Tu sei il mio pubblico
tu sei il mio pubblico distante
mi rivolgo a te
come farei con un lontano parente
sia pure un lontano parente
visto solo udito solo tramite la descrizione di qualcun altro.
Ne’ tu ne’ io
siamo visibili l’un l’altro
Io posso solo presumere che tu possa ascoltarmi
Io posso solo sperare che tu mi ascolti.
(“Audience distant relative”, di Theresa Hak Kyung Cha)
Theresa Hak Kyung Cha ( 차학경 – Cha Hak-kyung in coreano, in immagine sopra durante una performance) era nata a Busan in Corea del Sud nel 1951, durante la guerra, e morì a New York nel 1982: stuprata e strangolata dall’addetto alla sicurezza Joey Sanza mentre si trovava nel Puck Building, dove era andata per incontrare il marito che stava fotografando la ristrutturazione dell’edificio. Ci vollero tre processi e cinque anni prima che l’assassino, nonché stupratore seriale, fosse condannato.
Cha era un’artista multimediale che combinava vari elementi in rappresentazioni teatrali, film, poesia, scrittura, immagini, unificandoli attraverso l’approccio linguistico che doveva permetterle un dialogo profondo e intimo con l’Altro/a, il pubblico, il quale completava ogni forma di comunicazione a cui l’Artista dava inizio.
Dal 1910 al 1945 la lingua coreana fu proibita come mezzo di comunicazione nel paese che la parlava e che si trovava sotto dominazione giapponese: Cha collegò il suo proprio processo di apprendimento delle lingue – oltre al coreano parlava inglese e francese e conosceva il latino – alla terribile oppressione culturale patita dalla sua terra d’origine e mostrò il linguaggio come sistema binario fluido di riunificazione / distacco, libertà / repressione, dicibile / indicibile.
La maggior parte del suo lavoro si concentra su “come le parole e i significati sono costruiti dallo stesso sistema linguistico, per funzione o uso, e come la trasformazione avviene tramite manipolazione, processi quali il cambio della sintassi, l’isolamento, la rimozione dal contesto, la ripetizione e la riduzione a unità minimali.”
Quando morì stava preparando un lavoro di gruppo per l’Artist Space di SoHo e lavorava part-time al museo Metropolitan; il suo libro “Dictee” (in immagine sotto) era stato pubblicato una settimana prima.
“Dictee” è classificato come romanzo, ma è un pezzo d’avanguardia artistica polifonica che sfugge a qualsiasi definizione. Diviso in nove parti, in omaggio alle Muse, racconta le storie della giovane indipendentista coreana Yu Guan-soon, di Giovanna d’Arco, di Demetra e Persefone, dell’Autrice e di sua madre… sono vite di donne legate dalle loro lotte e dai modi in cui il dominio e l’oppressione patriarcale e politica le hanno colpite. La struttura del libro, che comprende diverse lingue, immagini, disegni di parole, lettere misteriose, è del tutto non ortodossa (e inusuale e nuova per il 1982) ma “strega” immediatamente lo sguardo di chi legge.
Come Cha voleva “Dictee” ci porta alle radici del linguaggio… prima che esso si formi e si codifichi, ci porta sulla punta della lingua che stiamo per muovere allo scopo di dire una parola. Io so quale parola sto per pronunciare in onore e ricordo di Theresa Hak Kyung Cha. Libera.
Maria G. Di Rienzo