
“Vogliamo il vostro rispetto, non i vostri complimenti”: questo scandivano le donne durante le manifestazioni spagnole per l’8 marzo; il “titolo” che portavano tutte le iniziative era “Abbiamo mille ragioni”. L’immagine – da El País – è relativa a quella di Madrid: la dimostrazione delle donne ha superato colà le 350.000 presenze (a Barcellona erano 200.000). Lo sciopero di due ore indetto dalle organizzatrici ha raggiunto l’80% nelle università e il 61% nelle scuole secondarie superiori. I sondaggi dicono che poco più del 64% delle ragazze spagnole sotto i 25 anni si definisce femminista.
Fra le mille ragioni, le dimostranti hanno abbondantemente citato la violenza di genere, il divario sui salari e gli ostacoli all’accesso alle posizioni di responsabilità, nonché la crescita della destra spagnola che ha determinato uno spostamento verso posizioni retrive da parte del Partito Popolare (interruzione di gravidanza). La riuscita di centinaia e centinaia di manifestazioni – per farvi un esempio solo in Andalusia ce ne sono state 139 – ha mandato in pallone i politici di destra che hanno gridato al sequestro dell’8 marzo da parte della “sinistra femminista”.
Quest’ultimo concetto è qualcosa che io non sono mai riuscita a vedere in opera, meno che mai in Italia sebbene a diversi intervalli il termine sia infilato nelle piattaforme e più raramente nelle definizioni da slogan elettorale di aggregazioni di micro partiti e soggetti vari. “Ecologista” è sdoganato (non ti dicono più che vuoi piantare le margherite sull’A4), “nonviolento” un po’ meno ma ci sono buoni segnali (quelli che ti dicono “Allora ti va bene prenderle” si sono leggermente ridotti), “femminista” è ancora verboten e ogni volta che lo pronunci, lo scrivi, lo rivendichi devi maneggiare insulti, minacce, deliri e patetiche pseudo-spiritosaggini.
Io non credo si tratti di mancanza di informazioni: solo usando internet con un pizzico di intelligenza persino l’individuo più disinformato può crearsi una base di conoscenza (e ascoltare le donne / le femministe è sempre una possibilità).
Io non credo si tratti di differenze di opinioni: le aggressioni dirette alle femministe mancano in toto di argomentazioni razionali e in generale di quel minimo di educazione necessario a una conversazione sensata.
Io non credo si tratti di difficoltà di comprensione dovuta a linguaggi criptici o ultra specialistici: la frase “Vogliamo rispetto, non complimenti” necessita, per essere capita, di un apprendimento di base della lingua parlata normalmente accessibile anche a un analfabeta.
Io non credo si tratti della “crisi” degli uomini (ormai più che quarantennale in Italia) provocata dall’avanzamento, lento e costantemente messo in questione e in pericolo, dei diritti umani delle donne.
Io credo si tratti di mancanza di coraggio. Credo che troppi appartenenti alla sinistra italiana, uomini e donne, siano codardi, privi di prospettiva (e di sogni che non riguardino il proprio personale successo, sogni collettivi), subalterni alla visione del mondo dei loro avversari, complici per volontà o superficialità dell’attuale clima culturale del paese in cui l’attitudine medievale verso le donne, invece di arretrare, avanza spedita a colpi di passerella obbligatoria per tutte le età e qualsiasi professione, tribunali macho-friendly (per esempio, se una donna è “brutta” non può essere stuprata: clamoroso falso del 10 marzo 2019, smentito da tutti i dati in nostro possesso ovunque), concezione proprietaria e relativa oggettivazione di donne e bambine spinta al massimo livello (per cui si può ripetutamente stuprare la propria figlioletta di quattro anni, trasmetterle una malattia venerea e filmare il tutto per farsi una pippa nella pausa pranzo al lavoro: Cuneo, 9 marzo 2019), stupri e tentati stupri, femicidi e tentati femicidi (la scorsa settimana di cronaca la dice lunga sulla brutalità e sulla persistenza della violenza di genere in Italia).
Per uscire dal circo degli orrori è necessario come primo passo il riconoscere questi ultimi per tali. Il secondo è l’analisi di cause e conseguenze della violenza di genere, per la quale è disponibile almeno un secolo di lavoro femminista. Il terzo è la volontà di avventurarsi in un territorio diverso: cambiando comportamento, riscrivendo il proprio posto e il proprio senso rispetto all’esistente, sfidando l’attitudine che ridicolizza e umilia le donne senza darla per scontata o peggio ancora per “naturale”, osando accettare la libertà che il femminismo crea per ogni essere umano e vivendola in prima persona.
Maria G. Di Rienzo
Mi piace:
Mi piace Caricamento...
Read Full Post »