(tratto dalla recensione di Gail Dines – docente di sociologia – del libro dell’ex prostituta Rachel Moran “Paid for: my journey through prostitution”, 18 settembre 2015, trad. Maria G. Di Rienzo. Rachel Moran viene da un retroscena familiare tormentato: affidata ai servizi sociali quando aveva 14 anni diventò una senzatetto e cominciò a prostituirsi a 15. I brani fra virgolette sono citazioni dal suo libro.)
Moran inizia il libro dichiarando: “Non ho scritto di prostituzione concentrandomi solo sulla mia esperienza, perché la questione è più grande di me e del mio posto in essa. I miei sette anni da prostituta mi hanno convinta che la prostituzione è anche un’esperienza collettiva, non puramente individuale.” E prosegue:
“Non ho mai incrociato una donna a cui vendere il proprio corpo causasse felicità. Alcune delle conseguenze dell’aver venduto i nostri corpi, il sollievo finanziario e altre forme di giovamento pratico erano le benvenute: ma questo, come chiunque abbia solo un briciolo di buon senso sa, non è la stessa cosa… scelta e consenso sono concetti errati in questo contesto. Il loro non essere validi si basa sul fatto che l’acquiescenza di una donna alla prostituzione è un responso a circostanze al di là del suo controllo, e ciò produce uno scenario che impedisce persino la possibilità di un reale consenso. C’è differenza fra il consenso e la sottomissione riluttante.”
Il difetto dell’argomento pro-prostituzione per cui le donne dovrebbero essere in grado di usare i loro corpi nel modo in cui scelgono è che: “sono gli altri ad usare i corpi delle prostitute nel modo in cui scelgono. Questa è l’intenzione e lo scopo e la funzione della prostituzione.”
Moran, una sagace studiosa di come il privilegio funziona, si assicura di far luce su chi ha veramente la possibilità di scegliere. Le sue descrizioni dei clienti rivelano il ventre molle della mascolinità aggressiva e la violenza emotiva e sessuale che definisce la “relazione” fra essi e le donne per cui essi pagano.
A fianco della bugia sulla “prostituta felice”, immagine perpetuata dai media, c’è l’egualmente falsa immagine del cliente gentile impegnato a soccorrere la donna traviata. Pensate a Richard Gere in “Pretty Woman”, con le sue ammalianti maniere e la generosa fornitura di denaro che finanzia i bagordi di Julia Roberts nei negozi di roba firmata. O al cliente riabilitato in “The Good Wife”, dove flashbacks mostrano Chris Noth “che fa l’amore” con donne prostituite.
Mai una volta abbiamo un indizio di come i clienti si comportano nel mondo reale, e dell’odio, del disprezzo e della crudeltà di cui le prostitute fanno esperienza su basi regolari.
Moran esamina anche la normalizzazione della prostituzione nella cultura dominante e la sua diffusa accettazione, o al minimo tolleranza, da ambo i generi. Ma questa, ci avvisa Moran, è una strada pericolosa: “Le donne non-prostituite, molte di loro, sono state istruite ad accettare la prostituzione assieme alla pornografia come qualcosa a cui non osano opporsi per il timore di essere etichettate come frigide e bacchettone… Se una donna tollera questo trattamento per le sue simili, se lo accetta sotto il vessillo del “progressismo” o di qualsiasi altra cosa, allora deve anche accettare che lei stessa è solo tolta dalla prostituzione per mancanza delle circostanze necessarie ad esservi piazzata. L’accettazione della prostituzione rende tutte le donne prostitute potenziali per l’opinione pubblica, poiché ci sono solo due requisiti che una donna deve possedere per lavorare in un bordello: uno sono le circostanze che l’hanno portata là (e chissà quando potrebbe succedere a ciascuna di noi?) e l’altro è avere una vagina, e tutte le donne nascono rispondendo almeno a uno di questi requisiti.”
Per quel che riguarda gli uomini, “la tolleranza della prostituzione chiaramente non può esistere in un uomo sino a che costui non si è formato la convinzione che la mercificazione delle donne è tollerabile.”