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Posts Tagged ‘ecologia’

robin kimmerer - foto di dale kakkak

Robin Wall Kimmerer (in immagine) insegna biologia ambientale alla State University di New York. Nel 2003 uscì il suo libro “Gathering Moss”, una raccolta di saggi in cui raccontava la trascurata storia dei vari tipi di muschi – le piante più antiche del pianeta – e suggeriva di apprendere le loro lezioni di vita, giacché sono sopravvissuti a ogni tipo di catastrofe e di cambiamento climatico e hanno attraversato milioni di anni “dando di più di quel prendono, lavorando in accordo alle leggi naturali, stando vicini e insieme”.

Sette anni fa ha dato alle stampe “Braiding Sweetgrass: Indigenous Wisdom, Scientific Knowledge, and the Teachings of Plants” che è diventato un bestseller grazie al solo passaparola fra lettori/lettrici: 400.000 copie nel nordamerica, mezzo milione di altre copie in giro per il mondo. Come dice il titolo saggezza indigena, conoscenza scientifica e gli insegnamenti delle piante si intersecano come se ne facessimo “trecce di erba dolce” (hierochloe odorata, pianta aromatica sacra per molti popoli nativi americani).

In questi giorni il testo è ristampato in Gran Bretagna, cosa che ha dato a James Yeh del Guardian l’occasione per intervistare l’Autrice. Ecco alcune delle cose che Kimmerer ha detto:

“La maggior parte della gente non vede davvero le piante ne’ capisce cosa ci danno. Perciò il mio atto di reciprocità è stato il mostrare le piante come doni, come intelligenze diverse dalla nostra, perché sono creature straordinarie e creative. Voglio contribuire a renderle visibili alla gente. Le persone non comprendono il mondo come un dono, sino a che qualcuno non mostra loro che è tale.

Quel che i lettori di “Braiding Sweetgrass” mi hanno rivelato è che avevano una profonda nostalgia della connessione con la natura. E’ come se gli individui ricordassero un antico, ancestrale luogo all’interno di loro stessi. Ricordano come potrebbe essere vivere in un luogo ove si prova un senso di affinità e compagnia per il mondo vivente, non di estraniamento.

Il coronavirus ci ha ricordato che siamo esseri biologici, soggetti alle leggi naturali. Questa da sola può essere una scossa. Ma mi domando: riusciamo a un certo punto a spostare l’attenzione sul fatto che la vulnerabilità di cui stiamo facendo esperienza ora è la stessa vulnerabilità che gli uccelli canori percepiscono ogni singolo giorno delle loro vite? Può questa percezione estendere il nostro senso di compassione ecologica al resto dei nostri parenti oltre-umani?

Io credo che quando cambiamo il nostro modo di pensare, all’improvviso cambia il modo in cui agiamo e quello in cui gli altri attorno a noi agiscono: ed è così che il mondo cambia, mutando cuori e mutando menti. E’ contagioso. Io sono diventata una scienziata ambientalista e una scrittrice per ciò di cui sono stata testimone crescendo all’interno di un mondo di gratitudine e di doni.

Un contagio di gratitudine. Sto pensando a come potrebbe essere. Agire in gratitudine, come in una pandemia. Sì, posso vederlo.”

Maria G. Di Rienzo

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Joan

“Nel posto dove vivo, la mia cittadina aveva una disputa relativa al confine con il villaggio adiacente. La decisione su cui ci siamo accordati è che non abbiamo bisogno di marcare un confine e che ambo i villaggi possono usare quell’area senza tracciare una linea. E’ più importante che entrambe le comunità coesistano pacificamente piuttosto che avere un conflitto. In fin dei conti, è più importante la protezione dei nostri territori a livello più ampio. Sino a che viviamo in accordo ai valori dei Popoli Indigeni quali la solidarietà, la cooperazione e il sostegno del bene comune, essi diventano la cornice per risolvere le questioni di confine in maniera pacifica.

E’ tempo che il mondo ascolti i Popoli Indigeni perché abbiamo davvero molto da offrire. Abbiamo continuato a proteggere il nostro pianeta e abbiamo valori positivi nel modo in cui governiamo noi stessi; tali valori sono ciò di cui c’è bisogno a questo punto. Abbiamo necessità di sostenere l’interesse comune. Abbiamo necessità di trasparenza. E dobbiamo aver cura l’uno dell’altro, in special modo di coloro che sono in difficoltà. Dobbiamo avere relazioni di reciprocità con il nostro ambiente di modo da non distruggerlo, ciò è necessario per le generazioni future. Questi sono i valori universali che devono guidare la via per l’ottenimento dello sviluppo sostenibile.”

Joan Carling (in immagine), Kankanaey delle Filippine, ambientalista e attivista per i diritti umani, marzo 2020, trad. Maria G. Di Rienzo.

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Valeria Valente, avvocata, senatrice del PD, Presidente della Commissione d’inchiesta sul Femminicidio, 6 aprile 2020:

“E’ giusto condividere scelte e responsabilità che riguardano il futuro prossimo di tutti e le prospettive stesse del nostro Paese. Ma perché la ripartenza sia anche un’occasione di rinascita, di cambiamento e di innovazione, un’opportunità per correggere quei limiti dell’economia e dell’organizzazione sociale che questa crisi straordinaria sta mettendo in evidenza, è assolutamente prioritario che la cabina di regia sia contaminata in modo virtuoso da un pensiero femminile e femminista. Non solo per una questione di parità e di giustizia sociale, ma per il futuro stesso dell’Italia.

Come ha sottolineato Linda Laura Sabbadini, in questo momento il lavoro delle donne sta sorreggendo il sistema Italia. I due terzi delle donne occupate, 6 milioni 440 mila su 9 milioni 872 mila, stanno continuando a prestare la propria opera perché impegnate in settori strategici, come il Sistema sanitario nazionale (dove i 2/3 sono donne) e la cura domiciliare di anziani non autosufficienti, la scuola, la vendita di alimenti, i servizi bancari e assicurativi, i servizi nella Pa. Sono fermi, invece, proprio i comparti a più alta densità di presenza maschile, come l’industria e le costruzioni.”

Susanna Camusso, sindacalista, ex Segretaria generale della Cgil, 8 aprile 2020:

“Nell’emergenza – che non è superata – si sono già fatte delle scelte, alcune delle quali possono già dare indicazioni per il “dopo”. Due sopra di tutte: finanziare e potenziare il servizio sanitario nazionale, e fronteggiare le diseguaglianze perché non si allarghi la voragine. Emerge quindi la necessità di uno sguardo sociale, e si rende evidente la non sufficienza della logica “produrre, produrre” senza guardare cosa succede alle persone nella loro dimensione collettiva ed individuale.

(…) La politica ha il dovere di avere al centro del suo pensiero il come prende in carico la società, composta dalle persone, deve considerare la qualità del vivere perché le soluzioni siano per i molti e non per i pochi. Per sintetizzare, deve uscire dalla dimensione gratuita la “cura”; che non è attitudine femminile “dovuta e scontata”, marginale e non economica, ma è, invece, tratto necessario in un mondo che è giunto ai suoi limiti e va reso sostenibile socialmente, economicamente, ambientalmente.

Nessuna di queste dimensioni può essere isolata, non c’è quello che resta nelle mura di casa e quello che riguarda il palcoscenico pubblico. Occorre affrontare quella gerarchia di valore del lavoro, che già oggi è stravolta, ma che nessuno vuole nominare esplicitamente. (…)

Forse la politica non conosce davvero le tante sapienze del mondo femminile e femminista, eppure ha la straordinaria occasione di scoprirle, di non fermarsi al noto ed abituale. Coraggio e capacità politica si misurano dal saper scommettere e scegliere di innovare.”

Rossella Muroni, ecologista, deputata di Liberi e Uguali, ex presidente Nazionale di Legambiente, 9 aprile 2020:

“(…) Questa crisi deve essere anche un’occasione per non tornare a fare i soliti errori, per superare i limiti delle nostre organizzazioni sociali e per provare davvero a realizzare la parità di genere. Non solo per una questione di giustizia sociale, ma anche perché conviene a tutte e tutti. Se già prima di questa fase difficile l’incapacità di valorizzare l’intelligenza, le competenze e la partecipazione delle donne era uno dei principali fattori di arretratezza, ora non ci possiamo più permettere di fare a meno di noi donne.”

equiterra

Questo è un disegno di Equiterra, come immaginata nel marzo scorso alle Nazioni Unite. Si tratta di un luogo dove tutte e tutti hanno eguali diritti ed eguali opportunità. I bambini, maschi e femmine, non sono inondati di stereotipi che limiterebbero i loro sogni e le loro capacità e possono aspirare ad ogni tipo di carriera. Infatti, a Equiterra ci sono sempre uomini e donne in ogni sede decisionale. Le donne non subiscono molestie al lavoro o per strada, non esiste il femminicidio. In Equiterra le donne hanno valore e sono rispettate.

10 aprile 2020: escono le prime notizie sulla “task force” che “in vista dell’allentamento dell’emergenza coronavirus deve capire come ricostruire il Paese” e dialogare con il comitato tecnico-scientifico. Il caposquadra (passatemela) Vittorio Colao, voluto dal Presidente del Consiglio Conte, è definito dai giornali un “supermanager” (amministratore delegato, presidente, vice questo e quello soprattutto nella telefonia). I membri che ho contato sino ad ora – ignoro se ne saranno aggiunti altri – sono 16: commercialisti, psichiatri, sociologi, di tutto un po’.

Su questi sedici, le donne sono quattro:

Elisabetta Camussi, professoressa di Psicologia sociale, Università degli Studi di Milano “Bicocca”;

Filomena Maggino, consigliera di Conte per il benessere equo e sostenibile e la statistica – Docente di Statistica sociale, Università di Roma “La Sapienza”;

Mariana Mazzucato, consigliera economica di Conte – Director and Founder, Institute for Innovation and Public Purpose, University College London;

Raffaella Sadun, professor of Business Administration, Harvard Business School.

Nessuna delle quattro si occupa in modo specifico di eguaglianza di genere, violenza di genere, diritti umani di donne e bambine.

Per la cabina di regia che deve immaginare il futuro, oggi è tutto.

Maria G. Di Rienzo

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(tratto da: “People Aren’t Bad for the Planet—Capitalism Is”, di Izzie Ramirez per Bitch Media, 27 marzo 2020, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo. Izzie Ramirez – in immagine – è una reporter freelance e la caporedattrice di NYU Local.)

Izzie

C’è una brutta china nei commenti che giustificano i decessi umani per preservare l’ambiente. Come l’attivista per il clima Jamie Margolin ha spiegato in un tweet “Dire ‘I deboli moriranno ma va bene perché ciò aiuta il clima’ non è giustizia climatica. Questo è ecofascismo.” L’ecofascismo è definito da governi che esercitano il loro potere per la protezione dell’ambiente a costo delle vite individuali.

Nel loro articolo del 2019 “Overpopulation Discourse: Patriarchy, Racism, and the Specter of Ecofascism,” Jordan Dyett e Cassidy chiarirono come l’ecofascismo prese piede nel 19° e 20° secolo in Germania, dove “una serie di preoccupazioni ecologiche cominciarono ad interagire con la xenofobia, il nazionalismo e il razzismo presenti nella regione.”

All’epoca, le autorità fasciste tedesche erano solite giustificare determinate politiche di esclusione collegando l’ambiente alla salute. La retorica tipica includeva il controllo della popolazione, misure anti-sovrappopolazione e nozioni per cui i gruppi minoritari erano specie invasive che costituivano una minaccia all’ambiente stesso. Questa è ideologia comune ai suprematisti bianchi, in particolare, e a quelli che commettono omicidi di massa. Per esempio, l’assassino responsabile degli omicidi di un gran numero di persone a El Paso, Texas, nel 2019 citò la degradazione ambientale come una delle sue ragioni. “Se riusciamo a sbarazzarci di abbastanza gente, allora il nostro stile di vita diventerà più sostenibile”, scrisse nel suo manifesto.

Nel contesto odierno, comunque, persone comuni stanno argomentando che il Covid-19 sarebbe il vaccino della Terra contro gli esseri umani mentre il virus sta gettando il mondo nello scompiglio e sta uccidendo migliaia di persone, molte delle quali appartengono alla classe lavoratrice, non hanno accesso alla sanità e sono costrette a continuare a lavorare perché sono considerate forza lavoro essenziale. Per come le cose stanno ora, l’ecofascismo – visto attraverso tali conversazioni sui social media – sta asserendo che la gente povera, la gente disabile e la gente anziana dovrebbero sacrificarsi per far vivere il resto di noi. Ciò non è solo moralmente riprovevole ma è l’incomprensione del problema più vasto: il coronavirus non è un “detox” per la Terra, è una perturbazione dei sistemi che potenziano il capitalismo.

Persino chi cerca di sfidare il capitalismo è forzato a vivere al suo interno, giacché dobbiamo sopravvivere in un’economia capitalista concentrata sul beneficio immediato anziché sulle conseguenze future. Perciò le persone salgono in autobus per andare ai loro impieghi salariati, montano in auto per andare in fabbrica e condividono veicoli per far quadrare i conti. Queste persone non hanno molte alternative economiche, perché hanno bocche da sfamare e bollette da pagare. La loro adesione per sopravvivenza al capitalismo non li rende egoisti o sacrificabili. In effetti, se voi siete preoccupati per il cambiamento climatico, queste sono le esatte persone per cui dovreste preoccuparvi.

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Galina Angarova

“Come in molte altre culture indigene, il sacro femminino gioca un ruolo centrale nella visione cosmologica della mia gente, i Buryat (Buriati – Russia), ed è espresso tramite le nostre relazioni, le nostre storie e i nostri modi di vivere. Io provengo da quella che originariamente era conosciuta come società matrilineare. Eravamo le famose guerriere della foresta, riverite come eccezionali cacciatrici e combattenti. Molti di questi tratti sono ancora visibili oggi nelle donne del mio clan. Forti, indipendenti, determinate, indefesse lavoratrici – e anche, a volte, cocciute e chiassose.

Io sono cresciuta con le storie di mia nonna, che nella nostra lingua incapsulavano la saggezza dei nostri antenati. Ognuna insegnava un aspetto della vita: relazioni con le entità naturali come le piante, i fiumi e le montagne, o con esseri come animali, spiriti, antenati, o come maneggiare la condizione umana.

Oggi, viviamo in un mondo in cui maschile e femminile sono sbilanciati. Questo sbilanciamento si manifesta nel modo in cui ci rapportiamo l’un l’altra, nel modo in cui governiamo, nel modo in cui cresciamo i bambini, nel modo in cui facciamo affari. Poiché il sacro femminino è stato disprezzato, assalito e violato, stiamo fronteggiando le conseguenze dello sbilanciamento: ingiustizie, diseguaglianza di genere e etnica, povertà, cambiamento climatico.

Dobbiamo restaurare l’equilibrio fra il mascolino e il femminino. Nella visione del mondo dei Buryat il nostro pianeta, i nostri terreni e il nostro ambiente sono la manifestazione definitiva del sacro femminino. Senza un cambiamento nella nostra consapevolezza continueremo a ripetere gli stessi errori, a sfruttare e distruggere la Madre Terra senza capire che ne siamo parte. Tutti veniamo dal suo grembo, tutti veniamo dal sacro femminino ed è nostro dovere rispettarlo e proteggerlo.”

Galina Angarova (in immagine), direttrice esecutiva di Cultural Survival, organizzazione non profit che lavora per i diritti dei popoli indigeni (trad. Maria G. Di Rienzo), gennaio 2020.

Sempre suoi i seguenti brani tratti dal podcast “Why Preserving Cultural and Language Diversity is Vital to Protecting Biodiversity: An Interview with Galina Angarova”, di Kamea Chayne per Green Dreamer, 23 marzo 2020.

“La diversità di linguaggio è estremamente importante per la protezione della biodiversità, perché quei termini esistono nelle lingue native. La sapienza tradizionale sulla protezione della biodiversità esiste in quelle lingue. Se le perdiamo, la conoscenza scompare con esse.”

“La semplificazione del concetto di ricchezza ha condotto al convincimento che il danaro sia l’unica soluzione, ma vi sono molteplici soluzioni per mantenere il nostro spazio su questo pianeta essendo in relazione e in equilibrio con esso. Noi diamo valore all’avere una moltitudine di relazioni.

Questo è il motivo per cui quando preghiamo, preghiamo per tutte le nostre connessioni e relazioni nel mondo. Preghiamo non solo con gli esseri umani ma con il mondo naturale. Noi non oggettiviamo la natura: animali, pietre, uccelli e fiumi sono partecipanti in questa vita e hanno un’indiretta relazione con noi.”

“Abbiate cura di voi stessi. Ascoltate il vostro corpo e il vostro cuore. Noi, come persone, tendiamo a vivere nelle nostre teste, ma è importante affondare dalla testa al cuore e lasciare che sia il cuore a dirigere: è così che accadono i miracoli.

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selma

“La nostra mobilitazione in Lussemburgo è necessaria: siamo fra le nazioni che emettono più CO2, il consumo di carne è molto alto e non stiamo facendo nulla per aumentare la consapevolezza sul cambiamento climatico. Ed è ridicolo che chiunque conosca almeno una persona che ha due o tre automobili. E’ importante sottolineare che non siamo “giovani che vogliono portare disturbo alla società”, vogliamo solo che le nostre voci siano ascoltate. Stiamo ponendo domande concrete. Ma sappiamo che è necessario perturbare la quotidianità delle persone di modo che esse non ci ignorino. L’emergenza climatica ci impone di agire ora. Vorremmo un nuovo patto politico verde, leggi più restrittive: pensiamo per esempio alla Banca di Investimento Europeo di Kirchberg, che sta ancora finanziando un buon numero di attività inquinanti. I nostri genitori? E’ vero che all’inizio erano un po’ preoccupati, ma abbiamo parlato con loro e capiscono che stiamo facendo questo per il nostro futuro.”

Selma Vincent (in immagine sopra), lussemburghese, liceale 16enne, attivista di “Youth For Climate Luxembourg”.

lussemburgo

Degno di nota il fatto che, prima delle manifestazioni, il gruppo organizza per le/i partecipanti seminari su nonviolenza e disobbedienza civile: quando scendono in piazza, queste ragazze e questi ragazzi sanno come attirare l’attenzione sul proprio messaggio, come muoversi in sicurezza, come dialogare con polizia e passanti, come affrontare situazioni di crisi, eccetera. Messaggio ai gruppi simili italiani: se non lo state già facendo imitateli – è sano, furbo e divertente.

Maria G. Di Rienzo

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lopez

La donna in immagine è Claudia López, la nuova sindaca di Bogotà (Colombia), durante la festa per il suo insediamento tenutasi il 1° gennaio scorso nel parco pubblico Simón Bolívar. Claudia, 49enne, ci è arrivata in bicicletta (casa sua è a sette chilometri di distanza), ha ricevuto la fascia cerimoniale che vedete da sua madre e si è scusata scherzosamente con la sua compagna, Angélica Lozano, perché l’elezione ha ridotto la loro luna di miele: le due donne si sono infatti sposate con rito civile il 17 dicembre 2019.

“Questa è la prima amministrazione guidata da una donna, ma non sarà l’ultima. – ha detto dal podio – Sarà aperta al pubblico e ascolterà, rappresentando le aspirazioni dei giovani, delle donne, dei movimenti della società civile, dei gruppi etnici, degli ambientalisti e dei movimenti per i diritti degli animali: di coloro, cioè, che sono spontaneamente scesi nelle strade al di là dei partiti e dei leader politici. Questa città ci sta parlando. Ogni strada, ogni piazza e ogni parco parlano, cantano, si muovono per le richieste di una città e di un paese che sognano.”

I sogni per cui Claudia ha ricevuto oltre un milione e centomila voti ed è diventata la prima sindaca apertamente lesbica in Colombia sono, fra gli altri, l’inclusione sociale, il rispetto delle diversità, istruzione pubblica di qualità e gratuita, tutela dell’ambiente e sviluppo sostenibile: compiere scelte ecologiche, per un’amministrazione pubblica, “non è fantascienza ne’ fisica nucleare”, ha ribadito nel suo discorso d’insediamento.

Claudia López è una stratega della nonviolenza: sa che per “vivere senza paura” è necessario “costruire empatia e fiducia”, imparare a “riconoscere quel che ci unisce, valutare e rispettare le differenze negli altri”. Perciò, ha coinvolto il suo principale avversario politico Carlos Fernando Galán nel piano per la ristrutturazione dei trasporti pubblici, chiedendo ai partiti della sua coalizione di votarlo quale direttore del progetto – e così è stato.

“Sarò schietta: dobbiamo muoverci in avanti invece di ritirarci ed è quello che faremo.”, ha detto anche la sindaca. Il mio sogno per muoverci in avanti è poter votare in Italia una donna che le somigli.

Maria G. Di Rienzo

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the wishing well di kathy kehoe bambeck

E’ passato un quarto di secolo dalla “Quarta conferenza mondiale sulle Donne: azione per l’eguaglianza, lo sviluppo e la pace” delle Nazioni Unite, da cui uscì la nota Piattaforma di Pechino firmata da 189 Paesi. All’epoca mi era stato commissionato un articolo al proposito, per cui il mio primo ricordo di quel settembre 1995 è uno scassato telefono viola in cui riverso domande in inglese, fra mille disturbi sulla linea, a una gentile delegata che si trova in Cina. Il risultato finale della Conferenza consentì un minimo di entusiasmo, potendo essere riassunto così: “L’avanzamento delle donne e il raggiungimento dell’eguaglianza fra donne e uomini sono materia di diritti umani e condizione per la giustizia sociale e non dovrebbero essere visti come un’istanza isolata delle donne. L’empowerment delle donne e l’eguaglianza fra donne e uomini sono prerequisiti per raggiungere sicurezza politica, sociale, economica, culturale e ambientale fra tutti i popoli.”

Gli impegni presi e sottoscritti nella dichiarazione di chiusura includevano l’eliminare la violenza contro le donne, l’assicurare a tutte le donne l’accesso alla pianificazione familiare e alla cura della salute riproduttiva, il rimuovere le barriere alla partecipazione delle donne ai processi decisionali, il fornire alle donne impieghi decenti e salario uguale per uguale lavoro. Il documento chiedeva anche ai governi di affrontate l’impatto della degradazione ambientale sulle donne e di ascoltare le donne indigene in ogni materia relativa allo sviluppo sostenibile, di riconoscere lo sproporzionato fardello posto sulle donne dal lavoro non pagato di cura e di impegnarsi per una migliore rappresentazione delle donne nei media.

Venticinque anni dopo, nessuna nazione ha tenuto completamente fede alle promesse. Ci sono stati miglioramenti e progressi, ma viviamo ancora in un mondo in cui una donna su tre subisce violenza fisica e/o sessuale durante la sua vita, in cui le donne sono pagate meno degli uomini pur svolgendo le stesse mansioni lavorative e centinaia di migliaia di donne muoiono ancora ogni anno per complicazioni relative alla gravidanza e al parto collegate allo scarso o inesistente accesso a risorse e strutture, eccetera, eccetera. Inoltre, in molte zone del pianeta i diritti umani delle donne hanno fatto o stanno facendo passi indietro: l’avanzamento di destre, partiti religiosi fondamentalisti, movimenti sovranisti / populisti coincide ovunque con un peggioramento dello status femminile.

L’inerzia o la vera e propria misoginia della politica si intrecciano al vissuto sociale e il 2019, in Italia, va al suo termine con notizie di questo tipo:

30 dicembre 2019: “Feriva la compagna con i coltelli come il suo idolo Joker: arrestato 38enne romano – L’uomo, benestante residente nella Capitale, da alcune settimane soggiornava in strutture ricettive dei Castelli. Una sera di 20 giorni fa, i militari sono dovuti intervenire in un locale di Nemi dove il 38enne era andato in escandescenza e aveva iniziato a picchiare la compagna, la 40enne con cui aveva una relazione da qualche mese. (…) Appassionato di coltellini da caccia che usava con la stessa disinvoltura del suo idolo, spesso la minacciava di colpirla e le procurava tagli sulle gambe.”

Sorelle (e fratelli alleati), non aspettate il cambiamento e continuate a crearlo, perché il cambiamento siete voi. Siamo noi. Affido questo al pozzo dei desideri. Vi voglio bene e ogni bene vi auguro per il prossimo anno.

Maria G. Di Rienzo

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earth embrace

“Quando ero giovane ero solita dire a mia nonna: “Tutto quel che voglio è una casa, un posto.”

Lei rispondeva: “Di cosa stai parlando? Non appena i tuoi piedi toccano la terra, da essi crescono radici. Tu sei a casa. Questo suolo è la nostra casa. Sei sempre stata a casa.”

Trovare quella connessione è l’intera chiave di quel che stiamo facendo, riportare tale connessione alla Terra, all’acqua, di modo che le persone smettano di abusare di entrambe.

Abbiate cura di voi stessi. Non aspettate che qualcuno venga a salvarvi, perché non accadrà. Dobbiamo sollevarci e salvarci da soli.” – LaDonna Brave Bull Allard, Standing Rock Sioux, settembre 2019 (trad. Maria G. Di Rienzo).

Su di lei e non solo:

https://lunanuvola.wordpress.com/2016/11/02/ascoltate-lacqua/

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Kern

Leslie Kern (in immagine) è una docente universitaria canadese di geografia e ambiente, nonché la direttrice degli studi di genere nel suo ateneo. Il suo ultimo libro, uscito alla fine di ottobre, si chiama “Feminist City: A Field Guide” – “Città femminista: guida pratica (dal campo)”. Si tratta di una raccolta di saggi che mettono in discussione i modi in cui sono strutturati gli spazi urbani e suggeriscono alternative per rendere le città più inclusive e più sicure per tutte e tutti.

Il brano seguente è tratto da un’intervista a Kern condotta da Lana Pesch per “LiisBeth”:

“Ogni ambiente edificato che le società creano, come le città, riflette le relazioni di potere che nelle società esistono e penso noi si sappia chi tradizionalmente o comunque per lunghissimo tempo ha detenuto il potere. Stiamo parlando di uomini abbienti, proprietari, non disabili, eterosessuali e bianchi. Forse non dovrebbe essere una sorpresa che i nostri spazi urbani siano davvero organizzati per sostenere il loro successo, il loro potere, le loro quotidiane necessità.

Per far evolvere qualcosa come una città femminista, o i suoi principi, devi proprio avere un bel po’ di pressione sociale, che essa prenda la forma dell’attivismo o di cambiamenti legali, o di altre forme di movimenti sociali, o solo di una più ampia entrata delle donne nelle posizioni di potere nelle città e nei governi, nell’ordinamento legislativo, nell’architettura, nella progettazione urbana e cose del genere. E’ una sorta di lento processo.

Le idee femministe per la progettazione urbana e per l’organizzazione degli spazi domestici esistono da lungo tempo e possono essere fatte risalire al 19° secolo. Le donne, in particolare quelle che venivano dai movimenti sociali e simili, stavano riflettendo sui modi in cui l’ambiente edificato era costruito e in molti modi era costruito per isolarle, per tenerle occupate con il lavoro domestico non retribuito, per impedire loro di condividerlo con altre abitazioni, per tenerle fuori dalle sfere che erano specificatamente disegnate per gli uomini, la sfera pubblica, la politica, l’istruzione, la scienza e così via.

Non è una cosa nuova di zecca pensare a come le città, i vicinati, le comunità possano avere un’organizzazione che sostenga altri tipi di idee sociali, incluse quelle femministe. E’ interessante guardare indietro nel tempo e notare come le donne tirassero fuori le loro proprie idee su come i quartieri potevano essere ristrutturati per rimodellare le abitazioni e rimodellare il lavoro delle donne e far loro guadagnare tempo.

Vienna è un interessante esempio di città dove quel che chiamano “gender mainstreaming” è stato davvero messo in pratica. L’idea che ci sta dietro è che ogni tipo di politica o pianificazione cittadina, o nuovo piano di spazi edificati, si tratti di parchi o quartieri o linee di trasporto pubblico, deve essere guardato attraverso lenti di genere. Significa chiedersi “Questo potrebbe avere impatto differente su donne e uomini?”, “Aumenterà l’eguaglianza di genere o la farà diminuire?”.

Con lo scopo dichiarato di aumentare l’eguaglianza di genere, città come Vienna si sono assicurate che tutte le loro ristrutturazioni e i nuovi piani di progettazione urbana sostenessero tale visione. Ciò ha significato per esempio più trasporto pubblico, miglior accesso ai servizi per l’infanzia e ad ulteriori servizi sociali che si integrano meglio con gli ambienti domestici e tutto questo genere di cose.

Una città femminista, per me, dev’essere una città in cui le istanze relative alla sicurezza e alla libertà dalla paura sono prioritarie. Ci sono alcuni tipi di cambiamenti all’ambiente fisico che possono facilitare ciò, ma dev’esserci anche un più vasto impegno sociale per l’eguaglianza e la nonviolenza. Una città femminista dev’essere un luogo in cui lo spazio pubblico è in generale sicuro e accessibile, non solo per le donne, ma per le persone di colore, i senzatetto, le persone lgbt, le persone disabili. Uno spazio pubblico in cui chiunque si sente benvenuto e chiunque ha la sensazione di dare un contributo alla città con la sua presenza.

Sino ad ora, in termini di vita pubblica, abbiamo perso moltissimi contributi dalle donne e da altre persone marginalizzate. I loro contributi alla politica, all’istruzione, alla cultura, all’arte, alla scienza, agli affari. Se continuiamo a costruire ambienti che sono inaccessibili sia fisicamente sia socialmente, o che sono respingenti, o che semplicemente rendono la vita quotidiana delle persone intrisa di paura o davvero difficile, allora quelle persone non ci saranno in tali spazi quando avremo bisogno che ci siano.

Le crisi climatiche sono già qui e sono crisi di diseguaglianza. E le città saranno in prima linea a dover maneggiare tali crisi. Le città non sopravviveranno ne’ prospereranno se non trovano soluzioni per affrontare questi problemi e per affrontare i modi in cui le istanze sono interconnesse. Sappiamo che il futuro è un po’ fragile, ora, e se continuiamo a fare le stesse cose che abbiamo sempre fatto ciò non creerà un futuro luminoso per nessuno.”

Maria G. Di Rienzo

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