(tratto da: “The Subtle Abyss: Visual Representation and Feminist Art Practices”, un più ampio saggio di Rose Gibbs e Catherine Long del dicembre 2015. Trad. Maria G. Di Rienzo.)

L’ortodossia economia del neoliberismo, promuovendo il “ragionevole interesse personale” tramite la deregolazione, la privatizzazione, il libero mercato e governi sempre più ristretti, ha il suo equivalente culturale nell’attitudine “tutto fa brodo” che separa azioni e comportamenti dalle circostanze in cui essi si generano.
Quest’ortodossia presuppone che siamo tutti nati liberi, che prendiamo decisioni liberamente e che non siamo formati da aspettative normative. Qui, il soggetto è un individuo solitario per il quale tutti i legami – familiari o d’altra natura – sono gravosi. Il presupposto sotteso è che vi sia un giusto e “naturale” modo di essere e che esso emergerà comunque in qualche modo. Similmente, il libero mercato sarebbe un “ecosistema” che si autoregola e che, come il mondo naturale, a volte può essere brutale ma in fin dei conti è armonioso.
Nella cultura neoliberista odierna le barriere imposte alla libertà da classe, razza e discriminazione di genere non sono chiaramente riconosciute. C’è una “libertaria” celebrazione del libero arbitrio che non mette in discussione le condizioni che rendono la vera libertà possibile, ne’ ci riflette sopra.
In un rovesciamento del principio femminista per cui “il personale è politico”, i problemi non sono mai politici ma sempre personali: individuali, sui generis e perciò non analizzabili.
In queste circostanze, mettere insieme le persone affinché affrontino istanze comuni diviene sempre più difficoltoso. Inoltre, presumere che siamo tutti individui isolati e autonomi oscura effettivamente la realtà delle nostre situazioni difficili. Ciò è preoccupante soprattutto per le persone vulnerabili e marginalizzate.
Attualmente siamo nel mezzo di una rinascita del femminismo, in occidente e a livello globale, che continua a raccogliere slancio. Gli ultimi cinque anni hanno visto un aumento significativo di conferenze femministe, attivismo di base, creazione e mostre di arte femminista. Molta di questa attività organizzativa opera a fronte di una discriminazione continua e a partire dalla consapevolezza da parte delle donne più giovani che ci è stata venduta una montatura: e cioè l’eguaglianza è stata raggiunta, rendendo il femminismo superfluo.
Allo stesso tempo, il capitalismo ha cooptato il linguaggio femminista nei media del mainstream. Il contrattacco al femminismo ha preso la sua forma più virulenta: i comportamenti e i prodotti che sono tutti parte dell’arsenale capitalista sono rielaborati come attrezzi femministi del “potenziamento delle donne”, mentre le fonti di tale potere restano incredibilmente non esaminate. Le donne sono diventate i bersagli di aggressive tattiche di marketing; ci viene detto che i soggetti femminili manifestano la propria libertà tramite il potere d’acquisto.
E’ pure da notare come tali comportamenti tendano ad adattarsi molto bene all’ethos di una società che continua a punire coloro che non si conformano ai suoi standard e non rispondono in modo compiacente alla sue richieste.

L’attuale stato del maggior successo culturale per le donne appare come il diritto di oggettificare se stesse e l’essere grate per il privilegio della visibilità, una visibilità che è ancora data come premo solo alle donne che corrispondono al ristretto ideale sottile – di pelle chiara – giovane prevalente nella cultura eteronormativa capitalista.
Questa insidiosa invasione del neoliberismo riduce il femminismo a un set di diritti “personali” e scelte che si incastrano con il capitalismo in modo conveniente, mentre minano con efficacia l’intero progetto. Perché se il femminismo non rappresenta e non sostiene nulla, in che modo sappiamo cos’è o come può liberarci?
P.S. Le immagini che ho inserito in un questo pezzo fanno parte dell’opera “Ladies Sasquatch” di una straordinaria artista multimediale femminista, Allyson Mitchell (è canadese e fa scultura, teatro, installazioni, film). Con essa, Allyson ha inteso rappresentare “una sessualità selvaggia esterna alle nozioni prescrittive eteronormative di bellezza e brama” e la definisce “una congrega di Sasquatch lesbiche”. Le sculture di Allyson comprendono anche una Vagina Dentata dalle dimensioni di una stanza, un esercito di Holly Hobbies Super-Geniali e una libreria situata in un bosco e completa di pozzo dei desideri “per la conoscenza politica proibita”.
Ah sì, i Sasquatch, per chi non lo sapesse – io lo so perché da bambina leggevo Tex Willer, non perché sono più furba di voi… – sono delle specie di Yeti del folklore nordamericano, umanoidi dai tratti scimmieschi alti 2/3 metri, ben ben pelosi, che si farebbero volentieri i fatti propri nelle foreste montane se esploratori e curiosi li lasciassero in pace.
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