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kindred spirits

(particolare di una fotografia di Ognyan Yosifov/Alamy)

Il monumento che vedete si trova a Midleton, in Irlanda. Si chiama “Kindred Spirits” (“Spiriti Affini”) e commemora un gesto di solidarietà compiuto dalla nazione nativa americana dei Choctaw nel 1847, durante la “grande carestia” irlandese (1845-1849).

Costoro erano i sopravvissuti del cosiddetto “sentiero delle lacrime”: avevano cioè sofferto nel 1831 la deportazione forzata dai loro territori, assieme a decine di migliaia di nativi di altre tribù, e circa 2.500 di loro erano morti di fame durante le marce forzate.

La notizia che oltre l’oceano un popolo stava soffrendo e veniva decimato dagli stenti allo stesso modo li raggiunse e li colpì al punto che raccolsero offerte per inviarle agli irlandesi: la somma fu di 170 dollari, l’equivalente di più di 5.000 dollari oggi.

Oggi, appunto, il coronavirus ha uno dei suoi peggiori focolai nelle riserve indiane degli Stati Uniti. I motivi sono ancora quelli di un tempo: la scarsità di acqua corrente e di presidi sanitari, con la conseguente presenza di malattie croniche, non sono fattori casuali o collegati in modo intrinseco all’appartenenza a un’etnia, sono i risultati di una politica di espropriazione e dominio – così come espropriazione e dominio (inglesi) inasprirono la carestia in Irlanda, che era cominciata con la distruzione dei raccolti di patate a causa della peronospora.

La nazione Navajo e quella Hopi sono fra i gruppi più duramente colpiti dalla pandemia. Ma gli irlandesi hanno buona memoria. La scorsa settimana la raccolta di fondi a favore dei nativi americani aveva oltrepassato 1 milione e ottocentomila dollari: molte migliaia di essi vengono dall’Irlanda, tanto che gli organizzatori hanno ringraziato pubblicamente il paese.

Lo ha fatto anche Gary Batton, capo della nazione Choctaw dell’Oklahoma: “La tribù è stata gratificata e forse non molto sorpresa nell’apprendere dell’assistenza che ci giunge dai nostri amici speciali, gli irlandesi. Noi siamo diventati spiriti affini con gli irlandesi sin dagli anni della grande carestia. Speriamo che i popoli d’Irlanda, Navajo e Hopi costruiscano la stessa durevole amicizia, come noi abbiamo fatto.”

Maria G. Di Rienzo

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(tratto da: “My 60th isn’t ‘just another birthday’. It’s a turning point.”, di Kit de Waal per The Guardian, 25 dicembre 2019, trad. Maria G. Di Rienzo. Nata nel 1960 come Mandy Theresa O’Loughlin, di nazionalità irlandese e britannica, ex giudice di pace e autrice di manuali su adozione e affido, con il nome d’arte Kit de Waal ha pubblicato il primo romanzo – “My Name Is Leon” nel 2016. La sua ultima opera è “Becoming Dinah”.)

Kit

I miei 50 anni sono stati meravigliosi. Sono diventata single e ho avuto alcune notevoli storie. Sono aperta a relazioni nuove, al flirt, a essere desiderata e sensuale ed espansiva. Ho raggiunto successo professionale scrivendo libri e saggi, facendo revisioni, insegnando e incoraggiando altre persone che scrivono. Ho usato la mia voce per dire quel che penso a favore degli scrittori della classe lavoratrice e della gente marginalizzata e ho scoperto durante i “Che si fottano Cinquanta” che amo veramente me stessa, senza scuse o codicilli. Ho smesso di cercare approvazione generalizzata, di preoccuparmi se vado bene o no e se quel che indosso, mangio, leggo o dico è giusto o no.

Tuttavia, ciò ho avuto un costo. Mi è stato detto che appaio assai controllata e intimidatoria, “feroce” è una parola usata spesso per descrivermi e io trovo il tutto sconcertante.

Ben lontano dall’essere solo un altro decennio, io penso che i 60 potrebbero essere un punto di svolta. Sì, salterò dalla mezza età alla vecchiaia, ma potrei anche saltare dai “Che si fottano Cinquanta” agli “Assapora Sessanta”. Rallenterò? Smorzerò i miei spigoli? Ho notato che sto già consolidando le amicizie importanti e staccandomi da quelle che sono diventate negative o “sottraenti”, che è l’unica parola a cui riesco a pensare per descriverle. Spero sempre di fare nuove amicizie e nei miei 60 potrebbe esserci più tempo per questo.

C’è, naturalmente, l’inevitabile treno espresso del tempo, che sfreccia via da te mentre invecchi. Mentre i 60 si avvicinano percepisco che il tempo si sta esaurendo o, quantomeno, sta diventando più prezioso – una frase fatta che più stereotipata non si può ma nondimeno vera. Avevo pensato che arrivare a 60 anni sarebbe stato solo un altro compleanno, ma mentre la data si avvicina capisco di essermi sbagliata. Ho la sensazione che qualcosa stia finendo e perciò, ovviamente, qualcosa sta per cominciare.

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La volpe

(“The Fox”, di Abbey Bi Yao Lin, trad. Maria G. Di Rienzo. Abbey ha oggi 11 anni, è nata e vive in Irlanda e a 10, l’anno scorso, è stata una delle vincitrici del concorso di poesia “Sino a che l’amore vincerà la paura” organizzato dall’ong umanitaria Trocaire e dall’associazione nazionale irlandese per la poesia Poetry Ireland/Éigse Éireann. L’immagine è di Lüleiya, una giovane illustratrice freelance ungherese.)

fox spirit - luleiya

LA VOLPE

La paura assomiglia

a quattro zampe furtive

un piccolo naso che fiuta

occhi neri che sono offuscati

dalla fame.

E’ in agguato sulla strada

dando caccia al cibo, dando caccia alla speranza.

L’amore cresce

nel cuore della Terra.

Quando la volpe coglie

il profumo dell’amore, cambia

le cresce pelo nuovo,

soffice come una nuvola

si sparge sulla volpe.

L’amore dà alla volpe

cibo e sazietà.

Quando l’amore la tocca,

la volpe si riempie di gentilezza.

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31 maggio 2018, Irlanda del Nord, Belfast: dopo la storica vittoria del referendum nella Repubblica d’Irlanda che ha messo termine al bando sull’interruzione volontaria di gravidanza, resta quest’angolo di mondo governato dalla Gran Bretagna in cui tutto al proposito è illegale, “pillola del giorno dopo” compresa.

Le donne di Belfast sono scese a protestare davanti ai principali tribunali della città (un gruppo di esse era vestito come le Ancelle del romanzo di Atwood) e alcune hanno inghiottito la pillola suddetta di fronte alle telecamere e ai cellulari. Quando la polizia ne ha trascinata via una dall’assembramento, le altre hanno circondato la scena – non ricordo quante volte ho insegnato questa tecnica nonviolenta nei seminari in giro per il mondo – e non si sono mosse sino a che gli agenti non hanno lasciato andare la loro compagna: è la scena che vedete nell’immagine qui sotto.

belfast 31 maggio 2018

Eleanor Crossey Malone, del movimento femminista e socialista “Rosa” è stata una di quelle che ha preso la medicina pubblicamente: “L’ho fatto per sfidare le leggi obsolete e medievali contrarie alla scelta che esistono in Irlanda del Nord. Dopo il referendum non abbiamo intenzione di essere lasciate indietro più a lungo. L’Irlanda del Nord resta una delle due giurisdizioni in Europa a criminalizzare le donne per l’aborto e noi non siamo più disposte ad accettarlo.”

Destra politica e religiosa stanno fremendo: non è dato sapere se le donne che hanno assunto il medicinale fossero incinte o no ed esse hanno già dichiarato che considereranno una grave violazione dei loro diritti umani costringerle a fare test di gravidanza. Io ho il sospetto, fondato su centinaia di esperienze precedenti, che parte di esse – se non tutte – non fossero incinte: quando in Italia l’interruzione volontaria di gravidanza era illegale, molte attiviste si autoaccusarono di aver abortito come mossa politica e atto solidale.

Comunque, stante una legislazione che impedisce importazione e vendita della pillola, e persino l’assistenza medica a una donna che voglia abortire, come hanno fatto a ottenere il medicinale?

robot distributore di pillole

Con questi simpatici robot, frutto della collaborazione delle organizzatrici con “Women on Waves” e “Women on Web” – organizzazioni che forniscono consulenza e sostegno per un accesso sicuro all’interruzione di gravidanza. Di “Women on Waves”, delle sue attiviste e mediche e della sua nave che si posiziona giusto fuori dalle acque territoriali di nazioni che criminalizzano l’aborto e viene raggiunta dalle donne locali avvisate per tempo, vi avevo parlato in precedenza. L’organizzazione ha la sua base fisica in Olanda, e da là una dottoressa era in diretto contatto con le donne per consigliarle e assisterle. I robot sono stati sequestrati dalla polizia (ma non possono essere minacciati, malmenati, denunciati, messi in prigione, ecc. con qualche risultato, perciò dio sa cosa se ne faranno).

Adesso la palla passa a Theresa May, Primo Ministro del Regno Unito, giacché l’Assemblea dell’Irlanda del Nord (il cosiddetto “Parlamento di Stormont”, dal nome del palazzo in cui si riunisce) è – di nuovo – sospesa. Succede abbastanza spesso a causa dei disaccordi fra i partiti unionisti e quelli nazionalisti: attualmente questo corpo legislativo non funziona dal 9 gennaio 2017.

Le donne dell’Irlanda del Nord, però, per essere riconosciute come esseri umani dotati della piena capacità di esercitare signoria sui propri corpi, hanno aspettato sin troppo.

Maria G. Di Rienzo

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Qualche mese fa, durante un’amichevole discussione sulla scelta dei candidati per le elezioni (le politiche sono andate, ma qui le comunali sono prossime) un giovane comunista ha informato i presenti – me compresa – che per fare politica, al giorno d’oggi, è necessaria l’immagine. “Senza immagine non vai da nessuna parte.”, ha detto convinto. Per le donne, ormai è un’ovvietà, ciò significa giovani / scopabili / preferibilmente poco vestite.

Questo è purtroppo uno dei motivi per cui la sinistra continua a perdere consensi, un motivo chiave: l’accettare supinamente il clima culturale creato da quelli che sono i suoi avversari, il che si traduce nel produrre poi politiche che della sinistra hanno solo il nome e ben poca sostanza.

So che il problema non riguarda solo l’Italia rintronata da trent’anni di tv del pataccaro miliardario, ma in giro per il mondo sembra che non sia così necessario sfilare in passerella per ottenere risultati, nell’attivismo politico o nella politica istituzionale.

La donna qui sotto è Rose Cunningham.

rose cunningham

Nel gennaio scorso ha fatto la Storia: è diventata la prima sindaca indigena del Nicaragua nella sua città natale, Waspam. A capo dell’organizzazione femminista Wangki Tangni (di cui ho già accennato in precedenti articoli) e in collaborazione con Madre (vedi link sotto “Donne, notizie e attivismo), ha dedicato la sua vita alla protezione e all’avanzamento dei diritti di donne e bambine, nel suo paese e altrove.

Ha fornito attrezzi e addestramento alle contadine, ha fatto scudo dall’abuso e dal traffico sessuale per innumerevoli vittime, ha portato le voci delle donne indigene in spazi politici e scenari internazionali… senza passare dal truccatore, dal parrucchiere o dallo stilista. E ha vinto.

Harriet Sherwood, corrispondente da Dublino per The Guardian, ha intervistato Ailbhe Smyth (‘We will not stop’: Irish abortion activist vows to step up fight, 5 marzo 2018), che potete vedere nell’immagine sottostante durante una manifestazione.

Ailbhe Smyth

Ailbhe Smyth ha 71 anni e la sua prima campagna per avere l’accesso all’interruzione di gravidanza in Irlanda risale al 1983. Andava porta a porta, allora, a prendersi sputi in faccia e insulti quali “assassina di bambini”. Smyth è la leader della “Coalizione per l’abrogazione dell’ottavo emendamento”, quello che iscrive il bando all’aborto nella Costituzione irlandese. Be’, senza passare da truccatore, parrucchiere e stilista, Ailbhe ha ottenuto che tale emendamento sia sottoposto a referendum popolare il 25 maggio prossimo.

Ogni anno, circa 3.500 donne irlandesi vanno ad abortire nel Regno Unito – con tutti i costi, le difficoltà logistiche e lo stress emotivo che ciò comporta, mentre altre 2.000 comprano prodotti abortivi su internet e li prendono senza assistenza medica.

“Sappiamo che la maggioranza delle persone vuole il cambiamento. – ha detto l’attivista a The Guardian – L’Irlanda è un paese diverso oggi, con una società più egualitaria. Questo (ndt.: il referendum) è il prossimo logico passo. Dobbiamo essere onesti con noi stessi. La realtà è che le interruzioni di gravidanza avvengono, ma che non possiamo continuare a esportarle.”

Il fatto che occorra andare a modificare la Costituzione è dovuto all’intervento precedente della chiesa cattolica: “Non c’era permesso di abortire in Irlanda. Avevamo già una legge assai restrittiva contro di esso, era un crimine punito con l’ergastolo. Ma le forze di destra, che hanno il loro radicamento nella chiesa cattolica si sono mosse affinché il bando fosse iscritto nella Costituzione, di modo da sigillarlo a doppia mandata. – ha proseguito Ailbhe – Ho combattuto su questa istanza per tutta la mia vita da adulta e continuerò a combattere sino a che avrò voce. Se non abbiamo la capacità e il diritto di prendere le decisioni sulle nostre vite di donne, non abbiamo eguaglianza. E se per un grosso colpo di sfortuna non dovessimo vincere questa battaglia, torneremo sulle strade. Forse non il giorno immediatamente successivo, ma quello dopo di sicuro. Non ci fermeremo ora.”

Rose Cunningham e Ailbhe Smyth dimostrano che non si va da nessuna parte quando non si hanno convinzione e determinazione, ne’ un orizzonte o un sogno o una visione alternativa della realtà. Per fortuna a loro non manca nulla di tutto questo.

Maria G. Di Rienzo

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rosie mckenna

Questo è il periodo in cui spesso chi si trova lontano dal proprio luogo e dalla propria famiglia di origine viaggia per trascorrere il classico “Natale con i tuoi”. Lo stanno facendo anche le donne irlandesi, molte delle quali con una speciale etichetta attaccata alle valigie – che vedete nelle immagini: ci sta scritto “sanità, non biglietto aereo”. Ci sono anche due hashtag: “abrogate l’ottavo” (emendamento, che impedisce l’interruzione di gravidanza in Irlanda, sarà in discussione in un referendum il prossimo maggio) e “fidatevi delle donne”.

Le foto sono nell’ordine di Rosie McKenna, Jenn Goff e Ruth Patten. Sui social media in cui le pubblicano due su tre ricordano che 11 donne irlandesi al mese devono lasciare il paese per avere accesso a un aborto legale.

jen goff

L’idea dell’etichetta è di Hannah Little, un’organizzatrice della branca londinese dell’ARC – Campagna per il diritto all’aborto. Lo scopo della campagna è: “L’abrogazione dell’8° emendamento dalla Costituzione irlandese, la decriminalizzazione dell’aborto in Irlanda del Nord e l’accesso all’interruzione di gravidanza gratuita, sicura e legale nell’isola di Irlanda.”

Hannah, che va regolarmente da Dublino a Londra in aereo, ha detto alla stampa “Sono sempre consapevole che le persone sul mio stesso volo possono viaggiare per ragioni molto differenti. Ti si spezza il cuore al pensiero che potresti star condividendo il volo con passeggere che soffrono per ragioni legate alla gravidanza e devono andare all’estero per prendere la decisione giusta per se stesse. Tornando a casa dall’aeroporto di Gatwick, l’altro giorno, ho visto due passeggere con le nostre etichette sui bagagli. Anche se non abbiamo parlato, è stato commovente sapere che avevo viaggiato con altre persone impegnate come me a cancellare l’ottavo emendamento.”

ruth patten

Il rapporto presentato da un’assemblea di cittadini, specificatamente creata dal governo irlandese per raccogliere opinioni e raccomandazioni su come la nuova legislazione dovrebbe essere, dice che l’interruzione di gravidanza sino alle 12 settimane dovrebbe essere resa legale in qualsiasi circostanza.

Maria G. Di Rienzo

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our body our choice

Davvero. Se avete la passione per la “nail-art” anche questa, come tutte le arti, può diventare attivismo. E’ il caso del salone per unghie “Tropical Popical” a Dublino, in cui Andrea Horan (l’immagine sopra è di un suo lavoro) fa politica per e con le donne in questo modo: “Un minuto stiamo discutendo dei brillantini rosa, un minuto dopo dei diritti riproduttivi delle donne.” Nello scorso settembre il locale era sovraffollato durante i giorni precedenti la Marcia delle Donne per il diritto all’interruzione di gravidanza: le clienti volevano unghie che trasmettessero messaggi coerenti con la protesta.

Attualmente Andrea sta chiedendo loro come voteranno alle elezioni generali del prossimo febbraio; pensa che “se quest’armata di donne si mobilita (artiste e clienti) ci saranno più voci femminili a chiedere che le istanze relative alle donne diventino priorità”.

Le due immagini seguenti appartengono a Ami Vega, dominicana-statunitense che ha aperto il suo “El Salonsito”, dopo averlo sognato sin da ragazzina, a New York.

be free

“Visto da distante, il mio lavoro può sembrare fatua vanità, ma io lo vedo come un’opportunità per aiutare le persone a esprimere se stesse.” E così, sulle unghie create da Ami, si celebrano sorellanza, cultura e forza delle donne. Maria G. Di Rienzo

black lives matter

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womensmarch

(Washington, DC)

21 gennaio 2017: 500.000 (mezzo milione) nella sola Washington. 673 dimostrazioni solidali in tutto il globo (compresa l’Italia) per un totale stimato di 4.721.500 partecipanti a ribadire che:

“Ci ergiamo insieme, in solidarietà, con i/le nostri/e partner e i nostri figli e figlie per la protezione dei nostri diritti, della nostra sicurezza, della nostra salute e delle nostre famiglie, riconoscenendo che le nostre vitali e differenti comunità sono la forza del nostro paese. (Ndt.: il comunicato cita in pratica tutti i gruppi marginalizzati a causa di una loro caratteristica, dall’appartenenza etnica o religiosa all’orientamento sessuale o alla disabilità)

La Marcia delle Donne su Washington manderà un fiero messaggio al nostro nuovo governo nel primo giorno del suo insediamento e al mondo intero: i diritti delle donne sono diritti umani.”

marcia-solidale-dublino

(Dublino – Bellissimi i cartelli: quello sullo sfondo dice: “Se sei neutrale nelle situazioni ingiuste hai scelto di stare dalla parte dell’oppressore; quello in primo piano dice: “Rendi l’America di nuovo GENTILE”)

marcia-solidale-londra

(Londra)

marcia-solidale-spagna

(Madrid)

Non male, direi! Maria G. Di Rienzo

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“Queste persone, quando erano vive, sono state trattate senza dignità alcuna. I loro corpi non esistono più. Allora, l’idea di guardare gli abiti senza corpi al loro interno mi è sembrata una metafora poetica, potente e straziante.”

altare

L’artista Patricia Cronin ha spiegato così l’idea da cui è nata la sua installazione nella Chiesa di San Gallo a Venezia, visibile sino al 22 novembre prossimo: un santuario, un altare per le ragazze. Le ragazze a cui si riferisce sono le 276 scolare rapite da Boko Haram in Nigeria; le due adolescenti stuprate, assassinate e appese a un albero in India; le giovani donne costrette al lavoro forzato negli “asili-lavanderie” irlandesi chiamati “Magdalene” (“Maddalena” – ho un ricordo intenso del bel film relativo e omonimo del 2002). Tre vicende emblematiche ricordate da hijab africani, sari indiani e grembiuli europei.

“Quando ho visitato la Chiesa di San Gallo per la prima volta, sono rimasta colpita da come i tre altari di pietra sembravano mimare le tre storie di sofferenza che avevo in mente. In una chiesa, di solito, le persone sanno di essere in uno spazio che parla di solennità, sono un po’ più quiete, rallentano un po’, il che è necessario per riflettere. Voglio dire, i numeri relativi alle cose orribili che accadono alle donne in tutto il mondo sono scioccanti. Ma cosa fai, ad esempio, con il dato di fatto che 110.000.000 di donne sono “mancanti”? E’ quel che l’economista e Premio Nobel per la Pace Amartya Sen disse nel 1990. Cosa fai con questo numero? C’è qualcosa che chiamano l’effetto vittima identificabile – di base è: una morte è una tragedia, mille morti una statistica. Mi sono domandata come strappare la gente dall’intorpidimento relativo al numero.”

Pare che l’installazione ci riesca molto bene. Se uno dei curatori della Biennale, nel cui ambito il lavoro viene esposto, l’ha definito “un pugno nello stomaco”, i visitatori hanno reazioni che vanno dalla pelle d’oca alle lacrime. Patricia Cronin fornisce loro anche un suggerimento sul passo successivo perché accanto alle pile di abiti, oltre ad un piccola fotografia relativa alla specifica vicenda, ci sono testi con gli indirizzi di tre organizzazioni che lavorano affinché le donne di domani abbiano un futuro migliore:

Campaign for Female Education (Camfed – https://camfed.org/), che finanzia l’istruzione delle ragazze nell’Africa sub-sahariana;

Gulabi Gang (http://www.gulabigang.in/) un’ong di attiviste indiane

e Justice for Magdalenes – Giustizia per le Maddalene, un gruppo irlandese che si occupa delle sopravvissute per fare in modo che abbiano riconoscimento e protezione e non siano dimenticate. Cronin devolve il 10% di qualsiasi profitto derivante dall’installazione a queste tre associazioni.

shrineLo striscione nero che recita “Santuario per le Ragazze” in 14 lingue è in qualche modo il sommario di tutta la storia, spiega infine l’artista: “Voglio che guardando l’opera le persone dicano: Questo sta parlando anche a me. E: Il problema è ovunque.” Maria G. Di Rienzo

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(tratto da: “I will not tell girls not to walk alone”, un più ampio articolo di Rosanna Cooney per The Irish Times, 4 luglio 2015, trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo.)

Woman Rising

Sin da quando avevo 12 anni sono stata molestata sessualmente negli spazi pubblici. Uomini – uomini adulti fatti e finiti – per strada mi gridavano dietro, fischiavano, mi chiamavano. Incidenti minori si intervallavano con quelli più minacciosi: il furgone bianco che mi seguì mentre passavo per Ranelagh, la macchina nera zeppa di uomini che mi tallonò al tramonto sulla corsia degli autobus; una corsa di dieci minuti, inseguita da un uomo in completo, cominciata in una stazione dei treni a Melbourne.

Poi ci sono stati gli episodi di veloce ed ovvio abuso sessuale: il pescatore greco che mi seguì nella toilette di un ristorante e passò la mano sui miei shorts mentre usavo il lavandino; il giardiniere spagnolo che mi afferrò i seni quando gli chiesi indicazioni stradali.

Ho 22 anni, e ho sperimentato dieci anni di sottomissione femminile forzata dal terrore.

Non puoi fuggire dalla paura, e la paura è alimentata ogni giorno da articoli di giornale, da show televisivi dove le donne sono invariabilmente le vittime della violenza e del perverso desiderio maschile. La paura mi sfida quotidianamente ma non mi inibisce. Sono razionale e so che la maggior parte dei casi di stupro accade fra persone che si conoscono. Perciò cammino da sola nel buio; viaggio da sola e con determinazione. Il mondo è vasto e bello ed è triste e assurdo che il 51% della popolazione viva limitata dalle giornaliere minacce di assalto.

Il mese scorso a Granada, in Spagna, ho lasciato un club da sola per percorrere gli 800 metri che mi separavano dal mio appartamento in centro città. Sotto un segnale stradale per il Camino de Santiago sono stata aggredita da un uomo che non avevo mai visto prima.

Trenta minuti dopo ero di nuovo nel club, dove i miei amici stavano ancora ballando. Il mio vestito era stracciato e sgocciolante di rosso, le mie gambe e le mie braccia inzuppate di sangue che avrebbe dovuto stare sotto la mia pelle. Ho aspettato che mi notassero, poi sono svenuta dal dolore.

All’ospedale, la vista di com’ero ridotta è stata sufficiente a far svenire anche un’infermiera, mentre una seconda è scoppiata in lacrime. Gli esami chiarirono che non ero stata stuprata, avevo lottato con il mio aggressore ed ero scappata. (…)

Una stazione televisiva chiamò, arrivò un giornalista. I reporter avevano udito la storia per via della diffusione che aveva avuto su Facebook. I miei amici spalleggiavano le loro richieste. Sarei andata in tv? No. Poteva contribuire ad identificare il mio assalitore, non pensavo fosse importante condividere la storia? No. Pausa. Per suscitare consapevolezza? Per avvisare altre donne? Per aiutare altre donne? Per proteggerle? Pausa. Pausa. Pausa.

Considerai le mie responsabilità. Il mio silenzio era egoista? Stavo evitando attenzione e domande perché riparlare del tentato stupro mi faceva rivivere un incubo? No. Non è questo il motivo per cui ho rifiutato di interagire con i media che mi circondavano.

Volevo parlare dell’uomo che mi ha sbattuta a terra, che ha calciato la mia faccia sino a rincagnarla, che mi ha rotto il naso, spaccato la bocca, fratturato il cranio, fatto neri ambo gli occhi e stampato l’impronta della sua scarpa sulla mia guancia?

Io non dirò alle ragazze di non uscire da sole. Non dirò loro di essere caute, di vivere sulla difensiva e di viaggiare solo in gruppo. Questa non è una risposta, è solo mantenere il fuoco della paura, acceso nei primi stadi dell’adolescenza e alimentato da notizie sulla violenza contro le donne che sembrano scritte da avvoltoi. Il potere della “mascolinità” si basa sul controllo e sulla disciplina dei nostri corpi negli spazi pubblici e privati. (…)

Le reazioni dei miei amici variarono molto a seconda del loro genere. “Eri solo nel posto sbagliato al momento sbagliato.” (maschio) “Sei così dolce e gentile, non avrebbe dovuto capitare a te.” (maschio) “Santo cielo, te la sei vista brutta, poverina.” (maschio)

Gli uomini si concentrano su di me e in maniera subconscia sulla mia possibile colpa. Non c’è riflessione sulla fonte dell’accaduto; c’è, invece, accettazione della situazione.

Nessun uomo comprende ciò che una donna istintivamente capisce: che quell’attacco è stata una violazione del mio diritto ad essere ovunque a qualsiasi ora senza essere torturata da qualcun altro; e che, al di là della mia natura amichevole o meno, ne’ io ne’ nessun’altra meritiamo questo.

Le mie amiche sono arrabbiate, io non ho l’energia per esserlo. Ma mi dicono che le loro abitudini sono cambiate, e che ora c’è la paura alle loro radici. Gli uomini ti dicono di essere forte, ma sono le donne che possono farmi più forte, combattendo i tentacoli della paura che lasciano tracce vischiose sui loro corpi. (…)

Il mio volto sta guarendo. I miei occhi sono gialli anziché porpora. Il mio naso si sta rimettendo in sesto (Ndt: è stato operato) anche se resta un po’ storto. Ancora non sopporto di essere toccata. Essere in mezzo alla gente è difficile e per tutto il tempo mi destreggio con l’idea di essere troppo “drammatica”. Quel che è accaduto è anormale ma comune. E’ rara la donna che non prova neppure un briciolo di paura quando cammina da sola.

Io imploro le ragazze e le donne di non essere spaventate. Di non portare il peso nauseante di una società che maneggia le vittime ma non prende misure preventive. Di non rinchiudersi nelle loro case e di non imprigionare se stesse interagendo solo con ciò che è loro familiare. Le violenze e le minacce contro le donne non sono responsabilità delle donne.

Vivrò con le cicatrici sulla faccia, calmerò la furia che provo, continuerò a viaggiare da sola, oltre le barricate del terrore che mi confinano alle zone “sicure”. Proverò nervosismo e timore, e mi solleverò oltre essi ogni giorno, perché l’alternativa assomiglia molto alla galera.

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