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Posts Tagged ‘amicizia’

kindred spirits

(particolare di una fotografia di Ognyan Yosifov/Alamy)

Il monumento che vedete si trova a Midleton, in Irlanda. Si chiama “Kindred Spirits” (“Spiriti Affini”) e commemora un gesto di solidarietà compiuto dalla nazione nativa americana dei Choctaw nel 1847, durante la “grande carestia” irlandese (1845-1849).

Costoro erano i sopravvissuti del cosiddetto “sentiero delle lacrime”: avevano cioè sofferto nel 1831 la deportazione forzata dai loro territori, assieme a decine di migliaia di nativi di altre tribù, e circa 2.500 di loro erano morti di fame durante le marce forzate.

La notizia che oltre l’oceano un popolo stava soffrendo e veniva decimato dagli stenti allo stesso modo li raggiunse e li colpì al punto che raccolsero offerte per inviarle agli irlandesi: la somma fu di 170 dollari, l’equivalente di più di 5.000 dollari oggi.

Oggi, appunto, il coronavirus ha uno dei suoi peggiori focolai nelle riserve indiane degli Stati Uniti. I motivi sono ancora quelli di un tempo: la scarsità di acqua corrente e di presidi sanitari, con la conseguente presenza di malattie croniche, non sono fattori casuali o collegati in modo intrinseco all’appartenenza a un’etnia, sono i risultati di una politica di espropriazione e dominio – così come espropriazione e dominio (inglesi) inasprirono la carestia in Irlanda, che era cominciata con la distruzione dei raccolti di patate a causa della peronospora.

La nazione Navajo e quella Hopi sono fra i gruppi più duramente colpiti dalla pandemia. Ma gli irlandesi hanno buona memoria. La scorsa settimana la raccolta di fondi a favore dei nativi americani aveva oltrepassato 1 milione e ottocentomila dollari: molte migliaia di essi vengono dall’Irlanda, tanto che gli organizzatori hanno ringraziato pubblicamente il paese.

Lo ha fatto anche Gary Batton, capo della nazione Choctaw dell’Oklahoma: “La tribù è stata gratificata e forse non molto sorpresa nell’apprendere dell’assistenza che ci giunge dai nostri amici speciali, gli irlandesi. Noi siamo diventati spiriti affini con gli irlandesi sin dagli anni della grande carestia. Speriamo che i popoli d’Irlanda, Navajo e Hopi costruiscano la stessa durevole amicizia, come noi abbiamo fatto.”

Maria G. Di Rienzo

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Questo è promettente: Alice Wu la regista-sceneggiatrice di “Saving Face” (“Salvare la faccia”, 2005) ha prodotto un nuovo film che sarà in onda su Netflix il 1° maggio prossimo.

Alice Wu è nata il 21 aprile 1970 negli Stati Uniti, figlia di migranti provenienti da Taiwan, e la sua prima opera autobiografica trattava del fare coming out come lesbica nella comunità cinese-americana. All’epoca, disse: “Mi auguro che il pubblico abbia la sensazione che, al di là di chi ciascuno è, che sia gay o etero, o qualsiasi sia il suo retroscena culturale, se c’è qualcosa che desidera in segreto, si tratti dell’avere il grande amore o altro, non è mai troppo tardi per averlo. Voglio che il pubblico esca dal cinema provando un senso di speranza e di possibilità.” E in effetti sono le caratteristiche che fanno di “Saving Face” un gran bel film e che gli hanno guadagnato una serie di premi.

Il prossimo si chiama “The Half of It”, che probabilmente – data la difficoltà di tradurre l’espressione in modo letterale – in italiano finirà per essere “L’altra metà”. E’ in pratica Cyrano de Bergerac ai nostri giorni la qual cosa, visto quanto amo la commedia di Rostand, già mi delizia di suo.

the half of it

Ellie Chu (l’attrice cinese-americana Leah Lewis, in immagine) è una liceale timida, solitaria e occasionalmente oggetto di stupidi sfottò razzisti. Ellie è eccellente negli studi e arrotonda le entrate familiari scrivendo per i compagni di scuola i saggi assegnati ad essi dagli insegnanti. La sua arcinota bravura nello scrivere fa sì che un altro studente, disperatamente innamorato e senza quasi speranza di riuscire a impressionare la ragazza dei suoi sogni, le chieda di creare lettere d’amore per costei. Purtroppo, o per fortuna, si tratta della ragazza di cui è innamorata anche Ellie…

Il tratto autobiografico, qui, riguarda il miglior amico della regista, un coetaneo eterosessuale che, grazie alla profondità emotiva del loro rapporto, la aiutò a venire a patti con la propria identità. “Così eccomi qua, – ha scritto Alice Wu presentando il suo lavoro – che procedo verso la mezza età e ho appena fatto un film sugli adolescenti. Ora che è finito, vedo alcune cose più chiaramente. La principale: ero solita pensare che ci fosse un solo modo di amare. Che A + B – C equivalessero all’Amore. Ora che sono più vecchia, so che ci sono più modi di amare. Così tanti, più di quanti avessi mai immaginato.”

Date un’occhiata al trailer, è fantastico:

https://www.youtube.com/watch?v=B-yhF7IScUE

Maria G. Di Rienzo

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Dear Eunsong, I write you here just in case, because I answered your email but received a delivery status notification: “The recipient server did not accept our requests to connect. We’ll try to forward the message for the next 46 hours” (Why 46, anyway? 48 were too common, or even vulgar? Did they try for two hours without telling me? Joking!).

I’m not sharing our correspondence here, I only want you to know that I’m well, in the midst of the pandemic chaos but holding my ground, and that I hope you’re well too. With love, Maria

girl standing between two trees

(Questo è per la mia amica Eunsong che non riesco a contattare, voi potete rileggere una sua poesia:

https://lunanuvola.wordpress.com/2017/04/19/uno-studio-sul-futuro/)

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(tratto da: “My 60th isn’t ‘just another birthday’. It’s a turning point.”, di Kit de Waal per The Guardian, 25 dicembre 2019, trad. Maria G. Di Rienzo. Nata nel 1960 come Mandy Theresa O’Loughlin, di nazionalità irlandese e britannica, ex giudice di pace e autrice di manuali su adozione e affido, con il nome d’arte Kit de Waal ha pubblicato il primo romanzo – “My Name Is Leon” nel 2016. La sua ultima opera è “Becoming Dinah”.)

Kit

I miei 50 anni sono stati meravigliosi. Sono diventata single e ho avuto alcune notevoli storie. Sono aperta a relazioni nuove, al flirt, a essere desiderata e sensuale ed espansiva. Ho raggiunto successo professionale scrivendo libri e saggi, facendo revisioni, insegnando e incoraggiando altre persone che scrivono. Ho usato la mia voce per dire quel che penso a favore degli scrittori della classe lavoratrice e della gente marginalizzata e ho scoperto durante i “Che si fottano Cinquanta” che amo veramente me stessa, senza scuse o codicilli. Ho smesso di cercare approvazione generalizzata, di preoccuparmi se vado bene o no e se quel che indosso, mangio, leggo o dico è giusto o no.

Tuttavia, ciò ho avuto un costo. Mi è stato detto che appaio assai controllata e intimidatoria, “feroce” è una parola usata spesso per descrivermi e io trovo il tutto sconcertante.

Ben lontano dall’essere solo un altro decennio, io penso che i 60 potrebbero essere un punto di svolta. Sì, salterò dalla mezza età alla vecchiaia, ma potrei anche saltare dai “Che si fottano Cinquanta” agli “Assapora Sessanta”. Rallenterò? Smorzerò i miei spigoli? Ho notato che sto già consolidando le amicizie importanti e staccandomi da quelle che sono diventate negative o “sottraenti”, che è l’unica parola a cui riesco a pensare per descriverle. Spero sempre di fare nuove amicizie e nei miei 60 potrebbe esserci più tempo per questo.

C’è, naturalmente, l’inevitabile treno espresso del tempo, che sfreccia via da te mentre invecchi. Mentre i 60 si avvicinano percepisco che il tempo si sta esaurendo o, quantomeno, sta diventando più prezioso – una frase fatta che più stereotipata non si può ma nondimeno vera. Avevo pensato che arrivare a 60 anni sarebbe stato solo un altro compleanno, ma mentre la data si avvicina capisco di essermi sbagliata. Ho la sensazione che qualcosa stia finendo e perciò, ovviamente, qualcosa sta per cominciare.

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roxane e debbie

(Ho incontrato una ragazza… e ora è la mia fidanzata)

La donna a sinistra nell’immagine è Roxane Gay.

https://lunanuvola.wordpress.com/2017/12/24/roxane/

Bisessuale, autrice di successi editoriali, opinionista per il New York Times, ha anche scritto per la Marvel assieme alla poeta Yona Harvey “Il mondo di Wakanda”, creando il primo fumetto nella storia di detta casa editrice ad avere per “madri” due donne di colore. Pure le protagoniste del fumetto, situato nell’universo di “Black Panther”, sono due donne di colore – che si amano.

La donna a destra è Debbie Millman, lesbica, scrittrice, artista, designer, autrice di una brillante serie di podcast (“Design Matters”) su progettazione e creatività, creatrice di corsi universitari ecc.

Parte della vita di Roxane è arrivata a me tramite i suoi libri. So cos’ha passato. So che sebbene scriva diffusamente su amore e relazioni preferisce di solito tenere per sé le sue esperienze in merito.

Di Debbie non conosco molto, a parte il fatto che ha in pratica “assediato” la sua amata lavorando tre mesi per riuscire ad averla come ospite nel suo spazio mediatico. Quando ce l’ha fatta, a fine intervista, le ha chiesto di andare a bere qualcosa insieme. Roxane ha accettato, ma era abbastanza nervosa da rovesciarle addosso del vino: “E poi siamo uscite e mi ha chiesto se poteva baciarmi e mi ha baciata.”

“Sono la donna più fortunata al mondo. – ha detto Debbie della sua relazione con Roxane – Era la prima volta nella mia vita che corteggiavo così tenacemente qualcuna.”

“Ed era la prima nella mia che qualcuna mi stava dietro in questo modo.”, ha replicato l’altra.

Perché ve lo racconto? Perché mi rende felice. Perché Roxane non lo sa, ma per me – e credo per molte altre sue lettrici e molti altri suoi lettori – è un’amica.

P.S. Bel colpo, Debbie.

Maria G. Di Rienzo

aneka - ayo

(Aneka e Ayo di “The World of Wakanda”)

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Qual è la tragedia più devastante che può colpire un uomo? I quotidiani italiani non hanno dubbi: il rifiuto di avere rapporti sessuali da parte di una donna. Uccidere chi ha respinto la richiesta è nulla di fronte all’enorme dolore di chi “ama” e non è “corrisposto”.

Oggi Repubblica cambia i titoli per il suo pezzo principale sull’omicidio di Elisa Pomarelli: sulla prima pagina è Elisa non voleva più vederlo. E Sebastiani continua a mentire: Mi volevo uccidere”, che rimanda a Un’ossessione per Elisa, Sebastiani confessa l’omicidio e piange, ma ieri era Sebastiani in lacrime davanti ai carabinieri: Ho fatto una stupidaggine”. Il ritocco è probabilmente conseguenza della protesta esplosa sul web per la infame copertura giornalistica della vicenda (un titolo definiva l’assassino un “gigante buono”) ma l’articolo resta intatto nella sua sublime superficialità e nella sua stratosferica ignoranza, tutto teso a farci provare per l’omicida simpatia e compassione:

«L’ho uccisa, ho fatto una stupidaggine», sbotta alla fine Massimo Sebastiani in lacrime nella stanza del comando provinciale dei carabinieri. Le sue manone da tornitore mulinano nell’aria sopperendo alle parole che non vengono. Rimangono strette in gola senza uscire e lasciano spazio ai singhiozzi. Sebastiani s’impappina, si agita sulla sedia, ma per un uomo semplice qual è non è facile spiegare quel gesto orrendo (…)

Il giornalista che scrive questo era presente all’interrogatorio? Ne dubito. E’ più probabile che, come tutti i suoi colleghi, abbia derivato la notizia del pianto dai comunicati dei carabinieri e poi ci abbia lavorato su di fantasia. Piangere è molto normale in condizioni di forte stress e non indica necessariamente l’essere appena usciti da un inspiegabile raptus: tanto più che l’assassino ha occultato il cadavere, ha cercato di costruirsi un alibi e di depistare le indagini. Non male, per un “uomo semplice” che non saprebbe neppure perché ha ucciso.

Inoltre, la vittima ha – secondo l’autore del pezzo – un certo grado di responsabilità nella propria morte violenta:

Tra i due forse un equivoco e un gioco alla fine pericoloso. Lui diceva che era la sua fidanzata, ma lei precisava sempre che il legame era solo di amicizia. E forse è proprio in questo scarto d’intenti che è maturato il delitto. (…) Una storia che andava avanti da parecchio tempo sempre appesa a questa incomprensione di fondo dove le intenzioni e i fini non combaciavano. Una storia con presupposti troppo fragili per potersi trascinare a lungo.

Lui insisteva, la incalzava e ogni volta lei precisava il confine entro il quale doveva stare la relazione. Un confine che forse alla lunga è risultato frustrante per Sebastiani, un uomo che tutti descrivono molto istintivo, uno un po’ selvaggio, capace di arrampicarsi sugli alberi e di correre a piedi nudi nella ghiaia. Una persona di animo semplice che forse non ha saputo elaborare un legame che avrebbe voluto essere molto diverso da quella amicizia che prescindeva da un rapporto più intimo. Forse sta proprio qui la chiave del dramma.

La ventottenne Elisa Pomarelli era dichiaratamente lesbica e frequentava l’amico Sebastiani da tre anni. Dichiaratamente, signor giornalista, significa che il suo assassino non poteva non saperlo – non ci sono equivoci possibili per tre anni di fila quando sei allo scoperto, anche se hai a che fare con individui che corrono a piedi nudi nella ghiaia (vede, vado spesso scalza anch’io e anche se non sono più in grado di arrampicarmi sugli alberi sono capace di capire che NO significa NO – a differenza, chissà perché, di una gran massa di uomini).

Inoltre, avere amici maschi e femmine è del tutto ordinario per un essere umano, omosessuale o no: ignoravo si trattasse di un “gioco pericoloso” tramite il quale si corteggia la propria morte. Quel che si desume da ciò è che la vittima abbia fomentato e favorito l’ossessione dell’omicida accettando un rapporto d’amicizia: so già che noi donne non ne facciamo mai una di giusta, ma so anche cosa accade quando individui del genere sono respinti a priori anziché accettati come amici – invece di morire strangolata nel loro pollaio, muori per loro mano a mazzate o pistolettate in un bar, per strada, nel parcheggio del supermercato, nel tuo ufficio, dove capita.

(…) un vecchio pollaio vicino alla casa dell’uomo dove forse Sebastiani aveva condotto Elisa per appartarsi. Forse è nata una discussione e l’operaio, corpulento e molto forte, ha ucciso la ragazza. Poi ha scelto un luogo molto impervio dentro un bosco su un pendio ricoperto di fitta vegetazione da cui si vede la pianura come da una balconata. Lì ha scavato una buca poco profonda e ha ricoperto il corpo cercando di occultare lo scavo con il fogliame.

(…) i carabinieri del Ris trovano tracce biologiche nel bagagliaio della Honda Civic. È la chiusura del cerchio. Dopo aver ucciso Elisa, Sebastiani ha probabilmente caricato il corpo sull’auto per consegnarlo a quella rudimentale tomba nel bosco. Una storia maledetta conclusa con il pianto tardivo di un uomo sbigottito persino da se stesso.

Citando un altro articolo, “Sebastiani ha strangolato Elisa nel suo pollaio di Campogrande dove l’aveva portata, dopo il pranzo in una trattoria, per regalarle alcune uova. Lei lo aveva scritto anche a un’amica nel suo ultimo sms.” Ma no, se un uomo ti vuol regalare pomodori e ti porta nell’orto tu donna devi pensare subito “Vuole appartarsi per avere un rapporto sessuale, non ci vado”, in special modo se hai affetto per il tipo in questione e ti fidi di lui. Tutto sommato, il giornalista di Repubblica ci dà un consiglio utile, vi pare? Non fidiamoci di nessun maschio, mai, chiunque sia. Poi, quando il consiglio lo segui, partono i pistolotti sul “non tutti gli uomini” e le femminazgul (non è mia, ma è troppo bella) che succhiano malignamente via dal mondo l’anima e la gioia e la libera scelta e l’amore. E muoiono. Muoiono di drammi, di storie maledette, uccise da uomini semplici e sbigottiti. Che poi piangono – ma non subito subito: piangono in manette, piangono davanti a polizia / carabinieri e pm e giudici, quando si rendono conto di non averla fatta franca.

Maria G. Di Rienzo

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mari e il robot

Se avete quindici minuti di tempo e vi fidate delle mie recensioni, potreste trascorrerli guardando questo breve film d’animazione del 2017, “Green Light” – “Luce Verde”.

https://www.youtube.com/watch?v=UT-mA673hLs

La squadra che l’ha creato è sudcoreana, però non vi servirà sapere altre lingue per vederlo (i dialoghi fra i due protagonisti principali, in immagine, sono comprensibili ma non vocalizzati; se siete curiosi delle sole due parole in coreano che si sentono nel filmato, la prima è “questo” e la seconda è “Yu-na”, un nome proprio).

Il regista Kim Seong-min racconta la sua storia così: “Luce Verde parla di una ragazzina e di un robot soldato che si trovano nella peggior situazione possibile causata dall’uso improprio di tecnologia scientifica altamente sviluppata. Ho tentato di mostrare il legame fra Mari, che tenta di costruire un futuro migliore senza abbandonare la speranza in una situazione tragica dove tutto è stato distrutto, e un automa che comincia una nuova vita grazie a lei, e come entrambi creino un nuovo mondo.”

In un quarto d’ora di tenerezza e magnificenza tecnica “Green Light” vi dirà che comunicare con chi è diverso da noi è sempre possibile e spegne la violenza. Vi dirà persino che anche quando scomparite i vostri sogni non devono necessariamente andare in frantumi.

Uno dei commenti più comuni al video è: “Sono un uomo adulto e sto piangendo”. Anche la scrivente vecchietta si è trovata una lacrima sulla guancia.

Maria G. Di Rienzo

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abominable

Le immagini che vedete appartengono a un cartone animato, “Abominable” (“Abominevole”) – in italiano sarà “Il piccolo Yeti” – che uscirà nei cinema americani a fine settembre e da noi in ottobre.

La protagonista principale è Yi, una ragazzina indipendente, coraggiosa e determinata che quando trova un piccolo Yeti sul tetto del suo condominio a Shangai decide di intraprendere un epico viaggio per fare in modo che il cucciolo si riunisca alla sua famiglia.

abominable-3

Yi e i suoi amici Jin e Peng, che gli hanno dato il nome di “Everest”, devono condurlo al punto più alto della Terra mentre tentano di sfuggire alla caccia di Burnish, un ricco uomo assolutamente intenzionato ad avere uno Yeti come trastullo, e della zoologa Zara – da cui, come appare nei trailer, “Everest” era stato in precedenza catturato riuscendo poi a scappare. Yi, il cui motto inciso nel ricordo del padre scomparso è più o meno “non mollare mai”, suona il violino con passione persino durante il viaggio e almeno in una sequenza riprende il motivo principale della colonna sonora: “Go Your Own Way” – “Va’ per la tua strada” dei Fleetwood Mac (ovvero il pezzo n. 120 nella lista delle Più Grandi Canzoni di tutti i Tempi della rivista Rolling Stone. Potete ascoltarlo qui:

https://www.youtube.com/watch?v=qxa851vAJtI )

abominable-2

E’ la sua musica a far sbocciare i bianchi fiori luminosi dell’immagine, anche se la violinista non ne è ancora consapevole. Va bene, mi direte, la pellicola è diretta da una donna – Jill Culton – e la giovane Yi non è la solita principessina ossessionata da sono bella o no – chi mi amerà – come mi sta il vestito, ma perché stai scrivendo in pratica di un filmetto per famiglie? Per chi ci sta dietro e lo ha effettivamente costruito, mie care creature. E chi ci sta dietro sono queste due:

judy e suzanne

Sono Suzanne Buirgy e Judy Wieder, da oltre trent’anni coppia lesbica ma coppia anche nelle imprese artistiche, in cui si sono sostenute l’una con l’altra e passo dopo passo lungo l’intera via.

Judy è stata la prima caporedattrice del famoso giornale lgbt “The Advocate”, ma ha fatto anche la cantante folk, la compositrice e la giornalista musicale. In più, ha descritto tutto questo in una recente biografia. Suzanne Buirgy ha vent’anni di esperienza nella creazione e produzione di film d’animazione ed effetti speciali (per “Dragon Trainer” e “Kung Fu Panda 2” ha anche ricevuto premi). L’atmosfera magica de “Il piccolo Yeti” l’hanno evocata queste due straordinarie artiste, che hanno un particolare talento nel trasmettere al pubblico storie avvincenti e ispiratrici.

Quando Suzanne ha incontrato Judy, quest’ultima suonava in una band femminile: “Cominciammo a scrivere canzoni insieme. Siamo insieme da 31 anni e non passi così tanto tempo con qualcuna, amando qualcuna che è come te una persona creativa senza ricevere i suoi “colori”. Judy è una parte integrale della mia vita creativa proprio perché a questo punto lei fa parte del mio DNA. Penso che questa sia la cosa più straordinaria.” (da un’intervista condotta da Desirée Guerrero il 15 agosto u.s.)

Maria G. Di Rienzo

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Ci siete tutte/i

Ehilà sodali, sembra che in quel di Facebook si siano resi conto che questo blog non è una succursale dell’inferno (meglio tardi che mai), per cui vi è di nuovo permesso condividerne i contenuti.

So che in molti vi siete mobilitati a mio favore – non ne dubitavo – e vorrei ringraziarvi: in particolare Chiara, Alessandra, Nicoletta, Giovanni e Gianluca (voi sapete chi siete) – persone splendide che mi sono care da tempo e per un’infinità di motivi.

Ma ognuno/a di voi ormai sa di avere un posto nel mio cuore: lo rammendate quando si strappa un po’, lo fate respirare quando sta soffocando e lo riempite di idee e di storie grazie alle quali continua ostinatamente a pulsare.

Lo vedete qui sotto? Ci siete tutte/i. Ancora grazie.

Maria G. Di Rienzo

flower heart

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Null’altro importa

Nothing else matters (Null’altro importa), Metallica, 1991 (trad. Maria G. Di Rienzo)

metallica

Così vicino, non importa quanto lontano

non potrebbe venire di più dal cuore

avendo fiducia per sempre in chi siamo

e null’altro importa

Non mi sono mai aperto/a in questo modo

la vita è nostra, la viviamo a modo nostro

tutte queste parole che proprio non dico

e null’altro importa

Cerco fiducia e la trovo in te

ogni giorno per noi qualcosa di nuovo

mente aperta per una visione diversa

e null’altro importa

Non mi è mai importato di ciò che fanno

Non mi è mai importato di quel che sanno

ma io so

Così vicino, non importa quanto lontano

non potrebbe venire di più dal cuore

avendo fiducia per sempre in chi siamo

e null’altro importa

Non mi sono mai aperto/a in questo modo

la vita è nostra, la viviamo a modo nostro

tutte queste parole che proprio non dico

e null’altro importa

Cerco fiducia e la trovo in te

ogni giorno per noi qualcosa di nuovo

mente aperta per una visione diversa

e null’altro importa

Non mi è mai importato di quel che dicono

Non mi è mai importato dei giochi a cui giocano

Non mi è mai importato di quel che fanno

Non mi è mai importato di quel che sanno

e io so

P.S. a) Ho cominciato un altro romanzo – un po’ presto, ma non so quanto tempo ho ancora: chi lo sa, in effetti? b) Continuo ad aspettare che la Coop mi faccia sapere se sono indegna di essere socia da più di vent’anni perché sguazzo nel mio corpo come un pesciaccio felice, alla faccia dei suoi insultatori con laurea; c) Dal mio ultimo “revival” sono passati cinque mesi: quello qui sopra è un ringraziamento ai 909 iscritti a questo blog – ho fiducia in voi.

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