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17 maggio 2020, Fabio Tuiach – consigliere comunale di Trieste, ex Lega e Forza Nuova – esterna:

Oggi è la giornata mondiale contro l’omofobia ma io non sono omofobo, mi fa solo schifo vedere i froci che fanno sesso con il culo (…)”

Quest’autorevole “opinione” scatena purtroppo la nostra curiosità: dove li vede il consigliere? Pornografia online, saune, bagni pubblici?

Sig. Tuiach, innanzitutto basta evitare di cercare e molto difficilmente si trova; in secondo luogo scovi piuttosto un corso decente sulla sessualità umana e lo frequenti: anche se non dovesse imparare nulla, il che è abbastanza probabile, almeno si stupirà delle centinaia di cose differenti che le persone (gay, lesbiche, bisessuali, etero ecc.) apprezzano a letto e scoprirà che la penetrazione, per fare del buon sesso, non è obbligatoria.

C’è un’altra faccenda che mi incuriosisce: che fine ha fatto il suo arruolamento nella Legione Straniera?

legione

https://lunanuvola.wordpress.com/2019/12/05/il-legionario/

E’ stato così scarso da aver fallito la selezione?

L’ha passata ma i legionari erano troppo carini e gentili rispetto a lei, sembravano quasi “froci”?

Il feroce sergente Duchamp l’ha presa di mira? (“Tu, stronzo italiano, cento flessioni e cinquanta giri di campo e vediamo se ti ricordi cos’è l’educazione!”)

O avere vicino ogni giorno il commilitone di colore, come nell’immagine sopra, era insopportabile?

Chissà. Potrebbero persino averle detto: lei è troppo gonfio di odio per far parte di una comunità umana, persino quando lo scopo della stessa è addestrare persone a combattere, ferire e uccidere.

Maria G. Di Rienzo

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my body my rules

(Il MIO corpo, le MIE regole)

Non sarò breve: per cui mettetevi comode/i oppure passate ad altro. Ieri l’HuffPost pubblica in una delle sue rubriche una lettera a cui dà il titolo “Il dovere della bellezza”. La scrive, secondo la sua stessa presentazione, “Marta Benvenuto, 35 anni, 110 e lode in Filosofia, senior digital marketing analyst”. Alcuni brani del testo (le sottolineature sono mie):

“Il 25 aprile la gente cantava dai balconi ‘Bella ciao’. Nei 200 metri concessi allora per una passeggiata sono passata sotto un balcone dal quale un ragazzo cantava ‘Bella ciao’. Complice il 25 Aprile l’ho guardato e gli ho rivolto un ampio cenno di saluto. Poi ho visto un gatto dietro a un cancello e sono andata lì. Intanto continuava a suonare ‘Bella ciao’. Guardavo il terrazzo, c’era il ragazzo, una ragazza, una birra. Ero felice.

E mentre il partigiano moriva cento e cento volte per la libertà il ragazzo ha gridato dal terrazzo: ‘Ehi culona! Puttanona! Tu col gatto guarda che culone da puttanone!’. Io non ho detto niente. I 200 metri che mi erano sembrati così pochi sono diventati infiniti. Improvvisamente non c’è stato altro da sapere di me, non è rimasto altro di me, solo il mio culo grasso. Mi sono arrabbiata per non aver risposto.

Perché noi abbiamo il dovere d’essere belle. Prima d’essere brave o buone. E poi, quando siamo belle, d’essere puttane o frigide. E quando siamo bionde stupide. E quando siamo stupide almeno educate. E quando siamo ricche d’essere passate sotto qualche tavolo, quando siamo giovani di ascoltare e quando siamo vecchie di scomparire. E quando non vogliamo compagni d’essere lesbiche, e quando siamo lesbiche d’esserlo sotto i vostri occhi di maschi, solo per il vostro piacere, mai per il nostro.

E quando vogliamo godere il dovere di fare figli, quando li facciamo il dovere di non pesare sul nostro padrone e capo. Di rientrare in un cassetto costruito da un uomo per noi. Un cassetto di soli doveri. Che a un uomo non sono richiesti, mentre può essere brutto, stupido, ricco, scapolo, vecchio, sterile e tante altre cose per le quali non esiste nemmeno un corrispettivo declinato al maschile. Questi stessi uomini hanno il potere di giudicarci e noi, il dovere di tacere.

Noi dobbiamo vergognarci anche della vostra stupidità. Voi dovete solo vivere, senza nemmeno la decenza di lasciare in pace i partigiani morti, fascisti che non siete altro, fascisti dentro, che non vi meritate ‘Bella ciao’. Me la merito io, io che posso fare qualunque cosa, anche ingrassare, se mi va.”

I commenti (di molti uomini) sono impagabili: ha generalizzato, le persone così sono una minoranza malata di mente e bisogna solo compatirli, con gli stupidi è meglio tacere, adesso mi vergogno di essere un uomo ma non capisco perché Gesù non ha voluto la parità di genere fra gli apostoli (dopo questa stronzata si sente un genio, capite), non scambiamo l’ironia (???) per il mondo reale. Ovviamente, Marta: sono tutti fuori bersaglio. Lei ha ricevuto l’aggressione, ha dettagliato la mera realtà delle vite delle donne – e le vittime sono loro. Se mi permette, un po’ distante dal fare centro è anche lei quando si premura di far notare “Mi alleno molto, pochi uomini riescono a starmi dietro”. E’ una sua scelta e spero che si diverta nel farlo, ma a chi legge appare come una giustificazione: guardate che sono già una di quelle a posto, perciò non venite a consigliarmi nutrizionisti e palestre.

Comunque, la lettera mi serve qui come incipit e ne ringrazio l’Autrice. Quel di cui voglio parlarvi è il culo grasso. Proprio.

Il dovere di essere “belle” e “in forma” – ove la bellezza e la forma sono costrutti ideali che trovano validazione solo nello sguardo maschile – si nutre del fanatismo che circonda il peso corporeo, soprattutto il peso delle donne, alcune delle quali non hanno atteggiamenti così diversi da quelli dei farabutti che si sentono autorizzati a insultare sconosciute dai balconi con tutto lo spettro delle prescrizioni patriarcali a sostenerli: pensano di essersi guadagnate la bellezza/magrezza con il duro lavoro, la palestra, il centro benessere, l’estetista e la parrucchiera e il trucco copiato dall’influencer di turno, contando le calorie e piangendo davanti allo specchio… perché diavolo voi dovreste spassarvela quando loro soffrono ogni giorno per somigliare a x o y? E’ solo giusto, solo normale che dobbiate tollerare il loro odio insensato. In più, quando maschi (in stragrande maggioranza) e femmine vomitano la loro schifosa cascata di offese e ingiurie hanno il coraggio di tirare in ballo la vostra salute, di cui non sanno un piffero ma su cui possono ripetere a oltranza tutte le minchiate che hanno letto e sentito in giro. Perché la guerra al culo grasso è fatta di propaganda.

In caso non sia chiaro: si spremono miliardi dalla truffa del “grasso mortale” e dell’ “epidemia di obesità” (che non esiste). La cultura della dieta è una truffa, tanto più che sempre più studi stanno dimostrando che la perdita di peso non migliora i biomarcatori della salute. Sin dal 2002, ricerca dopo ricerca, salta fuori questo: le persone grasse con problemi cardiaci o renali, diabete, polmonite e varie malattie croniche se la cavano meglio e vivono più a lungo di quelle con le stesse patologie e peso cosiddetto “normale”. Certo, a meno che a forza di sentirsi urlare che sono schifose e rivoltanti si buttino sotto un treno, o si sottopongano a interventi chirurgici che le uccideranno più alla svelta.

Ma che dico mai, questo o quella non sono dimagriti con la dieta? Sì, e le probabilità che hanno di mantenere la perdita di peso per cinque anni o più sono le stesse del sopravvivere alla metastasi del cancro al polmone: 5 per cento. Auguri.

Non sono notizione che vi dò io tirandole giù dal cielo assieme alla Luna. I medici, persino quelli che vogliono far finta di niente, le conoscono. Sanno che affamarsi, perdere peso, riguadagnare peso e rimettersi a dieta sono azioni causa di malattie cardiache, resistenza all’insulina, alta pressione sanguigna e aumento di peso a lungo termine. Sanno che la mortalità più bassa si registra in individui classificati “sovrappeso” o “leggermente obesi” dal Body Mass Index.

Nella realtà, non nei sogni dei nutrizionisti da palcoscenico o da social media, il 97% delle persone dimagrite riguadagna il peso perso e ne aggiunge un po’ entro tre anni. Se il dietologo di grido vi sbandiera le sue “ricerche” lasciate pur perdere i parametri scientifici di controllo (è raro che li abbiano) e chiedetegli solo di dimostrare che esse hanno seguito le persone oltre lo spartiacque dei tre anni: se la risposta è no mandatelo a zappare, affinché faccia meno danni.

Il giudizio sul culo grasso è morale, non clinico. E trattare il dimagrimento come imperativo morale sostiene la violenza sistemica contro le persone grasse, in tutte le sue forme.

“La chirurgia bariatrica è una barbarie, ma è il meglio che abbiamo.” ha dichiarato David B. Allison, docente universitario di biostatistica. Il meglio che abbiamo ha come effetti malnutrizione, blocchi intestinali, disordini alimentari, infezioni e morte. Non male. Storicamente, prima di amputare o legare lo stomaco agli schifosi pigri che si ingozzano da mane a sera (nell’abominevole immaginario creato ad arte) la “medicina” ha prescritto loro altre “cure”: il lockdown meccanico delle mascelle, per esempio. Se queste merde persone non possono aprire bocca mica possono schiaffarci dentro la fetta di tiramisù, giusto? E che dire delle operazioni chirurgiche al cervello per infliggere salutari lesioni all’ipotalamo? Perché ai “ciccioni” è stato fatto anche questo.

Poi c’è chi dirà di essere in grado di provare che i medicinali per la perdita di peso sono sicuri ed efficaci. Il fen-phen? Buonissimo! Ha danneggiato irreparabilmente le valvole cardiache solo a un terzo delle persone che l’hanno preso. L’orlistat? Una figata! Rovina il fegato e dona il brivido di incontrollabili evacuazioni a tutti. Sibutramine, dite? Splendido! E’ solo che non si fa in tempo a dimagrire per bene, perché si schiatta prima di infarto.

Nessuno riesce a collegare scientificamente la perdita di peso all’acquisto di “miglior salute”. Il meccanismo causa-effetto semplicemente non c’è. L’unico studio che in materia ha seguito i propri soggetti per più di cinque anni (Look AHEAD, 2013) ha per esempio constatato che i diabetici (tipo 2) che avevano perso peso avevano sofferto degli stessi problemi di salute di quelli che non lo avevano perso. Lo dicono gli esperti, quelli veri, quelli che hanno speso tempo e risorse a indagare in modo scientifico e che non si aspettavano proprio risultati di questo genere ma una volta che li hanno ottenuti hanno avuto l’onestà intellettuale di ammetterli. Io non sono un’esperta, ma sono stata costretta ad assumere un notevole ammontare di informazioni – e a confrontarle e verificarle – da due fattori: 1) mia madre era diabetica e io l’ho accompagnata ai controlli mensili all’ospedale per più di 15 anni, sciroppandomi vasta letteratura medica in merito; 2) non sopporto la superficialità e la disinformazione che nutrono scherno e aggressioni a varie tipologie di persone, quelle grasse comprese. Perciò continuo a informarmi, sempre.

Ma l’American Medical Associaton ha detto che l’obesità è una malattia!

Sì, del tutto arbitrariamente, in modo non scientifico e contro il parere del suo Comitato su Scienza e Salute Pubblica. Girano un sacco di soldi e di conflitti di interessi in loco, l’ho dettagliato altre volte (consulenze, proprietà di azioni nell’industria dietetica, mazzette vere e proprie, ecc.), ma la cosa bella – si fa per dire – è che persino i semplici umili dottori di famiglia americani che diagnosticano questa malattia ai loro pazienti possono guadagnare qualcosa, aggiungendo il codice di tale diagnosi alla loro parcella e caricandola. Il dio $$$ è con loro.

Poiché siamo umani, persino noi non conformi, nei primi tempi della pandemia abbiamo sperato che messi di fronte a una vera emergenza sanitaria i “grassofobi” avrebbero cominciato a riflettere sulle loro ossessioni e magari a studiare. Poiché siamo umani, questa speranza spirata sul nascere alza un poco la testa ad ogni nuovo conto dei morti da coronavirus (31.610 ieri in Italia) e poi ricade miseramente fra i meme di “prima e dopo” la quarantena sull’orrore del prendere peso, fra i consigli illuminati (dal faro dell’ignoranza) di youtuber e influencer e fankazzistas e laureati su wikipedia o direttamente on the road perché fanno la corsetta tutti i giorni, fra le diete proposte da celebrità milionarie che, con lo sfondo delle loro lussuose magioni, ci mettono in guardia: attenzione, potreste mangiare di più per lo stress e il costumino di quando avevate 13 anni non andarvi più bene!

Il tutto mentre la gente comune soffre per l’isolamento, per la perdita di lavoro e di reddito, per il timore del contagio, per il parente morto o in terapia intensiva. E questi gli dicono di concentrarsi sul girovita. Dare alla faccenda l’aggettivo abominevole non rende appieno il disgusto che provo.

Bisogna dire, però, che c’è chi gli fornisce il retroscena adatto: i sedicenti professionisti che ignorano a bella posta le ricerche sul peso e le loro implicazioni. Con il coronavirus hanno fatto di peggio, rendendo il peso una caratteristica ancora più patologica. Il BMI è stato scorrettamente indicato come fattore di rischio sia per l’essere infettati sia per il soffrire di sintomi più gravi e il peso viene usato come fattore squalificante quando le risorse sono scarse (i ventilatori sono pochi? Be’, togliamone uno alla cicciona e uno al vecchio inutile). Mi ripeto, ma anche qui il meccanismo causa-effetto è inesistente: medici e scienziati con maggior deontologia professionale lo stanno facendo presente, dati e ricerche alla mano, ma l’artiglieria pesante in funzione 24 ore su 24 che urla “il grasso uccide!” impedisce di ascoltarli. E molti loro colleghi continueranno a prescrivere trattamenti che non funzionano per una condizione che non è una malattia. In due studi che ho letto (2003 e 2016) numerosi dottori definiscono i loro pazienti grassi “non adattati”, “eccessivamente autoindulgenti”, “disturbanti (alla vista)”, “brutti”. Si può star certi che, privi di pregiudizi come si dimostrano, avranno senz’altro a cuore la salute di queste persone e, fedeli al giuramento di Ippocrate, si impegneranno per fare diagnosi accurate. Forse no, facciamo qualche esempio internazionale:

– nel 2017 la studente Beth Dinsley ricevette valanghe di complimenti perché era dimagrita. Nel dicembre dello stesso anno, durante un controllo ospedaliero di routine, scoprì che continuava a perdere peso perché aveva un cancro alle ovaie;

– nel 2018, Rebecca Hiles raccontò in un’intervista che i medici avevano ripetutamente sottovalutato i suoi violenti attacchi di tosse e la difficoltà respiratoria come sintomi relativi al suo peso. Aveva un cancro al polmone. Il risultato del non essere stata presa sul serio perché non adattata e autoindulgente è stata l’asportazione dell’intero polmone sinistro. Se la prima volta in cui andò dal dottore, cinque anni prima, questo l’avesse vista come un essere umano il polmone poteva essere salvato;

– nel 2019 il medico di Jen Curran giudicò la presenza di proteine nella sua urina durante la gravidanza e dopo come un problema di peso. Se dimagriva sarebbe andato tutto a posto. Per fortuna costei cercò una seconda opinione: e seppe di avere un cancro al midollo osseo.

Se poi volete un po’ di vittime italiane, da quelle che si sono suicidate grazie al bullismo continuo diretto ai loro corpi, a quelle che sono state macellate e uccise dalla chirurgia bariatrica di cui sopra o dalla liposuzione non dovete far altro che frugare questo blog o usare google.

Secondo la dott. Emma Beckett, scienziata che lavora su cibo e nutrizione all’Università di Newcastle in Australia, “Noi non mangiamo per mantenere una taglia, ma per mantenere i nostri corpi in salute ora e nella vecchiaia. Entrare in un vestito più stretto vale l’avere ossa fragili o un cancro all’intestino più tardi? Mi piacerebbe se smettessimo di concentrarci sul peso e ci concentrassimo sul nutrimento e sulla gioia.” Sarebbe bello, in effetti.

Stamane i giornali riportano l’appello a favore degli anziani di intellettuali e politici italiani: “Non sono scarti”. La petizione intende chiedere “a tutti i governi dell’Unione una maggiore etica democratica che passi dal rispetto degli anziani e dal rifiuto di una “sanità selettiva” che privilegi la cura dei pazienti più giovani a scapito degli over 65″. I promotori e i firmatari giudicano – giustamente – ciò “umanamente e giuridicamente inaccettabile” e sentono la necessità “di un vero cambio di prospettiva e di un recupero dei valori morali, civili e deontologici delle nostre società”.

Okay. Neppure i “culi grassi” sono scarti. Non devono rispondere del reato di “non conformità”. Non stanno togliendo niente alle vite degli idioti che li insultano dai balconi, neppure e meno che mai in senso economico, giacché sono le galline dalle uova d’oro spremute dall’industria dietetica, farmaceutica e di medicina “estetica”. A quando un’iniziativa simile per costoro, intellettuali e politici di cui sopra?

Infine, una volta per tutte: gli esseri umani non sono giocattoli. Non vi piacciono le persone grosse? Sono stracazzi vostri e non siete autorizzati a rovesciare il vostro disprezzo da farabutti sulle loro facce o sui loro culi. Non siete autorizzati a spingerle verso la disistima, i disturbi alimentari, le conseguenze dei traumi relativi ai vostri assalti – suicidio compreso. A me, vedete, è quel che fate a non piacere.

Maria G. Di Rienzo

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3000

Sì, questo è il pezzo n. 3.000 e questa è la poesia con cui festeggiamo (voi 1.003 “seguaci” ed io):

“Disclosure” – “Rivelazione”, di Camisha L. Jones (trad. MG DR)

Scusi potrebbe ripetere. Sono dura

d’orecchio.

Al cassiere

All’addetto al ricevimento

All’uomo insistente che chiede indicazioni per strada

Mi dispiace, ci sento poco. Potrebbe

ripetere?

Alla riunione d’affari

Al seminario di scrittura

Al telefono per prendere appuntamento con il medico

Scusi – scusi – mi dispiace tanto – Sono

dura d’orecchio.

Ripetere.

Ripetere.

Ciao, il mio nome è Scusa

Alla stanza piena di estranei

che fatico a udire

Vomito scuse ovunque

Volano su ali di pipistrello

verso qualsiasi suono faccia cenno

Scusi. Scusi. Mi dispiace tanto

e ripetere

e non sentire

Caro (di nuovo)

Mi rammarico dell’informarti

che io sono

qui

camisha

Spiegando perché ha scritto questi versi, Camisha (in immagine) ha detto: “Una persona sbatte contro di me per strada e io istintivamente replico “Mi dispiace.” Pochi secondi più tardi, me ne pento. Noto la stessa compulsività verso le scuse mentre navigo nel mondo come persona un po’ sorda. Cosa significa che io mi senta obbligata in questo modo a chiedere perdono ripetutamente, per aver disturbato l’agio di altre persone? Attraverso questa poesia mi cimento con quel che accade al di sotto della superficie di questi scambi, con il costo di queste scuse (…)”

Io non sono dura d’orecchio ma faccio la stessa cosa. Mi pestano i piedi, mi urtano, mi sbattono borse nelle costole e io chiedo scusa. Il meccanismo è chiaro: come Camisha sono diversa dagli individui cafoni – neppure rispondono mai – in cui mi imbatto, so che quella diversità è per loro colpa e inferiorità, sento il loro disprezzo, e mi scuso di esistere.

E’ un po’ buffo dichiarare buoni propositi alla mia età, ma in occasione del tremillesimo articolo eccone uno: io smetto. Da adesso. Subito, blog compreso. Come, direte voi, non ricordiamo di aver letto pezzi in cui ti scusi ossessivamente.

Vero, il mio “mi dispiace” qui è stato il silenzio. Da dieci anni imbecilli odiatori di ogni tipologia e sesso vagano sul web inventandosi sul mio conto una varietà di idiozie, fraintendendo a bella posta quel che scrivo, ululando nella mia direzione insulti cretini e dispiegando pseudo analisi ancora più cretine. E io non ho detto loro una singola parola. Non intendo mettermi a discutere con questa gente ma da qualche giorno, per esempio, blocco ogni mio articolo a cui mettono collegamenti con titoli tipo “campagna d’odio contro gli uomini” e “questa femminazista delira” (e peggio): a me non frega un piffero e posso riaprirli quando voglio, gli odiatori invece restano a mani vuote.

Poi ci sono i due segmenti di opinionisti/e scemergenti che ripetono ad oltranza frasi di questo genere, sperando inutilmente che io non pubblichi più e ai quali fornisco qui le mie risposte definitive:

1.”Adesso che hai scritto questa cosa non succede niente.”

Adesso che tu hai composto quest’illuminato commento, invece, l’universo si rovescia sottosopra e un nuovo big bang è alle porte… Ridimensiona la sperequata opinione che hai di te stesso/a e trovati un hobby serio, dai.

2. “Quelli che frignano a ogni uscita di x hanno stufato.”

Quelli che fanno commenti a caxxo, prima di dare aria alla ciabatta dovrebbero verificare se quanto dicono corrisponde a verità, perché le loro balle hanno stufato in grado assai maggiore: io non faccio la stalker, non uso ne’ FB ne’ Twitter, non vado in giro per il web a lasciare le mie “opinioni” ovunque e non rompo gli zebedei a gente che non conosco: cerca di assomigliarmi un po’ e vivremo tutti/e meglio.

E, per inciso: finché vivo scrivo, che fa anche rima.

Maria G. Di Rienzo

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“Io sono un’artista che si sta specializzando in primitivismo perciò per me la storia, in un dipinto, è assai più importante dei dettagli. Molti pensano che i primitivisti non sappiamo disegnare, ma in effetti si tratta di un’area artistica complessa e interessante: rappresentare qualcosa con il minimo numero possibile di linee è assai più difficile di quel che sembra.

La mia arte mancava di significato all’inizio. Quando sono diventata una femminista, ho cominciato a guardare le opere di varie donne artiste e anche i fumetti – storie in figure – e ho capito per la prima volta che l’arte poteva parlare di cose importanti. Ho capito che le artiste incorporavano un’agenda sociale e politica tramite il loro lavoro.”, Yulia Tsvetkova (in immagine).

tsvetkova

Lo scorso marzo sono stati revocati gli arresti domiciliari a Yulia, l’artista femminista e lesbica di cui avevo parlato qui:

https://lunanuvola.wordpress.com/2020/01/23/la-censura-e-questa/

Il 7 aprile Open Democracy, chiedendosi come mai un progetto educativo composto da illustrazioni sia diventato “pornografia”, ha pubblicato una lunga intervista a Yulia curata da Anna Kim. Di seguito, la traduzione di alcuni brani.

Perché pensi di essere stata liberata dagli arresti domiciliari? Perché è accaduto ora ed è stata una novità per te?

E’ stata una novità per me: ne’ io ne’ il mio avvocato ce lo aspettavano. Penso abbia in parte a che fare con le procedure burocratiche. Ci hanno messo tre mesi e mezzo per fare un’inchiesta e letteralmente dieci giorni fa hanno cambiato i dettagli dell’articolo in virtù del quale ero accusata e hanno fatto invece un’indagine. Si supponeva che dovessero arrestarmi di nuovo, ma non è accaduto. Il giudice voleva andare avanti ma il procuratore, con mia totale sorpresa, ha sostenuto la nostra parte.

I detective avevano chiesto inizialmente che i miei arresti domiciliari fossero inaspriti con il bando ad ogni comunicazione e all’accesso a internet, perciò le cose avrebbero potuto andare in modo molto diverso. Non posso chiamarlo un disgelo o una dinamica positiva, può essere stata solo una coincidenza, il che è molto comune.

Ma il tuo caso non è ancora chiuso?

No, adesso sono ufficialmente una sospettata, ho la notifica in cui mi si sospetta di aver commesso il crimine relativo alla diffusione di pornografia. Alcuni media hanno detto, sbagliando, che non sono stata accusata di nulla, ma l’annuncio dell’incriminazione avviene alla fine del procedimento, davanti a una giuria, quando l’indagine è finita e c’è il rinvio a giudizio, perciò è ancora troppo presto per incriminarmi.

Nel tuo post su Facebook, in cui dici di essere stata rilasciata dagli arresti domiciliari, hai scritto che la pubblica accusa aveva “grandi piani” per te. Cosa significava?

Durante le sedute in tribunale la pubblica accusa, chiedendo l’estensione del mio stato di arresto, ha elencato tutto ciò che avrebbe fatto durante le udienze: interrogare mia madre e ogni membro del mio gruppo sui Monologhi della Vagina; controllare i miei account e chiamare a testimoniare un bel po’ di esperti: in campo artistico, psichiatrico, informatico. Potrei dover affrontare un secondo arresto: ancora non è chiaro, ma il caso non è chiuso.

Da quando ricevi minacce dal gruppo omofobico “Pila protiv LGBT (Saw contro LGBT: il gruppo si ispira al film horror omonimo, chiama alla violenza contro le persone omosessuali e mette online i loro dati privati, come indirizzo e numero di telefono, organizza aggressioni durante le manifestazioni del Pride, eccetera)? Che sta facendo la polizia al proposito?

Il movimento “Saw” è in giro da un paio d’anni, dal 2017-2018. Io non ero un’attivista all’epoca e non una singola istituzione, inclusi l’FSB (Servizi federali per la sicurezza della Federazione russa) e il Centro per il contrasto all’estremismo, è stata in grado di scoprire gli autori della lettera di minacce (ricevuta da Yulia e da altre/i). Li abbiamo cercati da noi e abbiamo fatto denunce.

La prima volta in cui mi hanno minacciata direttamente è stata nell’estate del 2019 quando io, assieme ad attiviste/i di ogni parte della Russia, sono finita nella cosiddetta “Lista Pila” e ho fatto denuncia. E’ stato solo di recente che l’FBS ha risposto dichiarando che si trattava di non luogo a procedere.

Quel che è stato buffo è che io dovevo fornire prove delle minacce al poliziotto che aveva in carico i miei casi penali e civili. In altre parole, questo tizio stava raccogliendo prove incriminatorie contro di me, mentre allo stesso tempo io dovevo fornirgli prove in mia difesa.

Il 18 marzo scorso nuove minacce, con il mio indirizzo e numero di appartamento, sono arrivate per posta. Questa volta chiedevano 250 bitcoins prima del 31 marzo, altrimenti mi avrebbero uccisa. Dopo le prime minacce la polizia ci ha messo sei settimane per dirmi che non poteva fare niente e consigliarmi di non uscire di casa e di prendermi un cane. Le uniche domande che mi hanno fatto durante la nostra conversazione miravano a sapere se disegno pornografia e se vado a letto con le donne, perciò sarebbe stato futile chiedere aiuto da quella parte.

Allo stesso tempo, quando ricevo mail di odio dagli omofobi, la cosa si risolve in un paio di giorni. Se qualcuno pensa si tratti di un bello scherzo va bene, ma troviamo l’umorista e diciamogli che non è divertente.

[Nota dell’editore: Yulia Tsvetkova ha riportato su FB il 2 aprile di aver ricevuto nuove minacce da “Saw”.]

Cosa hai mente di fare in futuro? Tornerai all’attivismo, al teatro, all’attività su internet e al lavoro educativo?

Non ho idea di cosa farò, c’è ancora la possibilità che io vada in prigione per un periodo compreso fra i due e i sei anni. La mia attività qui è stata tagliata alla radice. Tutto quel che ho fatto negli scorsi due anni è svanito e non ho nulla di pronto per il futuro. Ci sono alcuni appunti e progetti che amerei sviluppare, ma non è realistico pensarlo, al presente. Ma certamente voglio essere coinvolta nel teatro e nell’attivismo pro diritti umani in Russia o da qualche altra parte.

Yulia Tsvetkova illustration

(un dipinto di Yulia)

Maria G. Di Rienzo

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“È inutile che vi sforziate di dare dignità a questa lurida zecca di sinistra per avere visibilità: è solo una terrorista che farà la fine che merita e voialtri siete una pletora di mummie, completamente decontestualizzate dalla vita reale (ecc.)”

da: “Le meraviglie di Facebook”, data 20 febbraio 2020, autrice una poliziotta della questura di Grosseto, soggetto Carola Rackete (la lurida zecca) e chiunque non la insulti a sangue (le mummie decontestualizzate).

Dignity Statue

(questa statua si chiama “Dignità” e si trova nei pressi di Chamberlain, South Dakota. La donna nativa americana indossa un “mantello di stelle”. A mio insindacabile giudizio è un’immagine che sta molto bene qui.)

Il post è ovviamente rimbalzato un po’ troppo ed è stato rimosso, ma quando hanno fatto notare alla vice ispettrice che aveva passato il limite, costei ha più o meno risposto citando la “libertà di espressione” e rivendicando di poter pensare quel che vuole sulle ong. Non so se abbia anche detto “è il concetto che conta”, visto che “Carola zecca terrorista” non è esattamente un’opinione sulle organizzazioni non governative – le quali, ma sicuramente la poliziotta lo saprà, coprono uno spettro di interventi vastissimo e assai variegato, non limitandosi al soccorso in mare. In genere hanno scopi umanitari e filantropici e sono dirette al sostegno di persone in difficoltà: sarebbe interessante sapere perché questo la disturbi visto che facilita, anziché ostacolare, la sua attività professionale (se qualcuno che ha fame e non ha soldi può ricevere un pasto gratuito sarà meno incline a rubare dalle bancarelle del mercato, se qualcuno riceve addestramento alla nonviolenza saprà come risolvere un conflitto senza ricorrere ad azioni che violano il codice penale, e così via).

Inoltre, la magistratura italiana ha lasciato cadere ogni accusa contro Carola Rackete, avendo verificato come corretto e conforme alle leggi il suo comportamento quale capitana della Sea Watch. Ciò solleva qualche perplessità, perché è singolare che a sconfessare i tribunali sia un membro delle forze dell’ordine con il compito (tra gli altri) di mandare le persone sospettate di reati in quegli stessi tribunali.

Capisco che sia difficile sottrarsi alla propaganda – la vice ispettrice usa le stesse identiche parole che il leader della Lega ha ripetuto ossessivamente tramite media e social media – perché come uno accende la tv si trova Salvini da qualche parte che sbraita tutto e il contrario di tutto, non avendo un’opinione sensata su nulla, facendo sentire compreso chiunque sia frustrato per qualsiasi motivo e non voglia assolutamente rifletterci sopra. Basta urlare. Inveire, insultare, demonizzare. Nessun problema si risolve, ma intanto si sono sfogati – e se poi, con sforzi di segno completamente opposto, il problema in qualche modo si attenua o scompare, a seconda dei casi negheranno la realtà, si attribuiranno meriti che non hanno o si scateneranno su una seconda questione con lo stesso metodo.

Forse la poliziotta di Grosseto non ha idea di cos’hanno provato i cittadini come me leggendo il suo post. E’ un’ipotesi migliore del pensare che farli sentire aggrediti e disprezzati da chi indossa una divisa con lo scopo di difenderli fosse proprio il suo intento.

Tuttavia, adesso so di essere per lei una lurida zecca di sinistra nonostante io sia una persona civile e incensurata, usi la doccia regolarmente e indossi indumenti puliti. Farò la fine che il destino ha in serbo per me, perché per quanto la vice ispettrice pensi di essere determinante nel pronosticare i destini altrui si sbaglia di grosso. Spero solo – prima di questa fine – di non abitare mai a Grosseto, dove se per sventura avessi bisogno della tutela della polizia di stato rischierei di imbattermi in lei. Mi pare chiaro che uso si farebbe, in caso, dei miei diritti costituzionali e della mia dignità.

Maria G. Di Rienzo

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27 gennaio 2020, Giacomo Moscarola, Lega:

“Vincere in Emilia è un po’ come quando vuoi trombarti 20 ragazze nuove e visto che non te la dà nessuna, ti accontenti dell’unica che ormai te la dà da anni.”

28 gennaio 2020, Attilio Fontana, Lega:

La sinistra è responsabile di “una mobilitazione degna dei tempi andati, si è vista in tv gente di più di cento anni portata ai seggi, disabili accompagnati con i pulmini…”

29 gennaio 2020, Matteo Salvini, Lega (lo stesso della bambola gonfiabile – Boldrini, della campagna diffamatoria contro Carola Rackete, del processo via citofono agli “spacciatori tunisini”… che non ha mai cancellato uno solo dei commenti violentissimi e minacciosi dei suoi seguaci) chiede a proposito dell’ovviamente inaccettabile scritta – “Soprattutto spara a Salvini” – su un muro di Bologna:

“Però saremmo noi a seminare odio… Mi aspetto la reazione indignata di tantissimi intellettuali di sinistra. Secondo voi quanti di loro diranno qualcosa a riguardo?” (Il primo a rispondergli di essere indignato è stato Bonaccini.)

Io, però, sto aspettando le veementi reazioni degli “intellettuali di destra” – lo metto tra parentesi perché lo considero un ossimoro – e di Salvini stesso ai due esempi precedenti (sarebbe peraltro facilissimo compilare lunghissimi elenchi di dichiarazioni simili), interventi pubblici in cui si chieda scusa alle donne, agli anziani e alle persone con disabilità e in cui si prenda l’impegno di smettere di insultare tutte e tre le categorie, subito, senza condizioni. Il branco dei seminatori d’odio potrebbe anche impegnarsi a smettere di fomentare razzismo e omofobia. Frau hier.

Maria G. Di Rienzo

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La prossima volta in cui alla denuncia di farneticazioni discriminatorie e ignoranti, di insulti gratuiti, di allusioni pecorecce, qualcuno squittirà “e fatevela una risata ogni tanto”, “basta con il politically correct”, eccetera, rispondete GIULIA. Perché quel che è accaduto a lei e che accade sempre di più alle persone come lei – i crimini dell’odio in Italia sono raddoppiati dal 2014 al 2018, dati OSCE – è frutto dell’atmosfera sociale in cui si percepisce il completo sdoganamento e persino l’esaltazione di odio e violenza. E le parole, dette o scritte, sussurrate viscidamente o urlate in modo sguaiato, sono ciò che crea tale atmosfera.

Giulia

“17 gennaio 2020 – Potenza, presa a calci e pugni perché lesbica. Giulia Ventura, trentenne, su FB: (…) vedo due ragazzini che attraversano la strada e si mettono di fronte a me, intralciandomi il passaggio. Chiedo loro che problemi avessero e dopo due spintoni che mi hanno atterrata, ancora cosciente, sento una frase: “Le persone come te devono morire, vuoi fare il maschio? E mo ti faccio vede come abbuscano i maschi”. Non ho il tempo di rispondere che il primo pugno mi rompe il labbro, il secondo il naso, il terzo l’occhio.”

Ogni strombazzata e stupida falsità sull’ideologia gender, ogni ululato idiota sulla difesa della famiglia tradizionale, ogni stereotipo e pregiudizio infamante sulle donne in generale e sulle donne lesbiche in particolare hanno costruito l’aggressione a Giulia. I due ragazzini sono stati il logico risultato e il “braccio armato” del clima che la propaganda dell’odio ha creato.

“In tutto il mondo, stiamo osservando una disturbante ondata di xenofobia, razzismo e intolleranza. I social media e altre forme di comunicazione sono sfruttate come piattaforme per il bigottismo.

Il discorso pubblico è usato come arma per profitto politico, tramite retorica incendiaria che stigmatizza e disumanizza minoranze, migranti, rifugiati, donne e qualsiasi cosiddetto “altro”.

Questo non è un fenomeno isolato ne’ si tratta di voci chiassose di pochi individui ai margini della società. L’odio sta diventando l’opinione corrente – nelle democrazie liberali così come nei sistemi autoritari.

Il discorso d’odio è una minaccia ai valori democratici, alla stabilità sociale e alla pace. In linea di principio, le Nazioni Unite devono combattere il discorso d’odio a ogni piè sospinto. Il silenzio segnalerebbe indifferenza al bigottismo e all’intolleranza, persino quando la situazione si inasprisce e i vulnerabili diventano vittime.

Contrastare il discorso d’odio non significa limitare o proibire la libertà di parola. Significa impedire l’escalation delle parole d’odio in maggior pericolo, in particolare nell’incitamento alla discriminazione, all’ostilità e alla violenza, che sono proibite dal diritto internazionale.”, dal discorso con cui António Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, ha presentato nel maggio 2019 il “Piano d’azione” contro l’hate speech.

Da anni, molto tempo della politica italiana è speso nel farneticare attorno al concetto di “sicurezza”: ma si tratta appunto di un concetto astratto, la “sicurezza della nazione”, che si basa anche sul trascurare o minare la sicurezza di coloro che sono socialmente – economicamente – politicamente marginalizzati o stigmatizzati, il che spiega perché ne’ Giulia ne’ qualsiasi altra donna, lesbica o no, è al sicuro mentre cammina semplicemente per le strade della sua città. I crimini generati dalla misoginia e dall’omofobia sono continuamente “scusati” sui media con ogni sorta di razionalizzazioni e attestati di simpatia per i perpetratori – e conseguente nuova vittimizzazione delle persone che li hanno subiti, mentre chi dovrebbe proteggerle (forze dell’ordine e tribunali) troppo spesso minimizza l’accaduto, colpevolizza le vittime e emette per gli aggressori sentenze ridicolmente miti o assolutorie. Occuparsi davvero della sicurezza di un Paese significherebbe riorientare impegni e risorse nel dare valore a ogni individuo che in quel Paese vive, cercando di proteggerli tutti da ogni forma di violenza.

Per quel che riguarda nello specifico la comunità lgbt, la propaganda dell’odio ha effetti devastanti. Solo per dirne uno, le probabilità che un adolescente gay maschio o femmina tenti il suicidio sono cinque volte tanto quelle dei suoi pari eterosessuali. “Le persone come te devono morire”, no? NO.

Perciò, al prossimo “ma sulle lesbiche scherzavo, voi femministe non avete il senso dell’umorismo”, la mia risposta sarà GIULIA. Io non posso ridere delle vostre stronzate infami, perché il loro esito è quel che è stato fatto a lei.

Maria G. Di Rienzo

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La vicenda di Erika, a cui fa riferimento il pezzo di ieri, è a questo punto: ha cancellato i suoi spazi social e ha dichiarato in un messaggio affidato a terzi di aver scattato la foto con intenzioni diverse da quelle che le sono state attribuite. In tale testo spiega di aver ricevuto “insulti pesanti, minacce di morte, intimidazioni varie e materiale pornografico” e conclude con “il cyberbullismo esiste e quest’oggi io ne sono stata vittima. Le parole possono fare male più di quanto crediate e questo, purtroppo, non sembra essere un parere condiviso.” La 19enne afferma inoltre di non interessarsi di politica e smentisce di essere una “sardina”.

E’ un disinteresse che troverà alimento in questa sua esperienza: per due giorni interi, dei “professionisti” pagati dall’intera nazione invece di dedicare le loro energie a politica fiscale, politica industriale (ex Ilva, Alitalia), giustizia, nomine, trattati internazionali ecc. si sono occupati di lei.

Fra post e interviste, Salvini è apparso particolarmente ossessionato: “Se fosse mio figlio due schiaffi non glieli toglierebbe nessuno quando torna a casa. A quella ragazzina l’educazione civica sui banchi di scuola servirà.”, “Speriamo di avere una vicina di volo educata” ecc., ma gli altri non sono stati da meno.

Daniela Santanché: “In che mondo siamo arrivati? Non sarà mica una sardina quella ragazza? Anche io l’ho fatto, sì, (il dito medio) ma ai centri sociali che mi urlavano contro cori a sfondo sessuale decisamente non piacevoli. Cosa c’entra con il gesto di una ragazzina? Non è certo bello a prescindere dall’appartenenza politica, condanno il dito medio e mi interrogo da madre. Salvini, che piaccia o non piaccia, è il leader di (un) partito.”

Roberta Ferrero: “Ecco a voi la coraggiosa del giorno. Fa il medio a Matteo Salvini, mentre dorme. (Poi vanno alle manifestazioni delle sardine per dire che in Italia c’è un linguaggio d’odio.)”

Maurizio Gasparri: “Il gesto di quella ragazza è vile, proprio perché rivolto a una persona che dormiva e non poteva rispondere. Sicuramente si tratta di una mentecatta che voleva dimostrare di esser coraggiosa. Lo feci anche io (sempre il dito) ma in risposta a una turba di grillini che davanti alla Camera mi insultavano e mi minacciavano addirittura di morte.”

Roberto Calderoli: “Avrei dei suggerimenti per la ragazza su dove potrebbe mettersi il dito. Viva la democrazia sempre, ma farlo a uno che dorme richiede un coraggio da leone di cartone. Io l’ho fatto più volte ma sempre rivolto a soggetti che erano in grado di rispondere. Quel gesto rivolto a una persona che dorme è di una viltà assoluta. Sarebbe dovuta esser coerente fino in fondo, magari Salvini le avrebbe risposto. Chissà, con una carezza.”

A questo punto i farabutti da tastiera si sono scatenati, sino al punto di augurarsi che la ragazza fosse “stuprata a turno” eccetera, perché gli elementi dell’aggressione erano già stati forniti dai loro idoli: 1) sicuramente Erika era un’ipocrita e vigliacca “sardina” (strumentalizzazione); 2) meritevole di schiaffi e di suggerimenti “su dove potrebbe mettersi il dito” (sdoganamento della violenza). Lo scenario immaginato da Calderoli, ove raffigura la possibile carezza di Salvini, contiene anche lo sconfinamento nel privato del corpo: l’ex ministro sarebbe autorizzato a mettere le mani addosso a una sconosciuta se questa gli rivolge un gesto qualsiasi ma ciò resta una violenza comunque lo si faccia, con carezze o ceffoni.

Per cui, gentile signora Ferrero, la risposta alla sua implicita domanda è “Sì, in Italia c’è un linguaggio d’odio assai diffuso e lo schieramento politico a cui lei appartiene lo usa troppo spesso.”

Maria G. Di Rienzo

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“Ciò che è certo è che le sardine si sono riunite per combattere tutte le forme di comunicazione politica aggressive, che strizzano l’occhio alla violenza, verbale o fisica, online o offline”. Così ha ribadito alla stampa Mattia Santori e questa è invero la “cifra” primaria che ha portato in piazza quell’Italia, di cui faccio parte, che non si riconosce nella narrazione a senso unico propinata alla nazione per anni da il 99% dei media.

Anni in cui dalle televisioni colavano (e continuano a colare) interviste fiume senza contraddittorio, in pratica comizi, colme di falsità e incitamenti all’odio e clamorose stupidaggini. Anni di aggressioni online e offline (e anche queste continuano), dalle campagne sul web fatte a colpi di insulti e diffamazioni alle loro concretizzazioni fisiche quando i figuri analfabeti della politica sono andati al governo: gli assalti ai giornalisti e ai magistrati, gli abusi di potere contro il dissenso di semplici cittadini, la crudeltà dei “porti chiusi” sono cose di appena qualche mese fa.

Quel che le sardine originarie si sono chieste, se fossimo davvero così soli e così pochi a provare rigetto e disagio e dolore, ha trovato risposta. Tutto qui. Ma, da destra a sinistra, dai filosofi agli opinionisti ai giornalisti ai rappresentanti di partito, gli osservatori non riescono a darsene pace.

La prima ondata di pistolotti aveva questo tormentone sullo sfondo: chi sta dietro a queste piazze piene? Mentre i loro autori si arrampicavano sugli specchi per disegnare il complotto, il loro stordimento era perfettamente percepibile: da dove saltano fuori italiani e italiane che chiedono il rispetto e la realizzazione della Costituzione e che dichiarano di non amare la violenza, quando gliela propiniamo 24 ore su 24 come panacea universale? Chiunque possa o non possa aver offerto il suo sostegno, il dato confortante è questo: non si è riusciti ad addormentare e ad avvelenare tutto il Paese.

La seconda ha ossessivamente chiesto ai manifestanti di risolvere ogni problema nazionale, dall’Ilva alla manutenzione stradale di Roma, omettendo scientemente che ciascuno di loro sta pagando dei rappresentanti a ogni livello amministrativo per fare tale lavoro.

La terza è divisa in due opposti schieramenti che di comune hanno una fretta dannata:

1) i favorevoli chiedono di capitalizzare immediatamente i numeri delle piazze in partiti o liste civiche, condendo i complimenti con velate minacce di disastri futuri: “E se per una manciata di voti dovessero prevalere proprio quelle forze che mai canteranno “Bella ciao” e che detestano la Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza antifascista (altro che realizzarla), la necessità della pazienza potrebbe davvero lenire anche un poco il rimorso di non aver trovato il coraggio di correre il rischio, certamente grandissimo, di un impegno elettorale?” Personalmente, non posso provare rimorso per le scelte altrui e non mi sento obbligata a fondare partiti: la società civile fa politica a livello non istituzionale ed è perciò che si chiama così.

2) i contrari stanno freneticamente costruendo “fake news” (finte piazze in cui si canta “odio la lega” o immerse nei rifiuti dopo le manifestazioni) e dipingendo i dimostranti come “bulli etici” che demonizzano l’avversario. In più, ci vogliono vendere Salvini e Meloni (e Di Maio) come rappresentanti dei ceti medio-bassi: “Come è possibile che la gente beneducata, colta, civile, preoccupata delle sorti dei deboli, scenda in piazza per squalificare i leader di quei medesimi deboli?” Io appartengo alla categoria definita economicamente debole, ma ciò non mi rende in automatico un’ignorante intrisa di razzismo, sessismo e omofobia: i leader di cui l’opinionista parla non mi assomigliano ne’ mi rappresentano – a maggior differenza, non maneggio soldi ambigui o proprio sporchi e sono incensurata.

Dal 14 dicembre è uscito questo elenco:

“Pretendiamo che chi è stato eletto vada nelle sedi istituzionali a fare politica invece che fare campagna elettorale permanente.

Pretendiamo che chiunque ricopra la carica di ministro comunichi solamente su canali istituzionali.

Pretendiamo trasparenza nell’uso che la politica fa dei social network.

Pretendiamo che il mondo dell’informazione protegga, difenda e si avvicini il più possibile alla verità.

Pretendiamo che la violenza, in ogni sua forma, venga esclusa dai toni e dai contenuti della politica.

Chiediamo alla politica di rivedere il concetto di sicurezza, e per questo di abrogare i decreti sicurezza attualmente vigenti. C’è bisogno di leggi che non mettano al centro la paura, ma il desiderio di costruire una società inclusiva, che vedano la diversità come ricchezza e non come minaccia.

Le sardine nelle istituzioni ci credono, e si augurano che con il loro contributo di cittadini la politica possa migliorarsi.”

Fin qui sottoscrivo e nuoto. Non ho bisogno di altro.

Maria G. Di Rienzo

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Mary Crow Dog

“Credo che siano odiate al massimo le persone che pongono domande legittime. Perché queste vanno al cuore della nostra psiche. Noi sappiamo che dette persone hanno ragione e perciò, se possiamo, dobbiamo distruggerle. Molta gente è davvero spaventata dal fatto che le richieste sono moralmente giuste, perché quando confronti un imperativo morale con uno immorale dalla tua parte, devi odiare le persone che dichiarano quell’imperativo morale. Li odiamo perché le loro affermazioni sono totalmente giustificate – e noi lo sappiamo.”

Mary Crow Dog, scrittrice e attivista Lakota (1954 – 2013) – trad. MG DR

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