messaggio “siamo tutti la stessa cosa” provenisse dall’insegnante, ma so che hanno guardato un film su Martin Luther King e parlato della segregazione razziale come concetto astratto: “La gente bianca voleva che i bambini bianchi andassero in una scuola, e che i bambini neri andassero in una scuola diversa.”, questo è ciò che mia figlia ha imparato ed è stata in grado di dirmi.

mimi

Avrei potuto facilmente lasciar perdere. Potevo dirmi: “Almeno stanno insegnando qualcosa di Martin Luther King.” Ma, nella mia umile opinione di una che paga le tasse, credo che le scuole dovrebbero insegnare Martin Luther King e diritti civili ogni giorno: quando un giorno o due l’anno sono messi da parte per Martin Luther King o i Nativi Americani, tu cominci a riconoscere ogni altro giorno come una celebrazione del Privilegio Bianco (“Posso parlare la lingua che voglio, vestirmi come mi pare, andare alla scuola che preferisco, trovare lavoro più facilmente, fare più soldi, difendermi, camminare lungo un vicolo scuro con un cappuccio addosso e vivere per poterlo raccontare, bussare alle porte per chiedere aiuto senza che mi si spari addosso, ecc.)
Credo ci siano alcuni soggetti da non gettare come fardelli sulle menti giovani, ma non credo nell’indorare la pillola per rendere un concetto più facile da assimilare. “No.”, ho detto a Mimi, “Il dott. King ha fatto molto di più per il mondo. In alcuni posti i bianchi uccidevano i neri solo perché erano neri. La gente bianca impiccava quella nera agli alberi, feriva donne nere e bambini neri, e non era mai punita per questo. Martin Luther King ha contribuito a fermare questo, insegnandoci che le persone non devono vivere avendo paura l’una dell’altra.” Abbiamo parlato di suo zio, che è nero, e dei suoi cuginetti, che sono neri/nativi, e del fatto che senza persone come Martin Luther King la sua famiglia vivrebbe nella paura, e sarebbe odiata, a causa del colore della pelle. E di come i nativi americani – come lei e me e il suo papà – sarebbero perseguitati e trattati ingiustamente, e di come il messaggio di amore e equità e giustizia e resistenza del dott. King abbia aiutato gente come noi, gente che appare o agisce in modo differente.
Ora, la mia bimba ha cinque anni. Io ho cominciato ad afferrare l’enormità dell’eredità di Martin Luther King al college, per cui sono abbastanza sicura che a breve non marcerà o protesterà contro qualcosa che non siano i prodotti della mia cucina. Ma non è una stupida. Ed è conscia del mondo e nota le ingiustizie attorno a lei. L’altro giorno, nella biblioteca pubblica di Manitou Springs, si è chiesta ad alta voce: “La gente in carrozzella come arriva ai libri?”, dopo essere inciampata e quasi caduta dalla stretta scala della sezione per bambini. L’edificio è abbastanza vecchio da esibire l’etichetta “storico” e non ha accessibilità per le persone disabili. (da un più ampio testo di Taté Walker, 4 aprile 2014, trad. Maria G. Di Rienzo)

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