Qual è la tragedia più devastante che può colpire un uomo? I quotidiani italiani non hanno dubbi: il rifiuto di avere rapporti sessuali da parte di una donna. Uccidere chi ha respinto la richiesta è nulla di fronte all’enorme dolore di chi “ama” e non è “corrisposto”.
Oggi Repubblica cambia i titoli per il suo pezzo principale sull’omicidio di Elisa Pomarelli: sulla prima pagina è “Elisa non voleva più vederlo. E Sebastiani continua a mentire: Mi volevo uccidere”, che rimanda a “Un’ossessione per Elisa, Sebastiani confessa l’omicidio e piange“, ma ieri era “Sebastiani in lacrime davanti ai carabinieri: Ho fatto una stupidaggine”. Il ritocco è probabilmente conseguenza della protesta esplosa sul web per la infame copertura giornalistica della vicenda (un titolo definiva l’assassino un “gigante buono”) ma l’articolo resta intatto nella sua sublime superficialità e nella sua stratosferica ignoranza, tutto teso a farci provare per l’omicida simpatia e compassione:
«L’ho uccisa, ho fatto una stupidaggine», sbotta alla fine Massimo Sebastiani in lacrime nella stanza del comando provinciale dei carabinieri. Le sue manone da tornitore mulinano nell’aria sopperendo alle parole che non vengono. Rimangono strette in gola senza uscire e lasciano spazio ai singhiozzi. Sebastiani s’impappina, si agita sulla sedia, ma per un uomo semplice qual è non è facile spiegare quel gesto orrendo (…)
Il giornalista che scrive questo era presente all’interrogatorio? Ne dubito. E’ più probabile che, come tutti i suoi colleghi, abbia derivato la notizia del pianto dai comunicati dei carabinieri e poi ci abbia lavorato su di fantasia. Piangere è molto normale in condizioni di forte stress e non indica necessariamente l’essere appena usciti da un inspiegabile raptus: tanto più che l’assassino ha occultato il cadavere, ha cercato di costruirsi un alibi e di depistare le indagini. Non male, per un “uomo semplice” che non saprebbe neppure perché ha ucciso.
Inoltre, la vittima ha – secondo l’autore del pezzo – un certo grado di responsabilità nella propria morte violenta:
Tra i due forse un equivoco e un gioco alla fine pericoloso. Lui diceva che era la sua fidanzata, ma lei precisava sempre che il legame era solo di amicizia. E forse è proprio in questo scarto d’intenti che è maturato il delitto. (…) Una storia che andava avanti da parecchio tempo sempre appesa a questa incomprensione di fondo dove le intenzioni e i fini non combaciavano. Una storia con presupposti troppo fragili per potersi trascinare a lungo.
Lui insisteva, la incalzava e ogni volta lei precisava il confine entro il quale doveva stare la relazione. Un confine che forse alla lunga è risultato frustrante per Sebastiani, un uomo che tutti descrivono molto istintivo, uno un po’ selvaggio, capace di arrampicarsi sugli alberi e di correre a piedi nudi nella ghiaia. Una persona di animo semplice che forse non ha saputo elaborare un legame che avrebbe voluto essere molto diverso da quella amicizia che prescindeva da un rapporto più intimo. Forse sta proprio qui la chiave del dramma.
La ventottenne Elisa Pomarelli era dichiaratamente lesbica e frequentava l’amico Sebastiani da tre anni. Dichiaratamente, signor giornalista, significa che il suo assassino non poteva non saperlo – non ci sono equivoci possibili per tre anni di fila quando sei allo scoperto, anche se hai a che fare con individui che corrono a piedi nudi nella ghiaia (vede, vado spesso scalza anch’io e anche se non sono più in grado di arrampicarmi sugli alberi sono capace di capire che NO significa NO – a differenza, chissà perché, di una gran massa di uomini).
Inoltre, avere amici maschi e femmine è del tutto ordinario per un essere umano, omosessuale o no: ignoravo si trattasse di un “gioco pericoloso” tramite il quale si corteggia la propria morte. Quel che si desume da ciò è che la vittima abbia fomentato e favorito l’ossessione dell’omicida accettando un rapporto d’amicizia: so già che noi donne non ne facciamo mai una di giusta, ma so anche cosa accade quando individui del genere sono respinti a priori anziché accettati come amici – invece di morire strangolata nel loro pollaio, muori per loro mano a mazzate o pistolettate in un bar, per strada, nel parcheggio del supermercato, nel tuo ufficio, dove capita.
(…) un vecchio pollaio vicino alla casa dell’uomo dove forse Sebastiani aveva condotto Elisa per appartarsi. Forse è nata una discussione e l’operaio, corpulento e molto forte, ha ucciso la ragazza. Poi ha scelto un luogo molto impervio dentro un bosco su un pendio ricoperto di fitta vegetazione da cui si vede la pianura come da una balconata. Lì ha scavato una buca poco profonda e ha ricoperto il corpo cercando di occultare lo scavo con il fogliame.
(…) i carabinieri del Ris trovano tracce biologiche nel bagagliaio della Honda Civic. È la chiusura del cerchio. Dopo aver ucciso Elisa, Sebastiani ha probabilmente caricato il corpo sull’auto per consegnarlo a quella rudimentale tomba nel bosco. Una storia maledetta conclusa con il pianto tardivo di un uomo sbigottito persino da se stesso.
Citando un altro articolo, “Sebastiani ha strangolato Elisa nel suo pollaio di Campogrande dove l’aveva portata, dopo il pranzo in una trattoria, per regalarle alcune uova. Lei lo aveva scritto anche a un’amica nel suo ultimo sms.” Ma no, se un uomo ti vuol regalare pomodori e ti porta nell’orto tu donna devi pensare subito “Vuole appartarsi per avere un rapporto sessuale, non ci vado”, in special modo se hai affetto per il tipo in questione e ti fidi di lui. Tutto sommato, il giornalista di Repubblica ci dà un consiglio utile, vi pare? Non fidiamoci di nessun maschio, mai, chiunque sia. Poi, quando il consiglio lo segui, partono i pistolotti sul “non tutti gli uomini” e le femminazgul (non è mia, ma è troppo bella) che succhiano malignamente via dal mondo l’anima e la gioia e la libera scelta e l’amore. E muoiono. Muoiono di drammi, di storie maledette, uccise da uomini semplici e sbigottiti. Che poi piangono – ma non subito subito: piangono in manette, piangono davanti a polizia / carabinieri e pm e giudici, quando si rendono conto di non averla fatta franca.
Maria G. Di Rienzo
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