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Posts Tagged ‘fantascienza’

Il nuovo romanzo di Maria G. Di Rienzo è ora disponibile online.

MERGELLINA E LE MADRI

(di Maria G. Di Rienzo)

Mergellina,

Mergellina…

Dentro questa barca fammi sognare

Rema per me

Non mi svegliare

(Serenata a Mergellina – Mario Abbate)

Letto, riletto e poi riletto ancora con piacere e coinvolgimento. I romanzi di Maria G. Di Rienzo sono sempre preziosi per la sua capacità di creare mondi possibili in cui le conseguenze dell’oggi sono la premessa per altre storie, altri timori, altre possibilità.

Il romanzo è ambientato in un tempo futuro dopo il disastro, quando oramai l’acqua la fa da padrona tra paludi e atolli dove la gente si organizza e sopravvive, con strutture simili o grandemente diverse.

Ma qualunque organizzazione, qualunque stuttura sociale riesce sempre ad avere i suoi emarginati i suoi disadattati, quelli che emigrano sperando di trovare altrove un senso diverso alla propria vita, quelli che non accettano, che subiscono, e che nonostante tutto cercano in qualche modo di restare fedeli a se stessi.

La scrittura piana e scorrevole ci accompagna dentro le emozioni e la vita di Lin, la “ragazza che non c’è” che ha ereditato un nome assegnato dagli spiriti, che rifiuta ferocemente identificandosi come Lin. Ma ciò che rifiuti ti segna e rimane una parte di te, magari tatuata sul polso come il suo nome. Altri personaggi fondamentali emergono subito accanto a lei, la figlia Ninni, “formata a modo suo”, e Jade, Geid, il compagno non compagno artista, e via via alcuni di primaria importanza ed altri minori emergono dal proseguire del racconto, e ci aiutano a comprendere l’andamento delle vite sugli atolli e fra i palificati. Nessuna vita viene trascurata o accennata solo di striscio, ognuno ha la sua storia e la sua dignità, e un ruolo magari inatteso da giocare.

Centrale e sconvolgente il ruolo della grande Madre Zulma, di Romita Sacra, la madre di Lin e di altri nove figli, che entra nel racconto con la sua morte fuori contesto che mette le basi per lo sconvolgimento che si sta preparando.

L’autrice riesce a creare un mondo diverso, in cui la memoria distorta del passato diviene la fonte di nuove speranze e nuovi miti, dalla religione dell’ Armonium, alla stessa organizzazione dei palificati, che hanno trovato nella presenza degli spiriti e la loro cura per la gravidanza l’occasione di creare una struttura sociale imperniata sulle madri. Le donne che hanno fatto il pellegrinaggio a Tirta, la casa degli spiriti, per dieci volte, partorendo altrettanti figli, divengono le Grandi madri ed entrano a far parte del circolo che governa la vita dei palificati. Sugli Atolli invece l’organizzazione civile e quella religiosa convivono senza sovrapporsi, ed in ogni caso la scelta di credere o non credere ad una delle religioni o dei miti correnti è un fatto personale, che non sempre incide sul comportamento. In questi contesti può succedere di tutto, anche che un pezzo di latta emerso dal mare venga interpretato come un messaggio degli spiriti, e divenga il nome di una bambina: Pizzeria Mergellina, che da subito si sentirà fuori posto, incompresa ed incapace di accettare il mondo in cui vive, le relazioni che sua madre intrattiene nei giorni fertili per arrivare alle dieci gravidanze ed essere una Grande Madre, tutta l’organizzazione dei palificati, ed il suo nome così caricato di aspettative, che lei cambierà in Lin.

Mi capita spesso in questi giorni, mentre sto pensando a scrivere questa recensione, di trovare post tipo questo: ERES LA VERSIÓN MEJORADA DE TUS ANCESTROS

Los miembros “ raros” que no se adaptan al sistema familiar, a sus ideologías y desde pequeños comienzan a revolucionar sus creencias, aquellos criticados, juzgados y rechazados por no adaptarse a seguir el castrador y tóxico control familiar, son los llamados a liberar historias repetitivas que frustran y estancan las generaciones futuras. Estos seres son la versión mejorada de sus ancestros y tienen el don de reparar la historia, desintoxicar y crear una nueva raíz familiar, desvelando y liberando miles de secretos, acosos, violaciones, tabúes, miedos reprimidos, sueños no realizados, talentos frustrados y apegos enfermizos.

Muestra tu rareza al mundo, eres enviado a sanar, evolucionar y trascender la historia familiar.” (Sei la versione migliorata dei tuoi antenati: i membri strani che non si adattano al sistema familiare, alle sue ideologie e fin da piccoli cominciano a rivoluzionare le loro credenze, quelli che sono criticati giudicati e respinti perché non si adattano a seguire il controllo familiare castrante e tossico, sono quelli chiamati a liberare storie ripetitive, frustranti e stancanti per le generazioni future. Essi sono la versione migliorata dei loro antenati ed hanno il dono di riparare la storia, disintossicare e creare nuove radici familiari, svelando e liberandoi mille segreti familiari, gli abusi, le violenze, i tabù, le paure represse i sogni non realizzati, talenti frustrati e attaccamenti malati.

Mostra il tuo essere speciale al mondo, sei inviato a risanare, far progredire e trascendere la storia familiare”)

L’ho trascritto perché mi sembra che descriva bene la situazione che Maria G di Rienzo ci racconta sia nella sua protagonista, che nel suo compagno e nella sorella più piccola. A modo suo riesce ad essere sovvertitore anche Aronne, il fratellino affidato agli spiriti perché malato in modo inguaribile, che dirige la sua attitudine violenta contro la struttura che lo contiene.

Mi sembra che sia una descrizione adeguata a quel che emerge leggendo la storia di Lin, le sue rabbie per contenere la paura, il suo dibattersi per proteggere chi ama e sopravvivere, il suo fuggire dai legami, dalla famiglia, e il mantenere saldo e indiscutibile il suo legame con la figlia diversa, e poi dibattersi, non fidarsi, non affidarsi, che ne fanno la ribelle fuori le righe sempre pronta a battersi, a combattere per sopravvivere, e sarà lei, forte di qualità e profondità che nemmeno si riconosce, a smuovere dei territori divisi ed a farne un tutto unico di speranza e aperture. “Perché diamine cose del genere continuavano a capitare a lei, comunque?” Si chiede alla fine, e dopo aver incontrato “l’allargamento della umanità” torna a sistemare la barca per ritornare alla sua vita ed ai suoi affetti.

La nota finale dell’auitrice :”Questo romanzo è dedicato alle origini: “Studiate il passato, se volete dar forma al futuro”. Se non vi piace sentirlo dire da una femminista, pensate che lo sosteneva persino Confucio.

Il romanzo è dedicato anche al mio lettore-cavia, che ho l’immensa fortuna di avere al mio fianco da oltre quarant’anni. Grazie, Stefano.

Agosto 2020, Maria G. Di Rienzo”

Questo ci dice molto di come scorre il romanzo e della pacata competenza e l’attenzione che c’è dietro ad ogni storia, ad ogni sfumatura. Più volte si avvertono echi di fatti che ci attraversano, e si incontrano citazioni e rimandi ad altri tempi e luoghi, ma tutto questo avviene nel corso della narrazione, necessario antefatto o rimando ad un passato più o meno lontano, senza ostentazione, come strumento per motivare una reazione, una storia, un momento.

Nel romanzo c’è molto di più, una trama serrata, un intreccio di storie e di eventi si collegano, si sovrappongono, sembrano staccarsi per poi tornare ad intrecciarsi. C’è il tema dell’amore, incompreso, frustrato, inatteso, sorprendete, e quello della fiducia , del rispetto verso se stessi, i propri sogni e la necessità di realizzarli, mai come si era progettato, mai in modo lineare, ma guardandosi dentro, e anche un po’ indiero, si riesce a comprendere che questo è quello che volevamo, che alla fine questa à la vita, ed anche noi alla fine troveremo la nostra collocazione, e magari anche l’ultima sorpresa.

Un altro filone che scorre tra le righe del romanzo è quello della fede, della religione e della trascendenza, le credenze come si agitano si intrecciano, si rivelano deformazioni di conoscenze e tecniche precedenti, ma c’è sempre un qualcosa in più latente, che si può chiamare intuizione, percezione di legami universali, emozione, contagio, e il tutto spiegato diviene ancora emotivo e magico.

Nicoletta Crocella

Il collegamento all’articolo originale:
https://ragionandoci.wordpress.com/2020/10/24/mergellina-e-le-madri-il-nuovo-romanzo-di-maria-g-di-rienzo/

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Spudoratamente…

Dunque: l’avete visto il nuovo link a destra, sì? “Mergellina e le Madri” è disponibile online.

Se la mia fiction non vi interessa vi amo lo stesso, ma se l’amore è reciproco potreste fare un po’ di pubblicità al nuovo romanzo? Le mie lettrici cavia mi hanno dato valutazioni che vanno da “bello e coinvolgente” a “bellissimo”. Magari può piacere anche a qualcuna delle vostre conoscenze.

Grazie in anticipo, pards. MG DR

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Il 14 agosto scorso è stato pubblicato sul New York Times un pezzo dal titolo “‘We’ve Already Survived an Apocalypse’: Indigenous Writers Are Changing Sci-Fi”, a firma di Alexandra Alter.

L’articolo parla del modo in cui scrittori nativi americani stanno danno dando nuove forme alla fantascienza e alla fantasy, usando questi generi per parlare (anche) di degrado ambientale, discriminazioni, minaccia di cancellazione culturale – cioè di quel che vivono sulla loro pelle qui ed ora. Alcuni hanno detto che il fantastico permette loro di re-immaginare l’esperienza delle comunità indigene in modi che non sarebbero possibili tramite la fiction “realistica”: le narrazioni sul futuro e i mondi di fantasia forniscono alla scrittura libertà di sperimentare e innovare.

La maggioranza degli autori impegnati in questa avventura sono autrici. Eccone tre:

Cherie Dimaline

Cherie Dimaline (Métis, nata nel 1975, Canada):

“C’è un grande bisogno ora di raccontare storie indigene. L’unico modo per sapere chi sono, cos’è la mia comunità e i modi in cui sopravviviamo e ci adattiamo, è tramite le storie.”

Alcuni lavori di Cherie: Seven Gifts for Cedar (2010), Red Rooms (2011), The Girl Who Grew a Galaxy (2013), A Gentle Habit (2015), The Marrow Thieves (2017), Empire of Wild (2019).

Rebecca Roanhorse

Rebecca Roanhorse (Ohkay Owingeh Pueblo, nata nel 1971, USA, vincitrice dei Premi Hugo e Nebula per la fantascienza):

“Ho messo di proposito cultura, lingua e popoli indigeni nel futuro, nonostante gli sforzi di secoli per cancellarli, di modo che si possa dire “Ehi, i nativi americani esistono” – ed esisteremo in futuro. Siamo già sopravvissuti a un’apocalisse.”

Alcuni lavori di Rebecca: Star Wars: Resistance Reborn (2019), Race to the Sun (2020), Trail of Lightning (2018), Storm of Locusts (2019).

Darcie Little Badger

Darcie Little Badger (Apache Lipan, geoscienziata, nata nel 1987, USA):

“La maggior parte delle volte, quando nei libri il personaggio principale è Apache la storia si svolge nel 1800. E sembra una finzione, la gente pensa che non siamo sopravvissuti, ma lo siamo e stiamo ancora fiorendo.”

Il suo romanzo “Elatsoe” è uscito questo mese: ha per protagonista una ragazza Apache che può destare i fantasmi degli animali morti.

La lista degli altri lavori di Darcie, che scrive anche saggistica e fumetti e ha una particolare attenzione per le tematiche lgbt… è davvero troppo lunga!

Maria G. Di Rienzo

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Milfont - Le Robotism Suprême - Iemanjá2

(Le Robotism Suprême, dell’artista brasiliana Alessandra de Norões Milfont)

Missione compiuta. Il mio quinto romanzo è realtà. Adesso ho bisogno di qualche giorno per limare, trovare errori di battitura che il controllo ortografico ignora, rileggere. Poi lo pubblicherò online come il quarto e, se la cosa vi interessa, potrete andarverlo a prendere. Qui sotto c’è il prologo e, per inciso, è stato scritto prima del manifestarsi della pandemia Covid-19: non so ancora se la mia menzione di un’ecatombe sia una banale coincidenza, indichi che sono (vagamente) veggente o che porto sfiga…

MERGELLINA E LE MADRI

(di Maria G. Di Rienzo)

Mergellina,

Mergellina…

Dentro questa barca fammi sognare

Rema per me

Non mi svegliare

(Serenata a Mergellina – Mario Abbate)

PROLOGO.

Svegliarsi di soprassalto, o comunque senza una ragione specifica ma con tutti i sensi all’erta, era abbastanza usuale per Lin. In un movimento automatico saggiò sotto la coperta il posto accanto al suo e ritirò la mano di scatto, con un dito leggermente morsicato e un misto di irritazione e sollievo: la piccola era sveglia ma non ancora incline a uscire dal bozzolo. Dall’unica finestra della stanza occhieggiava il bagliore velato di un’alba di pioggia. Forse erano state le gocce che picchiettavano con forza sul vetro a destarla. La testa le doleva un poco, le tempie pulsavano. Aveva bevuto, la sera prima? Probabile, a conclusione di un viaggio e ad avvenuta consegna della merce e riscossione del pagamento relativo un paio di brindisi erano quasi un obbligo… forse più di un paio, sì, però non ne aveva memoria. Aguzzò lo sguardo nella penombra. C’erano decorazioni sulle pareti che non distingueva bene, c’era un armadietto laccato, c’era un comodino con una tazza sopra – e nella sua mente nessuna associazione.

Per un attimo fu stretta in una vertigine d’ansia: non ricordava il giorno precedente, ne’ in quale Atollo si trovava, chi era il cliente, se quella camera in cui aveva dormito l’aveva affittata o se era ospite di qualcuno… Annaspò, premette convulsamente le mani sul petto. Qualcosa a mezzo fra un gemito e un ululato le si stava gonfiando in gola, ma proprio quando pensava che non sarebbe più riuscita a trattenerlo le tende rosse e nere che davano su un altro vano, probabilmente la cucina, si aprirono frusciando e Lin trasse un respiro profondo e lo ricacciò indietro. L’apparizione del giovane uomo in tunica e pantaloni corti, con una lanterna in mano e una treccia castana semi-disfatta spiovente su una spalla, aveva messo a posto di colpo la catena degli eventi. Lo riconosceva. Sapeva il suo nome, uno di quei bizzarri nomi englesiani le cui lettere scritte non corrispondevano alla pronuncia comune e dovevano essere interpretate. Geid – Jade. L’ambiente non era più estraneo e vagamente minaccioso, ma il familiare alloggio di Jade alla locanda “Terraterra” in quel di Triade-Maratea, e Lin vi era stata più volte.

Si osservarono, lui con un sorriso schivo, lei annuendo e sfregandosi la fronte. Quel maledetto ticchettio sulla finestra la irritava incomprensibilmente.

“Ero venuto a vedere se vi eravate alzate. Sto preparando la colazione.”, disse il ragazzo a voce bassa.

Lin annusò l’aria e riuscì a rispondere con solo una traccia di tremito nella voce: “Fonduta di groviglio, come al solito?”

“Si chiama budino di floristella. – corresse lui ridacchiando – In pratica, hai appena dimostrato di saperlo, un piatto nazionale per tutti gli Atolli. E oggi è anche speciale, perché ho usato la farina più costosa, quella dolce… piacerà a Ninni. Dorme ancora?”

La donna osò un’occhiata sollevando cautamente un lembo di coperta e rilasciandolo in tutta fretta: “Sonnecchia.” Gettò le gambe fuori dal letto e non appena fu in piedi si accorse di non avere addosso nulla oltre ai tatuaggi tipici della sua gente. Fissò ancora Jade, questa volta sgranando gli occhi: “Tu… noi… abbiamo fatto qualcosa ieri notte?”

Il giovane si umettò le labbra e distolse lo sguardo. “Qualcosa.”, ripeté divertito in direzione della finestra. Aggrottò le sopracciglia per un momento, guardando il vetro su cui le gocce sembravano accanirsi.

“Cioè… nel letto con la piccola?!” Le mani di Lin annaspavano sul pavimento in cerca di indumenti.

“No, sul divano. – Jade indicò con il pollice la stanza alle sue spalle – Tua figlia era qui e sognava già.”

Infilandosi la camicia Lin imprecava tra sé. “Ero ubriaca, sì?”

“Di solito quando mi salti addosso lo sei.”

“Va bene, va bene. Spero sia stato divertente, perché al momento non…”

“La pentola.”, concluse lui sparendo fra uno svolazzar di tendaggi. Lin ricadde a sedere fra i cuscini e questa volta si grattò la testa, passando poi il palmo avanti e indietro sul taglio a spazzola dei suoi capelli corvini. Non avrebbe dovuto tornare sempre da lui quando attraccava in loco. Era come se lo incoraggiasse per malignità, certa che poi lo avrebbe deluso. Conosceva il ragazzo da quattro anni e da quasi subito aveva saputo di rivestire per lui un’importanza particolare… non corrisposta. Eppure Jade le piaceva. Conversare con lui, passeggiare con lui, mangiare con lui, fare sesso con lui, erano tutte attività gradevoli.

Vederlo sul palcoscenico del “Terraterra”, come membro di un tradizionale duo comico, era spesso esilarante e al minimo serviva a distrarla: si erano presentati proprio dopo una delle sue esibizioni, perché da alticcia Lin aveva insistito per complimentarsi con lui personalmente. L’altro attore era secondo lei uno stronzo fatto e finito che, oltre a predare il talento del compagno più giovane, usava la posa da severo mentore per umiliarlo dietro le quinte senza ragione alcuna. In qualche occasione ne aveva parlato con Jade, ma il giovane si limitava a scrollare le spalle e a ripetere che non voleva dar peso all’atteggiamento di Norino (così si chiamava il suo collega), che ribattere o protestare l’avrebbe incoraggiato, che non si sentiva offeso e che comunque alcuni dei suoi rimproveri avevano fondamento.

Lei si era chiesta se la struttura stessa di quel tipo di cabaret proprio degli Atolli rendesse inevitabile una certa dose di sopraffazione nel loro rapporto: esso prevedeva infatti l’interazione fra un saggio e onesto adulto, in quel caso il quarantenne Norino, e un giovincello malizioso e dispettoso quanto sciocco. Nella sceneggiata quest’ultimo poteva essere il figlio, il fratello minore, l’allievo o il discepolo che per quanti consigli affettuosi o veementi reprimende ricevesse insisteva a combinare guai. Gli scambi fra la coppia erano fuochi d’artificio verbali, freddure e fraintendimenti e giochi di parole creati in perfetta alchimia in cui si prendevano di mira l’un l’altro e sfottevano il mondo a 360°: ma l’azione da parte dell’adulto diventava via via simbolicamente sempre più violenta, sino a poter prevedere nel finale l’impartire al ragazzo una “buona lezione” a schiaffi, calci e bastonate. La sconfitta rituale del personaggio pestifero era accolta con tripudio dal pubblico degli Atolli, sembrava una sorta di catarsi in cui perdevano il ruolo di spettatori e contribuivano al castigo del reo scatenandosi nell’urlare incitamenti e insulti e talvolta lanciando oggetti sul palcoscenico. Accadeva, per quanto occasionalmente, che Jade uscisse di scena con un paio di lividi, sia perché un lancio dal pubblico lo aveva raggiunto, sia perché Norino aveva usato “troppa energia” o gli era “scivolata la mano”. Era la parte della rappresentazione che a Lin non piaceva molto, quella da cui era più distante per cultura essendo una nativa delle Palafitte. Sapeva però come si era originata secoli prima, durante l’Ecatombe: il virus prosperava con feroce intensità ed era assai contagioso negli individui sotto i 25 anni, i quali mostravano tutti i sintomi del caso, però sopravvivevano più facilmente. Mentre si tentava curarli essi infettavano altre persone a catena, quelle in particolare che non potevano o volevano isolarsi da essi, madri, padri, sorelle, fratelli, guaritori, sacerdoti… e costoro morivano come mosche. Dopo un lustro di decessi di massa il termine “bambino” divenne in pratica sinonimo di “untore”. Sua madre le aveva raccontato al proposito una discreta serie di storie macabre e raccapriccianti, in cui genitori si radunavano a macellare figli durante cerimonie espiatorie o li annegavano alla nascita e in cui bambini demoniaci tendevano subdoli agguati agli adulti sputando nella minestra della zia e pisciando nelle ciabatte del nonno. Lin scrollò inconsciamente le spalle. Di norma la infastidiva pensare alla propria madre, nei casi peggiori la infuriava addirittura. Si erano definitivamente separate alla nascita di Ninni e non in buoni termini. L’infanzia di Lin era comunque stata un’inusuale fiera dello scetticismo e della sfiducia: aveva smesso di credere alla donna che l’aveva messa al mondo così presto da considerarla un’estranea prima della pubertà.

A posteriori, pensava che quei racconti dell’orrore potevano essere eco distorte e amplificate di casi sinistri davvero avvenuti. Poi l’epidemia decrebbe, i nuovi nati erano sempre più immuni e molto tempo dopo la sua cessazione il risentimento generale verso giovani e giovanissimi si era calcificato, nel sistema dell’arcipelago, in una più o meno innocua formula teatrale.

Jade aveva appena compiuto 23 anni e ad ogni modo non avrebbe recitato la parte del marmocchio scemo per sempre, rifletteva Lin. Era un artista appassionato e versatile che sapeva esprimersi con la pittura, la poesia e il canto, era una mente aperta intellettualmente curiosa di tutto. Prima o poi si sarebbe lasciato Norino alle spalle, trascinato via dalla sua stessa eccellenza. Ma, per qualche folle ragione, questo individuo notevole era rimasto folgorato da una comune traghettatrice indipendente, più vecchia di lui, che trasportava piccoli carichi e passeggeri in giro per l’arcipelago e le cui abilità consistevano nello sfruttare venti e correnti, nel manovrare una pagaia con energia e nel contrattare il proprio prezzo a denti stretti e pugni chiusi che potevano diventare pugni sui denti quando doveva sfuggire a quelli che si chiamavano saccheggi se a compierli erano contrabbandieri, o sequestri se erano effettuati dai forzatori legali di qualche Commissariato.

Quel che Jade voleva da lei era una convivenza stabile e stanziale. Se proprio desiderava continuare a maneggiare remi e sacchi, le aveva detto, poteva cercare un impiego formale nel commercio a Triade-Maratea. Alcune delle sue argomentazioni Lin non le considerava insensate: ad esempio, che lei e la bimba corressero rischi su base quasi quotidiana era ovvio. Tuttavia non poteva piegarsi a dimorare in modo permanente in un luogo qualsiasi e meno che mai su un Atollo. Gli abitanti delle terre ferme tolleravano per necessità il fradiciume – era il termine meno offensivo e più comune con cui definivano i nativi delle Palafitte, i quali per ritorsione li chiamavano con uguale disprezzo satolli – che spesso costituiva la bassa manovalanza delle loro economie e Lin, se aveva qualche soldo in tasca, poteva entrare nelle loro taverne e botteghe senza aspettarsi assalti o discriminazioni. Ninni, però, era tutt’altra faccenda. Il mondo intero la descriveva come “malformata” e solo per Lin – e per il tenero Jade, sin dal loro primo incontro – era semplicemente “formata a modo suo”. Se per stili di vita, valori e attitudini Atolli e Palafitte cozzavano su tutto, a un solo sguardo sulla bambina concordavano: avrebbe dovuto essere soppressa alla nascita, non era adatta a un’esistenza normale e comunque per conformazione non l’avrebbe mai avuta, il suo aspetto era ripugnante.

Ninni aveva quasi cinque anni e non aveva mai imparato a camminare: le sue lunghe elastiche gambe che terminavano in grandi piedi palmati la rendevano una nuotatrice provetta e velocissima, ma sul suolo perdeva l’equilibrio, tendeva a incespicare e riusciva a procedere solo a piccoli balzi. Fuori dall’acqua Lin continuava a portarla sulla schiena, imbracata in un sostegno di stoffa come una neonata. Ninni aveva anche difficoltà a parlare in modo del tutto comprensibile, glielo impedivano le grandi ossa mascellari allungate e una bocca con una doppia fila di denti micidiali. Assieme alla fronte alta e agli occhi rotondi e un po’ sporgenti tali particolarità contribuivano a suggerire la somiglianza con le fattezze di un pesce. Quel viso singolare era incorniciato da una cascata di capelli folti e mossi, di uno splendido e raro rosso fiammante, ma come per tutte le altre sue caratteristiche, comprese quelle diverse dall’usuale, Lin non avrebbe saputo dire da chi la avesse ereditata.

Il padre di Ninni era un palificato come lei, bruno e dalla pelle dorata, suo compaesano in quel di Romita Sacra: ossia il centro politico, culturale e spirituale degli agglomerati delle Palafitte in cui stranieri di terraferma non erano ammessi sin dalla sua fondazione e le unioni miste erano respinte oltre le paludi con draconiana fermezza.

Non c’era modo di dire se le differenze di Ninni risalissero all’ascendenza paterna. La reazione orripilata del giovane uomo alla vista della piccola aveva peraltro spento in Lin ogni residuo interesse per lui. L’unica cosa per cui gli era grata era l’averle regalato la propria barca, nuova e perfetta, affinché potesse andarsene con la neonata. Lin usava ancora quella stessa imbarcazione, in attesa di risparmiare abbastanza per acquistarne una più grande.

Per quanto riguardava la sua, di ascendenza, be’, lei era figlia di una Graud Madra “certificata” dagli Spiriti – una donna che aveva compiuto dieci volte il Pellegrinaggio di Gravidanza e aveva messo al mondo dieci figli sani… come pesci. Lin guardò la testolina di Ninni che emergeva tentennante dalle lenzuola e sogghignò al pensiero, con una traccia d’amarezza. Dei dieci, suo fratello Arone mancava all’appello: si era ammalato di salina durante l’infanzia e per quella non c’era granché si potesse fare.

Gli sguardi di madre e figlia si incrociarono. “Pi-pì.”, sillabò la bimba sporgendo un po’ le labbra.

“Buona idea, – replicò Lin prendendola tra le braccia – vengo anch’io.”

Quando furono uscite dal bagno e Ninni fu sistemata a tavola con una generosa razione di budino, tisana di frutta e biscotti, Jade tirò in modo discreto Lin per un gomito e la riportò in camera di letto.

“Che diamine, vuoi una replica? Credevo mi avessi offerto la colazione.”, protestò scherzosamente lei.

“La pioggia. – sussurrò grave lui – Non senti niente?”

La donna si girò verso la finestra. Il ticchettio era ancora forte e insistente, cominciava ad essere davvero tormentoso. “Vorresti dire?”

“Fuori pioviggina. E’ solo sul mio vetro che si sta accanendo in quel modo. E’ un messaggio climatico.” Lin si irrigidì.

“E qui c’è solo una persona in grado di comprenderlo e a cui quindi potrebbe essere diretto. – proseguì il ragazzo – Tu.”

I magusci delle Palafitte mi hanno trovata? “Come” non era la domanda successiva che Lin si pose, i manipolatori atmosferici potevano rintracciare chiunque fosse stato addestrato all’ascolto e ogni palificato, come lei, riceveva tale insegnamento sin da bambino, pur profittandone in misura variabile secondo le sue personali capacità. Quel che si stava chiedendo, con terrore sottile e strisciante, era perché.

Rimase immobile per circa un minuto, a occhi chiusi, con la testa leggermente chinata e le braccia allargate verso l’esterno prima che la percezione della presenza di Jade al suo fianco svanisse. Lasciò che la pioggia le parlasse, che il suono disegnasse figure e concetti nella sua mente. Non ci volle molto, il messaggio era breve. Lin respirò profondamente sollevando il busto, il capo si raddrizzò, le palpebre si sollevarono, le braccia ricaddero.

“Adesso capisco il motivo per cui continuavo a pensare a lei.”, mormorò.

Jade la fissava apprensivo: “Cos’è successo?” Lin gli voltò per un attimo le spalle. Il picchiettio rallentò e dopo una manciata di secondi si spense.

“Zulma di Romita Sacra è morta.”, annunciò infine la donna.

“Prego?”

Lin si girò. Il suo viso era privo di espressione, ma le lacrime le correvano sino al mento. “Mia madre.”, aggiunse soltanto. Il giovane non disse nulla e la strinse a sé.

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Parable of the Sower

“La società generalmente vede la fantascienza come un genere per il tempo libero. La leggi perché hai tempo, non perché vuoi imparare qualcosa. Tuttavia, questo non potrebbe essere più lontano dalla verità.

Alcune delle nostre migliori pensatrici, e certamente le migliori a esprimere speranze globali, sono scrittrici di fantascienza. N.K. Jemisin ci ha dato semi-dee nere che, nonostante i loro poteri, ancora soffrono per mano di società oppressive. Octavia Butler ci ha dato mutatrici di forma, viaggiatrici temporali e pellegrine che hanno dovuto reagire e sopravvivere sotto il patriarcato e il razzismo.

Dobbiamo cambiare. Ognuno di noi ha bisogno di più coraggio. Il testo informativo è importante, ma quello emotivo è cruciale.

Mentre lottiamo per il mondo dei nostri sogni, dovremmo leggere le opere di coloro che l’hanno già creato.”

Tratto da: “If You Really Want to Unlearn Racism, Read Black Sci-Fi Authors”, di Cree Myles, 22 giugno 2020. Trad. Maria G. Di Rienzo.

afrofuturism

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… per me è una cosa seria.

writer

Da quando ho deciso che avrei scritto il quinto romanzo, ho buttato via 80.000 parole totali. Non c’è critico letterario al mondo che sappia trovare difetti nella mia scrittura meglio di me: è vero che essa tratta di sf e fantasy, ma la narrazione – oltre che corretta sotto il profilo linguistico – deve essere credibile, nel senso che chi legge dev’essere in grado di entrare in relazione con la storia e i personaggi senza trovare il tutto così improbabile da chiudere il libro e non riaprirlo più.

Una volta attraversato questo processo vado spedita… verso il nulla o verso l’autopubblicazione (vi terrò aggiornati). Non ho aspettative sull’editoria per così dire “ufficiale”, come sapete, perché sono semplicemente una scrittrice e non una persona famosa in altri campi che deve aggiungere libri di fuffa alle sue imprese. La situazione in Italia è questa e credo di non essere la sola ad averlo compreso: ieri me la ribadisce la recensione di un prodotto che viene definito “una sfida a George Orwell sul prato verde della distopia” e poche righe più sotto “un’anti-distopia ironica e distaccata”. Fate voi. Potrebbe persino essere un’utopia, un’eutopia, una cacotopia o un “anti” tutto ciò.

Baldini & Castoldi pubblicano infatti, con totale faccia di bronzo, qualcosa che si chiama “2084. La dittatura delle donne”, ci mettono un dipinto di Tamara de Lempicka in copertina (che fa sempre tanto “trasgressione”) e magari si aspettano che chi ha letto “1984” di Orwell corra in libreria, non vedendo l’ora di fare paragoni fra un gigante della letteratura e l’autore Gianni Clerici.

Costui è un ex tennista, giornalista sportivo (il recensore ricorda le sue “storiche dirette da Wimblendon” – sarebbe Wimbledon), che occasionalmente si avventura fuori dalla sua area di competenza – cosa legittima e non contestabile – con un testo che, anche se non tratta direttamente di tennis, usa il tennis come metafora, ispirazione, monito, similitudine eccetera.

So che ha sofferto di un ictus e che per fortuna ora sta bene, ma non so cosa gli abbia fatto male di recente: il #metoo? La richiesta di dar voce alle donne in Italia? Sta di fatto nel suo 2084 “le donne vanno al potere e invece del Grande Fratello c’è qualcosa che è una macchina chiamata Cerebrorobot. Le donne vanno al potere in seguito a una votazione mondiale in cui sono maggioranza.”

E, ovviamente, per chi le donne non le ascolta e non le vuole ascoltare, ciò può risultare solo in una banalissima dittatura rovesciata: “Gli uomini, i vires, sono messi maluccio, destinati alle mansioni più umili, i rapporti fra i sessi sono banditi e ogni forma di riproduzione è rigidamente controllata”. Giusto, perbacco: per cosa mai vogliamo entrare nella cabina di regia se non per vendicarci? Perché, andiamo, non è mica possibile che noi si reclami una cittadinanza a pieno titolo, diritti umani per tutte/i e si abbiano idee, proposte, capacità da condividere. Due secoli e passa di femminismo (indicato propriamente con tale nome) e questo è quel che Clerici – non solo lui – ha capito. Ma non dobbiamo preoccuparci: “nonostante presenze che si intuiscono autorevoli come la Leader Draga Merkel sr, (Nda: La Feroce Merkel Mangiauomini, ma per piacere! Questa l’ha concordata con Vittorio Feltri o con Salvini?) quello delle amazzoni è un potere vuoto, un simulacro. Su cui Clerici non manca di testare la proverbiale ironia.” Davvero, è un sollievo. E come fa? “Usa proprio il tennis. Facendo ricordare alle protagoniste un match di Serena e Venus Williams perso malamente contro un tennista numero 200 del mondo. “Era un incontro a cui ho assistito in Australia, con il tedesco Karsten Braasch che provava i cambi di campo. Mi pare le abbia battute a turno 6-1 e 6-2”.”

Ah okay, siamo inferiori, torniamo a ricamare le palline da tennis per i veri esseri umani – gli uomini. Cioè, basta la memoria delle Williams sconfitte in un match amichevole per far vacillare la “dittatura democratica” (Nda: questa invece potrebbe andar bene per i gilet arancioni) degli incubi di Clerici: “Come antifrasi non è male eh? – gongola l’autore – Sono due antitesi che contengono tutto”. Non comprendo dove sta l’ironia proverbiale. Ma si sa, le femmine sono stupide e le femministe sono prive di senso dell’umorismo eccetera eccetera eccetera, per cui è un problema mio e chiunque altro, purché dotato di scroto, sta probabilmente ghignando con aria saputa alle mie spalle. Perché poi basterà un uomo, “un padre”, per “sconvolgere il bucolico tran tran del mondo di “2084”.” Come? Clerici spiega: “La storia è quella della figlia di una pittrice che rimane incinta di un pittore di nome Vijay, nome molto comune in India, c’è stato anche un famoso tennista, Vijay Amritraj. Vuol dire vittoria’.”

Il metro di misura è quello. La vittoria. La vita è una guerra e bisogna vincere. Non importa in che modi, non importa quante vittime accidentali o volute ti lasci alle spalle, non importa cosa distruggi irreparabilmente nel processo. E’ il meccanismo alternativo alla “dittatura” dell’avere donne in posti di responsabilità, quello consueto e attuale: la sfida fra uomini. Be’, che se lo tenga Gianni Clerici. Io lavoro e scrivo con lo scopo di vivere in un mondo migliore di questo.

Il recensore, affinché noi non si abbia dubbi sulla statura dell’opera, ci rende noto che “nel pantheon letterario di Clerici ci sono Jack London, Ernest Hemingway, Andé Malraux, Graham Green, Joseph Conrad, James Joyce (…) Tra gli anglosassoni, Henry James, George Eliot, PG Wodehouse, Evelin Waugh (sic: si tratta in realtà di Evelyn Waugh – e nonostante il nome era un uomo)”: a quest’ultimo l’autore ci informa di essere stato persino paragonato. E qui c’è un ulteriore nodo da sciogliere, perché io ho letto tutto il suo pantheon e il mio è più grande di una scala cosmica (in senso metaforico e letterale), ma nessuno mi ha ancora paragonata alla regina Jindeok di Shilla per il mio interesse relativo a culture straniere e politica estera, a Aphra Behn per i miei scritti di teatro, a Hedvig Apollonia Löfwenskiöld per le mie (rare) poesie, a Florynce Kennedy per i testi relativi al femminismo e all’attivismo in genere, a Sofia Hagen per la satira e a Joan Slonczewski per la fantascienza. Purtroppo non sono nemmeno abbastanza cretina da augurarmelo o da crederci nel caso accada. Ho una consolazione, però: so di scrivere meglio di Clerici e del suo recensore. Maria G. Di Rienzo

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friz lang metropolis

Ieri “Repubblica” ha presentato l’uscita del proprio supplemento: il nuovo numero di “Robinson” ci dirà “come sarà il Pianeta tra trent’anni: come ameremo, cosa mangeremo, come parleremo. E cosa ne sarà di città, biblioteche, musei come li conosciamo oggi.”

“Per una previsione scientifica, – continua l’annuncio – trent’anni è il limite dell’affidabilità. Abbiamo chiesto alle firme del nostro giornale di immaginare come sarà il Pianeta nel 2050: quali sfide dovrà affrontare, come si trasformerà.”

La scrivente appassionata di sf ha avuto una fiammata d’entusiasmo… che si è spenta nel giro di 10 secondi. A descrivere il 2050, infatti, saranno (nell’ordine in cui il giornale li presenta): Alessio, Riccardo 1, Gabriele, Francesco, Stefano 1, Alberto, Stefano 2, Riccardo 2, Fabio e Marino. Donne? Ce ne sono quattro nello “spazio dedicato ai libri” che recensiscono il lavoro di quattro uomini e una che fa un’intervista a un ballerino.

Possiamo ipotizzare su come sarà il mondo fra trent’anni, ma nel giovanissimo 2020 sappiamo già con certezza che delle opinioni delle donne al proposito a “Repubblica” non interessa un piffero… E quindi col piffero che gli compro il supplemento.

Maria G. Di Rienzo

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Generalmente, questo è il periodo dell’anno in cui formuliamo buoni propositi per noi stessi e cerchiamo di proiettarci nel futuro. Nel farlo, esaminare, riconoscere e apprezzare le nostre capacità collegandole ai nostri desideri è essenziale: ma sapere su che terreni tendiamo a incespicare e imparare a restare in piedi sentendosi al sicuro e fiduciosi lo è altrettanto.

Il mio suggerimento al proposito è di usare gli archetipi. E’ facile, non costa nulla e permette di risvegliare energie dormienti e di esplorare lati della nostra personalità sepolti da condizionamenti o paure.

L’archetipo (significa “modello”, “prototipo”, “primo esemplare”) è un elemento simbolico che esprime una serie specifica di aspetti e ricorre nelle narrazioni di qualsiasi tipo, dalla fiaba per bambini alla leggenda urbana. In effetti, ci imbattiamo continuamente nella Strega (cattiva per lo più), nel Vecchio Saggio, nella Madre benevola o nella Matrigna malvagia, nel Principe Azzurro, nel Genio, eccetera. Solo da questo brevissimo elenco avrete notato che gli archetipi non sfuggono alla stereotipizzazione di genere, giacché i posti migliori, per così dire, sono riservati agli uomini: se il Vecchio Saggio è competente, custode di tradizioni e profonde conoscenze, associato a potere e intelligenza e “motore” del bene, la Vecchia Saggia non gode di eguale considerazione: è al meglio una fattucchiera astuta e manipolativa che dev’essere temuta o persino eliminata – tuttavia nulla vi impedirà di rivalutarla e di chiamarla al vostro fianco se ne avrete bisogno.

Vi rassicuro anche sul fatto che non avete necessità di studiare mitologia o di avere una specializzazione in psicologia junghiana, giacché gli archetipi prendono forme “moderne” e popolari che vi sono sicuramente note: Daenerys de “Il Trono di Spade”, come Xena prima di lei, è un archetipo (la principessa guerriera), così come Yoda di “Star Wars” (il vecchio saggio, appunto).

Date un’occhiata al parco offerte:

1. C’è un libro, un film, uno sceneggiato, un videogioco che ha per voi grande significato e vi è particolarmente caro, magari sin dall’infanzia?

2. Qual è il vostro personaggio preferito in uno o più di questi mondi virtuali? Perché vi piace?

3. Nell’eventualità che la fiction non vi soddisfi, c’è un individuo reale che non conoscete personalmente ma vi appassiona e vi ispira?

E’ assai probabile che le risposte siano collegate ai vostri sogni, ai vostri timori, a come siete e a come vorreste essere in determinate situazioni. Se siete attratte/i da un determinato personaggio è possibile esso rappresenti qualcosa che attende di essere risvegliato in voi. Chiunque ella o egli sia, chiamate la sua energia e la sua alleanza quando, come detto all’inizio, vi trovate su terreni instabili.

Mettiamo che siate di continuo coinvolti, per lavoro o relazioni personali, nella mediazione di dispute e conflitti: avete alti standard su giustizia, equità, eguaglianza e dovete esercitare pazienza, ascolto, osservazione, comprensione di differenti punti di vista. Il vostro personaggio preferito / archetipo è il Diplomatico. Che forma ha preso nel vostro immaginario?

E’ una cosa da vecchi cinefili incalliti, tipo il giudice Dan Haywood interpretato da Spencer Tracy in “Vincitori e vinti” (“Judgment at Nuremberg”, 1961)? Oppure è l’avvocata Alicia Florrick (Julianna Margulies) di “The Good Wife”? E’ Re Salomone o la Profetessa e Giudice Debora nella Bibbia? E’ l’avvocata Premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi?

Evocate il vostro archetipo, chiunque sia, così: “Ora ho bisogno della chiarezza lungimirante di Debora”, “Alicia (o Shirin) in questo momento devo esercitare la tua resilienza e il tuo coraggio”. Pensare o dire queste parole stimolerà in voi i tratti che associate a Debora, Alicia Florrick o Shirin Ebadi. Potete persino agire come il personaggio o la persona in questione, parlare come pensate lei o lui parlerebbe se presente – voi restate chi voi siete, non svilupperete una doppia personalità, ma più a lungo praticherete l’uso degli archetipi più le qualità che “chiamate” si riveleranno come semplicemente vostre.

Insomma, se vi sembra che il vostro prossimo compito sia portare un Anello a Mordor, non fatevi scrupolo di mandare un messaggio a Frodo (o a Gandalf). Brindo al vostro successo!

Maria G. Di Rienzo

Baby Yoda 2

(per la serie: ogni scusa è buona per piazzare un Baby Yoda da qualche parte)

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“La paura è il sentiero verso il lato oscuro.

La paura conduce alla rabbia.

La rabbia conduce all’odio.

L’odio conduce alla sofferenza.” – Yoda

baby yoda

(bimbo Yoda dalla serie televisiva “The Mandalorian”, ambientata nell’universo di Star Wars. Da noi uscirà nel marzo 2020.)

May the force – of nonviolence – be with us.

Possa la forza – della nonviolenza – essere con noi.

Maria G. Di Rienzo

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afronauts

Nel 2014 uscì il corto “Afronauts” della regista, sceneggiatrice e scrittrice ghanese Nuotama Frances Bodomo.

(per vederlo: https://fourthree.boilerroom.tv/film/afronauts)

Diventato rapidamente un film “cult”, è la trasposizione poetica e malinconica, in bianco e nero, della vera storia di come l’Accademia Spaziale dello Zambia tentò di battere sul tempo la missione statunitense diretta alla Luna nel 1969.

Il suo ritmo è quello di un sogno intenso che punta più sulla visualizzazione (angolature di ripresa, scenari, espressioni) che sul dialogo, rendendo in questo modo gli scambi relazionali maggiormente importanti rispetto all’azione. La protagonista, ovvero l’astronauta designata, è la diciassettenne Matha che vediamo impegnata nell’addestramento per il volo nello spazio: non si tratta solo di una emozionante impresa umana e tecnica – in un crescendo silenzioso quanto teso, la ragazza diventa l’incarnazione della richiesta di futuro per i corpi, le culture e le aspirazioni africane.

La buona notizia è questa: “Afronauts” avrà una nuova versione come lungometraggio. Negli ultimi sei mesi, con il sostegno di varie istituzioni (Sundance Institute, Tribeca Film Institute, IFP’s Emerging Storytellers program ecc.), la regista Bodomo ha viaggiato in Zambia intervistando gli attivisti per l’indipendenza, prominenti figure accademiche e i partecipanti originari al programma spaziale. Il film è quasi completo e noi amanti dell’sf siamo in fremente attesa di poterci immergere ancora nelle magiche atmosfere evocate dalla sublime narratrice Nuotama Frances Bodomo (in immagine qui sotto). Maria G. Di Rienzo

Nuotama Frances Bodomo

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