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workers

Comunque sarà gestita la crisi politica italiana in atto, al voto dovremo andare in un prossimo futuro. Gli scenari consueti della propaganda elettorale sono comunque già installati e funzionanti: dall’aspirante padre-padrone che chiede pieni poteri per rimetterci tutti a posto a bastonate, al nonno un po’ scentrato che gli ha retto le falde della felpa sino a ieri e oggi si propone quale salvatore dell’Italia dalla deriva e dalla rovina.

Consuete anche le proposte/risposte “alternative” sino ad ora disponibili: federalismo regionale, gestione dell’immigrazione, sviluppo del mezzogiorno, investimenti per la formazione dei ceti imprenditoriali… non devo continuare, vero? E’ sempre la stessa indigeribile minestra, a cambiare sono unicamente i nomi dei cuochi. E, sempre come al solito, se si cerca di attirare l’elettorato con le parole d’ordine dell’avversario politico – solo infiocchettate di (sedicenti) moderazione e buonsenso – si perde. Si perde anche ricorrendo gli avversari in termini di “immagine”, mostrando dell’Italia una versione virtuale in cui sfilano personaggi da première e matinée che se sono donne parlano di trucco e tacchi e se sono uomini commentano la Formula 1. Se la situazione sono in grado di leggerla io, non dovrebbe essere difficile farlo per chi in tali analisi e disamine si dichiara specialista. Per favore, Sinistra e Centro-sinistra o quant’altro si collochi all’opposizione, lo chiedo da elettrice e non solo in mio nome: BASTA.

Date spazio alla gente comune. Date riconoscimento alla classe lavoratrice. Date solidarietà concreta alla lotta contro la violenza di genere. Date sostegno alle competenze, alle capacità, alla passione e alla tensione ideale verso un sogno differente. Non ci importa come sono fatte le persone che ci parlano, ne’ quel che indossano, ne’ dove vanno in vacanza, ne’ se piacciono ai dietologi: ci importa ciò che dicono, ciò che sanno e ciò di cui fanno esperienza.

ladies

E’ per noi fondamentale poterci riconoscere e rispecchiare in loro, persone che ci somigliano, che usano i nostri stessi mezzi pubblici, che vanno al lavoro nei nostri stessi luoghi o ricevono la pensione dagli stessi enti, che hanno le nostre stesse difficoltà con la sanità pubblica e la scuola e il welfare e la casa e il futuro in genere: è questo che riduce la distanza fra cittadini e politica, non la manfrina sulle autonomie regionali ne’ l’ennesima manifestazione di servilismo nei confronti degli abbienti. Guardate i volti che appaiono nelle immagini con cui ho illustrato questo pezzo. Sono quelli che vogliamo vedere. Sono i nostri.

Abbiamo bisogno del vostro coraggio. Abbiamo bisogno di vedervi balzar fuori da questo insensato balletto di slogan e rappresentazioni tanto virtuali quanto obsolete. Alcuni/e di voi lo vivranno come un salto mortale, lo capisco: ma vi assicuro che ad attendervi dall’altra parte c’è la rete di sicurezza delle nostre braccia intrecciate.

Maria G. Di Rienzo

lab worker

Non è facile vivere di sogni

Ma maggiori sono le difficoltà, migliore è il risultato

Love of the Common People, versione degli Stiff Little Fingers:

https://www.youtube.com/watch?v=zA9q7QF45pM

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Questo è uno dei vantaggi dell’essere vecchi: sai e vedi e puoi provare che non tutto è già stato fatto, ma moltissimo sì. Una situazione che si ripete, per esempio, è l’usare i successi elettorali delle destre per spiegare con sufficienza a chi non si genuflette a essi che sono dovuti a profonda comprensione del tessuto sociale, alla capacità di rispondere ai bisogni e ai timori dei cittadini, ad un’acuta vicinanza agli strati più vulnerabili della società. La pseudo-analisi prosegue invariabilmente spargendo a piene mani nei confronti dei dissidenti accuse di cecità (“Non cogliete il disagio relativo all’Europa e all’immigrazione”), snobismo (“Fate le pulci sul linguaggio che però è quello che la gente comune usa”), moralismo (“Non avete il diritto di giudicare perché chi li vota è il proletariato che vi ha abbandonati e come disse Pasolini… ecc.”) e collaborazionismo involontario (“Andate in televisione a fare semplice testimonianza e siete funzionali agli avversari”).

Il dato principale di tali pistolotti è una mancanza: chi li produce non ha mai in mente un tipo d’azione politica alternativa, ne’ una chiara visione politica complessiva a cui tendere – in pratica, ci dice solo quanto bravi sono quelli che hanno vinto, e che hanno vinto proprio perché sono bravi, e noi avremmo dovuto fare le stesse cose che fanno loro. Gli autori di queste banalità superficiali nel 2019 credono, magari, di essere speciali, “fuori dal coro”, portatori di un pensiero innovatore illuminante e coraggioso: purtroppo si sbagliano. Si sbagliano perché climi e tendenze sociali possono – accade continuamente – essere creati ad arte dalla propaganda: qualsiasi disagio è convogliato a mirare ad un meta-bersaglio unico indicato come motore primario di ciascuno di essi.

* I primi successi elettorali della Lega (allora gli aderenti al partito non si vergognavano di chiamarla con il suo nome completo – Lega Nord Per l’Indipendenza della Padania) risalgono agli anni 1991-1994. All’epoca i temi della profonda comprensione, della capacità di rispondere e della vicinanza e quant’altro erano questi: le buche sulle strade del nord, i “terroni” che avevano invaso tutti i posti statali (insegnanti, impiegati) rubando il lavoro ai “padani”, le regioni del nord rappresentate come galline dalle uova d’oro di cui si nutriva a sbafo un sud nullafacente e criminale, la sbandierata superiorità economica del “modello nord-est”, la richiesta di secessione dall’Italia e poi di mutare quest’ultima in una repubblica federale.

A coloro che chiedevano ai partiti politici di opposizione di demistificare questo scenario fasullo, di considerare le condizioni dei lavoratori dipendenti e degli strati sociali più vulnerabili e di costruire un sogno diverso per l’Italia si rispose con continui convegni sul federalismo di cui nessuno sentiva il bisogno, con l’invito ad asfaltare le strade (quelle in cui i leghisti affiggevano a pali della luce i cartelli “Questa strada va bene per i carretti siciliani”) e con una pletora di sgravi, agevolazioni e finanziamenti ai geniali imprenditori del nord-est: i cui capannoni tirati su in fretta e furia su terreni agricoli o che avrebbero potuto essere impiegati altrimenti sono oggi, in maggioranza, abbandonati e vuoti. Cioè: l’opposizione ha creduto alle sirene che cantavano “ciò che vince è ciò che è giusto” e si è inutilmente impegnata a fare le stesse cose, però con i propri distinguo e filtri. E perché chi quelle cose le aveva votate avrebbe dovuto rivolgersi agli imitatori, quando aveva di esse la forma più puramente brutale a disposizione?

* I trionfi elettorali di Berlusconi (il suo secondo governo è stato il più duraturo nella storia della repubblica italiana: quasi quattro anni) ci furono spiegati nella stessa maniera descritta all’inizio: “Non cogliete il disagio verso la vecchia politica”, “Fate le pulci sulle escort ma perché siete invidiosi e vorreste essere anche voi circondati da strafighe”, “Non avete il diritto di giudicare perché chi lo vota è il proletariato ecc. ecc.”, “Andate in televisione ma fate il suo gioco perché lui è un grande comunicatore”. Identico fu anche l’atteggiamento di subordinazione verso temi chiave e parole d’ordine: quando Berlusconi urlava al complotto comunista come motore primario di ogni male passato e presente e (sia mai!) futuro dell’Italia, i suoi oppositori erano assai impegnati a smarcarsi dall’infamante accusa o a razionalizzarla con pastoni storici, a favorire imprenditori e ceti abbienti per dimostrare la propria lungimiranza e magnanimità, a scaricare i sindacati e conseguentemente – di nuovo – i lavoratori dipendenti e i settori sociali più vulnerabili; inoltre, quando ci fu la parentesi del primo governo Prodi, che avrebbe potuto dare inizio a una svolta positiva nel rapporto dei cittadini italiani con la politica, la resero brevissima.

Devo continuare, nobili ammonitori? Il resto è storia recente, il grande comunicatore Grillo e il suo lumpenproletariat di onesti analfabeti complottisti con stampante 3-D, il grande comunicatore Salvini e le sue schiere di odiatori seriali parimenti analfabeti… entrambi hanno puntualmente creato i meta-bersagli per ingiustizie e disagi senza avere la più pallida idea di come risolvere dette questioni e persino aggravandole: per quale motivo io non sarei autorizzata a giudicare le azioni di questi individui e le loro nefaste conseguenze? Io sono una cittadina italiana e qualsiasi cosa decidano nel governo del mio paese mi riguarda e ha impatto su di me, anche quando concerne specifici segmenti di popolazione in cui io non rientro.

foto di maurizio tomassini

Se per voi fustigatori una donna oggettivata e un ministro da avanspettacolo costituiscono l’immagine dell’unico futuro possibile e “ciò che i proletari vogliono”, ciò dimostra solo che avete ben poca immaginazione, scarsa coscienza civile, esigua comprensione dei processi culturali, sociali ed economici – e i “proletari” li avete visti solo al cinema (io, per contro, appartengo alla categoria).

Maria G. Di Rienzo

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madrid 8 marzo 2019

“Vogliamo il vostro rispetto, non i vostri complimenti”: questo scandivano le donne durante le manifestazioni spagnole per l’8 marzo; il “titolo” che portavano tutte le iniziative era “Abbiamo mille ragioni”. L’immagine – da El País – è relativa a quella di Madrid: la dimostrazione delle donne ha superato colà le 350.000 presenze (a Barcellona erano 200.000). Lo sciopero di due ore indetto dalle organizzatrici ha raggiunto l’80% nelle università e il 61% nelle scuole secondarie superiori. I sondaggi dicono che poco più del 64% delle ragazze spagnole sotto i 25 anni si definisce femminista.

Fra le mille ragioni, le dimostranti hanno abbondantemente citato la violenza di genere, il divario sui salari e gli ostacoli all’accesso alle posizioni di responsabilità, nonché la crescita della destra spagnola che ha determinato uno spostamento verso posizioni retrive da parte del Partito Popolare (interruzione di gravidanza). La riuscita di centinaia e centinaia di manifestazioni – per farvi un esempio solo in Andalusia ce ne sono state 139 – ha mandato in pallone i politici di destra che hanno gridato al sequestro dell’8 marzo da parte della “sinistra femminista”.

Quest’ultimo concetto è qualcosa che io non sono mai riuscita a vedere in opera, meno che mai in Italia sebbene a diversi intervalli il termine sia infilato nelle piattaforme e più raramente nelle definizioni da slogan elettorale di aggregazioni di micro partiti e soggetti vari. “Ecologista” è sdoganato (non ti dicono più che vuoi piantare le margherite sull’A4), “nonviolento” un po’ meno ma ci sono buoni segnali (quelli che ti dicono “Allora ti va bene prenderle” si sono leggermente ridotti), “femminista” è ancora verboten e ogni volta che lo pronunci, lo scrivi, lo rivendichi devi maneggiare insulti, minacce, deliri e patetiche pseudo-spiritosaggini.

Io non credo si tratti di mancanza di informazioni: solo usando internet con un pizzico di intelligenza persino l’individuo più disinformato può crearsi una base di conoscenza (e ascoltare le donne / le femministe è sempre una possibilità).

Io non credo si tratti di differenze di opinioni: le aggressioni dirette alle femministe mancano in toto di argomentazioni razionali e in generale di quel minimo di educazione necessario a una conversazione sensata.

Io non credo si tratti di difficoltà di comprensione dovuta a linguaggi criptici o ultra specialistici: la frase “Vogliamo rispetto, non complimenti” necessita, per essere capita, di un apprendimento di base della lingua parlata normalmente accessibile anche a un analfabeta.

Io non credo si tratti della “crisi” degli uomini (ormai più che quarantennale in Italia) provocata dall’avanzamento, lento e costantemente messo in questione e in pericolo, dei diritti umani delle donne.

Io credo si tratti di mancanza di coraggio. Credo che troppi appartenenti alla sinistra italiana, uomini e donne, siano codardi, privi di prospettiva (e di sogni che non riguardino il proprio personale successo, sogni collettivi), subalterni alla visione del mondo dei loro avversari, complici per volontà o superficialità dell’attuale clima culturale del paese in cui l’attitudine medievale verso le donne, invece di arretrare, avanza spedita a colpi di passerella obbligatoria per tutte le età e qualsiasi professione, tribunali macho-friendly (per esempio, se una donna è “brutta” non può essere stuprata: clamoroso falso del 10 marzo 2019, smentito da tutti i dati in nostro possesso ovunque), concezione proprietaria e relativa oggettivazione di donne e bambine spinta al massimo livello (per cui si può ripetutamente stuprare la propria figlioletta di quattro anni, trasmetterle una malattia venerea e filmare il tutto per farsi una pippa nella pausa pranzo al lavoro: Cuneo, 9 marzo 2019), stupri e tentati stupri, femicidi e tentati femicidi (la scorsa settimana di cronaca la dice lunga sulla brutalità e sulla persistenza della violenza di genere in Italia).

Per uscire dal circo degli orrori è necessario come primo passo il riconoscere questi ultimi per tali. Il secondo è l’analisi di cause e conseguenze della violenza di genere, per la quale è disponibile almeno un secolo di lavoro femminista. Il terzo è la volontà di avventurarsi in un territorio diverso: cambiando comportamento, riscrivendo il proprio posto e il proprio senso rispetto all’esistente, sfidando l’attitudine che ridicolizza e umilia le donne senza darla per scontata o peggio ancora per “naturale”, osando accettare la libertà che il femminismo crea per ogni essere umano e vivendola in prima persona.

Maria G. Di Rienzo

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(brano tratto da: “The pitfalls of trying to get in with the male left”, di Meghan Murphy per Feminist Current, 12 luglio 2017, trad. Maria G. Di Rienzo.)

“La sinistra ha abbandonato gli interessi delle donne sistematicamente sin dall’alba del femminismo.

Andando indietro al 1830, le donne della classe lavoratrice che in Francia erano parte del movimento socialista di Saint-Simon rinunciarono a cercare di lavorare con i loro compagni maschi e organizzarono un movimento separatista. Alla metà del 1800, gli abolizionisti maschi sistematicamente scoraggiarono e persino impedirono in modo esplicito che le donne nel movimento abolizionista parlassero apertamente dei diritti delle donne, dichiarando che ciò era una distrazione.

Il movimento femminista radicale americano annunciò il suo abbandono della Nuova Sinistra con un chiaro e diretto “vaffanculo”, avendo appreso che per quanto sostenessero le lotte guidate dagli uomini, le donne avrebbero continuato a essere trattate come oggetti sessuali, mogli e segretarie.

Questa non è una lezione nuova.

Noi tentiamo di allearci con la sinistra e i nostri sforzi falliscono di continuo, perché gli uomini di sinistra ci hanno mostrato per secoli che i nostri interessi non sono importanti – che noi non siamo importanti. In altre parole, le femministe radicali non hanno abbandonato la lotta contro il capitalismo, hanno abbandonato gli uomini che hanno dimostrato, ancora e ancora, come il loro interesse per la rivoluzione non si estenda al di là dei loro piselli.

Per almeno 150 anni le donne hanno messo la loro energia, il loro tempo, i loro cuori e i loro spiriti nei movimenti degli uomini. Le donne hanno creduto anche che la solidarietà era possibile e che se lavoravano con gli uomini a metter fine a cose come il capitalismo e il razzismo, gli uomini avrebbero tornato loro il favore, e si sarebbero uniti alle donne nel combattere cose come stupro, abuso domestico, prostituzione e oggettivazione sessuale. Ma non lo hanno fatto.”

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A mio parere, l’essere vecchi comporta allo stesso tempo parecchie seccature e altrettante benedizioni: se è vero che leggere le etichette è diventato un’impresa e che a volte stento a riconoscere come miei i capelli che ho in testa, è anche vero che l’accumulare esperienze e memorie mi salva dall’incorrere in errori già fatti o pericoli già visti.

La Sinistra in Italia è – ovvio – assai più vecchia di me ma molto meno disposta a ricordare il proprio vissuto e a trarre beneficio dalle lezioni che potenzialmente potrebbe apprendere da esso. Sono circa trent’anni che la osservo RIFONDARSI, RICOMINCIARE, RIPARTIRE, RINASCERE – o meglio, dichiarare che questi sono i suoi intenti e fallire ogni singola volta. Trent’anni di parole d’ordine sostanzialmente identiche e di annunciato “nuovo percorso” in realtà stranoto e prevedibilissimo.

Ieri, 16 luglio 2016, la Sinistra si muove dalla casella numero uno per l’ennesima volta: con un social compact “ovvero un pacchetto di proposte sui temi del lavoro, delle pensioni e della sanità”.

Dire alla stampa che ha una visione per il futuro, una piattaforma e degli obiettivi, nonché tecniche e strategie congruenti con idee e scopi sarebbe stato un po’ troppo: la Sinistra italiana non ha nulla di tutto questo, perciò il meglio che riesce a tirar fuori dal cappello a cilindro non è nemmeno un simpatico coniglietto, è un “social compact”… che i vocabolari inglesi definiscono così:

Social contract o social compact, sostantivo – 1. L’accordo volontario fra individui per il quale, secondo le varie teorie quali quelle di Hobbes, Locke o Rosseau, la società organizzata è condotta all’esistenza e investita del diritto di assicurare mutua protezione e benessere o di regolare le relazioni fra i suoi membri. 2. Un accordo ai fini di vantaggio reciproco fra un individuo o gruppo e il governo o la comunità nel suo insieme.

Probabilmente chi ha avuto la pensata si è sentito molto colto e moderno e innovativo, ma anche se non possiamo escludere completamente che nei suoi sogni si creda il fondatore di un nuovo patto sociale è assai più probabile che il senso in cui il “social compact” è inteso sia il secondo: il che denuncia sin dall’incipit la sudditanza culturale al neoliberismo in cui la Sinistra italiana vive – e persino si crogiola. La riflessione e l’analisi sulle cause dei problemi negli ambiti lavoro, sanità, welfare sono svanite. La critica dell’economia neoliberista e delle sue ricadute in ambito culturale anche. Non si può stare insieme ad altri individui se non per ragioni di vantaggio reciproco, diciamo dall’inizio alla fine della class action, per il resto ogni atomizzato per sé e dio per tutti, individuo/gruppo e governo/comunità possono essere solo in conflitto: o non ricordate le penosissime discussioni sui “diritti delle persone” (donne e omosessuali) lesivi dei “diritti dei popoli” e via delirando? Quando dico “dio”, inoltre, sono molto seria: nel crollo e abbandono di ogni valore laico di riferimento da decenni la Sinistra italiana si aggrappa a quelli religiosi (inneggiando ai Fratelli Musulmani nei Social Forum; lodando il Papa di turno se solo dice “poveri”, o “la guerra è una brutta cosa”; sdoganando qualsiasi violazione atroce dei diritti umani purché sia diretta contro le donne: le bruciano vive? Be’, è la loro religione, la loro cultura, dobbiamo rispettare).

Così, questa “cosa” che “nascerà con il congresso fondativo il prossimo 3, 4 e 5 dicembre, dopo un percorso vero di partecipazione, assemblee popolari di approfondimento, confronto, non solo tra noi, ma anzitutto nella società e con il coinvolgimento dei soggetti sociali che vogliamo coinvolgere.”, oltre a zoppicare in italiano – il coinvolgimento di quelli che vogliamo coinvolgere – ripeterà la sceneggiata dell’inclusione, che abbiamo già visto solo qualche dozzina di volte e che, chissà perché, non è mai riuscita. Io un’opinione sulle ragioni del fallimento ce l’ho, anche perché a qualcuno di questi invigorenti percorsi di partecipazione ero presente. E voi, dirigenti della Sinistra italiana di ieri e di oggi non avete mai trattato alla pari i soggetti (individui e gruppi) chiamati a sedersi al vostro stesso tavolo, quel che volevate e volete da loro sono voti e impegno acritico e obbediente su qualsiasi vostro progetto. Volete “dare la linea”, che si traduce oggi solo come avere il comando, perché la “linea” è assente, e assicurarvi ogni briciola di potere che riuscite a ramazzare dalle sale in cui i vostri avversari banchettano.

A parte l’esperienza del giovane Zedda a Cagliari, – scrive Norma Rangeri su Il Manifesto del 6 giugno 2016 – una coalizione di centrosinistra che ha avuto il voto dei cittadini con la riconferma del sindaco al primo turno, a Torino con Airaudo, a Roma con Fassina, a Milano con Rizzo non è andata benissimo. E’ stato gettato un piccolo seme, ma i candidati non hanno raggiunto l’obiettivo che si erano proposti in questa sfida comunale: non hanno allargato lo spazio politico. Evidentemente non hanno svolto un ruolo attrattivo per l’elettorato che ha mollato il Pd. Centinaia di migliaia di voti persi dal partito democratico, come da facili profeti avevano previsto, o sono rimasti a casa o sono andati ai 5Stelle. E’ vero, come diceva ieri Fassina, che Sinistra Italiana è una forza in formazione, senza un “posizionamento nazionale chiaro”, però se lasciamo da parte il politichese, che le liste di sinistra fossero un’offerta alternativa al Pd era abbastanza chiaro, da Torino a Roma, da Bologna a Milano. Forse è arrivato il momento di capire un po’ più a fondo cosa c’è che proprio non va.”

Vi mancano troppe cose per attirare quelle/i come me che ormai “restano a casa”: ascolto, rispetto, un’idea di futuro sono le principali. Avete chiamato a parlare alle vostre kermesse centinaia di volte le femministe e qualche decina di volta i membri del Movimento Nonviolento (nel mio caso le qualifiche coincidevano) ma quel che vi portavamo in dono – ricerca, analisi, informazioni, conoscenza, condivisione, possibilità di convergere su lotte comuni – voi lo avete sempre respinto al mittente una volta spente le luci della ribalta.

Come faccio a credere che vi stia a cuore la “dignità del lavoro e un nuovo welfare universale contro diseguaglianze e precarietà” quando da tutto ciò è assente un’analisi di genere e quindi è assente la maggioranza dei disoccupati, dei sottopagati, dei non pagati affatto, dei discriminati – e cioè le donne? Come faccio a credere che vi interessi qualcosa di “giustizia climatica e conversione ecologica” se non siete capaci di riconoscere che i leader dei maggiori movimenti sul campo sono femmine – spesso appartenenti a popolazioni indigene – e che queste femmine hanno elaborato riflessioni, tecniche e richieste che continuano a portare in ogni dannato meeting internazionale, viste e ascoltate in Italia da me e poche altre loro simili?

Cosa significa la cancellazione di metà della cittadinanza dalle vostre preoccupazioni, in un Paese in cui una donna muore di femminicidio ogni due giorni e i centri antiviolenza chiudono grazie al menefreghismo dell’intero spettro politico? Maria G. Di Rienzo

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